Premessa. Questa
storia è ambientata a quattro o cinque anni di distanza dall’epilogo de “Il
Canto della Rivolta. Gale è tornato a vivere nel Distretto 12 da quasi un anno
assieme a suo figlio, Joel, e a Johanna Mason, che vive con loro da circa otto
anni. Joel è il figlioletto di Gale,
avuto da una relazione di breve durata con un’altra donna. Rory,
Vick e Posy sono ormai adulti e hanno unafamiglia
loro. In questa storia faranno comparsa alcuni dei loro figlioletti, assieme a
Joel e ai due bambini di Katniss e Peeta (Haley e Rowan). Allego qui lo
specchietto con i nomi dei vari bambini, in relazione alle foto di copertina:
Prima fila (a sinistra): Joel (figlio di Gale); Haley (figlia di Katniss e Peeta);
Prim (primogenita di Rory);
June (primogenita di Vick).
Seconda fila (a destra): Rowan (secondogenito di Katniss e Peeta); Adam & Noel
(gemelli – secondogeniti di Vick); Evan
(secondogenito di Rory).
Storia scritta per la 30 Day OTP challenge con il prompt Day 16: Babysitting,
S.O.S. tata Hawthorne
Cronache di due baby-sitters
(mica tanto) provetti.
Johanna sbuffò infastidita e diede un
calcio a un mattoncino di lego, stringendosi nelle braccia. Diverse paia di
occhi infantili le rivolsero un’occhiata incuriosita, alimentando il suo
nervosismo: rincasando dopo essere andata a riprendere Joel a scuola si era
trovata la casa infestata da sette mostriciattoli chiassosi, quasi tutti appartenenti
al clan degli Hawthorne. Tutto ciò che aveva voglia di fare in quel
momento era prendere da parte il suo ragazzo e schiaffeggiarlo.
“È solo per un paio d’ore” aveva
mormorato Gale in risposta alle sue proteste qualche minuto prima, prima di
salire a controllare il bambino più piccolo, che stava dormendo in camera di
Joel. In risposta a quelle parole Johanna aveva imprecato ad alta voce, per nulla frenata
dalla presenza dei bambini. Un paio d’ore le sembravano anche troppe perché
potesse superare la giornata senza risentirne
mentalmente, visti i soggetti con cui
avrebbero avuto a che fare. Fece scorrere lo sguardo per la stanza,
esaminando ogni bambino. Individuò Joel appollaiato su una sedia di fianco allo
stereo, con il pollice e l’indice occupati a mandare avanti e indietro la
rotellina del volume. Di fronte a lui sua cugina June
e la primogenita di casa Mellark, Haley, sembravano impegnate in una sorta di
macarena che si arrestava bruscamente ogni volta che la musica veniva
interrotta da Joel. Se il ragazzino cambiava canzone all’improvviso, le due
compagne di gioco ridacchiavano e inventavano nuovi passi di danza. Agli occhi
di Johanna i tre bambini non avrebbero potuto escogitare modo più stupido per
passare il tempo, ma il sorriso allegro e le risate di Joel la convinsero a
tenere per sé il pensiero di quanto risultassero ridicole le due femminucce
intente a saltellare per la stanza starnazzando come due ochette.
Si voltò poi in direzione di uno dei
gemelli, che stava facendo un baccano incredibile, rovistando fra mucchi di
pezzi di lego sparsi per il soggiorno e pestandone altrettanti. Noel e Adam,
che avevano tre anni e mezzo, erano i fratelli minori di June
e la loro iperattività irritava Johanna come ben poche altre cose erano in
grado di fare. Non riusciva ancora a capacitarsi di come un ragazzo tranquillo
come Vick Hawthorne avesse potuto generare due simili
demonietti.
Infine, vicino ad Adam e alla sua torre
di costruzioni, Rowan – il fratello minore di Haley – stava colorando con
espressione concentrata, disteso sul pavimento a pancia in giù. La sua
placidità sembrava quasi innaturale, se messa a confronto con i continui
movimenti e le urla degli altri bambini. Johanna aggrottò le sopracciglia,
contando mentalmente i presenti: mancavano tre ragazzini all’appello. Uno era
in cucina a combinare nonsapevacosa
rinchiuso nella credenza, e il più piccolo stava dormendo, ma non sapeva dove
si trovasse la terza marmocchia. Gale sciolse le sue perplessità facendo
ingresso in soggiorno con un bambino piccolo in braccio e un’altra nipote per
mano. Evan, il più piccolo dei cuginetti Hawthorne, doveva essersi appena svegliato dal riposino
pomeridiano, perché aveva i capelli arruffati sul davanti e gli occhi
assonnati. Sua sorella Prim stava raccontando
qualcosa allo zio, ma la sue voce timida non era facilmente distiguibile
attraverso il frastuono generato dagli altri ragazzini.
Gale diede un rapido sguardo al
soggiorno, prima di intercettare l'espressione irritata di Johanna.
“Sei sopravvissuta a dieci minuti sola
con sei bambini” osservò con un sorriso, chinandosi in avanti per appoggiarsi
al divano con i gomiti, “Sono colpito!”
Johanna lo fulminò con lo sguardo e tornò a guardare dritto di fronte a sé,
continuando a tenere le braccia conserte.
“Ce n’è uno che si è infilato nella
credenza” borbottò poi, indicando la cucina con un cenno del capo. Gale le
rivolse un’occhiata perplessa, non riuscendo a capire cosa intendesse, ma dopo
aver rivolto una rapida occhiata alla stanza fece sedere Evan
sul divano e uscì. Tornò poco dopo con Adam che gli trotterellava davanti.
“Ti ho già detto più volte che non devi
nasconderti dentro ai mobili” dichiarò in tono di voce fermo, mentre il bambino
si buttava a terra in scivolata, arrivando addosso al fratello gemello. Noel lo
spinse via e continuò a giocare imperterrito con le sue costruzioni. “Potresti
farti male o finire per addormentarti e nessuno riuscirebbe a trovarti.”
“Va bene!” esclamò allegramente il
piccolo, accumulando un po’ di pezzi di lego con le braccia e cercando di
sollevarli tutti assieme. Gale sospirò e
scoccò a Johanna un’occhiata che mescolava rassegnazione e rimprovero.
“Che c’è?” lo interrogò la donna,
distendendo le gambe per appoggiare i piedi a una sedia.
“Avresti potuto cercare di farlo
uscire” commentò, prendendo posto sul divano di fianco a lei; Prim si arrampicò automaticamente sulle sue ginocchia e
appoggiò la testa contro il petto dello zio. Johanna si strinse nelle spalle e
intrecciò le dita dietro la nuca.
“Sei tu che ti sei offerto di fare il
baby-sitter, mica io” osservò, prima di indicare Prim con un cenno
del capo. “Che ha la biondina?” chiese poi, notando come sembrasse preferire restare
in compagnia dello zio piuttosto che giocare con i coetanei. Nonostante
risultasse evidente che la bambina fosse molto attaccata lui, accadeva di rado
che Gale la chiamasse per nome e a Johanna veniva istintivo cercare di fare lo
stesso. La straniva ancora molto vederli così uniti, visto il modo un po’ goffo
con cui l’uomo aveva cercato di prendere le distanze da lei i primi tempi,
quando la bimba era ancora molto piccola[1].
“Non ha niente, è solo un po’ timida”
rispose Gale, allungandosi per prendere un libro sugli animali dalla copertina
mezza strappata, appoggiato sul tavolino. “Perché non vai a leggere questo con
Rowan? So che gli animali piacciono molto a tutti e due” le propose poi lo zio,
attirando l’attenzione del piccolo di casa Mellark. Rowan appoggiò il pastello
che stava usando sul foglio e li raggiunse, sorridendo alla ragazzina. Prim ricambiò, affondando il volto nella maglietta dello
zio. Infine, si convinse a scendere dalle sue ginocchia per seguire il coetaneo
sul tappeto, portando il libro sotto il braccio.
Nel frattempo, Haley e June avevano smesso di ballare e sembravano occupate a
discutere su qualcosa in maniera fin troppo vivace.
“Ma no che non esistono, sciocchina!”
stava esclamando Haley, con le mani ben piantate sui fianchi, “Gli scorpioni
sono neri!”
“No, questi sono rosa, te lo giuro!”
ribatté June con aria seria, portandosi una mano sul
cuore. “Sono scorpioni alieni e mangiano i pezzi dei lego! L’altro giorno ne ho
visti due nella Casa Blu Cielo di zia Posy[2].”
“Ehi, papà di Joel!” esclamò a quel
punto Haley, correndo da lui. Gli picchiettò con insistenza una mano sulla
gamba, fino a quando Gale non rivolse la sua attenzione verso di lei. June incominciò a fare la stessa cosa dall’altra parte, cercando di farsi
ascoltare dallo zio. Johanna roteò gli occhi, accavallando le gambe: detestava
quella mania del dover sempre toccare tutto e tutti tipica dei marmocchi.
“June Hawthorne dice che prima ha visto uno scorpione rosa nella
cesta dei lego!” proseguì Haley, parlando più forte per farsi sentire oltre la
voce della coetanea e gli schiamazzi dei gemelli. Chiamava sempre l’amichetta
con il nome completo e a June non sembrava dispiacere
poi più di tanto. “Ma io non ho visto proprio niente e poi non esistono gli
scorpioni rosa, vero?”
“Credo che June
Hawthorne stesse incominciando ad avere nostalgia
delle storielle un po’ pazze che ci racconta ogni tanto” osservò con un sorriso
Gale, accarezzando il capo della nipote. Conosceva fin troppo bene il vizio
della ragazzina di inventare di sana pianta aneddoti fantasiosi o elaborate
teorie sulle cose che catturavano la sua attenzione.
“Ma sto dicendo una cosa vera!” si
impuntò June, sbattendo i piedi per terra. “Gli
scorpioni rosa esistono e so anche come ucciderli: muoiono per la troppa puzza!
Mi servono i calzini di Noel, così posso uccidere quello che c’è nel secchio
dei lego” concluse infine, mettendosi a quattro zampe e afferrando il
fratellino per la caviglia. Noel strillò e sgusciò via dalla sua presa, prima
di incominciare a scorrazzare ridendo per la stanza. Aveva un piede scalzo, poiché
la sua scarpa era rimasta in mano alla sorella. Adam si tolse le sue e
incominciò a correre dietro al gemello.
“Prendi anche me!” esclamò, mentre June li inseguiva entrambi per cercare di rubar loro i
calzini. Nonostante la teoria degli scorpioni rosa risultasse poco credibile
sia a Haley che a Joel, i due ragazzini diedero comunque una mano per cercare
di placcare i due fratelli. Risero entrambi, quando l’unica scarpa rimasta a
Noel volò per aria, prima di atterrare sul divano di fianco a Johanna. La donna
la fece cadere a terra con un gesto brusco della mano e si alzò, per spostarsi
dalla traiettoria del capannello di bambini che si stavano rincorrendo a
vicenda.
“Non c’è modo di spegnerli?” borbottò
infastidita, prima di notare i movimenti esitanti del più piccolo della
combriccola. Evan era riuscito a scendere dal divano
e la stava osservando con gli occhioni blu ancora assonnati, che gli
attribuivano un’aria un po’ confusa. Johanna sbuffò, voltandosi dall’altra
parte. La sua naturale avversione nei confronti dei bambini era accentuata,
quando si trattava di ragazzini così piccoli come quello: sbavavano e vomitavano
dappertutto e, nonostante i genitori dei bambini di quell’età si vantassero
spesso compiaciuti dell’utilizzo corretto che i loro pupi facevano del vasino –
manco avessero scalato l’Osso o attraversato il mare del Quattro a nuoto – i
pargoli riuscivano a farsela addosso quando uno meno se l’aspettava, sorridendo
appagati come se ci godessero nel vedere un adulto sgobbare per pulir loro il
sedere.
Per questo, quando Johanna sentì la
manina appiccicosa di Evan sul suo polpaccio si
scostò, esibendo una smorfia infastidita. Guardò in basso, ricambiando lo
sguardo del piccolo: fatta eccezione per il colore degli occhi, Evan era la copia perfetta di Rory
in versione ridotta.
“Che vuoi, nano?”
Il bambino continuò a fissarla,
stringendosi un po’ intimidito le braccia contro il corpo. Infine, sollevò le
mani e le allungò verso di lei, molleggiandosi leggermente sulle gambe. Johanna
inarcò un sopracciglio.
“Sei scemo come tuo padre se pensi che
arriverei a prenderti in braccio” commentò. Evan
smise di agitare le gambe, ma continuò a fissarla confuso, con le mani ancora
rivolte verso l’altro. Gale, che stava leggendo una passaggio del libro sugli
animali a Rowan e Prim, se ne accorse e li raggiunse
per prendere in braccio il più piccolo dei ragazzini. Si sedette sul divano per
allacciare le scarpe al bimbo e sorrise a Haley, che era venuta a
sedersi di fianco a lui.
“Sei già stanca?” chiese, sorpreso. La
bambina scosse il capo e si appoggiò contro la sua spalla.
“No, ma volevo stare un po’ qui con
te!” spiegò, spingendo Evan verso destra, in maniera
da poter avere più spazio. Il bambino aggrottò le sopracciglia, rivolgendole un’occhiata
crucciata.
“Piano…” la ammonì l’uomo, sistemandosi
meglio il nipotino sulle ginocchia. Johanna guardò Haley con aria di
sufficienza e la bambina rispose con una smorfia.
“Dio, quanto è appiccicosa” borbottò poi
la donna, tornando a spostare lo sguardo in direzione di Joel e June, che stavano sfogliando un libro di origami. La
piccola Mellark aprì la bocca per risponderle, ma Gale fu più veloce.
“Perché tu e Joel non andate a fare qualche
gara di corsa in cortile?” propose a quel punto: sapeva bene che i due
ragazzini preferissero trascorrere il tempo all’aperto ed entrambi
prediligevano i giochi di movimento. “June e i gemelli possono venire con voi. Magari, più tardi,
vi raggiungeranno anche i due biondini” aggiunse, indicando con un cenno del
capo Prim e Rowan che si erano messi a disegnare,
lavorando allo stesso foglio.
La bambina soppesò la sua proposta per
qualche istante, visibilmente indecisa sul da farsi.
“Ma poi tu resti da solo!” obiettò, aggrottando la fronte con poca
convinzione. Johanna inarcò un sopracciglio nella sua direzione.
“…Ed io chi sono, mini-ghiandaia? La vicina della porta accanto?”
“C’è Johanna a
tenermi compagnia” intervenne in fretta
Gale, aiutando Evan a scendere dal divano. Il piccolo
gli sorrise soddisfatto, prima di dirigersi verso i gemelli, che stavano costruendo una seconda torre di lego.
“Ah, giusto!”
replicò Haley battendosi una mano sulla fronte, prima di balzare a terra,
facendo oscillare le trecce. “Voi siete sposati?” chiese poi,
rivolgendo a Johanna un’occhiata incuriosita.
Gale esitò per un istante, colto alla
sprovvista dalla sua domanda.
“No, sposati no” ammise, chinandosi per
poter essere alla sua altezza. “Siamo fidanzati, però.”
L’espressione di Haley si illuminò.
“Ma se non sei sposato allora, quando sono
grande, ti posso sposare io?” esclamò, tirandogli la mano. Gale le rivolse
un’occhiata sorpresa, mentre June li raggiungeva
ridacchiando.
“Halley, ma cosa dici?” la rimproverò Joel scuotendo il capo, lo
sguardo completamente assorbito dall’aeroplanino di carta che stava costruendo.
“Papà non si tocca, è di Johanna.”
“Perché invece non ti cerchi un fidanzatino
di sette, otto anni?” propose l’uomo, intercettando l’espressione infastidita
di Johanna. Quando distolse lo sguardo non riuscì a trattenere un sorrisetto
divertito. “Non c’è qualche bambino carino e simpatico a scuola?”
Haley ci rifletté un po’ su,
gironzolando attorno al divano mentre rifletteva.
“Umh… Ce ne
sono due, ma non sono in classe mia” rispose infine lentamente: le guance le si
tinsero di rosso. “Però non…”
“Ecco, vai a fare il tuo nido su qualche moccioso
della tua età” la interruppe Johanna, posandole le mani sulle spalle per
indirizzarla verso gli altri bambini. “Sciò, Hawthorne
è già prenotato.”
Haley storse la bocca in una smorfia
presuntuosa.
“Sei solo gelosa perché a me chiama
principessa e a te no!” osservò infine, mettendosi le mani sui fianchi.
J0hanna la fulminò con lo sguardo,
sfruttando l’espressione che, di norma, esibiva per intimidire e tenere alla
larga i piccoli della famiglia Hawthorne. Haley,
tuttavia, non sembrò scomporsi.
“Te la do io la principessa” commentò
seccata la donna, continuando a scrutarla con aria infastidita.
“Johanna…” mormorò Gale, sforzandosi di
non ridere. “…è una bambina.”
Lo sguardo di fuoco
della donna si spostò dalla ragazzina al fidanzato.
“No, quella è una bambina” replicò
indicando Prim, che stava chiacchierando vivacemente
con Rowan, ancora china sul proprio disegno. “Questa qui è una sanguisuga”
aggiunse poi, indicando Haley con un cenno brusco del capo.
Gale scosse rassegnato il capo e appoggiò una mano sulla
spalla della ragazzina.
“Andate a cercare qualche altro scorpione rosa in
cortile” propose. Lo sguardo di June si accese
d’entusiasmo e la ragazzina afferrò la coetanea per il polso.
“Dai, vieni, so io dove cercarli!” esclamò, guidandola
verso la porta. Haley la seguì di buon grado, del tutto dimentiche
dell’esitazione che aveva mostrato fino a qualche minuto prima.
Gale tornò a far vagare lo sguardo per il soggiorno,
controllando i vari bambini rimasti nella stanza. Era evidente che si stesse
sforzando di trattenere una risata e la fidanzata tornò a fulminarlo con lo
sguardo.
“Ridi pure” commentò freddamente, attraversando la stanza
per raggiungere Joel. “Più tardi facciamo i conti… Principessa.”
Gale fece la spola fra i gemelli ed Evan,
che gattonavano avanti e indietro, per raggiungere la donna.
“Come sei permalosa…” commentò con un
mezzo sorriso, afferrandola per i fianchi. Riuscì solo a sfiorarle il collo con
le labbra prima che lei si scostasse, per nulla intenzionata ad ammorbidirsi.
Lo sguardo di entrambi ricadde poi su
di Joel, che era occupato a fabbricare un terzo aeroplanino di carta, in
maniera che lui, June e Haley ne avessero uno a testa
da far volare in cortile. Il nervosismo di Johanna sfumò leggermente, mentre gli
occhi della donna seguivano con attenzione i movimenti curati con cui Joel
piegava la carta. L’aereo che il ragazzino aveva fra le mani era
particolarmente elaborato e la precisione con cui se ne stava occupando le
ricordò quella dei ragazzini del Distretto 7, che imparavano a maneggiare la
carta – così come il legno – sin dalla più tenera età. Le dita esili di Joel,
la sua carnagione olivastra che creava un contrasto con il bianco dei fogli,
non erano poi così diverse da quelle di suo fratello Sawyer,
spesso occupate a piegare pagine quadrettate per fabbricare origami. Johanna sapeva
bene che, se la passione per gli aeroplani di Joel era nata per via della
professione del padre, il suo interesse per gli origami era qualcosa a cui poteva
aver attinto solo da lei: l’arte del piegare la carta al Distretto 7 era
conosciuta da molti, perché veniva insegnata a scuola. Johanna e Joel non ne
avevano mai parlato, né lei si era mai presa la briga di sedersi accanto al
bambino per insegnargli a fabbricare
origami, ma quando Joel era più piccolo le era capitato spesso di mettersi a
giocherellare con qualche foglio, piegandolo fino a ottenere figure e animali
dalle fattezze spigolose. Mentre lei lavorava, il ragazzino esaminava
affascinato i suoi movimenti, chiudendosi in lunghi silenzi contemplativi. Crescendo,
il bambino aveva incominciato a cercare di imitarla, senza mai chiedere aiuto o
fare domande. Aveva imparato così: guardando e ripetendo ciò che vedeva.
Silenzioso e ostinato in nei suoi tentativi di produrre un lavoro che fosse
quantomeno accettabile. Proprio come
avrebbe fatto un Mason.
“Ti sembra a posto?” chiese Joel in quel momento, sollevando
l’aeroplanino per avere un parere da Johanna. Confrontò poi con occhio critico
l’immagine sul suo libro con il prodotto finito. La donna lo analizzò in
silenzio per qualche istante, sforzandosi di ignorare l’insistenza con cui quel
ragazzino cercava ancora spesso la sua approvazione.
“C’è di peggio” rispose, sfilandoglielo
dalle mani per esaminarne la punta. Joel sorrise fra sé e raccolse gli altri
due modelli. Johanna lanciò quello che aveva in mano e il ragazzino lo prese al
volo, prima di spostarsi in cortile con le due compagne di giochi. Un lieve
sorriso si arrischiò a modellare le labbra della donna. Tuttavia, Johanna non
fece nemmeno in tempo a voltarsi, che fu costretta ad esibire una smorfia di
fastidio, nel sentire una mano premuta sulla sua gamba: questa volta, per
fortuna, non era appiccicaticcia di bava. Si voltò, indirizzando il suo
‘sguardo-spaventa-bambini’ verso il basso. Riconobbe la zazzera di capelli biondi
e mossi di Rowan e il suo sorriso dolce. L’espressione raggelante della donna non
ebbe alcun effetto sul piccolo, che si sollevò sulle punte dei piedi per
passarle il disegno a cui aveva lavorato assieme a Prim
fino a quel momento: come sua sorella non sembrava turbarsi facilmente.
“Ti piace?” chiese, mentre la compagna
di giochi si teneva più in disparte. Johanna prese il foglio e lo esaminò con
occhio critico: era pieno di rettangoli storti e tremolanti con gambe, braccia
e testa, che si distinguevano dagli altri solo per il colore dei capelli e la
statura. Alcuni omini erano stati disegnati decisamente meglio e dovevano
essere quelli fatti da Prim, che era di due anni più
grande di Rowan.
“Chi sono?” chiese la donna,
restituendo il disegno al bambino, perché potesse descriverglielo. Rowan fece
un respiro profondo, come se pensasse che raccontare il contenuto del suo
foglio fosse qualcosa di particolarmente impegnativo.
“Questi sono la mamma e il papà di Prim e quello è Evan” incominciò,
indicandole per ultimo una sorta di pallone da spiaggia rosa con due righe nere
a mo’ di capelli. “E questi invece siamo io, Haley, la mamma e il papà. Vedi,
la mamma e Haley hanno le trecce” aggiunse, picchiettando con il dito su quella
che doveva essere Katniss. Aveva un braccio lungo la metà dell’altro, la testa
grande il doppio rispetto il corpo e una mano sola – Rowan doveva essersi
dimenticato di farle l’altra. Si era ricordato però di disegnarle un arco e un
sorriso che andava da orecchio o orecchio e che risultava fuori luogo perfino
nella versione di carta e pastello dell’ormai ex-ghiandaia imitatrice. Quella che Rowan aveva indulgentemente
definito “treccia” a Johanna ricordava più un’antenna televisiva. La donna non
si sforzò di trattenere un ghigno, nel commentare: “Tua madre l’hai fatta
proprio uguale a quella originale.”
Rowan sorrise orgoglioso, non riuscendo
a cogliere l’ironia nel suo tono di voce. Si voltò per andare a mostrare il
disegno anche a Gale, ma lo trovò impegnato a cercare di far scendere Noel
dalla libreria.
“Come diavolo hai fatto a salire
lassù?” sbottò l’uomo, prendendolo in braccio e depositandolo a terra. Al suo
fianco Evan stava saltellando irrequieto, gridando
entusiasta: “Su! Su!”.
Noel ridacchiò e sgusciò via dalla
presa dello zio, prima di tornare alle sue costruzioni. Adam cercò di imitarlo,
appoggiando a sua volta un piede sul ripiano più basso della libreria, ma Gale
lo placcò subito e lo fece sedere per terra di fianco al gemello.
“Che demonietti…” osservò Johanna
scuotendo il capo e tornando a sedersi sul divano. Prim
la raggiunse poco dopo, brandendo un vassoietto di plastica pieno di
bicchierini giocattolo. Ne prese uno e lo porse alla donna, sorridendo
timidamente. Johanna rimase immobile, seppur ricambiando lo sguardo della
ragazzina.
“Ti ha preparato il tè” le venne in
aiuto Gale, suggerendole con un cenno del capo di accettare la tazzina di
plastica. Johanna alzò gli occhi al cielo e tirò su le gambe per appoggiare i
piedi sulla sedia.
“Ti ringrazio, Hawthorne,
non ci sarei mai arrivata se non me l’avessi detto tu” replicò ironica, prima
di tornare a voltarsi verso la bambina. “Non ho sete” dichiarò poi, in tono di
voce asciutto.
Gale sbuffò.
“Lo prendo io, quel tè” intervenne a
quel punto, raggiungendo la nipotina assieme a Rowan. “Rowan ed io abbiamo
proprio voglia di bere qualcosa.”
La bambina sorrise e passò un bicchiere
ad entrambi, sotto lo sguardo cinico di Johanna. Anche Evan
tese le mani verso l’alto per farsi passare una tazza.
“Mmmm!” commentò
poi, toccandosi la guancia con l’indice e facendo roteare il dito, per
dimostrare a Prim il suo gradimento. Rowan e la bimba
si misero a ridere.
“Anche io voglio il tè!” esclamò Adam a
quel punto, alzandosi di scatto e correndo fino al
divano.
“Anche io voglio il tè!” gli fece eco
Noel, buttandosi in scivolata dietro di lui. Si scontrarono e caddero addosso a
Prim, che fortunatamente ebbe la caduta attutita dal
divano. Il vassoio di plastica, però, volò per aria e un diluvio di bicchieri e
cucchiaini di plastica incominciò a piovere sulle teste dei presenti. Johanna
si allontanò in fretta dal divano, imprecando a denti stretti.
“Ops!”
esclamò Noel, agitando i piedini scalzi e stropicciandosi con una mano i
capelli spettinati. Suo fratello lo imitò, rivolgendo allo zio uno sguardo
colpevole.
“Siete due pasticcioni” li rimproverò
bonariamente l’uomo, chinandosi per controllare che nessuno si fosse fatto
male. Coccolò Prim, che ci era rimasta un po’ male
per via del servizio da tè volato per aria, e si assicurò che Evan non si fosse spaventato eccessivamente. Fortunatamente
l’unica bionda di casa Hawthorne si riprese piuttosto
in fretta: Rowan l’aiutò a raccogliere tutti i bicchieri e i cucchiai e i due allestirono
insieme un banchetto per le limonate vicino al secchio delle costruzioni.
Quei due lì mi stanno abbastanza
simpatici” osservò improvvisamente Johanna, indicandoli a Gale con un cenno del
capo. “Almeno non fanno troppo chiasso. Loro e il tuo possono restare, gli
altri dovremmo chiuderli tutti in cantina.”
“Ma se nemmeno ce l’abbiamo una cantina…”
osservò Joel, intrufolandosi nel soggiorno per andare a prendere altri fogli di
carta. Johanna fece per rispondergli, ma
il suono delle sue parole vennero coperto da un sonoro e preoccupante rumore di
qualcosa che si rompe, proveniente dalla cucina.
To be Continued…
Nota dell’autrice.
Buonasera! Sono tornata a rompere le scatoline con i miei
marmocchi della Next Generation. Questa volta il clan
è quasi completo e Gale e Johanna non potevano mancare. Anche se avevo
progettato di scrivere qualcosa di simile parecchio tempo fa, il risultato
finale di questa storia è stato influenzato tantissimo dal mese che sto
trascorrendo a gestire 45 bambini di età compresa fra i due e i sette anni:
molti atteggiamenti dei protagonisti di questa storia sono ispirati ai
comportamenti dei loro coetanei che ho imparato a conoscere questo mese. Mi
sono divertita veramente un sacco a torturare Johanna con tutti questi
marmocchi e alla fine mi è uscita fuori una roba talmente lunga che, come al
solito, ho concluso per dividere in due. La prossima settimana cercherò di
pubblicare la seconda parte.
Che altro aggiungere? I bimbi protagonisti di questa
storia sono per la maggior parte già stati introdotti da altre parti. Haley e
Joel sono probabilmente quelli di cui ho scritto di più. Joel ha fatto principalmente comparsa nelle storie
in cui si accenna al suo rapporto con Johanna (Shelter from the rain|Io non ho paura|Mi aggrappo a te|in his boxers), mentre Haley e
la sua “cotta infantile” per Gale erano stati introdotte per lo più in “Di comete,
principesse e anime gemelle” e “Forse sbagliano
anche gli angeli”. June era stata solo menzionata
in questi due racconti, mentre i gemelli e Prim
faranno comparsa nuovamente a breve, nell’epilogo di “Il cielo non
crolla (ed io nemmeno). Rowan è presente in “Come un Pittore”,
“Come Finiscono le Favole” e “Mi Manca la sua Voce” (che sono tutte storie
incentrate sul personaggio di Peeta) + “La cometa del
Distretto 12". Non so che altro aggiungere! Il passaggio su Johanna, Joel
l’ho introdotto principalmente perché ho in programma di approfondirlo in una one-shot incentrata sul loro rapporto. Siccome il Distretto
7 è il distretto della carta e del legname, mi è sempre piaciuto immaginare che
la tecnica dell’origami venisse insegnata ai bambini del 7 a scuola, prima che
incominciassero a lavorare.
Ringrazio infinitamente chiunque sia passato a leggere
questo polpettone di marachelle infantili. Mi vergogno un po’ nel proporre
questa sciocchezza, ma in questo periodo sto trovando particolarmente
divertente scrivere questo genere di slice of life
senza pretese!
Un
abbraccio e a presto!
Laura
[1] Il motivo per cui la figlia di Rory e sua moglie Eileen si chiama Prim
(e non Primrose) viene spiegato nella mini-long E.Y.E.S O.P.E.N. Le difficoltà
incontrate da Gale nell’instaurare un legame con la nipotina dipendono
principalmente dal suo nome e da ciò che accadde alla sua omonima, Primrose.
[2] Fortino di legno blu costruito nel periodo
post-rivolta, a un mesetto di distanza dal ritorno degli Hawthorne
al Distretto 12. Il fortino è stato costruito per la piccola Posy Hawthorne, che all’epoca aveva 5 anni, e se ne parla nella
mini-long “Il cielo non crolla (ed io nemmeno)”.