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Autore: Zia Heya    26/07/2014    3 recensioni
Anno 251. Bolton D. Phil è appena stato promosso con il titolo di Commodoro Suzaku. E' giovanissimo, ma ha forti ideali. O per lo meno così crede. Un giro d'ispezione nella prigione d'Impel Down ed un mistero. Un luogo dove gli sarà impedito accedere. Un luogo che lo cambierà radicalmente. Una persona.
.-.-.-.
Si guardò attorno. Non aveva paura, non poteva, no di certo... era incuriosito, piuttosto. Cautamente incuriosito.
-E’ arrivata la merenda.-
.-.-.-.
Consciamente e inconsciamente sapeva che era sbagliato. Il Governo Mondiale insegue gli ideali giusti ma talvolta in modo sbagliato, aveva avuto modo di constatarlo. È quello che aveva fatto il giovane Suzaku. Aveva deciso di inseguire il suo ideale giusto di conoscenza… disobbedendo.
 
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno a tutti, One Pieceiani (?)! Questa One short è… piuttosto particolare. Parto con il dirvi che è ambientata in un futuro distante, ma non troppo, dalle avventure classiche di One Piece. Ha un significato piuttosto profondo, per il personaggio principale, che avrete modo di conoscere ^^ Che dire… ulteriori dubbi li chiarirò a fine capitolo; per ora…

Buona lettura.     
            
 
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-Eccoci arrivati, Commodoro. Prosegua con molta cautela, se avesse bisogno di qualcosa non esiti a farcelo sapere tramite il Lumacofono.-

La voce del Marine risuonava bassa ma decisa nei bui antri del Livello Sesto della prigione di massima sicurezza Impel Down. Il ragazzo si limitò ad annuire, distratto. Il tempo di un saluto militare e la guardia era già sparita. Bolton D. Phil, conosciuto con il titolo di  Commodoro Suzaku, era fresco fresco di quel così rispettoso ruolo. Era un ragazzo giovane, vent’anni appena, ma con una forza fuori dal comune. Era capitato tutto molto velocemente: nuovo incarico, flotte da comandare e tour ad Impel Down, senza che gl’avessero specificato il motivo. Si sentiva parecchio stressato, ma non sprovvisto, era al corrente che all’inizio sarebbe stato tutto saettante e caotico attorno a lui. Ed eccolo, finalmente al Livello Sesto di quel soffocante, angusto inferno. Si era informato, sapeva tutto circa quella prigione. Livello per livello, ogni forma di tortura. Ogni detenuto. Conosceva i nomi e i volti di ciascun detenuto sino alle loro taglie. Quello che si può definire primo della classe, Suzaku, ecco cos’era. Memoria di ferro. Ma qualcosa non poteva conoscere il giovane, no, nemmeno lui. Memoria di ferro, ma fino ad un certo punto, fin dove gl’era permesso. Molto lodato dalla Marina e dal Governo Mondiale, che fin da subito non si erano fatti troppi dubbi sul volerlo nelle schiere più alte della loro sponda, non avevano nemmeno dovuto penare troppo per convincerlo delle loro idee e farle passare per corretti ideali. Apprezzato per questa sua capacità di memorizzare tutto e subito, non poteva spingersi però oltre a quello che già conosceva. Poco sapeva sul Livello Sesto, ad esempio. Non aveva la benché minima idea a chi appartenessero quegl’ occhi tetri che lo scrutavano, indifferenti, iracondi, interessati. Non sapeva il motivo del perché sottili labbra ghignavano alla sua vista, perché altre s’increspavano in smorfie di disprezzo. Ma Suzaku, che stupido non lo era per nulla, sapeva perché in quel Livello, dove vi erano segregati i peggiori individui, la feccia del mondo, non vi fossero temperature torride o ghiacciai eterni, al contrario dei livelli soprastanti, perché, oltre a lui, non vi erano troppi ufficiali di guardia. A cosa sarebbero serviti, infondo? Ai trattamenti riservati ai detenuti dei livelli più alti avrebbero riso, quelli. No, la loro punizione era la solitudine e l’eterna prigionia. O la condanna a morte, s’intende. Quello era il luogo da dimenticare, il luogo che nessuno conosceva, che non andava conosciuto perché era da secoli ormai diventato tabù, perché quei luridi bastardi che vi soggiornavano avevano intralciato il Governo Mondiale. Solo questo gl’era stato detto. Solo questo gli bastava.
Si guardò attorno. Non aveva paura, non poteva, no di certo... era incuriosito, piuttosto. Cautamente incuriosito.

-E’ arrivata la merenda.-

Una voce bassa, roca, ironica. Alla sua destra, si voltò il Commodoro. Alla sua destra incrociò un volto tumefatto, dei capelli stopposi e una corporatura sproporzionatamente massiccia.
Gl’era stato dato un unico e pratico consiglio su come trattare quel tipo di detenuti. Ignorare.   Meccanicamente, si rigirò e proseguì in avanti, incontrando altre celle, robuste, piccole, grandissime. Fulminei si muovevano i suoi occhi smeraldi da un volto all’altro, da una stridula risata  ad espressioni vuote. Proseguiva moderato, Suzaku, i pochi suoni erano scanditi dai suoi decisi passi e dal fruscio del soprabito che il suo ruolo gli faceva indossare, lo stesso che lo faceva sentire isolato da quel senso d’ansia che inconsciamente lo stava avvolgendo. Atro e umido era come ora gli si presentava il percorso che seguiva, selvagge erano le grida che udiva, ma si impose di continuare a perlustrare la zona, poiché quello gl’era stato consigliato -o meglio, ordinato cordialmente- di fare. In modo impercettibile accelerò il passo intravedendo poi la fine del Livello, continuando a sentire sguardi sulla sua persona. Un muro dinnanzi a lui. Finito. Ispezione conclusa. Rientro. Era stato decisamente facile.
Meccanicamente il suo allenato cervello pensava, a ruota il suo corpo agiva, di norma.
Non quella volta. Le sue gambe, stavolta, non rispondevano.
Non si muovevano perché i suoi occhi avevano visto. Il Livello non era terminato. Un percorso piccolo, stretto. Freddo, diverso da quello piuttosto illuminato che aveva attraversato fino a quel momento. Fermo. Un tipo cauto, Suzaku, scaltro, curioso soprattutto. Prima di scendere al Livello Sesto, gl’era stato un ordine, un ordine preciso, non camuffato a consiglio; un ordine di quelli veri, di quelli che non accettano repliche, o fai in questo modo o fai in questo modo, punto.

Segui il percorso maggiore, non intrattenerti con i detenuti. Non lasciare il percorso maggiore. La vedrai giunto alla fine, una deviazione più piccola e più buia. Non andarci, Commodoro. Non andarci per nessun motivo. O non ne esci.

Il Livello Sesto era tutta una scoperta. Nessuno sapeva dell’esistenza di quel posto né tantomeno dei detenuti, poiché i nomi al solo pronunciarli scatenavano tormenti, angosce e rivolte. Erano quindi stati cancellati per mantenere l’ordine per cui tanto si batteva il Governo Mondiale. Nonostante fosse giovane, aveva capito e aveva degl’ideali da rispettare, gl’ideali in cui gl’avevano detto di credere, e se gliel’avevano detto, lui così doveva fare. Una caratteristica però possedeva il Commodoro, caratteristica che aveva sempre considerato un pregio, ma che in quel momento era incerto se considerarla ancora come tale: la curiosità. Grazie ad essa era giunto al ruolo che ricopriva, grazie ad essa la sua mente agiva in maniera perfetta e organizzata. Ma c’erano attimi in cui andava messa da parte. Momenti in cui… no, no, non bisognava cedere a questa sensazione così allettante. Eppure… qualcosa lo attirava, come una calamita attira un bullone. La sua parte razionale, quella fredda e grigia gli diceva di fermarsi. La sua parte conscia, quella che aveva sempre seguito. Una vocina però lo spingeva a compiere un passo, nella direzione sbagliata.

La nostra parte conscia è quella che analizza ciò che ci accade ed è quella parte che effettivamente è possibile controllare. La parte inconscia è la cisterna dove si accumulano tutte le sensazioni, positive e negative che hanno influenzato e che continueranno a influenzare i comportamenti. Non è possibile controllarla, ma la si può ingannare razionalmente.

Consciamente e inconsciamente sapeva che era sbagliato. Il Governo Mondiale insegue gli ideali giusti ma talvolta in modo sbagliato, aveva avuto modo di constatarlo. È quello che aveva fatto il giovane Suzaku. Aveva deciso di inseguire il suo ideale giusto di conoscenza… disobbedendo.
Un passo dopo l’altro, nella direzione errata. Un passo, pian piano, felpato e cauto, scandito fra un risolino di un detenuto e il ticchettio del suo orologio interiore.
 
Non seppe né l’effettivo tempo né il modo in cui si ritrovò a fronteggiare una cella non troppo diversa da quelle incontrate nel percorso principale. Era isolato, il Commodoro, troppo lontano dal percorso cui avrebbe dovuto seguire, troppo vicino ad una realtà decisamente ingombrante, lo sentiva. Era tremendamente buio in quel luogo appartato, ma i suoi brillanti occhi non ci misero molto ad abituarsi e a scorgere di più, oltre a quella prigione. Gocce d’acqua, impertinenti, scendevano incessanti, quasi a scandire un ritmo. Nessun’altra strada oltre quella che aveva percorso il giovane. In una sorta di nicchia, ecco dove si trovava. L’inquietudine che fino a quel momento aveva solo vagamente percepito, si faceva ora un po’ più presente. Non paura, ma sensazione, sensazione di qualcosa di molto, molto sbagliato. Incerto, avanzò di un passo più avanti, deciso a capire cosa ci fosse all’interno di quelle massicce sbarre di agalmatolite. Nonostante l’oscurità non gli desse più problemi, fece un’immensa fatica ad orientare lo sguardo oltre la cella. Non si vedeva assolutamente niente. Scrutò per altri veloci attimi, ma nulla. Una sensazione lo avvolse; sollievo.

-Bene. Non c’è nulla, posso andarmene.-

Non era da lui, oh, no. Suzaku il giovane, Suzaku con la memoria di ferro, Suzaku l’obbediente e il devoto al suo dovere non si comportava mai così. Affrontava il rischio senza timore, non poteva ritenersi soddisfatto se le cose non andavano come pianificato da lui. Cosa gli prendeva, dunque? Perché si sentiva così sollevato a non dover guardare in faccia un pericolo che nemmeno vedeva?  Si girò ed esitò un attimo. Era la cosa giusta. Gl’era stato detto di non andare in quella zona e aveva già osato troppo. Sospirò. Mosse il primo passo per tornare sul percorso principale, poi il secondo il terzo…

-Già te ne vai? Non mi fai un po’ di compagnia? È una tale noia qui.-


Per entrare nella Marina devi essere pronto a tutto. Questo era quello che gl’avevano sempre inculcato in testa. Forza, determinazione, integrità, virtù e fedeltà al Governo Mondiale. Gl’era stato fin da subito insegnato che non vi era spazio per lacrime, incertezza, paura. Ma cos’è la paura? Una percezione di qualcosa che può essere lesivo alla propria persona. Un’emozione primaria dell’uomo e dell’animale. Si può davvero ignorare un istinto presente comunque all’interno del proprio io? Si può davvero metterla da parte, la paura e tutti i suoi gradi?  Quello che all’inizio era timore nell’entrare al Livello Sesto –che lui aveva bellamente ignorato, giustificandola come curiosità-, si era trasformato in ansia, nel vedere quei luridi traditori imprigionati, ma gli bastava stringere il soprabito perché si ricordasse che certi sentimenti non erano ammessi. In seguito sempre quella sua dannata curiosità, che l’aveva spinto a seguire quella deviazione proibita e aveva provato paura. Sì, proprio paura. Aveva così deciso di tornare sui propri passi, auto convincendosi che fosse la cosa esatta da fare… poi… quella voce. Una voce che non scorderà molto facilmente, diversa da quelle dei prigionieri di quel livello. Una voce calma, un po’ arrugginita, ma comunque calda e morbida. Una voce maschile con un soffio d’impertinenza.

Panico.

Intensi occhi verdi sgranati all’inverosimile, espressione marmorea. Corpo rigido, gola secca. Gambe paralizzate. Attimi intensi, forse dieci secondi, forse un’ora. Cervello spento, memoria di ferro disattivata. Non un pensiero, non uno coerente. E sempre lei, la curiosità. Un istinto, pure quello. Positivo, negativo. Un motore, ciò che ci spinge a sapere, a conoscere sempre più. Ma qual è il limite? Fin dove effettivamente bisogna fermare quest’ingordigia? Quella vocina gli diceva una semplice e chiara parola.

Girati.

Cos’avrebbe trovato alle sue spalle? Disgustoso volto sfigurato, capelli sporchi, tunica a strisce bianche e nere scucita, barba incolta? Occhi piccoli, denti sgraziati e bocca derisoria? Deglutì. Cuore palpitante, corpo più leggero.
Plic, plic. Le goccioline continuavano a cadere da infiltrazioni qua e là. Lentamente, si girò.

E lo vide.
 
Plic, plic. Plic.


Continuava quel buio incessante. Un buio che si manifestava in tutta la sua incombenza e che si faceva notare, nascondeva tutto ciò che trovava sotto il suo spesso manto. Ma non lui. Lui, nemmeno l’oscurità osava sfiorarlo.
Tutto si aspettava di trovare alle sue spalle, il Commodoro. Tutto ma non quello. Si ergeva, dietro le grigie sbarre un uomo alto, molto alto, ad occhio e croce due metri. Non indossava la tenuta da carcerato e questo era sospetto, molto inusuale. Che dovesse essere giustiziato a breve? Un abito elegante, una sorta di tailleur pantalone, bianco candido e piuttosto aderente. Pelle color del bronzo, lucida e, nonostante non l’avesse toccata, il ragazzo era sicuro che fosse anche liscia. Capelli color dell’ebano incorniciavano un elegante viso magro e sottili occhi, come ammalianti pozze oscure, che insistentemente fissavano il giovane Marine, scrutandolo, analizzandolo. Denti bianchi contornati da carnose labbra chiare. Lunghe dita da pianista stringevano con grazia una sbarra. Nell’insieme gli venne in mente una parola per descrivere quell’uomo.  Meraviglioso. Una di quelle bellezze che non si incontrano per strada, passeggiando, né tantomeno in luoghi di comune frequentazione; qualcuno con un tale dono se ne sente parlare giusto nei libri di fiabe dei bambini, quando viene descritto un bellissimo principe o una bellissima fata. O ancora, in quelle leggende narrate da voci antiche che descrivono creature mistiche appartenenti a luoghi lontani e persi. Una di quelle bellezze che non si trovano certamente ad Impel Down, né al Livello Sesto.
Gli sorrideva quell’uomo, lo invitava ad avvicinarsi a lui, con un lento movimento dell’indice della mano sinistra; lo fissava Suzaku e gl’obbedì, senza nemmeno rendersene conto, altrettanto lentamente.

Vicino, pericolosamente vicino.

L’uomo si piegò leggermente nella sua direzione, in modo da raggiungere il metro e ottantadue del Commodoro. Lo scrutava, incuriosito.
 
-I tuoi occhi. Mi piacciono… mi ricordano… il mio Secondo.*-

Frase sussurrata a pochi centimetri da lui, morbida come il velluto. Nonostante la memoria dell’uomo si stesse probabilmente riconducendo al ricordo del suo Secondo, il suo vice, la concentrazione era comunque sul Marine.

-Sei un Commodoro?-

Il ragazzo riacquistò la sua integrità, persa per qualche momento cullato dalle parole dell’individuo davanti a lui.

-Bolton D. Phil, promosso con il titolo di Commodoro Suzaku.-

Puntò tutto sul suo onore. Pronunciò quella semplice frase come era sempre stato abituato a fare, con freddezza e determinazione. Sperava in questo modo di dimostrare di aver ancora contegno. No, non si sarebbe fatto manipolare da quel tizio. Non sapeva chi fosse. Non sapeva cosa volesse, non sapeva perché si trovasse in quella prigione così appartata né tantomeno sapeva perché fosse proibito avvicinarsi a lui. Non sembrava pericoloso, d’aspetto… ma aveva notato uno strano luccichio nei suoi occhi. Era giovane Suzaku, ma non stolto: il sorriso di quella creatura, per quanto bello e raffinato era falso. In tutto il suo insieme emanava un’aura fittizia, di diffidenza.

-Oh… sei in alto. Eppure sembri così giovane… quanti anni hai, Vermiglio** Commodoro?-

Ancora una domanda, ancora un sussurro. Le sue oscure iridi continuavano a scrutare il ragazzo, in cerca di qualcosa. Ne studiava i comportamenti, le movenze, il suo sbattere le palpebre e perfino il suo respiro, come a voler capire le sue intenzioni. Ed era sempre troppo vicino.
Ansia.

-Vent’anni.-

Secca, la risposta. Si ritrovò a pensare il motivo per il quale rispondesse a quelle domande, effettivamente banali. Non era tenuto ad avere conversazioni con i detenuti. Non doveva parlare con loro. Allora per quale motivo non riusciva ad ignorare quei sussurri come invece aveva fatto con gli schiamazzi degl’altri prigionieri?

-Ma pensa. Ti sei guadagnato un posto di prestigio. Io alla tua età… avevo fatto un po’ di guai. Un bel po’ in effetti.-

Seguì poi una risata breve, sgraziata. Il Commodoro sbarrò gl’occhi un istante per poi tornare alla normalità. Una pecca, una nota completamente sbagliata. Quello stridio emesso per poco non aveva nulla a che fare con la voce che l’uomo gl’aveva riservato fino a pochi istanti prima. L’individuo non si scompose per nulla; aveva notato la reazione del giovane, seppur durata un secondo. Sorrise di nuovo e tornò in posizione eretta, mantenendo il contatto visivo.

-Avvicinati di più-

Aveva poi sussurrato, avvicinandosi lui stesso maggiormente

-Dimmi qualcosa. Fammi un po’ di compagnia… è tanto che sono qui e non parlo mai con nessuno. Non
mi piace la solitudine, sai? È una noia… e non mi piace nemmeno starmene qui dentro-


Un languido struscìo contro le pesanti sbarre d’agalmatolite

-Sono uno libero… adoro il mare e l’aria aperta. Mi sto riscoprendo claustrofobico!-

Il Commodoro seguì i movimenti serpenteschi del corpo del prigioniero. Quella era la sua occasione. Poche domande e poi… se ne sarebbe andato. Nessuno avrebbe saputo di quella conversazione. Non capiva proprio perché in quella zona non potesse accedervi nessuno ma ormai il danno era fatto; era lì… tanto valeva dissetare l’incessante curiosità che ormai lo stava divorando. Una, due domande. E poi se ne sarebbe andato, fine.

-Chi sei?-

Semplice. Scontato. Quasi ridicolo. Un ridicolissimo “chi sei?”. Ma d’altronde… si era presentato solo lui, no? Non aveva la più pallida idea di chi avesse davanti.
Un gracidio, acuto. Un urletto, voleva essere. Sgraziato, come la risata di poco prima.

-Hai ragione… non mi sono presentato. Scusami, sai. Facciamo un giochino. Indovinalo tu chi sono.
Ovviamente ti do degl’indizi. Numero uno: che caratteristiche hanno i detenuti di questo livello?-


Oh, cazzo, no. Odiava quel genere di approccio. Era chiaro che cercasse di rubargli del tempo e trarlo in inganno. Ma sapeva che probabilmente sarebbe stato anche l’unico modo per ottenere informazioni da lui. Anche se si dimostrava cordiale e socievole, era chiaro che qualcosa nel suo meccanismo mentale non funzionasse correttamente. Era certo quasi al cento per cento che se non fosse stato a quel suo gioco, le cose per lui si sarebbero messe male. Decise di starci, ma sapeva di dover ragionare in fretta. Il tempo a sua disposizione per rimanere al Livello Sesto era ancora poco. Che caratteristica avevano i prigionieri di quel luogo?

-Chiunque si trovi qui ha creato enormi danni al Governo mondiale. La taglia supera i cento milioni
di Berry. La pena a loro riservata è l’ergastolo o la condanna a morte.-


Scattante, agile, meccanico. Ecco com’era Suzaku.

-Bravo! Un altro indizio: sono già stato qui tempo fa e… questo ha causato qualche problemuccio ai piani alti.-

Come? Era già stato in quel luogo tempo prima? Osservò il volto dell’uomo: non sapeva effettivamente dargli un’età. Erano probabilmente una trentina o giù di lì… e poi come aveva fatto a trovarsi ad Impel Down e ad essere stato rilasciato per poi tornarvi di nuovo?
Non vedendo reazioni da parte del Marine, l’individuo si abbassò nuovamente alla sua altezza. Gelide dita affusolate toccarono la guancia del Commodoro che si irrigidì all’istante.

-Io… so cos’è successo nei cent’anni di vuoto.-

Suzaku impallidì. Lo fissò ad occhi sgranati, molto più che incredulo

-E questo è grave Commodoro… nessuno deve sapere.-

L’ennesimo sussurro, stavolta più marcato, proprio con l’intento di non farsi sentire.

-Il Governo Mondiale non vuole che si sappia… si è impegnato molto affinché nessuno e dico nessuno… venisse a conoscenza. Sì, si è proprio impegnato, ma… io so tutto!-

Rise per l’ennesima volta, se possibile in maniera ancor più raccapricciante. Uno sghembo ghigno deformò il suo bel viso e il taglio degl’occhi si ampliò. Come faceva a sapere dei cent’anni di vuoto?! Com’era possibile? Il Marine non si mosse e la sua mente tentava inesorabilmente di metabolizzare le informazioni. Chi era quella creatura? Chi diavolo poteva essere?!
Taglia superiore a cento milioni. Già stato ad Impel Down. Conoscenza dei cent’anni di vuoto. Alto, carnagione bronzea, capelli e occhi neri. Bellissimo. Rifletté. Se conosceva gl’Anni Bui, doveva per forza avere una grande cultura; l’unico modo per sapere qualcosa di quel periodo era decifrare la lingua antica dei Poignee Griffe. Doveva essere un archeologo o uno storico… oppure… avere al proprio fianco qualcuno che li traducesse per lui.

-Se sei qui dentro perché conosci la Storia… allora evidentemente te lo meriti. Il Governo Mondiale sa cos’è giusto fare. È vero, alle volte utilizza metodi poco ortodossi per ristabilire l’equilibrio ma… alla fine va bene così.-

L’uomo di fronte a lui sbatté le palpebre. Sorrise.

-Hai ragione. Il Governo Mondiale ristabilisce l’equilibrio. Sei per la Giustizia Assoluta, vero? Non importa il mezzo, ma il risultato. Morte, morte di tanti civili. Ma alla fine del tunnel, c’è l’equilibrio, la pace. Devo però correggerti, Commodoro. Io non sono qua dentro solo per questo motivo. E la mia taglia è decisamente più elevata di cento milioni. Conosci le Armi Ancestrali? Ho fatto un pasticcio pure con quelle, sai?- mormorò poi, con viso imbronciato di inesistente imbarazzo.

Assurdo. Le Armi Ancestrali? Quest’uomo aveva utilizzato le Armi Ancestrali?! Ma se così fosse stato… il mondo sarebbe stato stravolto! Eppure… recentemente non era successo nulla di tale importanza, da nessuna parte del mondo, né tanto mento sulle Lune satelliti***. Il Marine si insospettì. Si stava prendendo gioco di lui, forse? Ricercando nell’archivio della sua memoria, sapeva che dall’ultima volta che le armi ancestrali furono utilizzate erano passati all’incirca duecento anni… ed erano in seguito andate disperse. Poseidon, Uranus e Pluton, tutte e tre. Che fossero state ritrovate? No… assurdo. Non era fattiblile.

-Cazzate. Mi stai raccontando un mucchio di balle. Credo che tu mi abbia sottovalutato… conosco le Armi Ancestrali e so chi le utilizzò, due secoli fa.-

Stava rischiando. Sapeva che se probabilmente avesse usato quel tono l’individuo dall’altra parte si sarebbe alterato. Ma per il momento non parve risentirne troppo, il moro.

-Oh… a sì? E chi le utilizzò?-

Aveva utilizzato una tonalità vocale rilassata, ma curiosa. Era come se pendesse dalle labbra del castano Commodoro per una risposta. Suzaku schiuse le sue, di labbra, sul punto per pronunciare il nome maledetto.

Biru-biru. Biru-biru. Biru-biru.
Il Lumacofono portatile trillò. Era una chiamata da parte del direttore di Impel Down

-Commodoro Suzaku, la preghiamo di ritornare nella stazione di comando. Il capo –carceriere scenderà a breve per riaccompagnarla in superficie.-
-Ricevuto.-


Il castano osservò per l’ultima volta l’uomo che ricambiò lo sguardo.
-Ti chiedo scusa Commodoro. Ti ho intrattenuto più del necessario… va’ ora. E torna presto, ti aspetto.-
Così dicendo, il detenuto si rimise in posizione eretta e si voltò.

-Fermati! Non mi hai risposto! Non mi hai detto chi sei.-

Detestava che le cose non andassero come pianificava. Il tempo era scaduto e non aveva ottenuto quello che voleva. Il prigioniero si voltò sorridente e gli porse due fogli di carta spiegazzati.

-Il foglio marrone è la mia taglia. Il foglio giallognolo è… un piccolo sfizio che mi sono permesso di portarmi con me. Un ricordo. Te li regalo. A presto, Commodoro.-

Deciso a non perdere ulteriore tempo, Suzaku si concesse giusto un attimo ad ammirare la sinuosa figura che ritornava ad appartarsi nella sua cella. Ora che i suoi occhi erano abituati a quel buio poté scorgere delle catene e una brandina che fungeva da letto, completamente assente nelle altre prigioni. Affrettò il passo per far in modo che il capo-carceriere non si accorgesse della deviazione effettuata. Si ricordò però che per scendere al Livello Sesto ci sarebbero voluti dieci minuti, quindi era ancora abbondantemente in anticipo. La curiosità lo morse per l’ennesima volta. Osservò i due pezzi di carta ripiegati e decise di dedicarsi al foglio ingiallito. Era un pezzo di giornale. Era datato all’anno 35, poco più di due secoli rispetto la fascia temporale in cui si trovavano ora. Le scritte, leggermente sbiadite riportavano una notizia assurda: si parlava di Buster Call di Armi Ancestrali. Di rivoluzioni. Si parlava di chi aveva causato tutto quello, di quella persona che aveva completamente cambiato il mondo e stava distruggendo il Governo Mondiale, rivelandone tutto il marcio nascosto dietro, di quella persona a cui sarebbe stata data una pena peggiore alla morte: il Re dei Pirati. Il liberatore. Il demonio. Quella persona che aveva scoperto davvero le intenzioni del Governo Mondiale, ossia una pressante dittatura nei confronti di tutte le popolazioni delle isole dei quattro grandi mari e genocidi nei confronti dei ribelli (a quella parola Suzaku si sentì mancare). Quella persona a cui un mondo così non stava bene. Quella persona che aveva utilizzato tutte le armi a sua disposizione e che aveva sacrificato la sua vita.
Monkey D. Rufy.
Confuso e frastornato, il ragazzo posò lo sguardo sull’altro foglio, quello marroncino. In cuor suo, che ora pulsava in maniera dannosa, sperava di non trovare quello che razionalmente sapeva esserci.
Una foto. Un uomo dai bei lineamenti, sulla trentina. Pelle abbronzata e capelli carbone.
La scritta “Dead or Alive”
Il nome Monkey D. Rufy e il soprannome, “The Pirate King”.
La taglia che raggiungeva un miliardo di Berry.
Voltò il foglio della taglia e vi trovò una scritta nera, forse più recente, che recitava una semplice frase:

Lotta in quello che credi, non in quello che ti fanno credere… per i tuoi ideali, non per i loro; hai la volontà della D.

Si girò nuovamente il Commodoro, verso la cella proibita. Verso quell’uomo che non doveva essere lì, che teoricamente non doveva esserci e basta.
Ed infatti non lo trovò. La prigione era vuota. Così come le sue tremanti mani, che poco prima stringevano saldamente i pezzi di antica carta.

Una voce, il capo-carceriere, sceso decisamente più in fretta del previsto. Una sensazione strana in petto, nello stomaco, nel cuore. Una corsa. Una risata di un detenuto. Una consapevolezza, delle idee, sue però e non della Marina.
Un sorriso vero, grande, smagliante, avvolto nel silenzio del tempo.
 
 

-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.
 

Ed eccoci qua! Spero vi sia piaciuta… ora chiarisco un po’ di cose:
*Secondo= Il Vice-capitano; dato che Suzaku ha gl'occhi verdi, a Rufy hanno riportato alla mente i capelli del nostro Zoro ^o^
**Vermiglio= Uno dei cinque elementi della filosofia cinese; Suzaku significa Uccello Vermiglio. Il nostro Rufy lo usa per puro sfizio, per far intendere con molta delicatezza, che non è  con uno stupido che sta parlando il Commodoro, ma con qualcuno che ha una conoscenza piuttosto ampia su svariati campi.
***Lune satelliti= La geografia del mondo di One Piece è decisamente complicata… non sappiamo esattamente che aspetto abbia la Terra, in questo universo. Conosciamo la Red Line, la Blue Line, i quattro grandi mari, la Reverse Mountain, il Nuovo Mondo… ma al di fuori del pianeta? In uno spezzone, quando si parlava di Ohara si è intravista una probabile Terra e… aveva all’incirca sei lune o.O Ho deciso di integrare questa cosa nella fan fiction senza un motivo preciso, solo per rimarcare un concetto di cui stava parlando il protagonista ^^
Perché un Rufy così OOC? Il finale è piuttosto misterioso… Rufy è morto, non sappiamo che carattere avesse effettivamente una volta diventato Re dei pirati. È un’allucinazione del giovane Suzaku, quindi il Rufy che vede, in realtà gli dice semplicemente quello che inconsciamente vorrebbe sentirsi dire e ha un carattere… fittizio, tutto frutto della testolina del Commodoro xD
Se avete ulteriori dubbi… chiedete pure ^^ Mi auguro sia stata di vostro gradimento e… un bacio!
 
 
  
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