Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: PerseoeAndromeda    24/07/2014    2 recensioni
Amare a tal punto da voler proteggere chi si ama anche dai propri incubi e, in tal modo, da ricordi che non cessano di generare dolore... è quello che Shu vorrebbe fare, accompagnare Shin anche in questi ricordi, per condividerli con lui e non lasciarlo mai solo
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Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Falling in a dream

 

"Sei triste?".

Una mano sulla spalla fece sussultare il ragazzo affacciato alla finestra, gli occhi verdi persi tra le foglie di smeraldo che in essi si riflettevano.

Fu un attimo; ormai conosceva quella mano forte e sicura, ormai stava imparando ad abbandonarsi a quel tocco.

Non significava aver imparato a confidare le proprie debolezze, ad ammettere un malessere che, a giorni, diventava insopportabile.

Così scosse le spalle e si voltò, con quell'immancabile sorriso sulle labbra di fronte al quale Shu si scioglieva, ma che, al contempo, lo irritava, perché troppo spesso quel sorriso si trasformava in un rifugio nel quale si proteggeva da ogni sostegno che gli altri avrebbero potuto offrirgli.

Eppure era così facile capirlo se si imparava ad andare oltre quell'apparenza così solare e positiva che celava, dietro la luce, ombre e dolore. A Shu era bastato poco per capirlo; Shu era candido, gli dicevano che era un tipo semplice, ma di sicuro non insensibile, soprattutto quando si legava a qualcuno... a qualcuno che, tra l'altro, era ormai diventato il centro del suo universo.

Accompagnarlo ad Hagi, la sua città natale, pochi giorni prima, aveva aperto una finestra in più nel cuore di Shin, entrare a contatto con quella parte di lui, con il suo piccolo, delizioso mondo del sud che tanto lo rispecchiava, li aveva resi ancor più vicini.

Eppure, nonostante tutto, Shin continuava a nascondere i propri sbalzi di umore, a occultare dentro di sé quei momenti di sofferenza che, ora Shu lo sapeva, esistevano e in quei momenti più che mai lui avrebbe desiderato racchiudere nella propria mano il prezioso cuore di Shin, forte e fragile a un tempo come l'essenza stessa dell'acqua e preservarlo anche dalle sue fughe e dalla sua riservatezza.

"Non sono triste...".

Shu non poté fare altro che ricambiare il sorriso, ma era lui stesso a sentirsi triste: perché il suo Shin non si abbandonava a lui totalmente? Perché non accettava di lasciarsi confortare, almeno da lui?

Le braccia di Shu si mossero e l'istante successivo lo strinse a sé, strappandogli un'esclamazione di sorpresa.

Kongo intravvide per un istante l'immensità di smeraldo dei suoi occhi, resi ancor più grandi dallo stupore. Poi Shu chiuse i propri, mentre con la mano affondava in una ciocca rossastra.

"Io voglio proteggerti, solo proteggerti...".

Un irrigidirsi di tutte le membra, le mani di Shin restarono abbandonate lungo i fianchi.

"Sh... Shu...".

"Non aver paura...".

Kongo accentuò la stretta, deciso ad impedirgli ogni fuga.

"Non... ce l'ho...".

"Tu hai sempre paura... sei terrorizzato dalle tue paure...".

"Shu... smettila...".

Le loro voci risuonavano basse nella penombra, sussurri che si perdevano nella notte appena rischiarata dalla luna; nella villa di Nasty tutti dormivano, solo i due ragazzi non erano riusciti a prendere sonno.

In realtà, Shu dormiva profondamente, ma poi i suoi sensi, tutti insieme, si erano riacutizzati, come all'erta, ogni briciolo di attenzione rivolto al letto vicino. Trovarlo vuoto e mettersi alla ricerca di Shin fu tutt' uno, perché se Shin si alzava, per vagare da solo in piena notte, poteva significare solo una cosa: pensieri malsani lo tormentavano e lo rendevano inquieto.

"Non la smetto... non potrai mai impedirmi di starti vicino... é inutile che me lo chiedi".

"Non... è... quello che... ti chiedo...".

La stretta si fece più forte e, questa volta, Shin vi si abbandonò con accettazione.

"Allora posso farlo?".

"Cosa, Shu?".

"Starti vicino, no?".

Seguirono attimi di silenzio, poi il corpo di Shin sussultò più volte e da esso si levò un suono sottile: per un istante, Shu temette che stesse piangendo, ma subito dopo riconobbe la risatina leggera, accompagnata dallo strofinarsi del naso di Shin contro la sua spalla.

"Sei buffo, scimmietta... tanto buffo".

Il broncio di Shu fu istantaneo, ma scomparve così com'era venuto per trasformarsi in un sorriso arrendevole e nutrito da quei gesti così inconsapevolmente infantili, dalla vocina disarmante del suo compagno che tanto faticava ad accettare quelle parti così vere e deliziose di se stesso.

"Ti va di venire a nanna?".

"Solo se mi starai vicino...".

Shu si staccò un attimo, solo per poter contemplare il suo viso alla luce della luna; si rivelò difficile, perché Shin lo teneva basso, gli occhi socchiusi, la pelle resa candida dalla luna, ma velata di un tenero rossore.

Gli posò le mani sulle guance, le spinse fino ad affondare le dita tra i suoi capelli.

"Lo sai che lo faccio, anche quando ti esaspero, anche quando non ne puoi più di me, io non posso fare a meno di starti vicino, anche quando non mi vuoi".

Non gli diede il tempo di contestare quell'assurda affermazione; appena Shin aprì la bocca, Shu la coprì con le proprie labbra, strappandogli un'esclamazione di sorpresa.

Quando si staccò, Shin ancora lo fissava con occhi sgranati e a bocca aperta, senza poter formulare parole, il rossore che si mutava in incendio.

Shu sorrise, gli piaceva coglierlo di sorpresa e vederlo così, senza difese e abbandonato a lui.

Lo prese per mano.

"Adesso andiamo a nanna, pesciolino...".

Godette ancora di quel fiducioso abbandono, mentre lo trascinava con sé, possessivo, per le stanze della villa di Nasty, fino alla camera che condividevano.

Shin si lasciò cadere a peso morto sul letto più vicino... che era quello di Shu.

Il ragazzo di Yokohama rimase esterrefatto a guardarlo, poi udì la vocina del compagno, ridotta ad un sottile pigolio:

"Shu...".

"Dimmi..." sorrise l'altro, contemplando gli occhi chiusi e quelle ciglia lunghe e morbide.

"Posso... dormire con te?".

Che domande!

A Shu non sembrava neanche vero che glielo avesse chiesto e Shin, evidentemente, non immaginava quanto lo rendesse felice.

La prima reazione di Kongo fu un sorriso radioso, poi si arrampicò sul letto; era stretto per starci in due, ma, in fondo, era meglio così, si sarebbe tenuto il suo Shin vicino vicino... e stretto... tutto per lui... Shin che gli concedeva quella vicinanza, che gli chiedeva di prendersi cura di lui e persino di proteggere i suoi sogni... perché Shu desiderava fare anche quello. Neanche un sogno avrebbe dovuto permettersi di ferire il suo Shin.

"Io non chiedo altro, pesciolino".

Lo avvolse nelle proprie braccia forti e Shin si voltò su un fianco, dandogli le spalle, il viso rivolto al muro; si raggomitolò, raccolse le ginocchia sul petto e fece in modo di far aderire il più possibile la propria schiena contro il petto di Kongo.

Shu deglutì; da tempo, ormai, aveva accettato il fatto che simili contatti tra loro gli facevano girare la testa e risvegliavano istinti sempre più difficili da controllare.

L'aveva accettato, sì, ma proprio l'accettazione aveva complicato le cose.

Eppure si sforzò di mettere a tacere i bisogni puramente fisici per concentrarsi solo sui bisogni di Shin che, in quel momento, erano solo di vicinanza e coccole. Solo lui contava, Shu non voleva essere egoista, così accentuò la stretta e lo avvolse, formando uno scudo protettivo con il proprio corpo e, con un sospiro, abbandonò il viso contro di lui, deciso a vegliare, per il resto della notte, sul suo sonno se si fosse rivelato necessario.

“Shu...”.

Quando cominciava così, con quel tono, significava che voleva essere ascoltato e momenti come quello andavano colti, perché troppo raramente Shin accettava aiuto... e considerazione.

“Dimmi, pesciolino...”.

“Tu... riuscirai a dormire... così?”.

Shu sospirò; era stato troppo sperare che volesse parlare di se stesso.

Che importanza poteva mai avere il dormire, quando loro erano così vicini?

“Sinceramente non mi interessa”.

Sottolineò la frase con una stretta più salda e decisa delle proprie braccia.

“Ma... Shu!”.

Una mano di Kongo scivolò davanti al viso di Suiko e, con un dito, gli solleticò le labbra.

“Io voglio solo stare così, come stiamo adesso, voglio abbracciarti e voglio... che mi parli...”.

“Che... ti parli?”.

Ed eccolo che si allarmava.

“Se... vuoi...”.

Bisognava andarci cauti con Shin, essere delicati e morbidi, anche a livello mentale... e Shu non si era mai ritenuto delicato. Era difficile per lui, ma tanto, troppo stimolante quella complicata conquista.

“Ma... di cosa?”.

“Be', di quello che vorrai”.

Ci fu un movimento, le coperte frusciarono e Shu allentò la stretta, comprendendo le intenzioni del compagno.

Infatti, dopo pochi istanti, il naso piccolo e all'insù di Shin si posò delicatamente contro il suo e i loro corpi vennero attraversati da un brivido.

Le mani di Shin cercarono il colletto del pigiama di Shu e si misero a giocherellare con gli orli e i bottoni; l'emozione di Shu si elevò fino alle stelle e l'istinto lo spinse a prendere le mani del nakama tra le proprie, le portò alle labbra, le baciò teneramente. Lo sentì tremare e sospirare il suo nome.

“Shu...”.

“Non ti lascerò mai, potrai contare su di me per sempre, ogni volta che ti sentirai solo, che avrai bisogno di qualcosa... di qualcuno... io... per te...”.

Una mano di Shin sfuggì alla presa e si posò sulle sue labbra:

“Non dire altro...”.

“Pe... perché?” chiese Shu, dopo aver posato un bacio su quelle dita.

“Perché... mi fanno paura questi discorsi”.

Shu sgranò gli occhi, ma conosceva ormai abbastanza il suo nakama per accettare alcuni di quei suoi aspetti che, un tempo, gli sarebbero sembrati assurdi.

“Tu con me non devi aver paura di nulla”.

“Lo sai cosa intendo...”.

Shu sorrise, non visto; in realtà non lo sapeva, ma sapeva invece che il suo Shin possedeva quelle bizzarre sfumature, nella sua complessa personalità, che lo rendevano ancor più adorabile... e ancor più stimolante da sfogliare pagina dopo pagina.

Shu chiuse gli occhi ed affondò il naso in quei capelli sempre morbidi e profumati; ogni aspetto del suo compagno di Hagi si presentava sempre, il più possibile, curato ed in ordine... il suo Bocchan... che tentava di non lasciarsi sopraffare dalle rudi vicende della loro esistenza.

“Se preferisci... possiamo dormire”.

Anche se non era poi così certo di riuscirci, con Shin così vicino, così accoccolato contro di lui... così arrendevole e tenero.

“Io... non lo so...”.

“Cosa non sai? Se vuoi dormire?”.

“Se... ci riesco...”.

“Io sarò qui a cullare i tuoi sogni, pesciolino”.

“E riuscirai a dormire, cullando i miei sogni?”.

In un altro momento, forse Shu avrebbe riso: Shin sapeva rendersi buffo in maniera disarmante e lo era ancora di più per il fatto che non se ne rendeva conto.

Tuttavia non rise, il momento era troppo sacro, troppo delicato... il cuore di Shin era troppo delicato, era impossibile, a volte, prevedere quando si rischiava di ferirlo e, di sicuro, in quel momento Shu non voleva in alcun modo correre il rischio.

Il naso di Shin scivolò verso il basso e Shu chiuse gli occhi per concentrarsi sulla consistenza della punta sottile, finché essa si fermò poco sotto le spalle; era come un cucciolo in cerca di calore.

“Avevi ragione, sai?”.

Gli occhi di Shu si riaprirono, si mossero verso il basso, ma quelli di Shin erano completamente nascosti. Suiko era immobile e rilassato, eppure le sue parole avevano colto Shu alla sprovvista.

“Riguardo a cosa?”.

Ci fu una pausa, le spalle di Shin furono scosse da un lieve sospiro e Shu ne percepì il calore contro il proprio petto.

“Quando mi hai chiesto se ero triste...”.

Le orecchie di Shu si rizzarono e si tesero, come quelle di un gatto all'erta.

“Lo eri?”.

Shin non rispose subito e Shu ribadì, accentuando la dolcezza:

“Lo... sei?”.

Il corpo di Shin ebbe un piccolo sussulto, poi si risistemò, cercò una posizione più protetta nel rifugio che Shu aveva allestito per lui.

“Molto meno se...” si fermò, la sua voce ebbe un tremito, forse intimidito da ciò che stava per dire. “Se... ci sei tu...”.

Shu si sentì avvampare, deglutì.

“Vorrei... che non lo fossi per niente”.

Seguirono istanti di sospensione e un nuovo sospiro.

“Credimi, Shu... mi fai stare bene”.

“Ma sei comunque un po' triste” si intestardì Shu, storcendo il naso.

Dopo qualche attimo di silenzio, alcuni sussulti scossero le spalle di Shin e, per la seconda volta, Kongo temette che stesse piangendo; invece, di nuovo, le sue orecchie furono raggiunte dall'inconfondibile suono della risatina sottile del nakama.

Shu accentuò il broncio ma, prima che potesse replicare, il viso di Shin scattò verso l'alto, i suoi pugni afferrarono il colletto del pigiama di Shu e i loro nasi si incollarono.

“Sei una scimmietta incontentabile!”.

“E tu rigiri sempre le cose a tuo modo per distogliere la mia attenzione da ciò che provi!”.

Shu si sarebbe volentieri morso la lingua, quando Suiko perse la propria espressione scherzosa per guardarlo con occhi sgranati e labbra semiaperte nella sorpresa. Kongo si rosicchiò nervosamente il labbro inferiore: sarebbe dovuto essere il classico battibecco tra loro due, di quelli che di solito facevano sorridere i nakama, e invece la sua voce era uscita troppo dura, tanto da stupire lui stesso.

Non era davvero arrabbiato, almeno così credeva, eppure aveva reagito come se lo fosse. Forse perché certi atteggiamenti di Shin si rivelavano frustranti per lui, non gli concedevano di arrivare al suo cuore fino in fondo, come avrebbe voluto.

Distolse lo sguardo, imbarazzato.

“Scusami” borbottò.

La stretta delle mani di Shin sul suo colletto si allentò e anche gli occhi del ragazzo di Hagi si diressero altrove, in basso.

“Mi dispiace...”.

Era troppo facile sbagliare approccio con Shin.

Kongo riposò i propri occhi su di lui, serissimi e un poco lucidi; avrebbe mai imparato a non sbagliare più?

Si chiusero in un comune silenzio ed era così strana quella timidezza tra loro...

O forse no, perché spuntava proprio in momenti come quello, che poco avevano a che fare con gli scherzi ed i giochi.

“Shu...”.

Eccolo, quel tono che avrebbe sgretolato una roccia.

“Dimmi, pesciolino...”.

“Grazie per essere venuto...”.

Shu non comprese subito.

“Dove?”.

Gli fu sufficiente chiederlo per illuminarsi e sorrise.

“Ah... Hagi...”.

Non aveva ancora ammesso a nessuno che non era stato realmente l'aver creduto gli hagiyaki un piatto delizioso ad averlo spinto nella cittadina d'origine del nakama, anche se non capiva perché continuare a nasconderlo anche a se stesso: l'ingordigia era stata null'altro che una copertura, ciò che realmente contava, per lui, era non perdere di vista Shin in un momento così difficile come la malattia della madre.

"É stato... carino da parte tua...".

"Tu sei carino...".

L'intenzione di Shu era stata quella di pensarlo, ma quando vide Shin fissarlo incredulo e arrossire ai livelli massimi di cui era capace, comprese che la voce l'aveva tradito; arrossì a propria volta e distolse lo sguardo, un po' a disagio.

Annaspò alla ricerca di qualcosa da dire e si lasciò andare alla prima cosa che gli venne in mente:

"Hagi... ti somiglia...".

Sapeva che poteva suonare buffo, persino ridicolo, eppure lo pensava; d'altronde, amare Shin come lo amava e sentirsi goffo era praticamente la stessa cosa.

"In che senso mi assomiglia?".

Già, in che senso?

Domanda legittima, non era da tutti i giorni sentirsi dire che si somigliava ad una città e Shu non aveva pensato a qualcosa di particolare, semplicemente gli era sembrato ovvio.

Così si mise a fare, tra sé, il gioco delle associazioni mentali ed espresse a parole i risultati spontanei:

"Be' il mare... e il sole... i giardini luminosi, ma un po' chiusi in quella riservatezza che, però, non fa venire meno lo spirito di accoglienza così vivo e sincero... questo mi è piaciuto tanto del sud... nessun luogo del Giappone riesce ad essere così sincero, i sorrisi della gente sono nutriti di sole e di mare e sono vivi e veri, come in nessun altro luogo. Accolgono e abbracciano con una spontaneità generosa... e i muri bianchi nascondono quegli angoli riservati e forse un po' proibiti, ma sono muri che riflettono il sole, quindi non respingono con freddezza, anche perché le parti alte delle case e i rami degli alberi, si affacciano curiosi a salutare i passanti".

Si fermò... troppo prolisso?

Cercò una risposta nello sguardo di Shin e trovò due occhi sgranati e le labbra aperte in un'espressione di totale stupore... il tutto amalgamato con l'immancabile colorito acceso di certe occasioni.

"Sei un poeta ".

Era difficile capire se si trattava di un complimento o di una presa in giro... o, più probabilmente, di un riuscito intruglio di entrambe le cose.

Shu decise, ad ogni buon conto, di stare al gioco.

"E di te, Hagi ha il calore... tanto calore... a volte decisamente troppo calore".

Effettivamente erano scesi in giornate già particolarmente calde e, se nel Kanto faceva caldo, insopportabilmente caldo, ci si doveva preparare al fatto che a sud ne faceva molto, molto di più, Shu l'aveva provato sulla propria pelle.

Il naso all'insù di Shin si arricciò e le labbra si imbronciarono, ma, subito dopo, ogni tratto del suo volto si sciolse in un sorriso.

"E quindi, il modo in cui hai descritto Hagi... é come vedi me...".

Anche Shu sorrise:

"Sì, ma cancella la questione del troppo calore... il tuo non mi basta mai...".

"Perché, come ti dicevo prima, sei incontentabile".

Era impossibile non sorridere di fronte a quelle espressioni, nell'udire quella voce e il sorriso di Shu fu radioso ed ampio quando mise i loro nasi a contatto, un gesto di intimità e complicità che, ormai da tempo, era diventato abituale tra i cinque nakama.

Shin sospirò e chiuse gli occhi, si mosse un poco, e Shu capì di dover fare spazio alle sue braccia, per lasciare che si avvolgessero intorno al suo corpo. Si ritrovarono sdraiati, su un fianco, l'uno di fronte all'altro, ma il viso di Shin scomparve, ben presto, per nascondersi tra le spalle e il petto di Shu.

"Scimmietta...".

"Dimmi, pesciolino...".

"Posso... dormire così?".

Che domande.

"Se vuoi dormire... certo...".

"Non... ti darò fastidio?".

"Mi sembra di averti fatto capire, in tutti i modi possibili, che non potrei mai trarre fastidio dalla tua vicinanza ".

"Ma... tu riuscirai a dormire?".

"Pesciolino...".

"Mmh...".

"Piantala...".

Lo sapeva che era sul punto di crollare, la voce era sempre più bassa, impastata dai fumi del sonno e Shu lo stringeva a sé, voleva che Shin lo sentisse, voleva trasmettergli sicurezza, fargli sentire che nel suo calore poteva abbandonarsi, lasciarsi andare.

"Shu...".

Be'... certo... Shin era un osso duro quando si trattava di convincerlo a rilassarsi.

Rispose sorridendo, rendendo il suo tono avvolgente come una carezza:

"Dimmi... pesciolino...".

“Vorrei... che mi accompagnassi nei miei sogni...”.

Non era più sveglio, di sicuro; quello era il genere di frase tipica di uno Shin che abbassava le difese e lasciava trapelare all'esterno tutto ciò che aveva dentro, soprattutto le sue paure.

Shu si fece serio, gli posò un bacio sulla nuca e lo strinse più forte a sé.

“Farò del mio meglio anche per quello, pesciolino. Non voglio lasciarti solo... mai...”.

Non ottenne alcuna risposta; il respiro del compagno si era fatto più pesante, lo sentiva alitare contro la pelle nuda del collo. Il sonno era infine giunto.

Shu sospirò profondamente e chiuse a propria volta gli occhi; anche lui aveva sonno e come avrebbe desiderato entrare del tutto in sintonia con il sonno di Shin! Entrare nei suoi sogni avrebbe significato venire messo in contatto con quegli aspetti dell'anima che Shin custodiva dentro di sé, troppo discreto, pudico per mostrarli... o troppo spaventato?

Fece scivolare una mano dalla schiena di Shin fino al suo petto e gliela posò al livello del cuore.

Aiutami” pensò, “aiutami a vedere cosa c'è qui dentro... aiutami... a restare al tuo fianco, a proteggerti, ad accompagnarti attraverso ciò che ti ferisce... voglio vedere, voglio sapere come prendermi cura di te...”.

Ebbe la sensazione che il cuore del compagno accellerasse il battito. Forse si trattava della suggestione del momento, forse era il fatto che il suo stesso cuore si faceva più pesante, stanco o, forse, stava confondendo i battiti dei loro due cuori.

Si addormentò con un pensiero fisso che parlava nella sua mente, sempre più soffuso, come soffuse si facevano le sue percezioni:

Io lo so che possiamo diventare una cosa sola... io lo so che puoi e vuoi... lasciarmi entrare...”.

 

 

***

 

Era solo, le strade spazzate dal vento che preannunciava l'inverno ormai prossimo completamente deserte.

Lui era stato ad Hagi solo in estate, ma la riconobbe subito, anche in quel passaggio tra l'autunno e l'inverno.

Le foglie caduche ed arrossate degli alberi abbandonavano la sicurezza dei giardini celati dai muri e danzavano nell'aria, rincorrendosi per le strade in un lugubre benvenuto a lui che, solitario, camminava senza meta apparente.

Eppure non sembravano pensarla così le sue gambe, che lo conducevano sicure, in una direzione che pareva a loro conosciuta; Shu si limitava ad assecondarle.

Aveva amato Hagi, fin dal primo istante, ma l'Hagi di quel momento sembrava diversa, una Hagi di una dimensione parallela dove la vita era come congelata, una Hagi triste, che piangeva con il lamento del vento e spargeva, per lacrime, quelle foglie senza vita.

Hagi era in simbiosi con il cuore di qualcuno, un cuore in agonia; Shu non sapeva da dove venissero tali certezze, ma erano lì... come fu certo, improvvisamente, che proprio quel cuore infranto gli aveva fatto intraprendere quella precisa direzione.

Un cuore che comunicava con il suo stesso cuore e Shu lo sentì pesante, oppresso dentro al petto, tanto che, mentre camminava, dovette sollevare una mano ad arginare un'ondata di dolore. Le palpebre gli bruciavano dal bisogno di piangere, ma per qualche motivo non voleva farlo, per qualche motivo sapeva di voler essere forte... forte abbastanza... per qualcuno che aveva bisogno di lui.

Mentre camminava, con la coda dell'occhio, intravvedeva i cimiteri, numerosi, l'aveva notato anche la prima volta, ma non gli avevano comunicato tutta quella tristezza. Adesso i suoi sensi, le sue percezioni, si riempivano solo di quelli, delle tombe di pietra che innalzavano i ricordi in essi racchiusi verso il cielo plumbeo.

Procedette, passo dopo passo, finché i suoi occhi lucidi si posarono su una casa: anche quella la conosceva... c'era stato.

Man mano che si avvicinava, insieme al suono del vento si rendeva sempre più nitido un altro suono: voci umane, ma armonizzate in una cupa litania... un sutra...

Shu si fermò, le gambe rigide, gli occhi sgranati e le labbra aperte in un'esclamazione che rimase muta: stava per entrare in un'abitazione nella quale si stava svolgendo un rito funebre... quell'abitazione...

Deglutì e ricominciò a camminare; il giardino, la casa, tutto era aperto per permettere a parenti e visitatori di recarsi a partecipare al cordoglio della famiglia.

Alcune persone, vestite a lutto, testa china, stavano entrando e, senza chiedersi nulla, Shu si mise sulla loro scia. Non pensò neanche per un istante che non fosse il caso di farlo, che si sarebbe rivelato inopportuno; lo doveva fare, sentiva di dover essere lì, al fianco di chi si trovava in quella casa.

Era a disagio, sapeva di non essere neanche vestito nella maniera giusta, d'altronde nessuno gli aveva detto che si sarebbe ritrovato ad Hagi, in una fredda giornata tra l'autunno e l'inverno, per assistere ad un funerale.

Teneva il volto basso, sollevandolo ogni tanto, per carpire qualcosa dalle persone che stavano varcando quella soglia: sembravano non notarlo.

I suoi occhi caddero su una targa accanto all'entrata: Mori.

Il suo cuore perse un battito, ma non l'aveva sempre saputo, in fondo?

La mesta processione raggiunse un gruppo già inginocchiato, le teste basse; flebili singhiozzi ferirono le orecchie di Shu, che fece un grande sforzo per sollevare il capo.

Adesso era l'unico in piedi.

Avrebbe dovuto inginocchiarsi? Eppure nessuno lo guardava, nessuno lo vedeva.

I suoi occhi si posarono su un altare adibito per i rituali funebri; al centro spiccava la fotografia del defunto e il corpo di Shu prese a tremare, mentre faceva scivolare lo sguardo in basso, dove giaceva il corpo...

“Shin?!”.

Si portò le mani alla bocca: era un uomo giovane e il colore dei capelli, il disegno particolare delle sopracciglia, la dolcezza un po' infantile dei lineamenti... ma qualcosa era diverso.

No, non era Shin...

Allora...

Spostò gli occhi sui familiari inginocchiati in prima fila e tutto fu chiaro, tutto ciò che avrebbe dovuto essergli chiaro da un pezzo.

Shin era lì, tra la madre e la sorella, stava loro vicino, così piccolo, l'espressione che lui tentava di rendere adulta, gli occhi lucidi, le labbra strette, mentre le due donne di casa piangevano al suo fianco. Lui non piangeva, lui teneva i pugni serrati sulle ginocchia, frementi, perché non riusciva a fingere a tal punto, non riusciva a non tremare, a non essere teso.

Era un bambino di dieci anni, che adesso era l'uomo di casa e doveva proteggere le sue donne, doveva recare loro conforto, doveva essere forte per loro... doveva essere il loro samurai, pronto a prendere tutto sulle proprie spalle.

Ma era un bambino ed era Shin, il suo sensibile, empatico Shin, che non solo provava emozioni fortissime e a volte distruttive, ma che assorbiva in sé anche quelle degli altri.

Cosa mai poteva sentire in quel momento? Fino a che punto il suo piccolo, fragile cuore stava andando in pezzi?

Shu credeva di saperlo, perché in quell'istante anche il suo cuore esplose ed il suo corpo lo condusse lì, tanto nessuno lo vedeva, nessuno notava quell'invasione; si ritrovò inginocchiato davanti a lui, a cercare la sua mano, per stringerla nella propria.

“Io sono qui” sussurrò, “io sarò sempre qui, non sarai mai solo pesciolino, mai...”.

Se nessuno lo vedeva, né lo sentiva, probabilmente lo stesso valeva per Shin, eppure Shu sentì la sua mano tremare, sentì le sue dita che annaspavano, che cercavano. E allora Shu accentuò la stretta, lo ripetè:

“Sono qui... io ci sono... sono con te e lo sarò sempre... non nascondere a me quello che provi”.

La mano del piccolo Shin di dieci anni trovò con decisione la sua e la strinse. Shu vide i suoi occhi farsi grandi, in un moto di incredulo stupore e questo loro sgranarsi fece traboccare la marea emotiva oltre gli argini dell'autocontrollo: le lacrime sgorgarono e la mano libera di Shu salì a raccoglierle ed a carezzare quel viso di bambino, che forse non lo vedeva, ma che percepiva ormai chiaramente la sua presenza.

 

***

 

Furono le sue stesse lacrime a svegliarlo...

O le lacrime che qualcun altro piangeva e che si fondevano con le sue.

Aprì lentamente gli occhi, a fatica, non per il sonno, ma perché gli bruciavano in maniera insopportabile.

Nella nebbia che gli si formò davanti intravvide due occhi verdi e lucidi aperti nei suoi, occhi che piangevano come i suoi e che lo stavano guardando... era meglio dire, forse, che lo stavano adorando.

“Shin...” borbottò, incerto.

“Mi... dispiace...” fu la risposta.

Shu sospirò; che c'entravano, adesso, le scuse?

Shin era avvinghiato a lui più strettamente del solito e quello sguardo superava ogni possibile resistenza da parte di Shu.

“Lo hai fatto davvero” sussurrò il ragazzo di Hagi.

“Co...cosa?”.

“Non mi hai abbandonato... eri lì...”.

Shu deglutì, comprese a cosa il nakama si riferisse, ma lì per lì non seppe cosa rispondere.

“Sei riuscito... anche in questo... me l'avevi promesso che ce l'avresti messa tutta per non lasciarmi... e non l'hai fatto...”.

“Se io dico di voler fare una cosa, la faccio!”.

E per te farei tutto, avrebbe aggiunto, ma le parole si spezzarono di nuovo e tornò a tacere.

C'era quel maledetto imbarazzo che scendeva tra loro in determinati momenti e che li rendeva incapaci di trovare qualcosa di adatto da dirsi; e le due macchiette comiche del gruppo si trasformavano, così, in bambini intimiditi dalle loro stesse reazioni. Ma in quei momenti giungevano in soccorso gli sguardi; anche i loro compagni glielo dicevano spesso, che sapevano parlare con gli occhi e tramite gli occhi, allora, si leggevano reciprocamente nell'anima.

Forse era per questo che Shu era entrato nel sogno di Shin: perché le loro anime, ormai, erano più loquaci delle labbra e si tenevano costantemente per mano. Poteva sembrare un miracolo quello che era appena accaduto, ma per chi, come loro, aveva sperimentato situazioni alle quali nessuno avrebbe mai creduto, così strano non era. E così anche il silenzio poteva bastare, insieme alle carezze, al contatto fisico che instauravano.

Fu così solo dopo parecchi istanti che Shu ritrovò la forza di parlare, per chiedere una cosa che gli stava a cuore, e lo fece seguendo, con il dito, la delicata curva del naso di Shin, fino alla bocca appena schiusa: “Sogni quei momenti... tanto spesso?”.

Le labbra di Shin tremolarono, arrossì e distolse lo sguardo, abbandonandosi però ad un sorriso.

“Non ha importanza, adesso...”.

Shu sospirò, pensando che il suo compagno fosse incorreggibile. Come poteva dire che non aveva importanza?

Da quando aveva subito quel terribile lutto si portava nel cuore una sofferenza che non si era mai sentito in diritto di sfogare con nessuno, e ora aveva il coraggio di sostenere che non aveva importanza?

Il ragazzo di Yokohama troppo stesso oscillava tra la rabbia e la pena che provava nei confronti di quegli atteggiamenti con i quali Shin minimizzava, all'esterno, i suoi problemi, mentre dentro andava in pezzi. E Shu non sapeva come farlo smettere, ci provava in tutti i modi, ma aveva a che fare con un osso duro.

Shu si sentiva spesso anche in colpa, perché forse non era davvero in grado di trattare con quella complessa e fragile sensibilità del compagno.

La perdita del padre... forse il primo, vero trauma della sua vita... il primo di tanti, perché tutti loro, chiamati a seguire il destino crudele dei samurai, portavano sulle spalle un fardello pesante, troppo per chiunque, non solo per dei ragazzini come loro, ma loro sopportavano, combattevano, accettavano... E tuttavia non erano soli: avevano trovato dei nakama con i quali condividevano ciò che la sorte aveva loro imposto.

Ma quel particolare trauma, quello subito a dieci anni, Shin lo portava totalmente da solo, perché Shu ormai l'aveva capito che neanche alla sua famiglia aveva mostrato fino a che punto avesse il cuore spezzato.

Cercò, con le proprie, le sue mani sotto le lenzuola:

“Pesciolino... smettila di sminuire quello che provi... almeno con me... ormai l'hai capito, no? Io non ho nessuna intenzione di lasciarti nascondere più nulla...”.

Shin riportò i suoi grandi occhi, colmi di languore, su di lui:

“E' per questo che dicevo che non ha importanza... non ha importanza quante volte farò questi sogni...”. Shu sbatté le palpebre, sul viso una domanda inespressa, ma che Shin seppe intuire.

"Mi fanno meno paura... se penso...".

E allora, Shu si lasciò andare ad un sospiro, che lo fece sentire un poco più leggero:

"Sì, ho capito... e su questo non devi avere dubbi, io sarò sempre lì se tu...".

Si fermò, colto da un 'incertezza e osservò il movimento di Shin: il ragazzo di Hagi si sollevò e si puntellò su un gomito, lasciando che il lenzuolo scivolasse giù dalla sua spalla.

" Se io...?".

Shu si perse nei bellissimi, amatissimi occhi del compagno. Il dubbio che l'aveva colto era dovuto, soprattutto, al timore che Shin potesse prendersela: si conoscevano, si amavano, ma, a volte, il tenero guerriero dell'acqua era imprevedibile e volubile quanto il suo elemento. Per questo distolse il proprio sguardo, facendosi persino timido ma, subito dopo, ritrovò la determinazione e l'energia necessarie che, ogni volta, gli servivano per domare il cuore irrequieto e un po' ballerino del nakama.

Tornò a guardarlo con fermezza e gli mise le mani sulle guance, abbassando così il viso di Shin verso il proprio:

"Se tu mi permetterai di farlo, perché, caro il mio pesciolino, io sono riuscito a entrare, ma solo perché tu ... mi hai voluto!".

Shin sbatté le palpebre.

"Davvero?".

"Detesto quando fai il finto tonto!".

Nonostante la protesta, il tono non gli era uscito poi così severo, anzi, 1'espressione del nakama gli era sembrata così buffa da strappargli un sorriso. Il naso di Suiko si arricciò e questo non agevolò il placarsi dell'ilarità di Kongo.

"Io non faccio il finto tonto, mi è sembrato davvero un discorso strano".

"Consideralo come vuoi, 1'importante è che continui a fare il bravo come oggi!".

Davanti ad uno Shu un po' preoccupato, Shin si risollevò, questa volta ancora più in alto, fino a sovrastarlo in ginocchio, le mani sui fianchi.

"Smettila di rivolgerti a me come se stessi parlando con un bambino, ti ricordo che, caso mai, dovrebbe essere il contrario!".

La preoccupazione entrò immediatamente in conflitto con una nuova ondata d'ilarità, che Shu stette ben attento a non esternare troppo, se non attraverso un piccolo sbuffo tra le labbra chiuse. Andò a catturare le sue mani e, con uno strattone deciso, se lo fece precipitare addosso.

''Baka-Shu, che fai?!".

Le mani di Shu lasciarono quelle di Shin, ma le braccia si avvolsero intorno al suo corpo, imprigionandolo sopra di sè:

"Ti coccolo ancora un po', ne approfitto visto che mi lasci entrare tanto dentro di te, questa notte".

Shin arrossì con violenza; Shu, invece, non si era reso conto del possibile doppio senso insito nelle proprie parole.

"Baka, sei senza ritegno".

"Ma ho detto una cosa bella" mugugnò Shu, sinceramente perplesso.

Il viso infuocato di Shin fuggì letteralmente e andò a rifugiarsi tra il collo e la spalla di Shu, affondando nel cuscino:

"Scimmietta stordita".

A quel punto, lo stesso Shu non potè impedirsi di arrossire, benché ancora non avesse ben compreso la situazione. Gli occhi fissi al soffitto, in quel momento non era in grado di ragionare troppo, con Shin così attaccato e completamente abbandonato contro di lui. Riuscì a sussurrare, solo dopo un po' che il silenzio si era protratto tra di loro:

"Sii sempre così... lasciami essere la tua scimmietta stordita, che possa non abbandonarti mai...".

Le membra di Shin furono scosse da un tremito così violento che Shu ne fu quasi spaventato, ma si calmò subito e un fruscio annunciò il suo spostarsi quel tanto che bastò per poter cercare il viso del nakama. Era ancora rosso ed evidentemente incapace di dire qualcosa. Fu allora Shu a cogliere, nuovamente, la palla al balzo:

"Me lo prometti? Che non mi impedirai di rimanere al tuo fianco quando sarai triste e quando farai brutti sogni?".

Kongo colse appena il lieve sospiro del nakama e si concentrò sul lucore dei suoi occhi, nei quali l'acqua sembrava prendere vita.

Dalle labbra schiuse di Shin non giunse alcuna parola, ma Shu si trovò a seguire il loro percorso, finché esse si posarono sulle sue, per un tempo lungo abbastanza da togliergli il fiato.

Non seppe se accoglierla come una promessa suggellata o un modo con il quale Shin stava fuggendo, per l'ennesima volta, da quei discorsi incentrati su di lui che tanto lo spaventavano. L'unica certezza era che, come sempre, il guerriero dell'acqua, pur nel silenzio, aveva avuto l'ultima parola e Shu poteva solo sperare di essere sempre abbastanza forte per prendersi cura del suo cuore tormentato.

 

   
 
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