L’aggressione.
Il colonnello Jack O’Neill
stava finalmente tornando a casa dopo una settimana di assenza, l’ultima
missione li ha tenuti impegnati più del previsto.
Mentre percorre il viale che
porta a casa sua guida lentamente, sia per la stanchezza che sente, sia perché
si gode la bella giornata, oggi è sabato e ci sono molti bambini che giovano
nei giardini delle loro case.
Un bambino in particolare
attira la sua attenzione, lo aveva notato già altre volte, durante le sue
corse, quando è a casa dal lavoro va a correre tutti i giorni, in ogni caso
quel bambino gli ricordava molto suo figlio Charlie, è vivace e allegro com’era
lui.
Jack parcheggia accanto al
marciapiede e si ferma a osservare il bambino che corre, quando Charlie era
vivo, lui non perdeva tempo al lavoro, tornava a casa il più presto possibile
per stare con lui e con sua moglie Sarah, erano una famiglia molto felice, a
Charlie piaceva giovare a Baseball, con lui Jack passava ore a giocare in
giardino.
E’ incredibile quanto quel
bambino assomiglia a Charlie, stesso sorriso, stessa vitalità, infatti, ora sta
correndo e gioca con… OH MIO DIO… HA UNA PISTOLA.
Senza pensare Jack scende
dal suo veicolo e corre verso il bambino, “Getta quella pistola, è pericoloso!”
David Spencer sta giocando
in giardino quando improvvisamente vede un uomo che gli corre incontro
gridando. Si blocca spaventato e quando l’uomo lo raggiunge, lo afferra e lo
scuote.
“Ti ho detto tante volte che
le armi non sono un gioco.”
Jack non si rende conto ma
sta stringendo le braccia del bambino e gli da degli scossoni.
“Lasciami stare… Mi fai
male.” David cerca di liberarsi e comincia a piangere, gli sta facendo male.
Linda Spencer, la mamma di
David, corre fuori di casa attirata dalle grida di suo figlio, e vede che un
uomo lo sta maltrattando, corre e cerca di liberare suo figlio dalla presa
dell’uomo, “Lascialo stare!”
“Mamma… Mi fa male…” David
sta piangendo.
Jack non si accorge
dell’arrivo della donna e continua a strattonare il bambino, “Getta la pistola,
è pericoloso.”
In quel momento arriva un
vicino di casa che ha assistito alla scena, e dopo aver chiamato la polizia,
corre a vedere cosa succede.
Linda cerca di liberare suo
figlio, tira calci all’uomo che lo sta aggredendo.
David lascia andare la
pistola giocattolo che ha in mano e piange, il vicino di casa afferra Jack e lo
strattona, in quel momento arriva una pattuglia di polizia, i due poliziotti
intervengono immediatamente, afferrano Jack e facendogli lasciare la presa su
David, lo gettano a terra.
David cade a terra e guarda
i due poliziotti che atterrano l’uomo che l’ha aggredito e lo ammanettano.
La mamma si avvicina a David
e lo abbraccia, “Stai bene tesoro?”
Il bambino sta ancora
tremando dalla paura che ha avuto, “Ora sì, ma mi ha fatto male.”
Linda si gira verso l’uomo
che è ancora a terra continuando a stringere David, grida, “Ma cosa voleva
fare? E’ pazzo? Perché voleva fare del male al mio bambino?” Ora anche lei
trema.
Jack in quel momento si
riprende dallo shock e si accorge di essere coricato a terra in posizione
prona, sente di avere le mani allacciate insieme dietro la schiena, c’è
sicuramente qualcuno che lo trattiene. Alza lo sguardo e vede il bambino
abbracciato a una donna che trema e piange, “Oh mio dio, che cosa ho fatto?”
Il poliziotto che sta
puntando il ginocchio sulla spalla di jack si rende conto che si è calmato, e
che ha bisbigliato qualcosa che però era incomprensibile. Si rilassa un po’ e
si rivolge al suo collega, “Robert, tiriamolo su.” In quel modo tirano su Jack.
Jack è confuso, ricorda solo
Charlie che aveva una pistola in mano… Ma no… Non può essere Charlie… E’
impossibile, lui è morto.
Improvvisamente sente le
gambe che cedono, i due poliziotti presi alla sprovvista non riescono a
reggerlo, così crolla in ginocchio.
“Mi spiace…” Il suo è quasi
un sussurro.
La mamma di David è ancora
spaventata, mentre il bambino ha smesso di piangere e si sta calmando.
“LE SPIACE! LEI E’ PAZZO!”
Linda sta gridando e si avvicina minacciosa a Jack che in quel momento è tirato
su dai due poliziotti.
Uno dei due agenti si para
davanti a Jack, “Signora la prego, si calmi.”
Linda si ferma e guarda
l’agente, “Mi scusi, è che ho una tale rabbia che non ragiono.”
“Capisco signora, ora
possiamo entrare in casa e parlare con tranquillità.” Il sergente Parker invita
il suo collega a portare l’uomo appena arrestato alla loro macchina.
Poi invita gentilmente la
signora Spencer e suo figlio a entrare in casa.
Dopo qualche minuto il
signor Spencer torna dal lavoro e vede una macchina della polizia parcheggiata
davanti a casa sua, dove un poliziotto spinge in auto un uomo ammanettato.
Spaventato, corre in casa,
trova sua moglie seduta sul divano che abbraccia David. E seduto opposto a loro
c’è un poliziotto.
Appena la signora Spencer
vede suo marito scoppia a piangere, ora che c’è anche lui non sente più il peso
della responsabilità di David solo sulle sue spalle.
“Linda, che cosa è
successo?” Ora che ha visto che suo figlio e sua moglie stanno bene è un po’
meno spaventato.
Tra le lacrime la donna
riesce a dire, “David è stato aggredito da un uomo in giardino.”
“Cosa?” Robert Spencer
inizia ad agitarsi, “David, stai bene?”
“Si papà.” Ora David è più
preoccupato della reazione dei suoi genitori di quello che è accaduto nel
giardino poco prima.
Il sergente Parker s’intromette,
“Signori Spencer, se ci sediamo, probabilmente, capiremo cosa è successo.”
Una volta che sono tutti
seduti l’agente inizia, “David, mi puoi raccontare come sono andate lem cose.”
David si siede ritto con la
schiena, era la prima volta che un poliziotto gli chiedeva qualcosa, “Stavo
giocando nel giardino aspettando che papà tornasse dal lavoro, il mio papà
lavora in banca, presta i soldi a chi ne ha bisogno.”
L’agente sorride, il bambino
in questo momento è quello che reagisce meglio alla situazione.
“Vai avanti.”
“Stavo giovando con la
pistola che mi regalato mio nonno per il mio compleanno, ho sette anni, a un
certo punto ho visto che quell’uomo mi correva incontro gridando, ero
spaventato e non sono riuscito a muovermi, quando mi ha afferrato e mi ha
strattonato, continuava a gridare, ero terrorizzato, e poi mi faceva male, così
ho gridato ed è corsa fuori mia madre.” Il bambino si guarda le braccia che
hanno ora dei segni evidenti dove è stato afferrato.
“Oh mio dio.” Robert Spencer
li nota solo ora, le braccia di suo figlio si stanno ricoprendo di lividi.
“Signori Spencer… David…”
L’agente guarda il bambino e sorride, poi si rivolge nuovamente ai due adulti,
“Dobbiamo stilare la denuncia, ve la sentite?”
Il signor Spencer risponde,
“Sì.” Mentre la moglie afferma con il capo.
“Conoscete quell’uomo?”
Il signor Spencer l’ha
appena intravisto mentre l’altro agente lo faceva salire sull’auto, “Non l’ho
visto bene.”
La signora Spencer dice, “Mi
sembra un viso che ho già visto, ma non riesco a ricordare dove.”
David dice, “Io so chi è.”
I tre adulti lo guardano, il
sergente lo invita a proseguire, “Non so come si chiama, ma abita in fondo alla
strada, a volte corre nel viale, ha un bellissimo fuoristrada, è un soldato, io
vado spesso con i miei amici fin davanti a casa sua, anch’io da grande voglio
fare il soldato, sono degli eroi.”
David è felice di aver
saputo rispondere alla domanda.
La signora Spencer ora si
rende conto di come mai gli sembrava un viso famigliare, quell’uomo vive in
quella bella casa di legno in fondo al viale, lo vede spesso correre per la
strada, ricorda di aver ammirato il suo fisico, prendendo in giro suo marito di
essere pigro e di avere un po’ di pancia.
Sembrava un uomo gentile,
ora ricorda di averlo visto alcune volte con indosso abbigliamento militare.
Il sergente Parker si alza,
“Va bene, indagheremo una volta che saremo in centrale, voi dovete venire a
firmare la denuncia, David, sei stato molto in gamba.”
David è contento di avere un
nuovo amico, per di più un poliziotto.
Il signor Spencer accompagna
il poliziotto alla porta e si sofferma un attimo a guardare l’uomo dentro la
macchina della polizia, ora ricorda di averlo visto altre volte, si chiede come
mai abbia aggredito David.
Jack non alza nemmeno lo
sguardo quando i due agenti salgono in macchina e lo portano via, è sconvolto
per quello che ha fatto, ma in quei pochi minuti ha rivissuto la tragedia della
morte di suo figlio.
La mattina dopo il maggiore
Sam Carter affretta il passo per arrivare in sala riunioni in orario, quando
entra, si stupisce di vedere solo Teal’k, “Dov’è O’Neill?”
“Non lo so, ma se arriva il
generale Hammond prima di lui sarà nei guai.”
In quel momento si sente
rumore di passi affrettati fuori nel corridoio, dopo un minuto entra Daniel
Jackson, come il solito in ritardo, “Scusate il ritar… Dov’è Jack?” Anche lui è
stupito di non vedere il suo amico al tavolo.
Sam non si è ancora seduta,
“Io non lo vedo da ieri quando abbiamo lasciato la base.” E’ preoccupata, non è
abitudine di O’Neill mancare a un briefing del mattino, ci deve sicuramente
essere una ragione.
Dopo pochi minuti entra il
generale Hammond, ha il viso che esprime preoccupazione, “Abbiamo un problema.”
Si siede e aspetta che tutti
siano comodi prima di continuare, “Ieri nel pomeriggio, quando è andato via da
qui, il colonnello O’Neill è stato arrestato dalla polizia locale, con l’accusa
gi aggressione ai danni di un minore.”
Sam è la prima a reagire
allo shock, “Cosa? Ma dove? Quando?”
Non riesce a dire altro,
O’Neill che aggredisce un minore? Impossibile, Jack adora i bambini, e non
farebbe mai nulla per danneggiarli, figuriamoci un’aggressione.
Daniel prende l’iniziativa poiché
sono tutti silenziosi, “Che cosa è successo?”
Il generale Hammond si agita
sulla sedia, “Non so altro, ed è per questo che voglio che lei Jackson e lei
maggiore Carter andiate alla centrale di polizia e scopriate tutti i dettagli.”
San si alza, finalmente
qualcosa da fare.
Lei e Daniel lasciano la
sala riunioni, il generale Hammond prima di alzarsi da istruzioni a Teal’k, “Tu
ti unirai al SG12 nella missione su P3X549, una persona in più farà comodo.”
Poi si chiude nel suo
ufficio, speriamo che Carter faccia
sapere qualcosa al più presto.
Appena Sam e Daniel arrivano
alla centrale di polizia, si dirigono dall’agente all’ingresso.
“Mi scusi, hanno portato qui
un uomo ieri pomeriggio, si chiama Jack O’Neill, dove possiamo trovarlo?”
L’agente indica un uomo
seduto a una scrivania, “Dovete parlare con il sergente Parker, è lui che si
occupa del caso.”
“Grazie.” Sam e Daniel si
dirigono verso l’agente a loro indicato.
“Ci scusi…” Il sergente
Parker alza lo sguardo e vede un uomo e una donna, la donna è molto carina,
anche se ha i capelli troppo corti per i suoi gusti, mentre l’uomo sembra abbia
dormito nei suoi vestiti, ma è comunque un tipo dall’aria intellettuale.
San è la prima a parlare,
“Cerchiamo il colonnello O’Neill, vorremmo poter parlare con lui, siamo i suoi
colleghi.”
Ecco spiegati i capelli
corti, anche se l’uomo non sembra un militare. Sporge loro dei fogli, “Firmate
questi permessi di visita.” Quando hanno fatto, si alza, “Venite con me.”
Li accompagna oltre una
porta e si trovano in un atrio con varie stanze.
Quando il poliziotto apre la
porta di una di queste stanze e li fa accomodare, Sam e Daniel si bloccano per
un attimo.
Jack è seduto accanto ad un
tavolo, ha la testa abbassata e si guarda le mani che tiene in grembo, ma la
cosa che li sconvolge di più è vedere che ha le spalle abbassate e non ha
minimamente reagito all’apertura della porta, lui che per il suo lavoro, e per
natura, è sempre all’erta su tutto quello che gli capita intorno.
Sam si avvicina e mette una
mano sulla spalla di Jack, nessuna reazione, “Colonnello…”
Quando Jack sente la voce di
Sam alza lo sguardo, sembra appena uscito dalla trance, “Carter… Ho combinato
un casino, ho fatto una cosa orribile…”
Daniel si avvicina e si
siede opposto a Jack, “Jack ci racconti cosa è successo ieri.” Anche Sam si è
seduta e aspetta il racconto di Jack.
“Ho fatto del male a quel
bambino…” Come si chiama? Le sfugge il nome, ogni volta che ci pensa gli viene
in mente Charlie.
“Colonnello…” Jack sente che
Carter lo chiama e alza lo sguardo, lei ha un sussulto, gli occhi del suo CO
esprimono una profonda tristezza.
Daniel prende l’iniziativa,
“Jack cosa è successo? Che cosa hai fatto a quel bambino?”
Jack ci pensa un po’, poi
riabbassa lo sguardo e la sua voce è quasi un sussurro, “Mi è sembrato di
vedere Charlie, giocava con una pistola, ero spaventato…” Non aggiunge altro.
Daniel e Sam vanno via, si
girano ancora a guardarlo sulla porta, ha la testa abbassata.
Il sergente Parker che si
trova nell’altra stanza dietro allo specchio è confuso, il fascicolo che gli è
stato dato sul colonnello O’Neill ha molte parti classificate Top Secret,
soprattutto gli ultimi anni, si sa solo che dodici anni fa è stato nel Golfo
Persico con le forze speciali, e che negli ultimi otto anni lavora nel
complesso militare alla montagna Cheyenne, ma il suo lavoro è coperto da
segreto militare, il fascicolo riporta che si è guadagnato molte medaglie e
onorificenze ma non ci sono le motivazioni.
Tutto quello che poteva fare
lui, era stato fatto, ora toccava agli avvocati capire cosa è successo.
L’avvocato Donald Banks
entra nella sala, dove è stato portato il suo cliente, aveva cercato di sapere
il più possibile sul colonnello O’Neill leggendo il suo fascicolo, ma si era
trovato in un vicolo cieco. La maggior parte della vita del suo cliente era
coperta da segreto militare.
Appena entra, vede il suo
cliente seduto a un tavolo in attesa.
“Colonnello O’Neill, sono
Donald Banks il suo avvocato, la devo intervistare per capire come affrontare
la sua difesa.”
Si siede opposto a Jack,
“Cominciamo.”
Jack alza lo sguardo e vede
un uomo relativamente giovane, che tira fuori delle carte dalla valigetta.
L’avvocato prende appunti,
“Bene, prima di ogni cosa mi vuole dire cosa è successo.”
Jack pensa al pomeriggio
precedente, “Stavo tornando a casa dopo una missione durata una settimana.”
“Quale missione?”
“Non posso rivelarle nulla,
è top secret.”
Ecco perché non gli piace
avere a che fare con i militari, nascondono troppe cose.
“Va bene, vada avanti.”
“Mi sono fermato a guardare
quel bambino che giocava.”
“Perché?”
“Aveva attirato la mia
attenzione.”
L’avvocato s’irrigidisce e
resta in silenzio a fissare il suo cliente, non sarà mica un pedofilo? Per lui
sono le persone più orribili che esistano e non crede di poter difendere un
uomo del genere.
“Perché ha attirato la sua
attenzione?” Spera che la risposta non sia quella che teme.
“Mi ha ricordato molto mio
figlio.” Jack ha la voce bassa, sta camminando su di un terreno minato.
“Lei è sposato colonnello?”
Banks tira un sospiro di sollievo.
“Sono separato da otto
anni.”
Ora l’avvocato è più sereno,
il discorso pedofilo è accantonato.
L’avvocato Banks continua,
“Allora, qui c’è la deposizione del bambino, David afferma che gli è corso
incontro gridando.”
ECCO! Si chiama David, era così somigliante a Charlie, Jack è perso nei suoi pensieri, non si rende conto
di cosa gli stia dicendo l’avvocato.
“Colonnello O’Neill, mi vuole
rispondere?”
Jack riporta la mente alla
realtà, “Non ho capito la domanda.”
L’avvocato si rende conto
che deve attirare l’attenzione del suo cliente, “Colonnello, è importante che
lei faccia attenzione su cosa parliamo, devo sapere cosa è successo per
imbastire una difesa adeguata.”
Jack alza lo sguardo, “Mi
scusi, ha ragione.”
“Bene, leggendo la
deposizione, David dice che lei quando l’ha afferrato ha detto… Aspetti che
leggo: getta via quella pistola, è pericoloso, ti ho detto tante volte che non
si gioca con le armi… E’ giusto?” l’avvocato guarda Jack che ora sembra più
presente.
Jack pensa, “Non saprei, non
ricordo cosa ho detto, ero preoccupato che si facesse male.”
L’avvocato incalza, “Aveva
già parlato con quel bambino?”
“No, ma in quel momento pensavo
di avere davanti Charlie, mio figlio.” Jack abbassa lo sguardo.
“Suo figlio vive con la sua
ex moglie? Lo vede spesso?” Se si è imbattuto in una delle solite diatribe tra
separati per la custodia del figlio, la difesa sarà debole.
“No mio figlio… Charlie…”
Jack sospira, è sempre difficile parlare di Charlie, “Lui è morto.”
L’avvocato alza lo sguardo
dai suoi appunti, ma non riesce a sostenere lo sguardo, gli occhi del suo
cliente esprimono troppo dolore, “Mi spiace.”
Deve essere terribile perdere un figlio, anche lui è
padre, e il suo terrore più grande e che succeda qualcosa a sua figlia.
Jack ormai si è abituato
alla reazione della gente alla notizia della morte di Charlie, agli sguardi di
compassione e alle persone che evitano di guardarlo, questa volta non è
diverso.
Banks prova a fare un passo
avanti, “Quando è morto suo figlio?”
Ora capisce la tristezza
negli occhi del suo cliente.
Jack sospira, “nove anni fa,
il 16 giugno…”
L’anniversario è tra pochi
giorni. “Quanti anni aveva?”
“Otto.” Jack ha paura che il
discorso vada avanti, si sente completamente svuotato.
L’avvocato lo guarda,
“Colonnello… Com’è morto suo figlio?”
Jack abbassa lo sguardo, la
voce che esce è debole, “Lui… Charlie si è accidentalmente sparato con la mia
pistola…”
Dopo molti minuti di
silenzio, dove Banks non ha il coraggio di aggiungere altro, dopo un po’
raccoglie le sue carte e si alza, “Colonnello, se vuole per oggi smettiamo.”
Jack accenna solo col capo,
non ha la forza di parlare.
Banks si avvicina alla
porta, “Siccome lei è un militare domani sarà trasferito alla prigione federale
di Wollas, devo avvisare qualcuno?”
“Il mio comandante, il
generale Hammond.”
“Va bene, se ha bisogno di me,
mi può far chiamare dal sergente Parker.”
L’avvocato va via senza
aspettare una risposta, che, infatti, non arriva, lascia solo il suo cliente
con il suo dolore.
Il sergente Parker vede
l’avvocato che esce dalla sala interrogatori, “Sergente, lascio il mio cliente,
è troppo scosso per continuare, se richiede la mia presenza, potete chiamarmi.”
Parker prende il biglietto
da visita che l’avvocato gli porge, “Certo, ci penso io.”
Parker entra nella sala per
riportare in cella O’Neill e deve insistere per attirare la sua attenzione.
Il giorno dopo il sergente
Parker accompagna il prigioniero alla prigione federale, dove è sistemato in
una cella singola, “Questo è il numero del suo avvocato se ha bisogno di
chiamarlo, il suo comandante è stato avvisato del trasferimento e se ha bisogno
di qualcosa chiami il direttore, è una persona a posto.”
Jack guarda i fogli che
Parker ha lasciato sul tavolo, “Grazie.” Non aggiunge altro, si corica sul
letto e fissa il soffitto.
Parker sospira e si
allontana, dopo che l’avvocato gli ha spiegato la situazione prova compassione
per quell’uomo.
Passa davanti a due guardie
carcerarie, “Trattatelo bene, non è un criminale.”
“Si signore.” Le due guardie
rispondono insieme, conoscono Parker e lo rispettano.
La mattina dopo Jack è
accompagnato assieme agli altri detenuti nel cortile della prigione.
In quel momento la cosa che
le manca di più è poter correre per scaricare la tensione.
Dopo un po’ che si aggira
vede in un angolo del cortile degli attrezzi ginnici, beh… sempre meglio che
niente, un po’ di esercizio fisico gli farà bene.
Si corica su di una panca e
inizia a fare un po’ di pesi, dopo circa dieci minuti si avvicinano tre persone
di colore, uno notevolmente sovrappeso e gli altri due hanno l’aria di essere
due scagnozzi, le guardie cominciano a fare attenzione alla scena, in allarme,
conoscendo i Black Boys (come si fanno chiamare la banda di quelli di colore),
e sapendo che prendono sempre di mira i nuovi arrivati.
Jack continua con i suoi
esercizi fisici senza badare agli uomini che si sono avvicinati.
Il più corpulento si
avvicina, “Hey amico, quell’attrezzo ora serve a me, è il mio turno.”
Jack continua gli esercizi,
“Dovrai aspettare un po’, non ho finito.”
Uno degli scagnozzi si
avvicina, “Se Big John dice che gli serve adesso tu devi sparire.”
Jack a questo punto non
replica nemmeno.
Entrambi gli scagnozzi lo
afferrano e lo costringono a posare i pesi, “ma lo sai con chi stai parlando?
Lui è Big John, quindi sparisci!”
Jack alza lo sguardo verso
il terzo uomo di colore, “Di sicuro il vostro amico John ha un disperato
bisogno di esercizio fisico… ma può aspettare che io abbia finito.”
Jack ha i muscoli tesi, è
pronto all’attacco, in fondo per tutta la vita si è addestrato all’autodifesa.
Uno dei due scagnozzi si
avvicina, “Ti stai forse prendendo gioco di Big John? Non sai in quale guaio ti
metti.”
Le guardie si avvicinano un
po’, pronte a intervenire, mentre gli altri detenuti sono tutti attenti alla
scena davanti a loro.
Jack non risponde, sta
fissando negli occhi quello che chiamano Big John, poi quasi sorridendo
replica, “Che cosa c’è, non hai le palle per fare il gradasso da solo o non
riesci a spostare quella tua spaventosa mole, hai bisogno di due cani da
guardia?”
I due scagnozzi guardano Big
John che è evidentemente offeso dalle parole dell’uomo, uno dei due si gira e
sferra un pugno a Jack che lo para senza fatica, e l’uomo che lo ha aggredito
si trova in pochi secondi a terra con il naso sanguinante, l’altro scagnozzo si
avventa su Jack, e prima che le guardie possano anche solo pensare di
intervenire, si trova anche lui a terra con il braccio probabilmente rotto.
Le guardie si avvicinano
anche perché ora Jack si sta pericolosamente avvicinando a Big John, che non ha
più l’espressione sicura di se, poiché quell’uomo ha messo ko i suoi due uomini
migliori senza fatica, l’unico segno su di lui è la camicia strappata.
Una guardia si para davanti
a Jack, mentre l’altro si avvicina a Big John, sorridono, finalmente qualcuno
ha dato una lezione a questi sbruffoni.
“Colonnello O’Neill, ci sono
problemi?”
Big John ora si sente sicuro
con le guardie accanto, “Nessun problema guardia, vero amico?” E’ meglio avere
quell’uomo dalla sua parte.
Jack distoglie lo sguardo da
Big John e lo rivolge alla guardia, cha avrebbe la tentazione di arretrare per
la rabbia che legge in quello sguardo, poi Jack si rilassa, “Per quanto mi
riguarda no, va tutto bene.”
Jack si allontana
accompagnato da una guardia, “Venga, le faccio avere una camicia nuova.”
Jack guarda la camicia
strappata, “Grazie, ma potrei fare una doccia prima?”
La guardia sorride,
probabilmente quest’uomo avrebbe potuto uccidere quei due uomini prima del loro
intervento, ora la banda dei Black Boys sarà un po’ meno spavalda con i nuovi
arrivi.
“Da questa parte.”
Accompagna Jack negli spogliatoi e va a prendere un asciugamano e una camicia
nuova, quando torna Jack si è già spogliato, nota molte cicatrici sul suo
corpo, “Come se le è procurate quelle?”
Jack si guarda il petto,
“Diciamo in situazioni più critiche di quella di prima.”
La guardia ride, “Su questo
non ho dubbi, ha tutto quello che le serve?”
“grazie, poi se è possibile,
tornerei in cella.”
“Certo.”
La guardia esce e aspetta
fuori della porta, Jack s’infila sotto la doccia.
Il mattino dopo Jack si
guarda allo specchio, dovrebbe fare la barba, ma non ha il necessario, si
ritrova un livido sulle nocche della mano sinistra, il pugno che ha dato a uno
di quegli idioti doveva essere forte…
Una guardia si avvicina alla
sua cella, “O’Neill, hai visite.”
Lo scorta fino al reparto
dove ci sono le stanze per incontrare i visitatori, mentre passano le altre
celle tutti lo guardano, chi con timore, chi con ammirazione per quello che è
successo il giorno prima in cortile.
Jack entra nella stanza e si
siede, la guardia esce e si piazza davanti alla porta, comincia a pensare su
chi potrebbe essere venuto a trovarlo. I suoi soli amici sono i colleghi, sono
anni che lui non ha altro che il lavoro, suo figlio è morto, sua moglie l’ha
lasciato e ora si trova nei guai per aver aggredito un bambino.
All’improvviso tutto quanto
gli crolla addosso, e non avendo più la forza di reagire si lascia andare, si
sente così a terra che quasi non si accorge che un paio di lacrime gli scendono
in viso.
Ad un certo punto sente il
rumore della porta e vede il generale Hammond sulla soglia, indeciso se entrare
o lasciarlo solo nel suo dolore.
Jack scatta in piedi,
“Generale, signore, io… Mi dispiace…”
Jack non sa come
comportarsi, non si è mai fatto vedere da nessuno in questo stato, tanto meno
dal suo comandante.
“Colonnello, se vuole vado
via.” Il generale Hammond è ancora sulla soglia.
“No signore… Mi scusi
signore…” Jack si ricompone e si siede nuovamente, ma solo dopo che si è seduto
il suo superiore.
Hammond prende l’iniziativa,
“Colonnello come sta? La trattano bene?”
“Si signore.” La voce di
jack è bassa.
Hammond lo guarda, ha le
spalle basse, trema leggermente, vorrebbe alzarsi e abbracciare l’uomo che ha
davanti, per lui è sempre stato un uomo che rispetta, anche se a volte lo fa
arrabbiare, e ora si trova in questa brutta situazione, l’avvocato lo aveva informato
del motivo dell’aggressione, doveva esserci un valido motivo, O’Neill adora i
bambini e loro sono sempre attirati da lui, le sue stesse nipotine impazziscono quando Jack va a casa sua.
Che cosa deve aver passato
quando è morto il figlio, poi il divorzio, la vita lo aveva messo a dura prova,
e ora aveva tutto il diritto di crollare.
“Colonnello…” Jack non
risponde e non alza lo sguardo, si vergogna a farsi vedere in quelle condizioni
dal suo superiore, ma in fondo è la figura più vicina ad un padre che abbia mai
avuto.
“Signore mi dispiace.” Jack
si alza e gira le spalle al suo superiore.
“Colonnello, l’avvocato mi
ha spiegato le motivazioni del suo comportamento, non è colpa sua.”
Jack abbassa la testa, si aggira
per la stanza poi si siede a terra, appoggiato contro il muro e si passa le
mani sul viso.
Hammond si alza, cosa può
fare? Poi decide… Al diavolo il protocollo militare, si siede accanto a Jack e
gli mette una mano sul ginocchio.
“Jack, figliolo…”
Jack non riesce più a
trattenersi, l’uomo che ha accanto usa il suo nome di battesimo molto
raramente, scoppia a piangere e lascia che il dolore che sente dentro si
manifesti.
Hammond mette il braccio
intorno alle spalle di Jack e lo attira a se, lascia che si sfoghi, ne ha
davvero bisogno.
Dopo qualche minuto Jack si
calma e dice, “Forse dovremmo smettere di abbracciarci, se entra qualcuno
potrebbe pensare male.”
Si mette in piedi e aiuta
Hammond ad alzarsi.
“Jack sono troppo vecchio
per queste cose, nemmeno con le mie nipotine mi metto seduto a terra per
giocare.”
Jack guarda negli occhi il
suo superiore, “Grazie signore…”
“Figliolo, mi spiace per
tutta questa faccenda, ma se non ti fai la barba e non ti metti in ordine,
appena esci da qui sarai messo in punizione.”
Jack sorride, e una volta
seduti iniziano a parlare del caso.
Dopo alcuni giorni inizia il
processo.
Jack è accompagnato dentro
l’aula da una guardia e gli viene indicato dove sedersi, ad attenderlo trova
l’avvocato Banks, il suo difensore.
Dietro la balaustra sono
seduti Hammond, Sam e Daniel, e molta altra gente che non conosce, forse i
soliti curiosi che frequentano i tribunali.
Nell’altro tavolo c’è quel
bambino, oh mio dio, è proprio uguale a
Charlie, si sente un groppo in gola e gli occhi lucidi, si siede in fretta
e distoglie lo sguardo.
L’avvocato Banks nota la
scena e pensa fra se, bene, credo che la
mia linea di difesa avrà successo.
Dopo un po’ la guardia
annuncia l’ingresso del giudice e tutti si alzano, una volta che sono tutti
seduti il cancelliere annuncia, “Caso numero 10/248, lo stato in nome del minore
David Spencer, qui rappresentato dall’avvocato Michael Toregan e dai genitori,
contro il signor Johnatan O’Neill, qui rappresentato dall’avvocato Donald
Banks, per l’accusa di aggressione.”
A questo punto il giudice
inizia il processo, “Avvocato Toregan, a lei la parola.”
Quando l’avvocato si alza ha
gli occhi di tutti puntati su di lui, tranne l’imputato che è seduto con la
testa bassa, bene, è un atteggiamento che
andrà a mio favore.
“Come primo testimone,
chiamo il piccolo David Spencer.” L’avvocato marca la parola ‘piccolo’, così
porta in evidenza il fatto che David sia una vittima indifesa.
David si alza titubante,
l’avvocato gli ha spiegato che lo avrebbe chiamato a parlare davanti a tutti,
però ha un po’ di timore.
“Vieni David, siediti qui.”
L’avvocato indica al bambino la sedia dove i testimoni rilasciano le loro
dichiarazioni.
“David… Ci puoi raccontare
cosa è successo sabato pomeriggio.”
“Stavo giocando in giardino,
aspettavo che mio papà tornasse dal lavoro, ad un certo punto un uomo mi è
corso incontro gridando.”
L’avvocato si gira verso il
bambino e incalza, “David, quell’uomo è presente in questa stanza?”
“E’ quello seduto a quel
tavolo.” David indica Jack, anche se ora non gli fa più paura.
L’avvocato Toregan dice,
“Venga messo agli atti che la vittima ha riconosciuto il suo aggressore.” Bene, le cose stanno andando per il verso
giusto, il bambino è tranquillo, “David, cosa è successo dopo che
quell’uomo…” Con il braccio indica Jack, “Ti è corso incontro?”
“Mi ha afferrato le braccia
e mi ha strattonato, mi diceva di gettare la pistola, che era pericoloso.”
L’avvocato Toregan si
avvicina al suo tavolo e prende dei fogli e una busta di plastica trasparente,
“David, mi sai dire cos’è questa?”
Fa vedere la busta al
bambino.
“E’ la mia pistola giocattolo.”
“E’ quella con cui giocavi
il giorno che sei stato aggredito?”
“Sì, è nuova, l’ho ricevuta
in regalo per il mio compleanno.”
“Bene, ora David leggo la
dichiarazione che hai rilasciato alla polizia subito dopo il fatto avvenuto.”
Toregan prende i fogli e legge, “Hai dichiarato che quell’uomo ti ha gridato di
gettare la pistola, dicendoti che non era la prima volta che te lo diceva, che
era pericoloso, tutto questo è vero?”
“Non ricordo le parole
esatte ma mi pare che sia così.”
“Avevi già parlato con lui
altre volte?”
“No.”
“Va bene io ho finito, sono
solo stupito del comportamento bizzarro dell’accusato, grazie David.”
L’avvocato Toregan va a
sedersi.
Il giudice si rivolge
all’avvocato della difesa, “Avvocato Banks, a lei il testimone.”
Banks si alza, “Ho solo una
domanda, David ricordi se il signor O’Neill ti ha chiamato per nome?”
David ci pensa, in effetti
quell’uomo lo aveva chiamato con un altro nome, ma non ricorda, “Ora che
ricordo sì, ma non ricordo che nome ha usato.”
Banks guarda il suo cliente
e poi di nuovo David, “Potrebbe essere un nome tipo Charlie?”
David ci pensa, “Forse… Ma
non ricordo.”
“Non importa, grazie David.”
Si gira verso il giudice, “Non ho altre domande.” E poi si reca al tavolo.
Il giudice guarda il
bambino, “David puoi andare a sederti accanto ai tuoi genitori.”
David quasi corre, meno male
che ha finito.
“Avvocato Toregan, vuole
continuare?”
“Si vostro onore, vorrei
chiamare al banco l’accusato.”
Toregan vede che l’avvocato
della difesa si sporge verso l’accusato e dice, “Non si preoccupi, andrà tutto
bene.”
Come fa ad essere così tranquillo e sicuro di se?
Jack si siede al banco e
guarda l’avvocato dell’accusa aspettando che inizi.
“Signor O’Neill, ci può dire
che lavoro fa?”
L’avvocato vuole mettere
subito in chiaro che l’imputato è un uomo addestrato alle armi, e vuole sperare
che la giuria lo reputi pericoloso.
“Sono un militare.” Jack lo
fissa così non gli capiterà per sbaglio di guardare il bambino.
Toregan incalza, “Esercito?”
“Aviazione.”
L’avvocato prende la busta
con la pistola giocattolo di David, si avvicina a Jack, “Signor O’Neill…”
S’interrompe e fissa Jack, “Non ci ha detto che ruolo ricopre nell’aviazione.”
Jack lo fissa, non capisce
dove vuole arrivare, guarda il suo avvocato che accenna col capo, “Colonnello.”
L’avvocato Toregan sorride,
ora lo inchioda… “Bene colonnello O’Neill, ci vuole dire perché ha aggredito il
giovane David Spencer?”
Jack lo guarda, “Stava
giocando con un’arma, avevo paura che si facesse male.”
L’avvocato alza un po’ la
voce, “Ci vuole dire che lei, un colonnello dell’aviazione militare, non ha
riconosciuto una pistola giocattolo?”
Fa vedere la pistola a Jack
che accenna col capo, “Ero spaventato.”
L’avvocato sorride, “Non ho
altre domande, dichiaro solo che non mi pare possibile che un uomo che passa la
vita tra le armi non sappia riconoscere un giocattolo…” Va a sedersi.
Il giudice guarda l’avvocato
Banks, “A lei avvocato…”
Quando l’avvocato si
avvicina a Jack gli consegna una busta, “Colonnello O’Neill, può aprire questa
busta…”
Quando Jack apre la busta si
sente un nodo in gola, è una foto di suo figlio Charlie, è una bellissima foto,
scattata qualche giorno prima della sua morte, in quella foto sta sorridendo,
indossa la divisa da baseball della scuola.
Ad un certo punto si rende conto
che il suo avvocato gli sta parlando, alza lo sguardo e vede che lo sta
guardando, “Colonnello?”
Jack guarda ancora la foto,
e poi l’avvocato, “Non ho capito…”
L’avvocato sorride, la foto
ha fatto l’effetto voluto, ne da una copia al giudice e una copia la consegna
al banco dell’accusa, “Ci vuole dire chi è il bambino ritratto nella foto che
le ho dato, assomiglia molto a David, ma non è lui, vero?”
Intanto l’avvocato
dell’accusa dopo che ha guardato la foto la sporge ai genitori di David, si
capisce che non è lui ma la somiglianza è davvero sorprendente.
Jack sta continuando a
fissare la foto, “Colonnello, chi è quel bambino nella foto?”
“E’ mio figlio.”
L’avvocato Banks sa che ora
entrerà in un campo minato, sarà dura per il suo assistito ma è la sua linea di
difesa, “Colonnello…” Aspetta che Jack alzi la testa e lo guardi, “Lei dice che
quello nella foto non è David ma suo figlio?”
Jack accenna col capo, il
giudice dice, “Deve rispondere verbalmente.”
Jack sospira, “E’ una foto
di mio figlio Charlie.”
“Anche noi vediamo la
somiglianza tra David e suo figlio Charlie, possiamo dire che si è confuso
quando ha visto giocare il bambino l’altro giorno?”
Jack lo fissa, “Sì.”
“Ma perché è corso a tirarle
via la pistola giocattolo?”
Jack chiude gli occhi per un
momento poi li apre e guarda il suo avvocato, “Mi sono spaventato, avevo paura
che si facesse male…”
“Colonnello mi scusi, ma
quella foto di suo figlio è recente?”
Jack ha capito dove vuole
arrivare l’avvocato ed ha timore di crollare, “No… è stata scattata nove anni
fa…”
L’avvocato prende un foglio,
“Vedo che lei ha divorziato da sua moglie otto anni fa, suo figlio vive con la
madre ora?”
Jack abbassa lo sguardo,
“No… Lui è morto…”
Nella sala si sente un
brusio, tanto che il giudice deve richiamare il silenzio.
“Colonnello O’Neill. Ci dice
come è morto suo figlio?”
Jack lo guarda, ha gli occhi
lucidi, poi guarda David, ma distoglie subito lo sguardo, “Charlie è morto in
un terribile incidente… Si è accidentalmente sparato con la mia pistola…”
Abbassa lo sguardo, adesso basta, vi
prego…
L’avvocato aspetta qualche
secondo, poi si dirige al suo tavolo, “Io non ho altre domande.”
I genitori di David sono
sconvolti, il padre attira l’attenzione dell’avvocato Toregan e gli parla in un
orecchio.
Il giudice guarda Jack, che
ha ancora la testa abbassata, “Colonnello…”
Non finisce la frase perché
l’avvocato Toregan si alza, “Chiedo scusa vostro onore, posso parlare?”
Il giudice accenna col capo,
“Prego.”
“In accordo con i genitori
di David Spencer ritiriamo le accuse a carico dell’imputato.”
Il giudice tira un sospiro
di sollievo, “Colonnello…” Appena Jack lo guarda sorride, prova una profonda
pena per quell’uomo, “Può andare… Il caso è chiuso!” Batte il martello sulla
scrivania ed esce dall’aula.
Jack si alza e si dirige al
tavolo della difesa, Sam si alza e corre ad abbracciarlo, non le importa se il
generale Hammond li sta guardando, vuole far sapere a Jack che gli sono vicini,
l’avvocato Banks gli stringe la mano.
Jack si sente tirare per la
manica e quando si gira vede David che lo guarda, la mamma di David lo
abbraccia, “Siamo veramente dispiaciuti, le chiediamo scusa…”
Jack si mette giù per essere
all’altezza di David, “Ti chiedo scusa, non volevo farti del male…” Ha gli
occhi lucidi.
David sorride, “Se ti va
qualche volta puoi venire a trovarmi, così possiamo giocare a baseball, puoi
portare anche la tua ragazza.”
Sam arrossisce ed evita di
guardare il generale Hammond, Jack sorride anche lui, “Lei non è la mia
ragazza, è una cara amica, e sarò felice di venire a giocare con te.”
Il bambino lo abbraccia,
Jack si alza e quando escono dall’aula e lasciano il tribunale è felice, ha
trovato un nuovo amico, di sicuro cercherà di andarlo a trovare spesso, e forse
da oggi sarà un po’ meno triste.
FINE