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Autore: akiremirror    26/07/2014    2 recensioni
Dopo aver risolto la questione Slade la vita di Oliver e Felicity riprende, come se tutto fosse tornato normale. Ma non è tutto davvero normale tra loro, c'è qualcosa che deve essere ancora affrontato, capito e chiarito... i loro sentimenti.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono in alcun modo; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro
 
Profumo
Parte 1

Erano usciti dal covo insieme, quella sera, ed era capitato un po’ per caso, un po’ perché Oliver aveva bisogno di rimanere con lei e il suo chiacchiericcio strampalato per distrarsi dalla preoccupazione di quella strana nuova banda che imperversava nelle strade di Starling City e che colpiva senza troppi problemi anche di giorno. E lui di giorno non poteva essere l’incappucciato.
Così aveva aspettato che Felicity fosse pronta per rientrare a casa, dopo l’ennesima serata a perlustrare la rete a caccia di indizi.
E ora eccoli lì, a camminare per strada senza troppa fretta di arrivare. Per raggiungere la casa di Felicity ci voleva un po’, ma a nessuno dei due sembrò pesare. L’unica cosa che preoccupava Oliver era la bella serata, serena, faceva ancora caldo e qualcosa in lui diceva di stare all’erta, di preparasi al pericolo.
Stavano per lasciare The Glades ed entrare nel quartiere residenziale in cui abitava Felicity quando lei si accorse di qualcosa di strano. Oltre l’angolo c’era un gruppo di sei uomini, intenti a parlare tra loro, non degnavano di uno sguardo né lei e Oliver, né le poche altre persone di passaggio. Ma uno di loro indossava un giubbotto particolare, uno di quelli che lei aveva visto in video addosso a un membro della banda su cui stavano indagando.
Afferrò la mano di Oliver per attirare la sua attenzione e gli si accostò, come se volesse aggrapparsi al suo braccio.
“Banda” sussurrò, sorridendogli come se stessero parlando di come organizzare una gita nel fine settimana.
Lo sentì irrigidirsi e spostare sul gruppo lo sguardo che conosceva così bene, quello di Arrow.
Felicity sapeva che Oliver avrebbe voluto catturarli al volo, ma non era prudente che Oliver Queen, e non Arrow, si mettesse a combattere in mezzo a una strada. Ma dopo un paio di secondi si accorse che il suo compagno stava esitando, e una vaga espressione interrogativa gli si era dipinta in volto.
Gli strinse un po’ la mano di nuovo per attirare la sua attenzione e lui si chinò appena verso di lei, senza distogliere lo sguardo dal gruppo.
“Non sono soli. Un paio di quelli a destra sono spacciatori, non credo abbiano a che fare con la banda…”
“Quindi non sono neanche tutti” aggiunse Felicity, “se due sono spacciatori, e la banda è formata da sette persone, qui ne abbiamo solo cinque. E forse addirittura quattro. Quello piccolo un po’ nascosto non l’ho mai visto nelle riprese delle telecamere che abbiamo recuperato.”
“Ok, allora andiamocene da qui, non voglio attirare la loro attenzione, ma domani rintracciamo gli spacciatori e li facciamo parlare.”
Felicity rise, come se lui avesse fatto una battuta e lo strattonò.
“Oliver!” sibilò sorridendogli “Se non vuoi attirare la loro attenzione smetti di fissarli! Un paio ci stanno già guardando in modo strano!”
Era vero, se ne accorse anche lui, ma aveva l’impressione che in verità stessero guardando lei. Faceva caldo, e già a Felicity piacevano i vestiti corti… però di sicuro non era il caso di correre rischi, doveva far credere a quegli uomini che loro due non erano una minaccia, ma semplicemente due persone a passeggio la sera.
Prese Felicity sottobraccio e le sorrise a sua volta.
“Dobbiamo scrollarci di dosso i loro sguardi, e far credere di non essere interessati a ciò che fanno…”
“Allora la cosa migliore è continuare lungo la nostra strada, li sfioreremo, e andiamo con calma, così vedranno che non abbiamo nulla da temere.”
“Sì” rispose lui, dubbioso “però ho guardato nella loro direzione per troppo a lungo… che cosa c’è di là? Ti viene in mente nulla che si possa usare per coprirci?”
“C’è un negozio di abbigliamento, un vicolo di servizio e poi altri negozi di cui non ricordo il genere…”
“Abbigliamento da donna?”
Felicity annuì e lui sorrise di nuovo, erano a pochi metri dal gruppo.
“Va bene, fammi vedere cos’hai visto” disse ad alta voce, quasi ridendo “però non stare mezz’ora davanti alla vetrina, ti prego!”
Felicity colse senza problemi il suggerimento e annuì con aria soddisfatta.
“Promesso!”
Non potevano non averli sentiti, e quando si fermarono davanti alla vetrina lei indicò un paio di cose a caso.
“Riesci a capire se hanno intenzione di muoversi stanotte?”
“No, dobbiamo rimanere nei paraggi… ma non possiamo rimanere incollati alla vetrina per troppo, non ci crederebbero.”
“Però tu li senti? Io faccio fatica…”
“No, posso farcela.”
“Allora è facile” disse lei, ma il suo tono trasmise un messaggio diverso. Afferrò Oliver per una mano e lo trascinò oltre l’angolo del negozio, nel piccolo vicolo di servizio. Lo aveva fatto con aria civettuola, nella speranza di dare l’idea di volersi appartare con il proprio compagno, ma sapeva che avrebbe potuto essere rischioso. Perché aveva tenuto Oliver per mano per troppo tempo, quella sera, e non riusciva a togliersi di dosso la sensazione terribile e così a lungo agognata di essere qualcosa di diverso dalla sempre disponibile esperta informatica del team Arrow.
Anche se era solo per finta.
Di nuovo.
Oliver si appiattì al muro, e per un paio di secondi andò tutto bene, poi un paio di ragazze dall’aria allegra passarono proprio davanti al vicolo. Solo una delle due diede un’occhiata perplessa alla coppia acquattata contro il muro, ma in compenso Oliver e Felicity sobbalzarono.
“Rischiamo di farci beccare. Posso sentire abbastanza quello che dicono, ma non li vedo, se si muovono verso di noi non avremo il tempo di inventare nessuna scusa.”
E c’era un’unica soluzione, passò per la mente di entrambi, ma solo Oliver parve non avere problemi.
Allungò una mano verso Felicity, che si maledisse mentre l’afferrava e si lasciava appoggiare contro il muro, proprio vicino all’angolo, dove fino a un momento prima era stato Oliver. E lui le si mise di fronte, vicino, troppo vicino per i gusti di Felicity.
La ragazza chiuse gli occhi e abbassò leggermente la testa, non era necessario che lui vedesse quanto stava arrossendo. Certo, fingere di pomiciare in un vicolo poteva essere ciò che aveva sperato per una frazione di secondo, ma non ci impiegò troppo a rendersi conto che era una cosa che stava mettendola troppo alla prova.
Dannazione, lo desiderava. E lo desiderava così tanto che faceva perfino male respirare, ad averlo così vicino.
“Qualcuno di loro è stato ferito…” le bisbigliò all’orecchio Oliver, concentrato sulla banda.
Felicity deglutì prima di rispondere, per essere certa di non avere una vocina da ragazzetta cotta.
“Non risulta dai video. Se non hanno fatto nulla che noi non sappiamo, allora è una ferita provocata da altre attività. Magari è andato in ospedale…”
“Da quello che dicono pare di sì… dobbiamo controllare anche questo, ma non…”
Non finì la frase, afferrò Felicity alla vita e nascose il volto tra i capelli di lei, mentre davanti al vicolo passavano alcuni membri del gruppo.
“A me non piace stare senza far nulla!” sbottò uno di loro.
“Dovrai fartelo piacere e basta! O tutti o nessuno, e non combinare casini, ci siamo intesi?”
Oliver sentì solo queste due frasi, poi una serie di rimbrotti scherzosi e le voci che si affievolivano per la lontananza.
Poi tutto all’improvviso divenne strano. In verità se ne era accorto anche prima, ma aveva cercato di non prestarci attenzione, però ora era impossibile tenere la testa concentrata su altro… perché sapeva che il profumo che sentiva era di Felicity, ma ora era così vicino a lei che non poteva isolare la sensazione e basta. Ed era una delle cose che più lo facevano vacillare, ogni volta che erano vicini. Perché sapeva di casa, di risate e tranquillità, di qualcosa di morbido e leggero, rassicurante.
No, non esisteva un odore che fosse tutto questo, non uno di quelli artificiali, ma il suo sì.
E ora lei era tra le sue braccia, immobile e con le mani leggermente posate su lui, così da lasciarlo libero di agire in caso di necessità. Però non c’era nessuna necessità di muoversi, di spostarsi da lì, di staccarsi da lei.
Una voce antipatica nella sua testa gli disse che in verità una ragione c’era, anzi, che non avrebbe dovuto essercene nessuna per rimanerci, ma lui non riusciva a muoversi, paralizzato, con improvvisamente la paura perfino di respirare.
Si scostò appena, solo con il volto, e la vide tenere la testa bassa, senza fiatare, senza allontanarlo. Sapeva come lui che era tutto finito, ma rimaneva ferma immobile. Stava succedendo anche a lei di non riuscire a fare altro?
Riavvicinò appena il volto a quello di lei, sfiorandole una guancia con il naso, e perdendosi nella sensazione che non riusciva a isolare. Si sentiva come se qualcuno avesse fatto sparire la strada da sotto i suoi piedi, l’unico contatto che sentiva, quasi come se bruciasse, era quello del corpo di Felicity che stava tenendo ben saldo tra le sue braccia.
E il gesto che aveva fatto, davvero, non voleva essere una provocazione, ma non aveva resistito, voleva altro contatto, voleva non allontanarsi dal suo profumo, voleva... voleva quello che non immaginava di volere.
Ma quel gesto aveva scosso Felicity, che alzò il volto come se dovesse rispondere a una domanda diretta. Così quando Oliver ebbe addosso lo sguardo confuso di Felicity, si ritrovò spiazzato, non aveva immaginato che lei potesse rispondere positivamente... in verità non aveva pensato affatto, così come stava continuando a non pensare. Perché si stava veramente chinando verso di lei, stava davvero lasciando che il suo respiro accelerasse appena, come se fosse la prima volta.
E stava quasi per baciarla, quando una moto sfrecciò così rumorosamente nella via da farli sobbalzare e allontanare.
Felicity distolse rapidamente lo sguardo e si drizzò, aggirandolo appena.
“Ah... devo proprio rientrare, ora. Domani mattina non posso arrivare tardi al lavoro, sai, il nuovo capo... Però vedrò di fare il prima possibile un controllo nei registri degli ospedali, se c’è qualcosa dovrei riuscire a saperlo per domani sera...”
Detto questo, e sempre cercando di evitare il più possibile di guardarlo, guadagnò il marciapiede della strada principale.
“Felicity!” la chiamò Oliver, ma con un tono che sfiorava la supplica.
“Dimmi.”
La ferrea resistenza di lei lo lasciò quasi senza forze.
“Sei sicura di non volere che ti accompagni?”
“Sì, non manca molto, stai tranquillo. Del resto, ormai la parte brutta di The Glades è andata, di solito da qui è tutto relativamente tranquillo, se escludi le bande di rapinatori seriali che si radunano sui marciapiedi.”
Sorrise come a sdrammatizzare, si girò e se ne andò, lasciandolo con addosso un inutile senso di rassegnazione. Quando fu sparita dalla sua vista, si decise anche lui a tornare sui suoi passi e a recuperare la moto per tornare a casa.
 
*
 
Aveva quasi raggiunto il covo, di nuovo, e gli pareva fosse passato un secolo da quando lo aveva lasciato. Perché quello che era capitato e stava per capitare con Felicity gli sembrava appartenere a un altro mondo, alla vita di qualcun altro… alla sua non sarebbe potuto appartenere, non era innamorato di lei. Giusto?
Si mosse a disagio, prendendo un bel respiro mentre si rendeva conto che qualcosa non andava. Non ne era innamorato… allora perché reagiva così ogni volta che sentiva il suo profumo, perché adorava il modo in cui gli teneva testa quando litigavano, perché se aveva bisogno di ritrovare la via chiedeva sempre a lei? E, soprattutto, perché quando Felicity gli aveva detto che aveva passato un intero fine settimana a Central City con Barry, per poco non spezzava la freccia che stava affilando?
Si fermò e fissò un punto indistinto davanti a lui. Che cosa desiderava? Poteva immaginarsi mentre portava a termine quello che poco prima non gli era riuscito? Poteva immaginare di baciarla?
Per alcuni secondi gli mancò il fiato, poi serrò la mascella e si stropicciò la faccia con le mani.
“Sono un idiota! Che cosa ho fatto…”
Parlò al vento, perché con nessuno avrebbe potuto far uscire quelle parole. Sapeva che quello che lui stesso aveva appena messo a fuoco con chiarezza era pericoloso, per lei che poteva ritrovarsi davvero presa di mira solo per colpire lui, e per lui stesso, perché se pensava anche solo per un attimo di tenersela accanto come desiderava perdeva lucidità. E non poteva permetterselo.
Raggiunse la moto in fretta, deciso a usare la velocità per lasciare indietro il proprio amore, ma non era certo avrebbe funzionato.
  
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