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Autore: the_black_wolf    24/07/2014    3 recensioni
Amavo ciò che sognavo, non ciò che vedevo. Amavo l'afrodisiaco piacere e la più orrenda paura al tempo stesso. Amavo l'inamabile, amo colei che è un mistero.
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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 “Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità. E' proprio così: amo, ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma contro voglia, nella costrizione, nel pianto, nella sofferenza. “
                                                                                                       [Cit. F. Petrarca]

La prima volta che la vidi fu a ventitré anni.
In realtà, i miei occhi si erano posati sulla sua figura più volte; scambiandola sempre per una senzatetto, una disgraziata o un’anziana donna fuggita di casa ( sempre ne avesse una). Vesti informi e scure la coprivano e confondevano: stando sempre chinata verso il basso, non ero mai riuscito a scorgerne il volto. Quel pomeriggio, tuttavia, dal cielo color piombo cadevano pesanti gocce d’acqua che rendevano ancor più tristi le vie della mia città ed io mi stavo affrettando a tornare a casa dopo il lavoro di cameriere in un ristorante di lusso ( mi era indispensabile per gestire le  spese dei miei studi). Avrei infatti dovuto incontrarmi con la ragazza che frequentavo da un po’ in quel periodo. Correva l’anno 1966 : lo ricordo bene perché mia madre cercava di convincermi che quello fosse un anno maledetto in quanto, stando a lei, le ultime due cifre si avvicinavano molto al numero del diavolo.
Sciocchezze, direte voi. Ma forse non si sbagliava del tutto.
Quella sera, come ogni giovane uomo in balia di quel che era effettivamente la mia età, la mia mente era assalita da domande e quesiti indispensabili ma di difficile risoluzione.
Valutavo l’idea di prendere in sposa la ragazza con la quale mi vedevo. Era senza dubbio molto dolce e gentile, però non la trovavo affatto …gradevole agli occhi. Non ch’io fossi un uomo molto attraente ma quegli occhietti scuri, da topo, quella carnagione olivastra e poi quella dentatura storta…
Dopotutto, però, ero io il primo con cui aveva fatto l’amore. Era stata  la sua prima volta e ricordo ancora quando, con voce mista tra passione e dolore, si sforzava di dire che sarei stato io e solo io l’uomo al quale si sarebbe donata… Che amava me.
Certo, anche io l’amavo: mi pento di non averla sposata. In fondo, era una brava ragazza. Onesta, sincera, altruista. Non come lei.
Neanche quando rimase incinta il suo aspetto migliorò: a soli vent’anni la gravidanza la stava stremando e nonostante mantenesse sempre quell’aria gentile e dolce nei miei confronti, in silenzio ne soffriva. Oggi le devo tanto, povera donna. Spero in cuor mio che non mi odi, e se tanto dovrò restare qua dentro ancora a lungo (fino alla morte ci deve stare , vecchio mio) vorrei realmente che le fruttasse quel poco che è rimasto dei miei averi.
Al tempo l’abbandonai, poveretta, per via del suo aspetto: è quando gli occhi sono giovani che non sono ancora in grado di guardare oltre la carne e il corpo di una donna : non riescono a coglierne il calore dell’anima e del cuore.
Fu il mio più grande sbaglio.
Proprio quella sera, mentre tornavo a casa, incrociai per un istante lo sguardo di colei che avevo sempre scambiato per un’anziana o per una senzatetto. Non era affatto ciò che pensavo.
La ragazza che stavo ammirando era di una bellezza ineguagliabile , con la quale era impossibile creare un qualsiasi paragone tra più immense le bellezze naturali di questo mondo. Dovetti fermarmi e restare immobile per qualche istante.
Pelle chiarissima, labbra grandi e scarlatte ,screpolate a causa del freddo. Viso e collo allungati, capelli lunghi, ricci e bagnati, di un color biondo cenere/castano. I suoi occhi non osservavano me, si limitavano a fissare nella mia direzione, in attesa di un dialogo.
Quando  la ragione torno in me, mi accorsi che la ragazza sembrava molto debole, stanca, denutrita e sola nonostante il suo aspetto così bello.
“Qual è il tuo nome?” domandai.
Sublime estasi mi invase quando, per un momento, mi guardò negli occhi per rispondermi: tanto erano chiari e limpidi i suoi che i miei, al confronto sembravano carbone nero.
“Io sono Viola” rispose.
Viola.
Viola.
Bel nome, pensai. L’ho amata sin da allora e, anche adesso che se dovessi diventare albero sarei la più anziana delle grandi querce maestose e solitarie, al solo sentir quel nome il cuore inizia a scalpitare e ardermi nel petto, quasi volesse fuggire dal corpo e ricongiungersi alla donna tanto amata.
Oh Viola…. Perché mi hai fatto questo? Giorni tristi e strazianti sono seguiti dal momento in cui te ne sei andata e in verità ti dico che la tua presenza ( se così mi è dato di chiamarla) non ha mai portato eventi lieti nella mia vita. Sei morta da giovane, da egoista e da vigliacca, non hai pensato che a te stessa e a non si sa cosa mentre decidevi di morire; mentre è toccato ai tuoi cari e a coloro che ti volevano bene soffrire per la tua morte e portare il tuo ricordo anche nella vecchiaia. Ricordarti è l’unico modo per fare in modo che la tua anima non muoia mai e credimi, mi sembri reale a volte visto come, nonostante morta, la parte che io ricordo di te mi fa soffrire fino a recarmi del male.
Viola, sei la causa del mio dolore.
Eppure non posso neanche odiarti, ho rispetto per i morti.
Ti amo invece, eccome.
E adesso,  dopo tanti anni, hai deciso di tornare. Per burlarti di me forse? Oppure ti senti in colpa? Ho deciso di ascoltarti e seguire i tuoi piani, come ho sempre fatto quando eri in vita. Andrò in fondo a questa storia.
Racconterò di te, dal principio.
Racconterò la mia storia.

  
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