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Autore: Ink Voice    25/07/2014    8 recensioni
Erano davvero bei vecchi tempi quelli in cui, pur avendo perso la propria quotidianità e la propria famiglia, si aveva un altro punto di riferimento a cui tornare con il proprio cuore; si era trovata una nuova casa rassicurante che scacciava i pericoli esterni e lasciava che, anche in tempi tanto burrascosi, ci si sentisse al sicuro dentro pareti e stanze che ormai si conoscevano come le proprie tasche.
Ma tutto questo si è dissolto nel nulla, o meglio: è stato demolito. L’Accademia che tanto rassicurava i giovani delle Forze del Bene è ormai un cumulo di macerie a causa dell’ennesima mossa andata a buon fine del Nemico: ora tutti sono chiamati a combattere, in un modo o nell’altro, volenti o nolenti.
Le ferite sono più intime che mai ed Eleonora lo imparerà a sue spese, perdendo le sue certezze e la spensieratezza di un tempo, in cambio di troppe tempeste da affrontare e nessuna sicurezza sul suo avvenire.
[La seconda di tre parti, serie Not the same story. Qualcuno mi ha detto di avvertire: non adatta ai depressi cronici.]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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II
Il vento del cambiamento

Già prima di andare a dormire mi ero aspettata un sonno difficoltoso e un risveglio altrettanto sgradevole; le mie previsioni purtroppo si avverarono. Spalancai gli occhi turbati nel buio del dormitorio femminile e, presa coscienza del mondo attorno a me, ebbi subito un deja-vù. Ripensai alla notte precedente al primo giorno di lezioni all’Accademia, quando mi ero alzata presto non riuscendo a riaddormentarmi, tanto ero preoccupata. Sicuramente sarebbe andata così anche quella volta.
Non sapevo se dirmi in ansia o no. Avevo aperto gli occhi un po’ di colpo, non ero di certo il ritratto della pace interiore - come avrei potuto esserlo? Però non ero agitata. Le mie mani non erano in preda ad alcuna tremarella, al contrario delle mie aspettative. Sentivo un po’ freddo, quindi mi rannicchiai in una posizione fetale sotto le coperte - la temperatura nel Monte Corona, o nella base segreta perlomeno, era abbastanza stabile nel corso dell’intero anno e non era molto alta.
Accanto al cuscino di ogni letto vi era un contenitore per i vari strumenti, come il PokéKron, il Dex o la stessa cintura dentro la quale si riponevano le sei sfere della propria squadra. Presi il PokéGear e controllai l’orario; non era molto presto. Di lì a venti minuti, alle sette precise, sarebbe suonata la sveglia, uguale per tutti. Mentalmente ripassai la giornata che mi aspettava: alle otto l’intera giovane popolazione della base segreta avrebbe dovuto trovarsi nella grande mensa. Quelli come me arrivati da un mese dall’Accademia sarebbero stati divisi in cinque macro-gruppi, al cui interno esistevano svariate “specializzazioni” - su cui non mi ero informata: reclute, spie, esploratori, tecnici ed inventori.
Le spie erano state selezionate anche e soprattutto per la loro fisicità: i ragazzi più esili e agili avevano avuto la precedenza rispetto agli altri. A tal proposito Chiara, Camille e Sara erano perfette: tutte e tre erano davvero molto magre. L’ultima era snodatissima, Chiara invece avrebbe dovuto darsi da fare; di Camille non sapevo nulla. Gli esploratori lavoravano perlopiù insieme alle reclute: venivano inviati nei posti più disparati del pianeta per confermare un’attività nemica o controllare le condizioni di un luogo che, magari, era stato la residenza di un Pokémon Leggendario nel passato. I tecnici, tra i quali sarebbe finita Angelica, avevano la propria fissa dimora nei sotterranei della base, in cui non avevo l’autorizzazione per entrare, e avrebbero fatto le ore piccole davanti a computer con documenti dalla dubbia veridicità e codici indecifrabili.
E poi c’era il mio gruppo, che insieme alle spie era il più folto e quello a cui i più aspiravano. Guerrieri, ci chiamava qualcuno, ma io non mi sentivo affatto pronta a combattere. Se solo la faccenda si fosse limitata all’allenamento dei Pokémon che ci avrebbero difeso in ogni situazione… ma sarebbe stato troppo facile, ovviamente. Noi stessi ci dovevamo mettere in gioco e imparare a cavarcela, eventualmente, da soli. Quello era l’aspetto che più mi intimoriva: non ero certa di essere in grado di imparare un’arte marziale o altre tecniche di combattimento corpo a corpo. Men che meno avrei mai avuto il coraggio di maneggiare un’arma.
Cynthia, che come me sarebbe entrata in quel gruppo, mi aveva descritto molte delle cose di cui sopra. In particolare aveva parlato delle armi, accennando alla pistola ed al pugnale, con altri strumenti dalle più fantasiose funzioni. Laser, pistole dai raggi paralizzanti o soporiferi; “ce n’è per tutti i gusti”, aveva detto lei. Cynthia mi era sempre sembrata la classica dura che non si fa piegare da niente e da nessuno, che reagisce con forza e spavalderia senza temere le conseguenze delle sue azioni; eppure avevo notato una certa esitazione, come se non fosse convinta di quello che stava dicendo e che avrebbe dovuto vivere.
“È inutile credere di poter trattare i nemici con i guanti di velluto e avere comunque la meglio, Eleonora” dissi a me stessa. Non potevo sperare di non dover fare del male a qualcuno, magari anche ucciderlo, perché questo era quello che si prospettava nel mio futuro. Non ero una persona cinica, non ringhiavo quando qualcosa mi andava male, a malapena mi definivo una persona competitiva, se non in campi precisi: le lotte Pokémon, la corsa - disciplina in cui ero migliorata moltissimo proprio con gli allenamenti all’Accademia - e poco altro. Avrei dovuto rinunciare alla compassione e alla pietà per aspirare alla vittoria.
Non capivo bene la posizione delle Forze del Bene, a tal proposito. Ora che ero immersa nell’atmosfera cupa e rigida della base segreta, avevo iniziato a farmi qualche domanda in più che all’Accademia avevo messo da parte perché troppo scomoda, e non potevo permettermi, ovviamente, di rovinare le mie spensierate giornate per dei dubbi sulla mia fazione. Le Forze del Bene predicavano la pietà anche nei confronti del nemico o no? Dovevo obbligatoriamente perdere ogni riserva e imparare a tenere il sangue freddo? Lo avrei scoperto in quei primi giorni di allenamento e avrei dovuto impegnarmi a fondo per restare al passo.
“Ho un po’ di paura…” Cercai la Poké Ball di Altair per ascoltare il placido battito del suo cuore e calmarmi grazie alla sua stessa serenità. Appena la trovai, la presi tra le mie mani fredde e mi parve di sentirle subito più tiepide. Mi lasciai sfuggire un lieve sospiro. “In occasioni come questa bisogna mettersi a pensare. Ho ragionato molto la mattina del primo giorno di lezioni all’Accademia, e ora che la situazione è pressoché la stessa… direi proprio che qualche nuova domanda da porsi c’è. Sono pure tante…”
Però non ne trovai una precisa da cui cominciare, paradossalmente. Così, per rimediare, iniziai a ripassare chi facesse parte delle fila nemiche e vi fosse entrato inaspettatamente, avendo sempre combattuto i vecchi Team e dando l’idea di non voler tradire il bene. Già avevo affrontato quest’argomento in passato, con Sara e Ilenia soprattutto. Il potere, la speranza di rifarsi un nome dopo averlo perso con la divisione tra la realtà dei Pokémon e quella esclusivamente umana; ragioni di qualsiasi tipo potevano aver fatto preferire a questi uomini il Victory Team alle Forze del Bene, che magari ai tempi erano ancora in fase d’assestamento e non garantivano la stessa sicurezza del temibile nostro nemico.
“E così già sto provando a rispondere ad una delle domande che ho per la mente” pensai. “Cos’ha spinto così tante persone ad entrare a far parte dei Victory? Adriano, Nina, Pino, Vulcano, Omar… un conto sono persone come Malva e Sabrina, che un tempo sono state parte integrante, rispettivamente, dei Flare e dei Rocket… ma quelli che non hanno mai avuto a che fare con il nemico di turno, se non per combatterlo, perché stavolta hanno deciso di diventare dei Victory? Le persone e la loro mentalità cambiano, nel tempo, è inevitabile… ma sarà davvero solo per il potere e l’ambizione personale che hanno tradito le loro vecchie credenze? Se invece fossero stati costretti a giurare fedeltà in cambio della salvezza di qualcosa che stava loro a cuore, per esempio?”
Era davvero molto difficile parlare con me stessa e cercare risposte a domande che comprendevo a malapena. Cos’era il potere per me, anzitutto? Già così mi sentivo in difficoltà e non sapevo che definizione dare di quella parola, almeno secondo me. Se quel poco mi dava problemi tanto valeva lasciar perdere la ricerca di qualche motivazione alle azioni di persone tanto diverse e lontane da me, ed era pure inutile sperare di indagare e capire qualcosa di ciò che passava per le menti di Cyrus e gli altri Comandanti.
Soffocai un’esclamazione sorpresa quando sentii qualcosa tirare con forza la mia coperta. Mi affacciai e vidi che c’era la mano di Chiara. “Il deja-vù pare proseguire” pensai, ricordandomi di come, il primo giorno di lezioni all’Accademia, anche la mia migliore amica si fosse svegliata molto in anticipo, più o meno quanto me, rispetto all’orario a cui sarebbe suonata la sveglia.
«Buongiorno… come stai?» mi chiese in un sussurro. Se non fosse stato per il silenzio tombale nella grande stanza nemmeno sarei riuscita a sentirla. Il dormitorio era immerso nella penombra dell’alba ma un po’ riuscivo a vedere Chiara, anche grazie alla sua candida pelle; i capelli neri erano un tutt’uno con il resto dell’ambiente.
«Lo sai come sto.» Non seppi dire se avesse notato la mia smorfia di disappunto o no.
«Preoccupata, eh?» Annuii con poca convinzione. «Anch’io, da morire. Ti rendi conto veramente del punto a cui siamo arrivate? Con ogni probabilità diventeremo io una spia e tu una combattente…»
“… E rischieremo molto di più la morte in ogni secondo” mi dissi, lugubre. «Hai ragione. Speriamo almeno di cominciare con il piede giusto, perché non vorrei fare schifo fin dal primo giorno… la mia paura più grande è questa, di non riuscire a non essere totalmente incapace in tutto.»
«Tu almeno qualcosa sai fare! Le lotte Pokémon» precisò. «Hai già una base da cui partire. Per me sarà tutto nuovo, invece… però credo che avremo qualche corso in comune, anche se abbiamo scelto carriere diverse.»
«Lo spero. Non voglio ridurmi a parlarti solo la sera per mancanza di tempo» sospirai; lei sorrise. «Chià, io… i corsi per imparare ad usare un’arma li abbiamo entrambi, mi fanno una paura…»
«Sì» si rabbuiò la ragazza. «Ma verranno molto in là, quelle parti del programma.»
«Anzitutto devo preoccuparmi di non deludere i miei Pokémon…»
«Perché, gli esseri umani tuoi professori non sono di tuo interesse?» chiese con ironia. «Ele, accidenti se i tuoi Pokémon ti stanno dando parecchio a cui pensare. Parli solo di loro… e con loro, ormai.»
«Ma non è vero!» ridacchiai. «In parte sì, cioè. Sono una fonte di ispirazione, perché sono i primi a mettercela tutta in qualsiasi cosa e a non demordere mai, anche se perdono le prime battaglie, anche se la strada per avere successo è tutta in salita. Almeno a me, hanno insegnato un sacco di cose.»
Chiara stette in silenzio ad ascoltarmi. «Sai, a volte penso a quando eravamo ancora due ragazze del mondo normale. È passato tantissimo tempo… quasi non mi riconosco più.» Capivo come si sentiva: anche io avevo le stesse sensazioni. «Siamo sicuramente maturate e cambiate in meglio, abbiamo rinunciato a tante cose e abbiamo fatto tanti sforzi per arrivare a questo punto insieme ai nostri Pokémon… come saremmo adesso senza di loro?»
«Più vuote» risposi immediatamente. «Ci hanno trasmesso tante di quelle cose… è solo grazie a loro se adesso ho voglia di mettermi in gioco, di impegnarmi in ogni sfida - come fanno loro - e se la mia forza di volontà si è rafforzata… l’anno scorso ero una rammollita. Non mi andava mai di fare niente.»
Ridacchiò. «Sì… anche io ero così. Sono contenta di essere arrivata fino a questo punto, non tornerei indietro per nulla al mondo.»
Annuii distrattamente. Eppure di cose per cui chiunque sarebbe tornato alle origini ce n’erano. Avevo perso la mia casa e le mie abitudini, insieme pure alle mie passioni; la memoria dei miei genitori era stata ripulita da ogni traccia della propria figlia e quindi non potevo più dire di avere una famiglia, se non parlando dei miei carissimi amici… e dei miei Pokémon, effettivamente; le parole di Chiara che avevano voluto essere scherzose non erano del tutto surreali. Era vero che ero cambiata e che potevo vivere bene anche in quelle condizioni.
“Sei davvero sicura che non torneresti indietro in cambio della tua vecchia, serena realtà?”
Quella domanda sorse spontanea ed ebbi la sensazione di non essere stata io a formularla. Mi turbai molto e feci per aprire bocca, istintivamente; ma un trillo squillante che mi perforò le orecchie, già abituate al silenzio, si fece strada per la base segreta. Era la nostra sveglia e per un momento mi parve di dimenticare la questione che era nata nella mia mente. Sentii numerosi fruscii di coperte spostate e borbottii seccati. Mi chiesi se qualcuna delle ragazze avesse sentito la chiacchierata tra me e Chiara; era vero che avevamo parlato a bassissima voce, ma dato il silenzio assoluto del dormitorio, persone vicine come Cynthia, che stava nel letto sotto il mio, potevano averci udite. Arrossii al pensiero che qualcuna avesse origliato, magari involontariamente.
Le luci vennero accese e fui una delle prime ad andare in bagno per prepararmi; lo feci molto velocemente a causa dell’ansia. Pure quando andai nella mensa insieme a Chiara e altre amiche avevo un nodo che mi stringeva le vie aeree: mi pareva di essere in apnea. Avevo lo stomaco chiuso ma mi forzai di bere un almeno caffelatte che mi riscaldasse e mi infodesse un po’ d’energia. Qualche minuto dopo le otto tutti avevano finito di fare colazione da un pezzo e attendevano con impazienza, irritazione e preoccupazione l’arrivo dei maestri di turno, i quali erano puntualmente in ritardo.
Ma quando le prime parole polemiche iniziarono a levarsi sopra i mormorii, cinque persone più o meno conosciute entrarono nella grande mensa. Erano Koga, Sandra, Pedro, Anemone e Bellocchio. Il primo ormai non si poteva più considerare abbastanza giovane, le rughe sul suo volto mi parevano più scavate già dall’anno precedente, eppure era pronto per essere l’insegnante di uno dei cinque gruppi. Sandra era vestita diversamente dal solito: ero abituata a vederla con un look un po’ da motociclista, ma quel giorno indossava un bel mantello scuro sopra un completo aderente, di pelle. I capelli azzurri e corti brillavano meno dei suoi occhi. Pedro era un giovane uomo che di rado avevo visto all’Accademia, così come Anemone che aveva qualche anno in più di lui; una bella donna nel fiore degli anni il cui viso da bambina la ringiovaniva ulteriormente. Bellocchio sembrava lo stesso di sempre, vestito di nero e non troppo dritto con la schiena: lo sguardo severo scrutò a lungo la popolazione della mensa. Fu lui a prendere la parola, lui che era una colonna portante delle Forze del Bene.
«A quanti di voi non è stato detto nulla sul vostro ruolo, sappiate che la vostra richiesta di far parte di un certo gruppo è stata esaudita. I tecnici seguano me nei sotterranei dove incontreranno il signor Wilson, loro guida da oggi in poi. I futuri esploratori vadano con Anemone e gli inventori con Pedro, le reclute con Sandra e le spie con Koga. Ulteriori dettagli vi verranno comunicati durante l’addestramento. Buon lavoro a tutti.»
Il suo discorso si concluse lì; le parole fredde dell’uomo, pronunciate con un tono non molto alto, si spensero subito per far parlare lo spostamento delle sedie e i passi di noi ragazzi. Seguendo con lo sguardo Daniel e Ilenia, riuscii a districarmi tra la folla disordinata e trovai il gruppo di Sandra, che contava numerosi membri. Raggiunsi il mio migliore amico e Daniel mi diede una leggera pacca su una spalla; immaginai che volesse infondere forza e coraggio più a sé stesso che a me, perché appariva piuttosto preoccupato. I suoi occhi blu scattavano in ogni direzione, nervosamente, e i capelli castani erano parecchio spettinati, più del solito. Sembrava un po’ pallidino e persino la spruzzata di lentiggini sul suo naso dritto non pareva molto colorita, ma forse era mia suggestione.
Sandra ordinò seccamente di essere seguita e ci condusse nella sala per gli allenamenti, piena di campi per le lotte Pokémon. Durante il tragitto individuai quanti dei miei amici erano nel mio gruppo, a parte Daniel e Ilenia: Cynthia, Lorenzo, Gold e altre facce più o meno conosciute, ma non tanto quanto le loro, a cui ero enormemente affezionata. Ci disponemmo ordinatamente lungo il lato di un campo, creando più file, e Sandra iniziò a parlare camminando avanti e indietro per tutta la sua lunghezza.
«Aprite bene le orecchie. Non siete il primo gruppo di aspiranti reclute a cui mi tocca fare da professoressa, come se fossimo ancora in una banale Accademia, quindi mettetevi in testa che da ora le cose cambiano. Non mi piace ripetere le cose, immagino siate tutti in grado di capirmi al volo, quindi evitate di lasciar calare la vostra attenzione per qualcosa di tanto importante come il futuro di tutte le persone in questa base segreta! Non fatemi pensare che sia io quella che non si sa spiegare, perché finora i risultati che ho ottenuto non mi hanno ancora delusa e non vorrei che quel giorno arrivasse per colpa vostra!»
Avevo le sopracciglia leggermente aggrottate. “Una cosa che non capisco c’è; è perché Sandra dovrebbe quasi offendersi se non afferriamo subito qualcosa… ma a quanto pare è meglio evitare di dirlo, ho l’idea che sarebbe pronta a stendere chiunque con uno schiaffo…”
«Voglio farvi avere un’idea di cosa vi aspetta per tutti i mesi a venire, finché il vostro addestramento non sarà ritenuto completo da qualcuno più esperto e severo di me. Voi siete guerrieri da oggi in poi, a meno che non siate nati con la stoffa di chi vuole combattere; non fatevi chiamare reclute in modo così riduttivo, perché diventerete molto di più. A livello fisico, questo è il corso più impegnativo; a livello mentale è secondo solo a quello di spionaggio. Questi vostri colleghi presto rideranno nel sentirvi lamentare come bambini, “non riesco a mantenere il sangue freddo, se vedo un Comandante nemico mi viene la tremarella, al pensiero di dover tramortire un’altra persona quasi svengo!”» disse le ultime frasi con una vocina ridicola, ma nessuno rise. «Questo perché le spie che agiscono nell’ombra devono compiere un percorso complicatissimo su sé stessi.
«Ma voi potrete permettervi di ridere quando quelli si lamenteranno dei muscoli che dolgono a stare sempre in tensione, in posizioni scomodissime dentro spazi angusti. Sono pronta a scommettere che la metà dei ragazzi qui davanti a me non è in grado nemmeno di tirare un calcio mirando abbastanza in alto, alla faccia di un nemico più grosso di voi, mentre quelli sono stati scelti per la propria elasticità e l’agilità fisica. Voi dovrete lavorare molto di più, in tal proposito: imparerete a sviluppare e ad usare la vostra forza, presto sarete in grado di sentire ogni vostro muscolo, opportunamente allenato, e a farvi rispondere prontamente e con decisione dal vostro corpo, che sarà la vostra arma principale. Non fatevi venire l’idea assurda di far svolgere la maggior parte del lavoro alla vostra squadra di Pokémon, altrimenti la porta è da quella parte» fece un cenno con la testa e indicò il grosso portone d’acciaio che ci separava dal corridoio contrassegnato con la lettera A.
«Ricapitolando, vi toccherà fare il doppio del lavoro delle spie. Il vostro fine soprattutto è diverso e peggiore, se vogliamo vederlo da questo punto di vista, del loro; avrete capito che spie e guerrieri agiscono sempre insieme e che costituiscono le squadre migliori. Mentre loro si muovono nell’ombra con l’obbiettivo di rendersi invisibili, voi sarete la parte visivamente pericolosa dei gruppi in cui sarete divisi per le missioni. Le spie sono il pericolo non visibile, se non con mezzi adeguati; i guerrieri, se non dispongono di mezzi adeguati, devono farsi vedere e seminare il panico grazie alla loro forza. Qui non siamo in un film, allora!» alzò il tono di voce improvvisamente. «Non dovete combattere con lo scopo di non fare del male a nessuno se non per legittima difesa, non si lotta a fin di bene, non esiste! Se siete guerrieri, non avete più scrupoli, né scusanti per non alzare le mani contro qualcuno che rappresenta un pericolo per la vostra vita e, in misura maggiore, per le intere Forze del Bene!»
Ci fu una breve pausa. Guardavo Sandra con occhi spalancati: ero pervasa da paura, angoscia, curiosità e un profondo senso d’inadeguatezza che mi attanagliava le viscere. Avrei dovuto aspettarmelo e valutare con più attenzione cosa mi avrebbe atteso in quel gruppo: non ero in un film, come aveva detto Sandra, e non sarebbero stati i miei Pokémon a difendermi dai Victory. Sarei stata io la guerriera. Ma sarei davvero riuscita a diventarlo?
«Eppure non sempre vi toccherà affidarvi al vostro corpo per attaccare. Avrete un aiuto non indifferente, ma anche qui, per una mera questione di punti di vista, molti ritengono una cosa da assassini essere in grado di maneggiare un’arma mantenendo il più assoluto autocontrollo.»
Dicendo questo, Sandra aprì il mantello. Attaccato alla veste in pelle molto aderente, che metteva in risalto il fisico tonico e sufficientemente muscoloso, c’era quello che aveva l’aria di essere un marsupio abbastanza grande, la cui tasca era su un fianco della bella donna. Istintivamente chiusi gli occhi non appena due baluginii metallici brillarono inquietanti in entrambe le mani di Sandra. Riaprii le palpebre con enorme sforzo pochi, lunghissimi secondi dopo, e mi sforzai di non guardare l’insegnante, ma il pugnale e la pistola che aveva uno in una mano e una nell’altra. “A me scivolerebbero di mano, ne ho talmente paura che non riuscirei a stringerli.”
«Le armi non sono una cosa da Victory Team. Ricordatevi questa frase» disse con enorme serietà. «Avere un mezzo in grado di difendervi e di farvi attaccare è un’esplicita richiesta per ogni guerriero, sia egli di una fazione o dell’altra. Non esistono tutte le distinzioni che credete tra Victory e Forze del Bene.» Ah, quanto si sarebbero mostrate veritiere le sue parole nei mesi e negli anni a venire, eppure in quel momento mi parvero così dolorose e assurde… «Questa parte del programma è abbastanza avanti, prima di tutto dovrete sottoporvi a costanti allenamenti fisici e psicologici che vi prepareranno anche a quest’esperienza. È una delle più dure ed è comune a tutti i ruoli che è possibile assumere: guerrieri, spie, esploratori, pure i tecnici prima o poi imparano a usare le armi. Ma nessuno sarà in grado di maneggiarle bene e seriamente quanto voi. Nessuno dovrà essere in grado di superarvi!
«Ve lo dico un’ultima volta: qui non si combatte per legittima difesa sperando di non dover ammazzare o, come minimo, tramortire qualcuno. Non vi si richiede di diventare macchine da guerra spietate, né di perdere la vostra umanità, perché in questo punto la nostra fazione è molto diversa da quella nemica. Se dovremo tendere una mano a qualcuno di cui, di norma, tenderemmo a non fidarci… non è detto che non dovremo farlo, ma certo ci vorrà molto impegno da entrambe le parti. Ma ragazzi, vi chiedo per favore di prendere atto di cosa avete deciso di fare. Non siete più nell’Accademia di turno, io non sono una professoressa: sarò la vostra guida in un ambiente teso e voi farete l’abitudine al pensiero della guerra, ma soprattutto a quello della morte. Sono finiti i giorni degli allenamenti Pokémon, ora siete voi a mettere la faccia in uno dei giochi più micidiali, complessi e spaventosi che esista. La guerra è nascosta agli occhi del mondo, ma ciò non significa che essa sia meno terribile solo perché le nostre armi non risplendono alla luce del Sole.»
Dopodiché ci fu una lunga pausa di silenzio. A malapena volli credere alle parole di Sandra, che avevano risposto a tutti i miei interrogativi sulla carriera che avrei intrapreso da quel giorno in poi. Aveva risposto anche a domande che non mi ero fatta e mi chiesi perché non me le fossi poste. Mancava solo una questione per la quale attendevo un’ultima risposta, ma arrivò con le successive frasi della donna, che chiusero il suo lungo, intenso, mortificante e terrorizzante discorso.
«Se volete darvi ancora del tempo per capire dove siete e cosa avete fatto per finire dentro tutto questo casino, va bene. Un periodo di assestamento è ovviamente consentito, non siamo bestie e voi non siete robot privi di sentimenti, l’ho detto. Ma non impeditevi di non confrontarvi con la realtà per tutti i giorni a venire, perché nel momento in cui il mondo là fuori vi ferirà, il danno che riceverete sarà infinitamente più grande di quello che avrete se vi abituerete alla situazione in cui siamo. E badate, “là fuori” non ci sono solo i Victory e la guerra tra noi e loro. C’è tutto un mondo crudele e veramente spietato, sempre più disumanizzato, da cui dovete guardarvi le spalle, oltre ai nemici principali che abbiamo. Di modi per usare quel mondo come arma ce ne sono, e sia noi che i Victory li conosciamo. Ora però sto divagando» abbassò un po’ la voce. «Quindi vi devo porre alcune domande per farmi capire il livello di ogni singolo individuo e trovare quello generale di questo nuovo gruppo di guerrieri.»
Il gruppo si sciolse, sparpagliandosi per tutta la sala in gruppetti di amici. Il basso chiacchiericcio aveva decisi toni preoccupati, se non avviliti. La maggior parte delle persone, comunque, erano del tutto ammutolite, tra cui me, come c’era da aspettarsi. Trovai la confortante compagnia di Ilenia, Daniel, Cynthia e Lorenzo, ma la loro presenza familiare non servì a farmi stare meglio, tanto erano state laceranti le parole di Sandra.
«Adesso vi chiederò in maniera approfondita se avete buone conoscenze in materia di lotta!»
“Sentire ancora la sua voce mi sta seriamente straziando” pensai, “perché… eh sì, ormai la associo a quanto di crudo e terribile c’è in questa guerra, che per un anno intero ho finto di non vedere… e adesso? Mi darò ancora del tempo per ammettere e riconoscere la realtà, con il rischio di non riuscire mai a uscire dalla nuova campana di vetro nella mia testa… oppure mi sforzerò di accettare ciò che mi sta succedendo nel modo più veloce possibile, per quanto esso possa rivelarsi doloroso? Non lo so… ho ancora così tanta paura…”
Così Sandra fece il giro dei gruppi e chiese le stesse cose ad ognuno. Io, con un mormorio, risposi che non ero assolutamente capace a combattere, non avendo mai ricevuto lezioni, e questo bastò a farle capire il livello a cui mi trovavo - ovvero a nessuno. Daniel disse di aver praticato per parecchio tempo arti marziali e di aver fatto qualcosa anche all’Accademia, così come Lorenzo, che però le aveva esercitate molto più seriamente e a lungo; Cynthia era priva di qualsivoglia tecnica di combattimento ma, in compenso, aveva l’aria di possedere abbastanza forza in corpo per buttare a terra con un colpo ben assestato chiunque la infastidisse. Ilenia, come me, non aveva mai praticato nessuno sport che si avvicinasse ad una lotta corpo a corpo. “Almeno lei…”
Dopodiché Sandra esaminò i nostri Pokémon, operazione che le richiese il resto della mattinata e che proseguì nel pomeriggio, occupando tanto di quel tempo che ci liberò solo poco prima di cena.
«Una cosa che non vi ho detto è che ora potreste tranquillamente dare via il vostro Pokédex.» Lo disse con enorme serietà, anche se all’inizio credevo che scherzasse; ma Sandra, a quanto pareva, non era affatto il tipo che si preoccupava di alleggerire la tensione. «Non mi interessano, e non interessano nemmeno alle altre guide che avrete oltre a me, le sciocchezze che segna a proposito della vostra squadra di Pokémon. Livello, statistiche, punti esperienza… tutto questo è irrilevante. Un Pokémon, allo stesso modo di un umano, non si misura attraverso una tabella generalizzata per tutti quelli della sua specie. Non fatevi trarre in inganno dai limiti che il Pokédex vi impone, non esiste un dannato livello 100 dopo il quale finisce la crescita del Pokémon! Se non fosse per le utili descrizioni che fornisce su una specie, davvero sarei tentata di obbligarvi a buttarlo!»
“Angelica è andata a fare l’hacker dai tecnici, quindi posso chiederle di disattivarmi questa funzione” pensai distrattamente. «Così come» proseguì Sandra, «non esiste un limite di quattro mosse. Andiamo! Volete ancora pensare che in guerra bisogni attenersi a sole quattro mosse per Pokémon, come se si dovesse mostrare la propria abilità come Allenatori? Siete guerrieri e lo saranno anche i vostri compagni, che dovranno avere un’ampia gamma di mosse a disposizione. Ora basta con questi limiti artificiosi, non dovete andare a fare la sfilata alla Torre Lotta, dovete far fuori i Pokémon iperallenati dei Victory usando più di quattro mosse!»
Quello non mi dispiaceva affatto. La storia dell’amnesia momentanea dei Pokémon, che parevano dimenticare di aver saputo eseguire un attacco per sostituirlo con un altro, non mi aveva mai convinta del tutto, ed ero ben felice di poter annunciare alla mia squadra che finalmente potevano smettere di recitare quel teatrino per fare sfoggio di ogni mossa conosciuta. Quella fu, probabilmente, l’unica notizia positiva della giornata.
A pranzo stetti ancora con Daniel e gli altri. Parlottavano sommessamente e non cercai nemmeno di inserirmi nella loro conversazione, chiedendomi dove trovassero argomenti di cui parlare e pure come avessero voglia di farlo, tanto mi aveva turbato l’approccio al corso di combattimento - se quello era il preludio al corso, non volevo osare immaginare come avrebbero potuto essere le vere lezioni. Quella mattina avevo ammesso con me stessa di non avere il coraggio di chiamarmi “guerriera” e già ero costretta a farlo.
Probabilmente Cynthia e Lorenzo, con cui avevo meno confidenza rispetto agli altri due, finsero di non notare quanto fossi mogia e taciturna. Daniel ogni tanto mi lanciava occhiate eloquenti e capii che il suo sforzo di parlare era immane; Ilenia, prima che tornassimo nella sala dove ci aspettava Sandra per passare un intero pomeriggio con lei, mi fermò in disparte e mi chiese, retoricamente, se qualcosa non andasse.
Sospirai. «Mi sembra che vada tutto male. Sandra mi ha messa davanti alla realtà che ho sempre finto di non vedere. In questi giorni mi sono fatta parecchie domande sul destino della guerra e sui ruoli dei Victory e delle Forze del Bene, compensando il fatto che per tutta la permanenza in Accademia io non me ne sia posta nemmeno una, ingenuamente… lei ha risposto a tutte quante, ma dentro di me speravo che non fosse così forte questo inizio. Ho paura di tutto quello che potrebbe essermi richiesto di fare… a parte le armi, che sarà una fortuna se non scoppierò a piangere solo a toccare una pistola, ma con l’allenamento fisico io ho sempre fatto ridere, per quanto sono impacciata e… inetta. Non so nemmeno se andrò bene con i Pokémon, a questo punto.»
«Hai ammesso tu stessa che ora vedi tutto grigio. Ma non demordere quando ancora devi cominciare, Ele, non ha senso lasciar perdere senza nemmeno provare. Io ho meno paura di te perché ci sono degli anni a separarci e ho avuto il tempo di maturare il mio carattere ed il mio coraggio. Sono certa che Sandra sappia che molti di noi hanno paura anche solo di provare, credendosi totalmente inadatti al ruolo che per tanto tempo hanno sognato, e quindi farà di tutto per far capire a te, e a chi come te, che arriverete allo stesso livello di quanti, magari, hanno già un po’ di esperienza alle spalle. Penso che impedirà con tutte le sue forze che qualcuno si tiri indietro per paura. Ora però promettimi che metterai tutto il tuo impegno in ogni cosa e che ignorerai i tuoi timori!»
Riuscii a rispondere solo con un sorrisino impaurito all’espressione radiosa e comprensiva di Ilenia. «Va bene.»
Nel pomeriggio Sandra proseguì con i vari controlli alle squadre Pokémon. La aiutarono i suoi Dragonite e Kingdra a farlo: ognuno dei membri della mia squadra si misurò con i suoi draghi eccelsi, senza puntare al K.O. dell’avversario, mentre la donna si appuntava qualcosa su un blocco note. Mi chiesi cosa avesse scritto su di me e se fossi paragonabile agli ottimi livelli di Ilenia e degli altri. Fui tentata di lasciarmi sfuggire di nuovo un sospiro.

Le giornate passarono, inizialmente con immane lentezza, poi sempre più frettolosamente. Non mi incontravo più molto spesso con Chiara, ormai la mia compagnia era costituita dalla gente del mio gruppo e lo stesso valeva per lei, che stava per la maggior parte del tempo - anche fuori dagli orari del corso - con le altre aspiranti spie.
Furono l’ansia e la paura a rallentare la corsa delle lancette di ogni orologio per le prime settimane, eppure non potei fare a meno di riconoscermi non pochi miglioramenti. Avevo avuto moltissima paura a cominciare con la lotta corpo a corpo, sia perché temevo di fare brutta figura rivelando la mia inettitudine sia di fare del male a qualcuno, nonostante fossi la prima a dirmi che non ne sarei mai stata in grado. Almeno i ragazzi più grandi, che come me non avevano mai fatto alcuna esperienza nel campo, incontrarono maggiori difficoltà - tra cui Ilenia - a sciogliere il proprio corpo e a conoscere la forza che esso aspettava solo di riuscire a mostrare.
Con l’allenamento giornaliero, per lunghe ed estenuanti ore con pochissime pause, i miglioramenti erano forse inevitabili, e io fui ben felice di non rappresentare un’eccezione. Almeno un intero periodo della giornata per ogni dì mandato dal cielo era dedicato all’allenamento fisico, e quel periodo in genere superava abbondantemente le quattro ore. Non divenni agile e sciolta come una ginnasta ma non era quello a cui un guerriero doveva aspirare. Le cose che importavano veramente non erano quelle, ma saper assestare colpi precisi e sapersi pure difendere da un nemico più abile nel combattimento, aumentando di conseguenza le proprie capacità.
Rimpiansi, i primi tempi, di non aver mai praticato arti marziali da bambina, perché con l’adolescenza avevano iniziato a piacermi tantissimo e temevo di non avere più i mezzi per impararle. Alcune settimane dopo non provai più alcun rimorso, perché avevo recuperato tutto il tempo perso nel passato. Era sfiancante allenarsi ogni giorno, anche facendo cose ripetitive, noiose, stancanti; soprattutto se i primi tempi mi pareva tutto impossibile e la promessa dei miglioramenti la ritenevo irraggiungibile. Ma fui costretta a dirmi, non senza un bel po’ di compiacimento, che di progressi ne avevo fatti tantissimi, anche a forza di sentirmi strillare incitazioni non troppo delicate nelle orecchie da Sandra e compagnia.
Combattere mi piaceva davvero e non era più una cosa legata strettamente alle lotte Pokémon: migliorando le mie capacità, trovai anche del piacere nel confrontarmi con i miei compagni e a vedere quanto fossi diventata più temibile, in un certo senso. Ridacchiavo ancora con un po’ di imbarazzo, ma anche orgoglio, quando Daniel iniziò a dire di temere i miei scappellotti. Ogni tanto ero riuscita a mandarlo al tappeto, nonostante lui fosse teoricamente più bravo di me, e la cosa mi aveva resa molto orgogliosa.
La corsa e il combattimento divennero le mie discipline preferite: correvo per svuotare la mente e fare a gara con me stessa, sentendomi sospinta da un vento favorevole e ardente di voglia di mettermi alla prova; lottavo per misurarmi con le altre persone e faticavo a nascondere la gioia quando riuscivo a superare qualcuno. Lorenzo, che doveva essere stato cintura nera in qualche disciplina, e Cynthia, piena di forza e scattante come una molla, erano ancora un problema per me, perché non riuscivo a superarli - presi loro come esempi in particolare, ma molti altri dei miei colleghi guerrieri erano più esperti e bravi di me; comunque ero sicura che anche loro non mi sottovalutassero più, perché più volte avevo sogghignato nel vedere il viso di Cyn contrarsi in un’espressione seccata e, una volta tanto, seriamente impegnata nel cercare di capire le mie mosse. Poi magari poco dopo mi buttava a terra con uno spintone ben misurato, ma già era un buon risultato, per me, metterla in difficoltà.
Imparare ad usare le armi era ancora un obbiettivo lontano, fortunatamente, perché probabilmente quello sarebbe stato davvero un grande ostacolo nella mia crescita come guerriera. Prima dovetti imparare ad allontanare la soglia del dolore: ero sempre stata parecchio sensibile, ma a forza di ricevere pugni e calci durante i giornalieri combattimenti di lotta corpo a corpo, la pelle si indurì e mi vidi costretta a imparare a restituire il favore. Fu così che migliorai, oltre a ricevere gli insegnamenti di Sandra, mio punto di riferimento come maestra, e degli altri che ci allenavano. Quando incassavo un colpo più forte, mi salivano le lacrime agli occhi e mi sfuggiva un gemito, non essendo abituata ad essere attaccata in quel modo; la volta successiva facevo di tutto per impedire che venissi colpita una volta ancora a quel modo e mi costringevo ad assorbire il dolore come una spugna, fingendo di non sentirlo. Alla fine era più una questione psicologica che fisica.
Dopo qualche tempo decisi che non volevo più accontentarmi di mettere in difficoltà gli avversari e che volevo mirare alla vittoria in ogni occasione, senza pormi alcun limite. Feci di tutto per migliorare ancora, finché non divenni veramente brava e padroneggiai ogni mossa con sicurezza che mi era stata insegnata dai maestri, o dall’esperienza, imitando i miei compagni e misurando la mia forza.
Il mio umore fece un salto di qualità grazie alle soddisfazioni che stavo ricevendo: anche la mia squadra stava facendo progressi affatto indifferenti e, così come potei confrontarmi senza più avere paura dei ragazzi più grandi, come Cynthia e Lorenzo, con gli stessi potei dare prova di essere diventata anche una brava Allenatrice, oltre ad essere una vera guerriera - talvolta quel termine mi straniva ancora un po’, comunque. Accettai con naturalezza il fatto di essere in guerra e scoprii di voler combattere davvero, pur essendomi concessa un mese abbondante per farlo - lo stesso mese che mi ci volle per maturare la mia bravura e il mio carattere.
Divenni più spavalda e per certi versi scontrosa, non solo sfrontata, nel senso di non farmi più alcun problema a battibeccare con qualcuno per qualcosa e non temendo le conseguenze delle mie parole. A tal proposito però dovetti darmi una bella calmata, perché andava bene che fossi diventata più tosta e intraprendente, sicura di me e senza più bisogno dell’appoggio altrui per muovere un passo; ma dovetti smettere di stupirmi se, dopo qualcosa di indelicato detto da me, le occhiate che ricevevo non erano propriamente amichevoli.
Non mi definivo vivace né allegra, di certo non ero spensierata, perché di cose su cui rimuginare ne avevo in buona quantità. Essere diventata oggettivamente brava nel combattimento e con i Pokémon non significava che fossi sempre soddisfatta di come andavano le mie giornate. La pesantezza della guerra era onnipresente e pure questo mi dava molto su cui riflettere, anche se molto più spesso quel pensiero si trasformava in voglia di fare e di migliorare per dare prova al mondo che mi circondava di essere pronta ad ogni eventuale pericolo.
Eppure ricevetti una grossa delusione quando arrivò l’anno nuovo e gli allenamenti obbligatori finirono - quelli che sarebbero succeduti non sarebbero stati, per la maggior parte, a frequenza obbligatoria e i singoli individui potevano decidere se seguirli o meno. Io di certo l’avrei fatto almeno per non perdere la mano.
Ma prima di pensare a questo ero nell’ufficio di Bellocchio, pronta a sbraitare contro il vertice delle Forze del Bene, inviperita com’ero dopo aver ricevuto la notizia che la mia prima missione si sarebbe limitata al dover accompagnare un gruppetto di esploratori in cerca di una base nemica a Kanto. «Questo non è proprio giusto! Mi sono allenata per mesi interi e ho fatto certi miglioramenti che non mi si riconosce più! Se sono una guerriera non è fare una gita nel Monte Luna il mio obbiettivo, ma combattere con tutte le armi che ho!»
«Cos’è, fai i capricci?» chiese freddamente ironico Bellocchio, inarcando le sopracciglia poco folte. Mi morsi un labbro, indispettita. “Avrò pure esagerato con i toni, ma questa è proprio un’ingiustizia!” «Non hai abbastanza esperienza alle spalle per prendere parte ad una missione nel vero senso della parola. È la prima che fai e bada a non farla diventare l’ultima con i tuoi scatti d’ira. Se questa andrà bene e anche i prossimi allenamenti a cui prenderai parte faranno confermare ai tuoi insegnanti la tua bravura, allora presto otterrai nuovi incarichi… che spero saranno più soddisfacenti per te.»
Continuavo a guardarlo male, sapendo di essere insolente ed arrogante, troppo irritata per ciò che era successo e pure per i suoi toni, per me molto offensivi. «Comunque, se continui su questa lunghezza d’onda e nemmeno ti premuri di portare rispetto ai tuoi superiori, non c’è molto che si possa fare e ti verranno sempre affidate missioni di infima importanza, anche se è tutto relativo, visto che pure quella a cui prenderai parte potrebbe rivelarsi molto utile ai nostri fini. Soltanto perché non vai a menarti con qualche recluta Victory rischiando di rovinare tutto e di morire, Eleonora cara, non significa che il tuo ruolo sia stato sottovalutato. I progressi che hai fatto mi sono stati comunicati da Sandra e non sei stata l’unica del tuo gruppo a imparare a combattere decentemente partendo da zero. Ma almeno a nessun altro è partita la brocca perché non va a misurarsi con un Comandante.»
“Vallo a dire a qualcun altro che sa combattere perlomeno decentemente, ché se mi parte la brocca come dici tu allora sono dolori!” avrei voluto rispondere, ma continuai a mordermi il labbro inferiore - non mi sarei stupita se avesse iniziato a sanguinare - per trattenermi. “E poi perché continui a provocarmi? Speri di sentirti mandare a quel paese e di poter annullare la mia missione e tutta la mia carriera nelle Forze del Bene? Come se ti potessi permettere di perdere un elemento a cui affidare un incarico!”
«Con chi andrò?» chiesi con voce sorprendentemente atona.
Bellocchio mi guardò intensamente per un paio di secondi, forse sospettoso nel non vedermi irritata come prima, poi si degnò di rispondermi: «Il tuo capogruppo si chiama Lorenzo ed è un combattente anche lui. Ci sarà Gold, il tuo amico, e Camille, una spia. Infine un esploratore, Mark.»
Un po’ mi sorpresi di essere in un gruppo con tutte persone conosciute, a parte quel Mark. «Va bene» dissi.
«Partirete tra due giorni, quindi ti consiglio di ultimare i preparativi e di parlare anche con Lorenzo, che ha le redini della missione. Tu, lui e Gold siete i più abili del gruppo con i Pokémon, quindi dovrete fare da spalla agli altri due che completeranno la missione in sé, essendo più esperti nel campo dell’esplorazione e della ricerca. È tutto chiaro?» mi chiese. Mi parve un po’ meno freddamente arrabbiato per la mia insolenza.
«Sì, tutto chiaro. Scusi per prima.» Pronunciai quelle parole con enorme sforzo, solo perché volevo rimediare ai danni fatti per non impedirmi di avere in futuro la possibilità di partecipare a missioni un po’ meno relativamente semplici. Bellocchio non rispose niente in particolare, ma annuì, fortunatamente più rilassato, e mi congedò.
Uscita dalla porta fui tentata di sferrare un pugno contro la parete, mentre ardeva in me il desiderio di mostrare che ero un elemento valido e che non dovevo essere frenata con missioni di livello più basso. Di quello si trattava e la mia rabbia bruciava a causa di quello. “Quindi, Bellocchio, vuoi vedere se Sandra e compagnia hanno fatto un buon lavoro con me?” ringhiai nella mia mente. “Allora ti pentirai di non avermi inserita in un gruppo destinato ad una missione più importante, perché ti dimostrerò quanto io sia migliorata!”
Ero ferita nell’orgoglio e quella botta di egocentrismo non era il massimo, avrei dovuto decisamente darmi una calmata. Ma in quel momento nemmeno me ne accorsi, tanto ero presa dai miei pensieri. Bellocchio mi stava mettendo alla prova ma io ancora non potevo capirlo, e mi sentii molto ostile nei suoi confronti. Ero sempre stata ribelle quando si trattava dei rapporti con l’autorità di turno, e lui non avrebbe rappresentato, men che meno in futuro, un’eccezione.





Capitolo II - Rivisto nei giorni 8, 10 e 11 di ottobre 2015. Istinto naturale  Il vento del cambiamento. 




Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Questo capitolo l’ho dovuto riscrivere daccapo, era fatto proprio male. Non so come descriverlo se non così, era brutto davvero e mi è dispiaciuto dovermi ricredere
 a proposito di questa seconda parte, le mie aspettative erano più alte. Trattava in maniera ridicola, tanto era superficiale, tematiche delicatissime ed emozioni forti per i personaggi che per la prima volta si confrontavano con esse. Sono contenta di aver deciso di dedicare del tempo anche alla revisione di questa parte, perché mi sono accorta di quanto io sia migliorata come autrice. Ricordavo molto più positivamente questi capitoli di NTSS2 ma ho capito quanto fossi ancora immatura e di strada ne avessi ancora da fare, molta più di quanta ne abbia adesso. Non so cosa penserò del mio attuale modo di scrivere tra un anno e altri mesi, più o meno lo stesso tempo che è passato dalla stesura di NTSS2 alla sua revisione. 
Comunque questo capitolo era talmente bestiale che dovrei ricopiarvelo tutto, ma sarò clemente e non vi vesserò. Solo questo: “Viva le vacanze che mi consentono di scrivere velocemente.” mannaggia alle vacanze che le (mi) permettevano di diffondere questi scempi
A presto!
Ink
  
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