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Autore: V a l y    05/09/2008    9 recensioni
Midgar era una città brutale che puzzava di inquinamento, sfascio e corruzione. Gli abitanti conducevano una vita dura e deplorevole e alcuni di loro erano così poveri da non riuscire neppure a vivere negli slum. Così, nella disperazione collettiva la criminalità si faceva strada senza troppi sforzi. Tseng era entrato nei Turks che era ancora adolescente, amava il mondo triste e sudicio degli adulti, odiava quello scioccamente gioioso dei bambini. L'incontro con una di questi, poi, lo porterà all'ossessione...
[Fanfiction ambientata prima e durante il videogioco]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Tseng
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Questa fanfiction si ambienta molto prima di Final Fantasy VII, in un arco di tempo che prende anche il Crisis Core. Non ho mai giocato a Crisis Core, né a Before Crisis, quindi è probabile che durante la storia qualcosa non quadri. Volevo quindi avvisarvi che mi atterrò SOLO al videogioco originale, il che mi lascia più libertà creativa. Il protagonista è Tseng, personaggio di cui si sa poco in FFVII e che presumo verrà maggiormente approfondito in CC (a cui ricordo non averci giocato), quindi farò leva su quei pochi elementi che mi sono rimasti nel primo, vecchio, indiscusso videogioco per dargli un mio personale profilo psicologico.
In ogni caso non giocherò mai a CC perché non la PSP. xD
La storia sarà incentrata sulla sua vita nei Turk, da quando entra a far parte dell'organizzazione. Ovviamente tutt'attorno gireranno altri personaggi, come Reno e Rude che mi sono fondamentali ai fini della storia (ma anche perché, semplicemente, li amo) e in più qualche personaggio originale.
Forse si era capito, ma anche Aeris farà il suo ruolo nella scena, per non dire decisivo...
Gh, bene, questo è tutto, oltre il fatto, se vi va di saperlo, che ciò che mi ha spinto maggiormente a tentare di scrivere questa storia, a parte che un pochino mi sono segretamente innamorata della coppia Tseng/Aeris, è che tratterò di argomenti come il lolitismo e il gangsterismo, roba che mi è sempre piaciuta affrontare senza aver mai trovato occasione...
L'occasione è questa. Spero sia di vostro gradimento!
(Per chi legge/eva “L'amante”, è in fase di, diciamo, “allestimento” xD Ma appena finisco di correggerla la continuerò!)


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Tseng odiava i bambini. Tseng odiava i bambini persino quando lui stesso era bambino. Odiava i loro piagnistei esagerati, le loro stupide risate facili, la loro voce effeminata e acuta. Li odiava perché erano stati l'unica compagnia durante la sua infanzia, trascorsa in un putrido orfanotrofio da quattro soldi nei quartieri bassi di Midgar. La solitudine gli aveva temprato lo spirito, l'indifferenza gli aveva giovato un'inaspettata razionalità precoce; era già predisposto per diventare un guerriero perfetto.
La prima volta che era entrato nell'esercito, per poter varcare il più presto possibile il mondo degli adulti, aveva solo quattordici anni. La prima volta che aveva ucciso a sangue freddo nel campo di battaglia ne aveva quasi quindici. Al ritorno si era invaghito di una donna che era la moglie del suo superiore. Si chiamava Jane, e ogni notte che andava a trovare il marito in caserma passeggiava in mezzo ai soldati con una femminilità esasperante. Di Jane ricordava le meravigliose tette che straripavano da una scollatura sempre troppo stretta e sottile e i capelli raccolti in una ciocca di lato. Non combinò niente con lei, perché era fedele a suo marito, o per lo meno questa era la scusa che usava per dover scaricare qualcuno. A Jane, si sapeva, piacevano gli uomini muscolosi e adulti; al tempo Tseng contava i peletti sotto il suo mento con le dita di una sola mano.
Qualche mese dopo conobbe una paesana a Kalm Town, una certa Rosalia, che aveva qualche anno più di lui. Si ubriacarono e scoparono fino all'alba nel fienile di uno sconosciuto. Partì per un altro paese e non la vide più.
A sedici anni aveva già fatto tutto ciò che potrebbe aver fatto un uomo di quarant'anni: aveva ucciso, aveva visto morire, aveva avuto donne, le aveva abbandonate, aveva vinto una medaglia come miglior sparatore e una per il sangue freddo nelle situazioni più disperate, e nella sua solitudine, durante la guerra, quando passava il postino che recapitava le lettere dei soldati ai loro cari, scriveva poesie perché non aveva nessuno a cui scrivere.
Presto fu che per queste sue premature abilità militari il presidente della ShinRa lo contattò per chiedergli di diventare un membro dei Turk. Erano un'associazione d'elite atta a distruggere senza esitazioni qualunque intralcio per la ShinRa. Appena il presidente gli disse che era un duro lavoro da veri uomini, Tseng accettò.
Aveva sedici anni, qualche incerto pelo in più sotto il mento, una pistola nuova a canna lunga, bellissima, che brillava di un argento puro e smagliante, e un elegantissimo completo blu con cravatta. Era il suo primo giorno da Turk e lui era perfetto.
Mentre passeggiava con gli altri Turk per la città di Midgar le persone retrocedevano intimorite, e ciò lo faceva sorridere un po'. Sistemava la pistola nella fondina e sedeva in un bar assieme ai suoi colleghi. Nello squallido locale risuonavano canzoni blues di un cantante slang, note graffiate da un vecchio giradischi; le donne ballavano, gli uomini le guardavano, e anche quando non ballavano le guardavano lo stesso. L'atmosfera era sudicia, cupa ed adulta, puzzava di testosterone. A Tseng piaceva così.
Era tutto perfetto, fin quando non gli affibbiarono un compito deplorevole. Il capo si presentò nel suo piccolo ufficio con delle scartoffie in mano, gettandole sgraziatamente sul tavolo davanti a sé.
“La tua missione,” disse.
La sua prima missione.
Preso da un febbrile eccitamento, Tseng non riuscì a nascondere la propria contentezza. Afferrò i fogli, divorandoli con gli occhi uno ad uno. L'estasi finì appena adocchiò una foto, leggendo attentamente qualche rigo sopra sperando di aver malinteso.
“Devo fare da balia a una mocciosa?” domandò incredulo.
“Non darti tutte queste arie, sei un moccioso anche tu,” lo riprese il capo strizzandogli le gote, ridacchiando sotto i denti appena lo vide ritrarsi in maniera stizzita. Dopo che vide il capo uscire dalla stanza, Tseng osservò nuovamente la foto, leggendo a bassa voce un nome.
“Aeris Gainsborough.”
Era un accozzamento di due parole qualunque, come lo erano stati Bernie Crane, Melvin Harris e Cesar Robina, uccisi con un colpo di pistola sulla nuca, oppure Chang-ho Lee, l'uomo degli approvvigionamenti militari, morto dopo aver schiacciato con il piede una mina. Nomi che a volte risuonavano nella mente di Tseng e che nulla gli lasciavano se non un pensiero fugace prima di sparire. Aeris Gainsborough, oltre ad essere un'accozzaglia qualunque, era pure una mocciosa. Doveva pedinarla con un collega perché secondo il rapporto c'erano alte probabilità che avesse a che fare con un pericoloso intrigo internazionale. Non se la bevve, ovviamente; l'unica azione pericolosa che poteva fare quella bambinetta era togliere la testa alla sua bambola. Ma se la ShinRa non voleva dirgli la verità, allora avrebbe dovuto conquistare a forza la loro fiducia. A denti stretti prese la giacca dall'attaccapanni, si sistemò la fondina sulla cintura ed uscì.



Aspettava appoggiato a un muro, osservando vigile la casa colorata davanti a sé. Abitazione 134, la tana della famigerata piccola criminale. Era grande, bella, non aveva niente a che vedere con le catapecchie di Midgar; era decisamente fuori luogo (“come me,” pensava Tseng, abituato durante una missione a fare ben più che questo).
“Sei un tipetto piuttosto silenzioso,” ponderò il collega vicino a lui. Tseng gli rivolse lo sguardo per un solo attimo, facendo subito tornare l'attenzione alla casa.
“Forse.”
“Io alla tua età ero un casinista della madonna. La gente mi chiamava Altoparlante Dimmick!”
A Dimmick piaceva scherzare e ridere. Altoparlante era il soprannome di Alabama Dimmick; tutti lo chiamavano semplicemente Al. Era un uomo che aveva ormai raggiunto la seconda età, e come persona in bilico tra gli anni racchiudeva in sé la spensieratezza di un giovane e la saggezza di un adulto. Alabama Dimmick era come un padre giocoso, era il più anziano dei Turk.
“A proposito,” disse di nuovo questi, “quanti anni hai esattamente?”
Domanda che a Tseng non piaceva mai.
“Sedici.”
L'uomo sospirò vistosamente, facendo cenno di diniego con la testa.
“Ultimamente la ShinRa sta reclutando un sacco di ragazzini... ce n'è stato uno, poco tempo fa, che è entrato nelle grazie del presidente ed era appena un bambino...”
“Io sono stato scelto per le mie abilità,” precisò austeramente Tseng.
“Lo so, lo so...” ribadì sorridente l'altro Turk, addentando il suo panino. Quando ebbe finito di mangiare, gettò con noncuranza la carta per terra.
“E' solo che è strano vedere un tipo della tua età così serio. Di solito a sedici anni siamo tutti spensierati e un po' più scemi, pieni di sogni... il mio sogno era diventare un eroe o un regista,” confessò Al, ridendosela perché il destino, come una barzelletta, gli aveva affibbiato tutt'altro lavoro. Ma a lui non dispiaceva ciò che era diventato, vedeva ancora uno scopo personale nel suo lavoro. Certe volte, però, rimpiangeva quella sua caparbia stupidità adolescente che guardava con occhi radiosi il mondo e la vita.
“Tu, invece, sei diverso dai tuoi coetanei...” valutò con sincerità Al. Un gesto secco della mano di Tseng lo fece zittire. Sotto l'uscio del portone della casa colorata si presentò una persona. Era una giovane donna che vestiva di stracci casalinghi, aveva i capelli raccolti in uno chignon, il fisico minuto nascosto da abbondanti panni e uno sguardo ricco soltanto di sgomento.
“Hanno mandato un altro Turk...” affermò a denti stretti la donna.
“Io e la signora ci conosciamo da molto,” informò scherzosamente Al a Tseng.
“Vi prego di andarvene immediatamente,” disse la donna con la voce che le tremava. Tseng la osservava dall'alto in basso con austerità e una punta di supponenza. La rendeva nervosa, quello sconosciuto. Ad Elmyra non piacevano i suoi occhi scuri e sottili, troppo indagatori e troppo inesplicabili.
“Mamma,” s'intromise fievolmente una vocina dietro la donna. Una bambina si era aggrappata alla sua gonna e si era sporta di lato. Scrutava curiosa Tseng. Come altezza arrivava a malapena al bacino di sua madre, le mani erano minute e deboli sotto la stretta del tessuto. Aveva all'incirca sei anni.
“Torna a casa, Aeris,” le raccomandò la donna con preoccupazione. Ma la bambina non si mosse. Come calamitato da una sfida personale, Tseng avanzò di qualche passo verso di lei.
“Fermo!” urlò la donna, cacciando da dietro la schiena una pistola che puntò al Turk. Tseng si fermò.
“Perché continuate a perseguitarci? Siamo gente comune, io una normale casalinga e lei una bambina come altre!”
“Avanti, Elmyra, butta giù la pistola...” consigliò paternamente Al, facendo gesto di calmarsi.
“Non abbiamo fatto niente di male!” continuò a strillare Elmyra con la bambina ancora nascosta dietro la propria sottana.
Tseng spostò lo sguardo da Aeris ad Elmyra con un sangue freddo che non aveva niente di umano, e come un calcolo studiato e perfetto sfoderò anch'egli la sua automatica dalla fondina. La mira della donna tremolava ed era incerta, mentre la sua era stabile e perfetta.
“Getta l'arma,” disse soltanto il Turk. Elmyra aveva il cuore in gola, il fiato incastrato nei polmoni e la vista leggermente annebbiata. I pensieri le si offuscarono e sarebbe stato solo l'istinto a decidere se obbedire oppure commettere una pazzia. Man mano Tseng le si appropinquava e man mano la mente della donna diveniva sempre meno lucida. Elmyra ed Al avevano il fiato sospeso, l'una ancora ferma nella posizione precedente e l'altro che aveva impugnato la sua pistola, pronto ad usarla per qualche sfortunata evenienza, pregando che essa non fosse mai arrivata.
La donna, poi, sparò. Fu un colpo rapido ed inaspettato, che però beccò appena di striscio la guancia di Tseng. Questi le si avventò contro, facendo leva sul suo braccio, bloccandole ogni possibile movimento per farle cadere la pistola. Elmyra si ritrovò accasciata al suolo, prostrata come un nemico sconfitto, mantenuta dalla morsa del Turk.
“Una casalinga normale non porta una pistola,” esplicitò quest'ultimo con voce leggermente alterata, colpendola con il manico della pistola sulla spalla. La donna urlò di dolore senza poter reagire in alcun altro modo.
Sì sentì un ulteriore colpo di pistola e un attimo dopo la spalla di Tseng cominciò a sanguinare. Il Turk, scosso, liberò Elmyra e si portò la mano sulla ferita. La pallottola l'aveva preso al centro della spalla e l'aveva perforato di qualche centimetro.
“Tseng!” urlò angosciato Al, riponendo l'arma ed accorrendo da lui. Il ferito alzò lo sguardo e vide davanti a sé la bambina, immobile, in piedi, con le braccia tese in avanti e le piccole mani che reggevano la pistola ancora fumante. L'espressione di Aeris fu indicibile. L'orrore e il panico si erano impadroniti di lei al punto di immobilizzarla completamente.
Elmyra le si gettò addosso, buttandole via la pistola e abbracciandola in ginocchio per rassicurarla e farsi rassicurare. La madre nascondeva il volto sulla piccola spalla della figlia dallo sguardo di Tseng, mentre la bambina era rimasta ferma dov'era a fissare il ragazzo.
Preso da un insolito raptus omicida, il Turk agguantò nuovamente l'automatica per mirarla sulla bambina. Il viso diventava sempre più paonazzo, la presa più indecisa, il grilletto ogni secondo più duro.
“Aeris... Gainsborough...”
Un'accozzaglia di parole diabolica. Non aveva pronunciato nessun nome in vita sua con quella collera. Il fiato scivolò dalla sua gola e le forze gli vennero a meno.
Poi fu buio.














Questo è ciò che accade quando gioco a GTA. XD Commenti o consigli graditi come sempre. :)


  
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