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Autore: V@le    06/09/2008    0 recensioni
Incantevole. Gaara attribuiva quel fine aggettivo soltanto all’oceano. Era l’unico che lo meritasse.
Teneva gli occhi ancora fissi sulle onde, quando un canto di sirena gli si insinuò nelle orecchie, facendolo voltare.

1^ Classificata al primo concorso [GAARAXHINATA - HINATAXGAARA] indetto da Shinami_Uzukawa
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Sabaku no Gaara
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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LA FELICITA’: QUEL TESORO CHE CI CUSTODISCE IL MARE

 

I – Del porto e dei marinai.

 

Le onde rifluivano, abbandonandosi al vento che ne provocava il costante movimento. Non era che una leggera brezza quella che turbinava elegantemente nel porto, fino a raggiungere il faro sul promontorio frastagliato.

Era un paesaggio straordinario, di come non se ne vedono spesso: verde, roccia e legno delle poche case, le quali, per l’esiguo numero, non deturpavano il perfetto quadro che i marinai avevano la fortuna di ammirare dal mare aperto.

Quel mattino la prima imbarcazione ad attraccare nel porto era una nave di media grandezza, carica di viveri e marinai che ormai avevano quasi dimenticato il loro luogo di nascita, tanto avevano navigato.

Come qualcuno immagina, questi erano il genere di gentaglia che, finito il loro estenuante lavoro di carico e scarico, si dirigevano con la mente e con i piedi verso il locale più vicino dove si potesse trovare cibo, alcol e una qualche giovane in grado di divertirli, in cambio di un eroico e, il più delle volte, fantasioso racconto delle loro avventure fra le onde.

Infatti, per mezzogiorno, l’intero equipaggio si era rifugiato nella locanda del porto.

La confusione e le invenzioni cominciavano già ad aumentare, e tutti parevano aver dimenticato il mare per dedicarsi a ben altri piaceri.

Tutti tranne uno.

Un marinaio occupava un tavolo solitario sotto una finestra che dava sulla costa, punto in cui i suoi occhi spenti erano fissi.

Era un ragazzo di un’età che il suo volto faceva intendere molto più avanti di quanto in realtà non fosse.

Se ne stava appoggiato al ripiano di legno, con una mano le cui dita erano adagiate fra i capelli scarlatti e il cui palmo copriva, volontariamente, quel marchio di fuoco che tanto odiava avere.

Era la sagoma di una persona distrutta la sua, di un ragazzo divenuto troppo in fretta uomo, e non per sua volontà. Le labbra erano piegate dal rimpianto e la sua espressione rivelava, anche troppo evidentemente, un vuoto che gli riempiva il cuore.

Tale evidenza non era mai stata scorta, perché nessuno mai si era degnato di osservarlo.

Il suo nome era Gaara, e questo era tutto ciò che il marinaio sapeva di sé stesso con certezza.

  
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