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Autore: Nika L Majere    26/07/2014    2 recensioni
SPOILER TERZA SERIE!!!
Moriarty è tornato. Londra trema. E Sherlock è prigioniero di Baker Street.
Il gioco ricomincia e gli scacchisti sono pronti. Ma questa volta c'è molto, molto di più da perdere.
Sherlock è cambiato: la sua corazza è stata scalfita e ora ne deve pagare le conseguenze.
Attenzione: Sherlolly incontrollata.
"Per questo è bene evitare con cura le emozioni e tutto ciò che vi gravita intorno. Meglio affrontare le cosa da un punto di vista freddo e distaccato. Non è per sentimento che si cambia, ma per il secondo principio della termodinamica.
Esso cita: «Questo principio tiene conto del carattere di irreversibilità di molti eventi termodinamici, quali ad esempio il passaggio di calore da un corpo caldo ad un corpo freddo.»"
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Cinque - in cui si cerca il vero nome delle cose
 
Sherlock é immobile davanti all'infermiera del triage: ha smesso di ascoltarla ormai da un pezzo; lo sguardo percepisce appena i suoi movimenti concitati, un linguaggio del corpo probabilmente dissonante con il reale contenuto delle sue parole. Gli occhi del detective scivolano oltre, sospinti come una vela al vento verso altre terre che la donna non può vedere.
Non sono i numeri ciò di cui lui ha bisogno ora. Non sono dati snocciolati alla meglio su quanto alta sia la percentuale di salvezza di John Watson e nemmeno le rassicurazioni sulla bravura dell'equipe medica che lo ha preso in cura.
Sherlock naviga oltre, in un ventaglio di futuri possibili in cui contro ogni precedente aspettativa John c'é. Gli altri, quelli con la sua assenza avvertita negli angoli di una vita spigolosa e inaccettabile, evaporano lentamente; scoloriscono come foto sbiancate, aprendo buchi e voragini lungo la trama; lasciano spazio a nuove storie da raccontare: al gattonare di una bimba verso le braccia di suo padre, al profumo di torte di compleanno dalla glassa colorata e al sorriso di un uomo orgoglioso quando lei perderà il primo dentino. Immagini e suoni di qualcosa di così grande e inafferrabile da intimorire il consulente investigativo, tanto da terrorizzare ogni fibra del suo essere. Perché non c'è definizione che può racchiudere tutto quel sentire, e ridere, e soffrire, e suonare, e ballare, e amare di un amore così immenso da non volerne conoscere l’origine. È un qualcosa che non si può ridurre a numeri, per quanto c'è chi ci abbia provato. È un qualcosa che ti costringe a stare in prima linea sotto le luci della ribalta, perché quello è il tuo posto e te la devi giocare fino alla fine.
Lui ha paura di non aver mai compreso le regole di questo gioco.
Si chiama vita, Sherlock. Potresti viverla anche tu, se solo volessi concedertelo. Però, lo sai, questo è un gioco che non si gioca da soli.
Questo è ciò che non puoi accettare.
Il detective avverte alle sue spalle la presenza di Molly. É rimasta pietrificata, in bilico tra il sollievo e il disappunto, funambola su una corda instabile. Il sollievo é merito di John, il disappunto - come sempre - è colpa sua. Sherlock ne è consapevole eppure non si sente in colpa quanto dovrebbe per tutte le volte che le lascia intravvedere uno spiraglio prima di sbatterle la porta in faccia ancora una volta.
Molly dietro di lui si morde le labbra, come se volesse sorridere e al tempo stesso temesse di avere qualcosa incastrato tra i denti, quindi si trattiene. Spina di pesce conficcata in gola. La liberazione di sapere John salvo le ha reso le gambe molli, ma qualcosa le comprime la cassa toracica in una morsa. La pelle brucia là dove le dita dell'uomo avevano stretto le sue. La sua schiena immensa la lascia indietro. Lei ha perso il giusto attimo, ha mancato l'occasione e con essa il privilegio di potergli dare conforto.
Lo avverte chiaramente. Mattone dopo mattone. Senza guardarla negli occhi. Mai. Nemmeno per un secondo. Lui ricostruisce la sua fortezza. E lei rimane fuori.
"Faremo tutto il possibile, anche per la bambina"
L'infermiera sorride allegra, inconsapevole spettatrice di un dialogo senza parole che si sta consumando proprio davanti ai suoi occhi. L'essere umano é incline a ignorare ciò che non gli appartiene.
"Molto bene" Sherlock é una statua di marmo freddo e pallido.
Molly si fa avanti nel tentativo di compensare le sue mancanze, ringrazia calorosamente la donna e la prega di farle sapere al più presto quando sarà possibile fare visita al degente. "Sa, lavoro qui, al piano interrato. Questo é il numero dell'interfono. Grazie ancora. Grazie davvero"
Brancalo adesso o lascialo andare per sempre
È bastato un secondo per perderlo. La patologa si gira lanciando occhiate inquiete. Lo intravede scivolare lungo il corridoio mentre i pazienti e i medici paiono aprirsi come le acque del Mar Rosso al suo passaggio. Lo rincorre incurante della figura ridicola da pazza innamorata. Molly é abituata a dare spettacolo, a lei non importa di stare sotto i riflettori.
"Sherlock!" Il suo nome fluttua nell'aria e lo raggiunge come una brezza leggera. Il suo nome pronunciato da lei è qualcosa che lui non riesce mai a ignorare. Si volta, finalmente la guarda.
La determinazione dei suoi occhi blocca Molly sul posto. E lei comprende: ormai lui é già oltre, già immerso nella ricerca. Qualsiasi cosa abbia provato fino a quel momento è scivolato via, forse già cancellato o solo momentaneamente archiviato. Qualsiasi cosa stesse per dirgli poco prima ora non ha più importanza, sommerso dalla necessità di ottenere risposte di altro tipo. Cos'è successo e perché. The game is on.
La donna unisce le mani, accarezza il ricordo del tocco di lui. Deglutisce a vuoto, mentre si trattiene dal corrergli incontro e pregarlo di non andarsene. Invece gli sorride.
"Buon lavoro"
Lui si aggiusta il bavero del cappotto. Fuori ha preso a piovere una pioggia leggera.
"Grazie, Molly Hooper"
E in quel grazie, lei lo sa, è racchiuso tutto ciò che lui vorrebbe dirle ma non ha il coraggio di articolare in parole. A lei il compito di leggere fra le righe.
 
***
 
La luce del tramonto infiamma le pareti della stanza di un rosso vivo, mentre John apre gli occhi impastati dal sonno e dalla morfina. Si guarda attorno nel tentativo di mettere a fuoco ciò che lo circonda, ma tutto ciò che vede è solo il calore opprimente del crepuscolo.
«Sono morto.»
Lo pensa con tranquillità, prendendo l'asserzione come un mero dato di fatto. Gli hanno sparato. Hanno provato a salvarlo. Hanno fallito. Lui non è Sherlock Holmes che con un proiettile in corpo trova la forza di tornare dal regno dei morti. Lui è solo John Watson che diventa di nuovo vittima delle scelte sbagliate.
«Ah, chissà se Mary alla fine ha preso quell'integratore di vitamine... »
Erano andati insieme a fare la spesa perché Mary si sentiva troppo gonfia e spossata per muoversi da sola. "Devi consigliarmi sulla cura per questi ultimi giorni" gli aveva detto. Ma John era convinto che questa fosse solo una scusa per stare un po' insieme ed entrare nell'ottica di quanto poco mancasse all'inizio della loro nuova vita. Avevano perso mezz'ora davanti allo scaffale dei pannolini come se questi fossero la più incredibile opera d'arte della storia. John sorride ricordando come avesse provato imbarazzo all'idea di non saper usare un fasciatoio e di come Mary lo avesse preso in giro. Avevano svoltato allo scaffale successivo, ridendo.
Poi i colpi erano esplosi ravvicinati e impietosi.
L'urlo delle cassiere.
I vetri infranti delle bottiglie di vino.
Liquido bianco e rosso che si mescolava a quello più denso e cupo del sangue.
Mary che cadeva al suo fianco mentre si proteggeva la pancia con le braccia.
John stringe i denti.
Un dolore acuto gli infiamma il fianco sinistro.
La testa gira. Un conato di vomito lo fa contrarre in preda agli spasmi.
Tenta di piegarsi su se stesso e si rende conto con paura di avere degli strani tentacoli sottili che gli intrappolano le braccia. Prova a piegarle: una fitta sottile e liquida gli perfora l'interno del polso. John osserva il sangue scappare fuori dagli aghi che gli bucavano le vene.
"Dove sono?"
Il suono della sua stessa voce gli sembra irreale, distante, come se fosse una radio sintonizzata male. Ha la bocca asciutta: la lingua felpata si muove a fatica, incollandosi al palato. Che cose strane. Il dolore, la stanchezza, la sete. Sensazioni troppo vive per essere provate da un morto.
Poi il ricordo si spalanca davanti a lui: il suono delle ambulanze; i paramedici che si precipitavano a raccogliere i feriti riversi tra gli scaffali; Mary che strisciava verso di lui, la sua voce sottile e irrequieta.
Non morire Non lasciarmi Resta qui Sta arrivando
Sarai padre”
John spalanca gli occhi.
Mary! La bambina!!
Non è morto. Non può essere morto. Sarebbe una mancanza imperdonabile.
Però ci è andato tanto vicino. Ricorda di aver avuto un momento di debolezza, di aver pensato di essere stanco di quella vita troppo dolorosa e complicata. Tutto quell'affanno, combattere in guerra, rincorrere Sherlock, il vero nome di sua moglie a lui ancora sconosciuto. È così perché tu lo hai scelto. Il suo migliore amico porta in se una saggezza di cui nemmeno lui è pienamente consapevole.
Il suo migliore amico il miglior essere umano che io abbia mai conosciuto
Sua moglie di cui i problemi del tuo futuro sono un mio privilegio
Mrs. Hudson che se lasciasse Baker Street l'Inghilterra cadrebbe
Molly e Lestrade la fedeltà fatta essere umano
Mycroft il suo strano modo di dimostrare la sua protezione.
La bambina. La bambina. La bambina. La bambina.
“Dobbiamo ancora decidere il nome”
Aveva preso un respiro come se fosse riemerso dalle profondità dell'oceano.
John sente gli occhi bruciare a contatto con l'aria secca della stanza. Boccheggia come un pesce fuor d'acqua tentando di intrappolare nei propri polmoni quanta più aria possibile. Artiglia le lenzuola troppo inamidate e si innamora della loro consistenza ruvida sotto i polpastrelli. Si sente avido di ogni cosa. Anche del dolore che lo fascia stretto, sulla parte sinistra del corpo. Ne vorrebbe di più se questo servisse a dimostrare che è vivo. Il cuore rimbomba forte nelle sue orecchie, pompando sangue e ossigeno, costringendolo a chiudere gli occhi per non perdere di nuovo conoscenza.
Quando li riapre, la stanza d'ospedale è cristallina davanti a lui.
«Devo chiamare qualcuno»
Si volta incerto roteando gli occhi tutt'attorno. Non deve neanche perdere troppo tempo a cercare l'interfono che un'infermiera dal volto gentile apre la porta, forse richiamata dai vari bip che fanno i macchinari che, ora se ne rende conto, lo stanno monitorando.
"Ben svegliato, signor Watson. Come si sente?"
"Vivo"
Ed è meraviglioso dirlo ad alta voce.
"È un'ottima cosa. Ecco, beva questo" l'infermiera gli allunga un bicchiere colmo di acqua dall'aria freschissima. Lui lo prende con mani incerte imponendosi di non berla troppo velocemente.
John guarda quella donna come se fosse stata proprio lei a riportarlo in questo mondo. Il primo viso della sua nuova vita. Cerca di imprimerlo nella memoria il più fedelmente possibile, gonfio di una gratitudine che solo i sopravvissuti possono comprendere.
Ma la sua è una resurrezione incompleta: quello che conta ora è altro.
"Mia moglie.. Mia.. Mia.."
Fa fatica a concentrarsi su quel pensiero, così grande e incredibile: il nuovo punto fermo intorno al quale ruoterà tutto d'ora in poi. Tuttavia c'è una piccola incertezza che lo blocca dal domandare. Che scherzo sarebbe se lui fosse tornato mentre loro due fossero partite per mai più ritornare.
L'infermiera non risponde, ma gli sorride.
"Abbia un attimo di pazienza" si volta e scompare nel corridoio.
John si sente immensamente leggero. Una nuvola che vorrebbe librarsi nel cielo roseo racchiuso in questa stanza. Eppure i pensieri che si agitano nella sua mente lo zavorrano al terreno con ostinata tenacia. Nel tentativo di calmarli, il dottor Watson chiude gli occhi e comincia a contare.
Uno.. Due.. Tre.. Quattro..
Come si sarà sentita Mary dopo che lui ha chiuso gli occhi davanti all'oblio?
Cinque... Sei... Sette... Otto...
Qualcuno, oltre ai medici, si è preso cura di lei? E della loro creatura?
Nove... Dieci... Undici... Dodici...
E se lo shock e la paura avessero provocato danni?
Tredici... Quattordici...
Sherlock lo sa?
John spalanca gli occhi mentre precipita in un flusso di turbamento e aspettativa. Vorrebbe sapere per quanto tempo è rimasto incosciente: dalla gola secca e soprattutto dalla schiena anchilosata potrebbe azzardare almeno una giornata intera, ma forse potrebbe essere anche di più. Chissà se il suo ex coinquilino è venuto a trovarlo. Ammesso e non concesso che gli abbiano dato i permessi per uscire da Baker Street. A John sorge il dubbio su quanto Mycroft potrebbe essere magnanimo in un'occasione del genere. Si prende qualche attimo per riflettere, poi decide che sì, il maggiore degli Holmes lo concederebbe. C'è solo da capire come si comporterebbe il minore. E poi sua moglie. La signora Watson. Le avranno permesso di vederlo? Oppure per il bene di entrambi non l'hanno fatta avvicinare alle sale di terapia intensiva?
Il dottor Watson inspira a fondo, cercando di captare nell'aria qualche indizio, qualche traccia del passaggio in quella stanza della donna che ama. Potrebbe giurare di averne percepito il profumo. Oppure è solo fantasia. In questo momento anche solo la fantasia ha un effetto terapeutico su di lui.
Poi un rumore nel corridoio lo scuote.
La porta della sua camera si spalanca.
La luce del tramonto ha lasciato il posto a quella artificiale delle lampade, mentre un cielo terso brilla oltre i vetri della finestra riverberando sfumature blu e violette sul soffitto sopra di loro.
Lei è bellissima in quell'orribile vestaglia rosa.
"Signora Watson" John sorride con calore.
"Signor Watson" Mary è tesa nell'atto di frenare l'impulso di scattare da lui e baciarlo come se fosse la prima volta, ben consapevole che flebo, elettrodi e quant'altro salterebbero via come pop-corn se gli si gettasse tra le braccia. Ma John è così bello nella sua espressione di puro sollievo che la prova si rivela più ardua del previsto. Con un'occhiata rapida lo sguardo vola alla fasciatura che ricopre il suo fianco e le labbra si stringono in un moto d'apprensione. Quanto vicino è arrivato a sfiorare il confine della morte? Ma soprattutto, perché? La domanda le rimbalza in testa da troppo tempo per poterla sopportare oltre. Eppure lo sa: non sarà lei a trovare questa risposta. Sicuramente chi di dovere è già al lavoro.
Mary rialza lo sguardo: suo marito la sta osservando con assoluto stupore negli occhi. Lo vede sbattere le palpebre e sorridere, esalando la risata in quel modo tipico che gli appartiene. John apre la bocca per dire qualcosa, ma poi esita. Anche questo è un qualcosa di tipico che gli appartiene: Mary lo adora quando fa così.
"Non hai più il pancione"
"Già" la signora Watson sorride.
"Parto indotto?"
"Lo shock"
"Giusto" John annuisce più a se stesso che a lei. E se.. No, non è concepibile: Mary non starebbe lì in piedi a sorridergli se fosse successo qualcosa di irreparabile.
In un attimo lei è al suo fianco, gli sfiora la fronte con la punta delle dita prima di dargli un bacio leggero a fior di labbra, come se avesse paura di incrinarlo.
"Ho avuto una paura del diavolo" gli occhi della donna si riempiono di lacrime colme di sollievo.
"Ti amo" è tutto quello che John Watson riesce a dire. Tutta l'anima che di diritto appartiene a Mary racchiusa in due sillabe. Il dottore cerca la mano di sua moglie e la stringe forte per non lasciarla andare.
Lei lo guarda con occhi adoranti mentre si asciuga le guance con la manica della vestaglia. Annuisce. Quindi si volta e guadagna rapida l'uscita.
John rimane interdetto. Svuotato. Un così piccolo assaggio di riavvicinamento e già lei se ne allontana. Forse che farsi sparare e tornare dalla morte non sia abbastanza?
Ma Mary rientra nella stanza come un uragano solo mezzo secondo dopo. E lì, tra le sue braccia, la piccola Watson. La donna si avvicina al letto con passi rapidi incapace di frenare oltre la trepidazione. John fa alzare il letto quel tanto che basta per guadagnare una posizione semi seduta, mentre sporge il collo quasi fosse una tartaruga.
La vede e tutto il resto viene privato di senso compiuto.
Se mai ha fatto qualcosa di buono nella sua vita è stato solo per arrivare a questo momento.
"Posso?"
Mary stampa un bacio sulla testolina bionda, poi delicatamente posa tra le braccia di suo marito la loro bambina. Lui la tiene come se fosse una farfalla.
"Ciao" lo sussurra guardando sua figlia negli occhi. Le accarezza piano i radi capelli. La piccola si porta le manine alla bocca, l'imitazione incerta di un sorriso.
"Che nome le hai dato?" Il dottor Watson tira su col naso nel tentativo di ricomporsi mentre lancia un'occhiata alla moglie per poi tornare a guardare la bambina, semplicemente incapace di distogliere gli occhi da lei.
"Ho aspettato te" sussurra Mary. Il suo sguardo è limpido mentre lo dice.
L'uomo sussulta. Non solo perché questo significa che sua figlia non ha ancora una vera e propria identità; ma anche perché in quelle tre parole Mary ha racchiuso la sua totale fiducia in lui.
Non te ne saresti mai andato così. Non mi avresti mai lasciato sola.
John allunga una mano verso sua moglie, ben attento a non far cadere la piccola; le passa le dita tra i capelli fino a fermarsi sulla nuca. Gentilmente l'attira a se. Sente gli aghi delle flebo tirare e pizzicare, ma non importa.
Questo è il loro primo bacio. Il primo bacio fa sempre un po' male.
Mary chiude gli occhi, come fanno le spose la prima notte di nozze.
John sente il cuore gonfiarsi a dismisura e imprigionare tutti loro, le flebo, gli elettrodi, la stanza stessa.
Si staccano chiedendosi perché gli amanti abbiano bisogno di respirare.
"Sarà il caso di dargliene uno, allora" John torna a guardare sua figlia, che ha preso a ciucciare un lembo della coperta che la avvolge.
"Io ho un paio di idee"
I coniugi Watson si scambiano un'occhiata complice mentre sorridono.
 
***
 
Ore 6.48pm.
Sherlock Holmes seduto in poltrona pizzica con gentilezza le corde del violino. Lo sguardo affilato che pare bucare la realtà. Il respiro profondo e regolare, meditativo. Chiude gli occhi.
 
Ore 6.49pm.
I suoi passi risuonano lungo le corsie vuote e gli scaffali del supermarket, lenti e cadenzati.
Alla sua sinistra sfilano le casse chiuse, le luci spente. Prodotti abbandonati sui nastri trasportatori. Alla sua destra gli scaffali.
Oltre le casse uno spazio più ampio sul quale si affacciano un negozio di elettronica, una caffetteria, una libreria. Un ennesimo, scontato tempio del consumismo che per mezz'ora ha avuto il privilegio di diventare palcoscenico di una tragedia.
Inspira: odore di metallo. Sangue?
L'eco di spari. Quello più assordante delle urla. Riverberano intrappolato dal soffitto bianco illuminato dalle luci accecanti. Esita in ascolto.
Riprende a camminare. Un passo. Due passi. Lo scricchiolio di vetri infranti sotto i suoi piedi.
Inspira: alcol, vino e vodka. Sangue.
Due corpi. Non due cadaveri. Irrilevanti.
Riprende a camminare. Il pavimento è appiccicoso di detersivo.
Candeggina. Sapone in polvere.
Altri corpi. Alcuni cadaveri. Rilevanti. Sparsi tra le corsie come un mazzo di carte.
13 spari. 9 a segno. 6 morti. No.. 7.
Sono tutti importanti? No, solo uno lo è. Al massimo due. Solo quelli che contano.
Associazione di idee.
Profumo troppo dolce.
"Non è il momento"
"Fosse per te non lo sarebbe mai" il tono è seccato? lo supera, si piazza davanti a lui, allarga le braccia "Cosa vedi?" Il camice bianco la drappeggia come un mantello.
Molly Hooper "Vedo te" ti trema la voce?
"No. Concentrati.” Voce morbida “Che cosa vedi?"
Corpi senza volto. Fantocci vuoti..
Linea di tiro. Angolazione. Distanza massima. Quanto veloce viaggia un proiettile?
Alza lo sguardo "Una linea di finestre al primo piano"
"Esatto" lei sorride orgogliosa di lui. Perché tu sei il suo San Giorgio. Per questo lei non ha paura dei draghi. Tu lo sai e desideri quel sorriso che è solo per te. Il detective ricambia.
"Ora però devi rispondere al cellulare" non è Molly a parlare. Lui si volta: il dottor Watson si avvicina con due bottiglie di vino in mano e una rosa di sangue che si apre sul suo addome. Parte sinistra. Stessa altezza. Voi siete due specchi, lo sapevi?
"Sherlock, dobbiamo festeggiare"
Sulle etichette spiccano nomi importanti: dolce o secco?.
"Allora, rispondi"
 
Ore 7.05.
Sherlock apre gli occhi. Sbatte le palpebre un paio di volte per tornare completamente nel proprio appartamento. Il violino ancora tra le mani protesta quando viene lasciato da parte.
Afferra il cellulare, facendogli compiere mezzo giro in aria prima di controllare lo schermo: sei chiamate perse. Due da Mary, quattro da Molly. L'ultima è di due minuti prima. Un messaggio.
 
John è sveglio. Molly
 
Tentazione di richiamarla, sentirla dopo 24 ore di ottuso silenzio - da parte sua - e di stoica comprensione - da parte di Molly. Che suono potrebbe avere ora la sua voce? Dopo che ha quasi... La tentazione viene cacciata via.
 
Ne sono lieto. SH
 
La cosa più impersonale dell'universo per siglare la più personale delle asserzioni. Poi Sherlock si riscuote come se avesse preso una scossa.
 
Quale nome? SH
 
Passa un tempo infinito prima che giunga una risposta. Che tuttavia non arriva dalla patologa: il telefono squilla con il numero di Mary sul display.
"Felice che tu ti renda partecipe delle nostre vite!"
"Io sto lavorando per le vostre vite, non dimenticarlo"
"Certo, certo.. Senti, se ce l'hai, versati un bicchiere di spumante e brinda con noi." Il tono forse vuole essere scherzoso, ma in qualche modo passa anche lo scontento di non averlo lì con loro.
"John non dovrebbe bere: l'alcol potrebbe reagire con la morfina e causargli un arresto cardiaco."
"Sei sempre così premuroso... A proposito, John vuole sapere come facevi a conoscere i tempi delle varie fasi del parto" il tono divertito di una presa in giro che suona tanto come un ringraziamento.
“Beh, sapevo che lui avrebbe fatto dei danni, quindi mi sono preparato per ogni evenienza” Prego
“Non dirmi che avevi anche una sala parto improvvisata a Baker Street”
“Mi avvalgo della facoltà di non rispondere” Sherlock sorride al cellulare; Mary ride, incapace di contenere la gioia.
"Ah, ti saluta Molly"
Il sorriso del detective scompare.
Ti saluta. Però ha dovuto farlo dire a qualcun altro. "Dille che ricambio"
Troppo azzardato? Ormai poco importa. Mary però non é idiota: avrà già compreso da quello scambio di parole tutto ciò che poteva nascondervisi. Anche quello che Sherlock stesso ha deliberatamente deciso di ignorare.
"Ok... Quanto sei curioso?" Repentino cambio di argomento. Sveglia, acuta, deliziosa Mary.
"Come un bambino"
Lei ride "oh, beh.. Niente di nuovo insomma. Va bene, te lo dico, ma tu non devi gongolare!"
Il nome viene sussurrato come fosse un incantesimo.
E anche se con la sgradevole sensazione di aver sbagliato qualcosa, Sherlock non può fare a meno di sentirsi felice.
"Ann Caroline Watson"*
 
***
 
La piccola Watson si rigira nel suo lettino oltre il vetro della nursery. Papà ora dorme sereno, mentre la mamma la osserva ancora per un po', incapace di concepire appieno che quella creatura è proprio opera sua. Beh, non solo sua, certo.
Mary la guarda e decide di fare una promessa: qualsiasi cosa accada, qualsiasi sia il futuro che le verrà riservato, lei si impegnerà affinché sua figlia diventi una persona buona.
 
 
 
 
 
 
Note
Chiedo umilmente perdono – si prostra ai vostri piedi, fronte al pavimento.
Ho avuto un po’ di impicci in università, senza contare che sono in piena scrittura tesi. Quindi ho dovuto trascurare il mio interesse primario, con tutto il ritardo che ne consegue.
Purtroppo sarà così fino alla laurea… che spero avvenga in tempi rapidi!
Ma ho fatto voto: questa fic verrà conclusa, dovessi finirla nel 2020 (anno in cui probabilmente terminerà ufficialmente anche la serie… noi tapini)!!
Or dunque, la scelta del nome: spero piaccia.
*Questa è da spiegare, perché il giro è lungo e contorto.
Girando su internet si possono trovare varie speculazioni teoriche sull’origine del personaggio di Sherlock Holmes, basandosi su persone realmente esistenti all’epoca di Sir Conan Doyle. Tra le varie teorie, una in particolare ha attirato la mia attenzione: il signor Holmes avrebbe origini italiane, ma nome francese. E, rullo di tamburi, si tratterebbe di una donna!! Per la precisione di nome Charlotte. In effetti l’assonanza con il nome c’è.
Senza diventare matta a cercare un fondamento di verità, ho preso Charlotte e l’ho tramutato nel più inglese Caroline. Quindi a tutti gli effetti alla fine l’anno chiamata Sherlock!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante la lunga attesa.
Il sesto è già quasi concluso ma domani parto, quindi pubblicherò a settembre… abbiate pazienza e fate tanti castelli di sabbia nel frattempo <3
Buona estate a tutti!!!
  
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