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Autore: whitemushroom    25/07/2014    8 recensioni
Una serie di storie brevi dedicate ai protagonisti della serie Dissidia Final Fantasy spaziando in tutti i generi ed rating, un ciclo di avventure attraverso la lotta senza fine tra l'Armonia e la Discordia, il Bene ed il Male, l'Amicizia e l'Odio. Tutto secondo la volontà di un dado e la voglia di scrivere qualcosa insieme ad un amico.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! Questa serie è l'inizio di un piccolo progetto di fanfiction brevi che prende spunto dalla serie "Baldur's Gate - Battle and Peace", basato sulla narrazione di storie brevi dedicate ai personaggi di un gioco. In questo caso io e Valozzo abbiamo pensato (o, forse è meglio dire, io ho trascinato valozzo) di dedicare qualche storia breve ai personaggi della serie Dissidia Final Fantasy. La particolarità è che ovviamente abbiamo scelto i personaggi a caso, e non avete idea della lista di personaggi - immondizia che mi ritrovo adesso sulla scrivania ... maledetto d20 ... Di conseguenza questa raccolta conterrà solo storie dedicate a metà dei personaggi, gli altri verranno narrati dal mio amico che presto si farà un account su efp -altrimenti rischia la vita-
Non ci sono molte regole:

- il rating ed il genere possono variare a piacere dell'autore
- la lunghezza sarà di circa 1000 parole (limite che ho ovviamente già sforato nella prima storia, ma prometto di contenermi)
- specificare il ciclo in cui avviene la vicenda (la storia di Dissidia si basa su 13 cicli, anche se si conoscono bene solo gli ultimi 2)
- si possono inserire anche personaggi di altri FF non mostrati in Dissidia purché ciò non faccia a cazzotti con la cronologia (quindi purché non compaiano negli ultimi 2 cicli). Questa regola è stata palesemente introdotta da white per inserire i personaggi che piacciono a lei e che per varie ingiustizie fanservice non sono comparsi



 

Terra_Branford_N terrarenderridimensionato



Personaggio: Terra Branford
Genere: Introspettivo, Malinconico.
Rating: giallo
Avvertenze: mia personale rivisitazione di una scena abbozzata in Duodecim che avrebbe potuto avere diverse potenzialità. Il limite delle parole è già andato a farsi benedire.


Still a doll

XII ciclo

Io sono fuoco.
Crollano, il loro sangue è sui miei artigli. I cloni si afflosciano uno dopo l’altro, stupidi manichini senza vita in un mondo di predatori, la loro vita mi dà forza e io ne voglio altra, ancora, nonostante il loro potere sia effimero lo sento divampare per tutto il corpo riempiendolo di energia. L’ultimo mi punta la spada addosso; è patetico come tutti gli altri, muore senza emettere nemmeno un gemito quando la magia gli trapassa il petto e cade ai miei piedi. Ma loro sono soltanto bambole.
Patetiche. Vuote.
Niente più che un riscaldamento, così dice sempre padron Kefka.
La mia preda è un’altra. È già morta, ma ancora non lo sa. Io avrò il suo potere, e padron Kefka la sua testa. Il padrone è adirato, lo sento ancora, la corona che mi ha regalato mi porta la sua voce furiosa per l’umiliazione che ha subito e io lo renderò felice, e lui mi darà ancora magia, potere, magia e sangue fino alla fine del tempo.
Io sono morte.
Cammina e mi dà le spalle, lo sguardo fisso sulla luna. È troppo ingenuo per accorgersi di me, è stupido proprio come dice sempre padron Kefka, quando scivolo tra le rocce potrei scagliare dei ciottoli nella sua direzione e lui non se ne accorgerebbe nemmeno. Annuso, ha un potere meraviglioso, da solo sorpasserebbe le centinaia di burattini che ho ucciso prima di giungere da lui.
E lo voglio. Lo voglio come non ho mai voluto altro, la magia nel mio corpo è diventata un’unica fiamma.
Posso tuffarmi nel potere, mi immergo e non ne risalgo perché è mio. L’ondata corre lungo il mio corpo e alimenta la magia fino all’ultima fibra dei capelli, io la consumo, lei mi consuma, e siamo un’onda, una corrente che mira a quel collo bianchissimo che tra pochi istanti si tingerà di rosso. La preda si gira, ma ormai è mia. Mia. Mia. Tutto di lui è mio. Il suo palmo si carica di un incantesimo, ma anche quello è parte di me, del potere che il padrone mi ha donato, è mio e la voce del mio signore è felice attraverso l’oro della sua meravigliosa corona.
Ma in un istante le sue parole si spengono, e la mano della preda preme contro la mia fronte.
“Scacco matto”.

È faticoso respirare. Prova ad agguantare l’aria, ma qualcosa stringe intorno al suo collo. Schiude le labbra, ma non entra altro che un fiotto di sangue, e quando cerca di dimenarsi i suoi piedi non trovano altro che aria. Dopo un paio di calci le sue gambe si stancano; la magia tace.
“Ho sempre dubitato dell’intelligenza di Kefka, ma non credevo fosse così stupido …”
La voce che le parla sembra il suono di un flauto. È lenta, misurata. Potrebbe anche definirla gentile se non appartenesse alla stessa persona che in questo momento la sta tenendo sollevata per il collo con una sola mano. Per un attimo è sicura di vedere un guizzo color del sangue nei suoi occhi, ma in un battito di palpebre non c’è più nulla di scarlatto in quelle iridi azzurre. “Come se un uccellino come te potesse tenermi testa. Con quella Trance imperfetta, poi …”
Riesce a sentire le parole, ma qualcosa non va. Potrebbe parlare, gridare, pregare, ma tutto sembra suonato sotto un’enorme campana di bronzo, ogni sillaba suona così lontana che non riesce ad acchiapparla. Ha bisogno della corona.
Lui la appoggia a terra, e prima ancora di respirare lei porta le mani alla fronte. Non c’è più quella voce rassicurante, e quando apre davvero gli occhi la prima cosa che trova sono delle schegge dorate ai suoi piedi. Non c’è più nulla a trattenerle i capelli. Soltanto la sensazione di essere composta da nebbia, una nebbia così impalpabile che lo sguardo dell’altro potrebbe farla svanire alla luce della luna. Lui avvicina il piede ai frammenti del diadema, poi li calpesta fino a farli svanire nella sabbia. “Kefka ti ha costruita bene. I tuoi poteri sono interessanti. Mi vengono in mentre tre o quattro persone che sarebbero felicissime di usarti come una bambola”.
Non ha una risposta per questa frase.
Solo una domanda.
“Tu no …?”
Qualcosa lo deve divertire, perché si abbandona ad un sorriso. Un sorriso molto amaro, ma pur sempre un sorriso. Ha visto moltissime volte il suo viso dall’altra parte della capsula di nutrizione, insieme a quello degli altri padroni, ma lui non rideva mai. “Averti come strumento di morte al mio servizio potrebbe essere allettante, ma …” con leggerezza si allontana, fluttuando fino ad una roccia. Vi si siede, fissandola come un uccello rapace “… non ho mai giocato con le bambole, e non credo che inizierò oggi”.
Bambola …io … Quello che le riempie il petto non è più magia. Né forza. Né potere. È qualcosa che le fa battere il cuore all’impazzata e le martella le tempie, qualcosa che emerge nel suo corpo gridando e graffiando, come un essere nascosto per troppo tempo. Cade in ginocchio, perché quell’ondata che le preme dentro vuole uscire, e quando esce non è una sfera infuocata, una tempesta di ghiaccio o una cascata di stelle. Soltanto un urlo, lungo come non ne ha mai lanciati fino a quel momento. E si rende conto che quella è la sua vera voce.
Lui la guarda, e solo quando il deserto inghiotte il suo urlo si sporge verso di lei. “Prima che tu faccia qualcosa di incredibilmente stupido ho una storia da raccontarti”.
Non le interessa la storia. Eppure la voce di colui che doveva essere la sua vittima ha qualcosa di ipnotico, come se lentamente gli ordini del suo antico padrone scivolassero via.
“C’era una volta una creatura bellissima e aggraziata, proprio come te. Colui che le aveva dato la vita era un pazzo con un piano di distruzione tutto suo, intento a costruire bambole che lo adorassero e lo aiutassero nel suo grande disegno. Ma la creatura in questione era diversa, perché il suo potere magico era incredibile, e quando si trasformava perdeva ogni forma di controllo e diventava l’angelo della distruzione che il suo padrone tanto anelava. Ma era diversa anche perché era l’unica bambola ad avere dei sogni: adorava la luna, i colori, la vita, e non riusciva a smettere di incuriosirsi per quel mondo pieno di luce che era stata programmata per distruggere, e con il passare del tempo iniziò a voler essere qualcosa di più di un misero burattino”.
Fa freddo.
L’uomo sopra di lei parla di sogni, ma lei non ne ha. Per un attimo pensa perfino di correre a chiedere aiuto dal suo padrone, ma il pensiero si tinge di una sensazione così pungente che le inchioda i piedi a terra. Sa solo che ogni suo pensiero sembra indicibilmente sbagliato. E che tornare indietro sarebbe un terribile errore.
È all’apice di quella marea di pensieri quando si accorge che l’altro è piombato nel silenzio. Sta osservando la luna, come se si fosse dimenticato del racconto che sembrava aver tanta fretta di raccontare. Lei respira, qualcosa nei recessi della sua mente le dice che è vietato infastidire i suoi padroni, ma in quel momento, sotto quei raggi bianchissimi, le sembra di poter osare qualcosa di nuovo. Muove un piede davanti all’altro. “E … come finisce la storia?”
È pronta ad una palla di fuoco, ma il suo interlocutore la guarda distratto, più interessato a giocherellare con la punta dei suoi capelli. “Oh, questo non me lo ricordo!”
Cosa?
“Sono convinto che abbia incontrato qualcuno di molto importante, uno spirito libero sempre a caccia di avventure e tesori che diede alla sua vita qualcosa di nuovo … dovrebbe essere la parte più importante, ma purtroppo al momento non saprei narrarti il finale”.
Forse è lì la chiave di tutto, se ne accorge solo in quel momento. La paura ed il dolore ci sono ancora, ma c’è anche dell’altro. Tra un battito e l’altro del cuore c’è un filo argentato che scorre insieme a quelle parole pronunciate dalla voce melodica e sa che ci deve per forza essere qualcosa dall’altro capo di quel filo. “Ho capito” mormora. “Continuerò la storia, e magari quando ci rivedremo potrò raccontartelo io il finale”.
Lui ride. Stavolta davvero. “Ma che buffa situazione … sei proprio sicura che stessi parlando di te?”
Si alza in piedi, la guarda di nuovo e scuote la testa. L’attimo successivo è svanito, teletrasportato chissà dove, e l’ultima cosa che rimane è il luccichio della lunga piuma che porta tra i capelli.
Adesso è da sola, con una corona distrutta ai piedi ed una storia iniziata che non sa bene come continuare.
Guarda il cielo, e la luna è rossa.





 
  
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