Serie TV > Violetta
Ricorda la storia  |       
Autore: blackswam    25/07/2014    5 recensioni
Violetta ha perso i propri genitori da quando aveva sette anni e settimane più avanti fu portata da una casa-famiglia facendo conoscenza di altre persone, e fratelli.
Con il tempo la bambina cresce diventando una donna. Una bella donna, ma influenzata dalle amicizie che conosce si ritroverà a cambiare radicalmente il proprio carattere.
Un giorno si ritroverà catapultata in un altra dimensione cosa succederà?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Nuovo personaggio, Violetta
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPicNota autrice: Oneshot fresca, fresca! ° si inchina°
Anzi avrebbe dovuto essere una oneshot, ma si è riscoperta molto lunga e non voglio farvi affaticare quindi la divido in due parti e volevo dedicala a una delle mie coppie preferite LeonxVioletta Non tutti li amano insieme come me, ma per me questi due fanno scintille. La storia non so se è molto originale, oppure se possa piacervi, ma spero di aver colpito qualcosa che possa spingervi a leggerla e adorarla. Sottolineo che gli errori potranno esserci e mi scuso umilmente per quelli. Non sono una scrittrice, non sono brava, scrivo per ispirazione provando a non commetterli.
La mora si trova catapultata in un altra dimensione, molto più calda e interessante. Riavrà con se persone molto importanti per lei, che aveva perso e adesso ritrovato. Incontrerà persone nuove, giuste per lei ritrovando la Violetta bambina che si era persa nel suo buco di dolore. I suoi sorrisi era veri, smaglianti e di questi lei si sente soddisfatta.
Buona lettura!







Leonetta- Un' altra dimensione: Dove sono finita?

Image and video hosting by TinyPic



C'era una volta in un regno molto lontano
Tanto tempo fa,
L'odore afrodisiaco delle rose che penetravano nelle sue narici riuscivano a farla rilassare. Il respiro era regolare mentre insipirava con il bacino in movimento. I lunghi capelli, bagnati, ricadevano sulle sue spalle entrando in contatto con la schiena anch'essa brandita di sudore.
Lo scrosciare dell'acqua di una fontanella li vicino era come una melodia piacevole per le sue orecchie. Sfila le cuffie, ormai diventate inutili visto perché non ci si ascoltavano nessuna musica, unisce davanti a se le mani raccogliendo un po' di quell'acqua dolce e fredda. Ne beve un sorso e se ne porta un po' sul viso. Rinfrescandolo, soprattutto al contatto con la follata di vento, l'unica e rara, a causa dell'aria calda che circondava il parco. Si rimise le cuffie, scostandosi la ciocca di capelli castani, e riprende la sua corsetta quotidiana.
Violetta Castillo. Vent'anni. Capelli castano, occhi marrone chiaro, abbastanza alta e magrolina.
E' una donna che cura molto il proprio benessere, del proprio corpo, alla propria reputazione. E' una di quella persone che frequentano posti giusti, persone giuste, ragazzi giusti. Sono quelle persone che non hanno un proprio obbiettivo, sono frivole attaccate soltanto al denaro. Conoscono soltanto la parola: Perfezione senza però comprenderne davvero il significato. L'essere perfetto non potrà mai nascere nel nostro mondo perché altrimenti si è noiosi, monotoni, fastidiosi. L'odio, l'amore, la gelosia sono tutti sentimenti che ci rendono veri e vivi. Però lei non riusciva a comprenderlo troppo occupata a rinchiudersi nel guscio creatosi all'età di sette anni, dopo la tragedia della notte del suo compleanno, o meglio la notte dell'incidente.
Era nell'auto, insieme ai suoi genitori quando andarono a sbattere contro un albero.Secondo i medici i due sono morti sul colpo mentre lei era rimasta convalescente per molti mesi. Al suo risveglio si era ritrovata stesa su un letto d'ospedale. Era spaventata da tutti quei marchingegni attaccati al proprio corpo, ma la voce del dottore era riuscita a calmarla. Con parole lente e concise provarono a spiegarle l'accaduto, ma lei non riusciva a comprendere. La sua mente era come al riposo, addormentata, e non riuscivano a connettersi con il proprio cervello.
« Dove sono? Mamma, papà dove siete? », queste erano le uniche parole che sapeva pronunciare.
Non riusciva più a salutare, a sorridere, a piangere. Era come spenta. Un giorno però la verità gli fu sbattuta sul suo piccolo fragile faccino. Doveva comprendere la dura realtà che nulla sarebbe stato come prima. Le cose furono più dure e cruenti quando tremando aveva afferrato la mano di quella donna che sarebbe stata la sua nuova madre. Una sostituta.
La sua nuova casa era accogliente, ma sarebbe stato difficile abituarsi. Lei era abituata al silenzio, alla tranquillità, ad essere coccolata e messa sempre al centro dell'attenzione. Però con quattro figli, come fratelli, non era pressoché facile.
Lucas, il più grande aveva dieci anni, Marie la secondogenita ne aveva sette, i più piccoli Sophie e Matias avevano quattro e tre anni. Erano tutti felici della sua comparsa, sembrano accettare la situazione, ma la mora pensava che era tutta finzione. Scoprire che erano come lei, orfani, la faceva sentire meglio. Lucas si occupava di inserirla in famiglia, gli raccontava del suo arrivo in quella casa dandole coraggio, riuscendosi anche se la mora non l'avrebbe mai ammesso piuttosto si morderebbe un braccio.
La vita scorreva veloce e gli anni passavano e la dolce bambina diventava una donna. Una donna non perfetta, ma molto bella. La bellezza, però, può dare alla testa soprattutto se alimentate dalle persone che ti circondano e degli amici che frequenti. Violetta era cresciuta sana e forte, in una famiglia che non gli aveva fatto mancare niente. Affetto, amore, fratellanza.
Aveva perso i contatti con tutti i suoi fratelli che nutrivano speranza in un suo cambiamento. Marie attendeva l'arrivo della sua migliore amica, nonché sorella, ma ormai si era fatta una nuova vita e non si dedicava più a questi pensieri.
« Buonasera signorina Castillo.», sorride salutandola il custode del condominio.
La mora ricambia il sorriso salutandolo con la mano libera, mentre l'altra era occupata a reggere la bottiglia d'acqua appena riempita alla fontanella. Dopo aver vagato alla ricerca della chiavi sulla sua borsetta, entra nel suo appartamento.
« Sono a casa.», sussurra al vento.





« Pronto?», domanda la mora all'altra cornetta del telefono. « Parlo con Violetta Castillo?», chiede la voce ben utile da capire che apparteneva a una donna.
« Camilla?», chiede la mora dondolando i piedi sul letto stringendo la cornetta sull'orecchio e la spalla mentre con le mani si spalmava lo smalto sulle dita.
« Hei, magrolina.», la canzonò la rossa sfottendola con il suo stesso nomignolo.
« Non chiamarmi così con quel tono divertito. E' un nomignolo stupido.», sorride la mora facendo la finta offesa. « Si certo, scusa. », ride Camilla alzando lo sguardo all'aria.
« Come mai mi hai onorato di una tua chiamata?», domanda infine la mora curiosa.
« Non posso parlare con una mia vecchia amica?», chiede scherzosa la rossa. « Okay basta con gli scherzi. Ho bisogno del tuo aiuto.»
« Di che si tratta?», chiese allarmata la mora. « Nulla di preoccupante. E' soltanto un favore da niente.»
« Ah si, sentiamo?», sospira la mora stendendosi con la schiena sul lettino. La sua migliore amica, Camilla, rompeva secondo lei tutti i santi giorni rovinando le sue bellissime giornate.
« Come tu ben sai domani inizia il mio primo giorno da ragazza indipendente. Ho bisogno del tuo aiuto con i bagagli e gli scatoloni. », dice la rossa pregandola con la voce.
« Non hai qualcuno che le porti per te?», domanda esausta e annoiata Violetta.
« Indipendente. Devo fare tutto da sola altrimenti i miei mi riprendono con se. », dice innervosita ricordando la loro chiacchierata giorni fa. « Va bene, a domani.», sospira la mora attaccando dopo il saluto della rossa.





Il tintinnio della pioggia che picchiettava sulla finestra l'aveva svegliata dal suo sogno. Erano le otto del mattino, cosa dal non credere notando il buio fitto fuori dalla dimora. Tra un ora avrebbe dovuto alzarsi da quelle calde e morbide coperte, avrebbe dovuto vestirsi, lavarsi e farsi nuovamente il bagno per aiutare una delle sue più care amiche a traslocare.
« Ma chissene.», pronuncia prima di rilanciarsi sul lettino con la faccia sul cuscino.
Il rumore del telefono che suonava a intermittenza interrompe nuovamente il suo sonno. Con gli occhi ancora chiusi, tenta di aprirli trovando tutto ombrato.
« Si?», chiede senza pensarci. « Si può sapere dove cazzo sei?», chiese una voce urlando dall'altra parte del telefono.
« Scusami, ma chi sei?», chiede sbadigliando la mora stropicciandosi gli occhi con il dito. « Camilla. Trasloco. Ti dici qualcosa?», urla nuovamente la voce.
« Oh cavolo, arrivo subito. », salta dal letto vestendosi a gran velocità.
In tredici minuti si ritrova a correre sulla pioggia fredda, con l'ombrello stretto tra le mani, le scarpe che picchiettano sulle pozzanghere. Per rendere il cammino più veloce si spintona tra la gente.
« Permesso.», ripeteva mentre si scansava dalla massa. « Permes- », un gran mal di testa, persone che correvano spaventati sul suo viso, erano sfuocati poi il buio.





« Violetta svegliati! Il sole ha già toccato il cielo. », urla una voce fastidiosa per la mora che apre le tapparelle facendo penetrare i raggi del sole sul viso della ragazza.
« No, vi prego. Ho ancora sonno.», sospira la mora rimanendo ad occhi chiusi. « Chi sei? », chiede non riconoscendo la voce.
« La fata turchina. Tua madre, no?», la canzonò la donna ormai sulla quarantina d'anni. Aveva dei capelli castano chiaro, lisci, che ricadevano sulle spalle.
Violerra balza dal letto spalancando gli occhi trovandosi davanti il viso sorridente della madre, rimane sorpresa di ritrovarsi nella sua camera come se nulla fosse accaduto. Era cresciuta sotto quel tetto, su quelle soffici coperte, sotto le cure di quella donna che l'aveva tenuta dentro di se per nove mesi, sotto le cure di quel padre rigido e geloso amante dei dolci. « Mamma.», dice come per dare confermava a ciò che stava guardando. L'istinto di abbracciarla non poteva essere represso, infatti eccola li, appollaiata sulle sue braccia, incerte e immobili, che la guardavano sorpresa.
« Hei, cos'è tutto questo affetto?», domanda scherzosa la signora Castillo. La mora non risponde stringendosi a lei, bagnandole la maglia strofinandoci talvolta il naso. « Mi sei mancata.», ripete disperata. Singhiozzava, felice e contenta. Sapeva di vivere in un sogno, il quale non avrebbe mai voluto svegliarsi, ma voleva vivere quei attimi come se fossero veri. Dovevano essere veri.
« Dimmi Mamma che cosa ci fai qui? E' un sogno oppure sono in paradiso?», domanda Violetta. La donna appoggia la mano sulla fronte della figlia. « No, non hai la febbre.», contasta la donna preoccupata.
« Mamma sto bene, ma come ci sono finita qui?», chiede incuriosita la mora. La signora Castillo guardava preoccupata la figlia. « Caro, nostra figlia sta delirando. Chiama un dottore, un ambulanza, i vigili del fuoco.», la mora sorride credendo di essere in un sogno. « Oh cazzo, Camilla!», esclama Violetta dandosi non dei lievi pizzicotti sul braccio.
« Ahi.», strilla addolorata. Per essere un sogno il dolore era parecchio reale. Dopo aver tentato per parecchie volte si massaggia il braccio dolorante guardandosi intorno stranita.
« Violetta, tesoro non ti senti bene?», chiese preoccupata il signor Castillo sedendosi sul bordo del letto accarezzando i capelli castani della figlia. « Si, sto bene.», risponde Violetta spenta.
« Tesoro, vuoi fare colazione?», gli occhi di Violetta si illuminarono sobbalzando dal letto e correndo le scale verso la cucina. « Visto cara, è tornata.», sorride il signor Castillo.





Erano ore che Violetta passeggiava nella sua città natale, non trovando nessuna sorta di cambiamento. Tutto era al solito posto, o quasi tutto. Perché i suoi genitori era ancora vivi? Perché viveva ancora nella sua vecchia casa? E' madre Carmela? Lucas, Marie, Sophie e Matias?
« Deve essere un sogno, è l'unica spiegazione.», ripete nella sua mente non riuscendo a convincersene ancora una volta.
Aveva compreso di trovarsi in un nuovo spazio temporale, dove nulla è accaduto. Sembra quasi che il destino abbia voluto accontentarla e vivere la sua vita semplice e serena.
« Se è un sogno meglio viverlo pienamente.», afferma nei suoi pensieri. « Cosa potrei comprare in questi negozi?», si chiese ironica dirigendosi verso un negozio di vestiti.
Era tornata a casa per le sei precise, con le buste appese tra i polsi e arrivavano fino all'avambraccio. Era stanca, gli mancava molto la compagnia di Camilla che spesso si offriva di aiutarla. Portando lei quasi tutte le borse.
« Chissa se potrei incontrare la Camilla di questo mondo.», sorride portandosi una mano sulle labbra dubbiosa. « Domani, quando mi sarò addormentata, inizierò a cercarla.»
« Sono a casa.», sussurra quasi. « Bentornata.», la salutano i suoi genitori.
Il padre stava leggendo un giornale sul divano mentre la madre era di spalle a cucinare qualche intruglio per stasera. Quasi le vennero le lacrime agli occhi. Era abituata ad entrare in casa e trovarla sempre vuota, le sue parole erano sempre buttate al vento, ma non stavolta.
Terminato di cenare saliva le scale con più serenità. Avevano parlato per tutta la cena, facendo battutine che divertivano la mora assaporando il calore di una famiglia. Aveva salita le scale quasi tremando, credendo che al suo risveglio tutti questi sentimenti, queste emozioni possano scomparire. Abbandona i folti capelli sul cuscino chiudendo con gli occhi socchiusi e lentamente si lascia andare a un sonno molto profondo.
Al suo risveglio aveva trovato le persiane aperte, mentre cercava di coprirsi con il cuscino per non far penetrare i raggi del sole sulla sua pelle.
« Mmh, mamma?», domanda cercandola con la mano. « Mamma! Papà!», strilla quasi per farsi sentire. « Lo sapevo, era tutto solo un sogno.», sospira affranta.
« Tesoro, ti sei svegliata?», chiese una voce. « Mamma?», domanda speranzosa la ragazza. « Eh certo chi dovrei essere?», la mora si lascia cadere sul letto battendo i piedi contenta.
Violetta si alza dal letto dirigendosi verso il piccolo barcone della sua camera beandosi dell'aria fredda e calda della città. Non riusciva a comprendere molte cose, soprattutto del motivo per cui si trovava li, ma non le importava. La notte precedente aveva sperato con tutta se stessa che accadesse e nuovamente qualcuno lassù l'aveva accontentata.
« Buongiorno.», la saluta una voce al suo fianco. Era un ragazzo alto, sbilanciato, capelli castano scuro occhi verdi. Era bello, tremendamente bello. La stava osservando da parecchi minuti, con le mani appoggiate sulla ringhiera appoggiando il gomito sul questa e il palmo sotto in mento. « Buongiorno.», saluta a sua volta Violetta scostando lo sguardo.
« Leon Vergas, il tuo vicino.», lo saluto lui porgendole la mano stretta dalla mora. « Violetta Castillo.», si presenta a sua volta la bionda sorridendo.
« Vivi solo?», domanda Violetta sporgendosi per trovare qualche altra figura umana nella casa non trovandone. « Si, mi sono appena trasferito.»
« Capisco.», dice la mora facendo per andarsene, ma la voce del moro la ferma. « Qualche volta potremmo berci un caffè insieme, ti va?», domanda il moro speranzoso.
« Con immenso piacere. », sorride la mora allontanandosi con un sorriso.
  
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Violetta / Vai alla pagina dell'autore: blackswam