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Autore: deli98    27/07/2014    1 recensioni
Questa è una storia che si è ripetuta più volte e come vedrete ha sempre come protagonisti i due fratelli italici.
Chissà perché alla fine tendiamo a fare gli stessi errori, senza accorgersi di esserci già passati.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ho tentato e riprovato più volte a sorvolare la zona dell'esplosione senza trovare anima viva da nessuna parte, solo fumo e fuoco. Le fiamme hanno continuato a bruciare i resti per due giorni di fila, senza che nessuno le andasse a spegnere per paura che ci siano delle altre bombe inesplose.
Di Romano nessuna traccia.
Ho pilotato l'aereo io stesso, con un secondo pilota al mio fianco che cercava di convincermi a lasciare perdere e anche quelli della pista di atterraggio mi dicevano che era solo una perdita di tempo. Infatti è stato tutto inutile, un semplice spreco di tempo prezioso, ma ho volato per 5 volte lassù per vedere. 
Ma chissà come mai mi sono convinto che lui è vivo, nei miei sogni che si potrebbero solo definire incubi. Ogni notte viene a tormentarmi, accusandomi che è colpa mia per tutto quello che è successo. 
Devo pensare a cosa fare adesso che lui non è qui, trovare una soluzione e riuscire a rimpiazzarlo. Ma come? 
Per quasi due anni ho tenuto occupato il suo posto, ma poi saremmo dovuti tornare di nuovo insieme, una volta che avrei vinto questa guerra, anche se lo avevo inacciato di farlo rimanere rinchiuso in quel lager per il resto della sua vita, non è vero! Non gli avrei mai fatto una cosa del genere! Ma adesso che lui non è più con me in questo mondo io cosa devo fare? Andare avanti e non pensare al passato così vicino al presente. Non pensare alle sue continue visite notturne.


Riesco a trovare uno spiazzo in cui atterrare con il velivolo. Sono da solo, il secondo pilota non c'è più. Solo con me stesso.
Il cielo è grigio come il terreno, fiocchi di cenere non smettono di cadere e risollevarsi spostati dal vento.
Le fiamme incominciano a spegnersi dopo aver consumato tutto quel poco che c'è da bruciare. Corpi carbonizzati ovunque, alcuni sembrano essersi fusi con altri reando un blocco di carbone unico. Uno spettacolo macabro, molto simile a quello avvenuto a Pearl Harbor tempo fa.
Ma poi lo vedo, mio fratello. Disteso a terra senza bruciature o ustioni, ma con un buco all'altezza dello stomaco, dove intorno c'è solo più sangue rappreso. 
Indossa una divisa tedesca che gli sta troppo grande. Sembra addormentato in un sonno piacevole, come se non fosse a conoscenza di quello che lo circonda. 
Mi avvicino cercando di non fare rumore per paura di disturbarlo, ma la cenere scricchiola sotto i miei piedi come la neve fresca.
-Romano, svegliati.- Mi chino sopra di lui e gli sussurro questa frase, ma vorrei dirgli di più, dirgli quello che non sono mai riuscito ad esprimere a parole.
Nessuna risposta, non si muove di un millimetro. Lentamente allungo una mano verso il suo viso, ma all'improvviso mi blocca afferrandomi per il polso con una presa fortissima da farmi scricchiolare le ossa. Trasalisco dalla sorpresa e dall'improvviso dolore, poi lui mi tira a sé, vicino al suo viso.
-E' TUTTA COLPA TUA.- Mi sussurra all'orecchio e il suo fiato è gelido come la neve. 
Improvvisamente tutto il mio corpo si paralizza e una patina di brina e ghiaccio si espande a partire dal mio orecchio, lentamente e molto dolorosamente fino a rimanere completamente ibernato.


-NON E' COLPA MIA!- Mi ritrovo ad urlare nel mio letto, ma questa volta non mi sento accaldato, ma paralizzato dai sudori freddi. E un dolore acutissimo al polso.



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Ho dovuto fare un giro infinito perchè sulla mappa c'è segnato un avamposto tedesco in mezzo alle montagne, proprio dove sarei dovuto passare io, quindi sono tornato indietro e ho fatto un giro largo allungando il tragitto di almeno 30 km dalla destinazione. In tutto ho percorso una quarantina di chilometri e sono rimasto a secco, esaurendo anche la piccola tanica di scorta.
Ci mancano 4 km da percorrere e dobbiamo farli a piedi ma aspetto almeno il sorgere del sole, perchè non vale la pena di girare a vuoto nel buio della notte.
Alfred si è calato il berretto della divisa sul volto e da li non si è più mosso. Non ho intenzione di svegliarlo proprio adesso, anche se manca un'ora all'alba, aspetteremo pazientemente che sorga il sole.
Alla fine anche io mi metto a dormire, ma stando strettamente abbracciato a un mitra, nel caso ce ne fosse bisogno.

Poi finalmente sorge il sole, dopo aver aspettato un'infinità di tempo. Alfred dorme un po' scosso da dei brividi sul sedile di fianco con il berretto abbassato sul viso. All'improvviso si sente il rumore di diversi motori. Guardo in cielo ancora un po' scuro e riconosco degli aerei tedeschi che sorvolano a bassa quota il cielo. Brutto segno.
-Alfred! Svegliati!- Lo scuoto da una spalla e lui si sveglia allarmato. Ha gli occhi arrossati e lacrimosi. Non mi dire che si è preso il rafreddore.
-Cosa c'è? Dove siamo?- Si guarda intorno. -Ma dove mi hai portato?- Mi accusa con lo sguardo, come se fosse colpa mia.
-Siamo rimasti a secco e dobbiamo farcela a piedi. Poco fa sono passati degli aerei. Spero solo che non si mettano a lanciare bombe.- C'è poco da scommetterci, ma non bisogna mai pensare negativo. Prima di metterci in marcia però dovremmo pensare alla colazione, solo che Alfred non ha altre scorte nel suo zaino e adesso non abbiamo più niente. Mi metto a frugare sul retro della camionetta e trovo dei barattoli di salsicce con crauti sottaceto, più qualche di bottiglia di birra.
I tedeschi sono davvero poco originali per quanto riguarda l'alimentazione, ma preferisco mangiarmi questa robaccia piuttosto di rimanere a stomaco vuoto. 
Alfred si stiracchia la schiena e le braccia, poi non faccio tanto caso a quello che fa perchè sono troppo impegnato a prendermela con le pessime abitudini alimentari dei crucchi bastardi. 
-Shit- Sibila tra i denti richiamando la mia attenzione. E' ancora seduto sul sedile della camionetta e mi da la schiena, quindi non posso vedere cosa sta facendo  esattamente, ma sento il tintinnio della fibbia della cintura e capisco che si sta slacciando i pantaloni. 
-Ma che fai?!- Mi avvicino a lui e da sopra la sua spalla posso ammirare le sue mutande, fino a quando con fatica e con movimenti impacciati riesce a togliersi del tutto i pantaloni, scoprendo la sua ferita alla gamba. La fasciatura improvvisata con uno straccio è totalmente coperta di sangue quasi rappreso e anche i pantaloni ne hanno assorbito gran parte. Solo adesso mi torna in mente che lui è rimasto ferito sull'aereo! Con una smorfia di dolore Alfred appoggia il piede sul cruscotto e lentamente srotola la fasciatura. All'inizio si è srotolata senza problemi, ma poi ci siamo accorti che la stoffa si è incollata alla ferita e cercando di staccarla se ne va anche qualche strato di pelle bruciata intorno allo squarcio. Per poco non mi sviene dal dolore mentre cerca in qualche modo di togliersi la benda. In un attimo abbandono l'idea di mettermi a fare colazione tranquillo e raggiungo l'americano sedendomi accanto a lui. Alfred quasi in lacrime lascia cadere le braccia vicino ai fianchi e si accascia sconfitto e delle scosse percorrono il suo corpo, mentre io tra una bestemmia e l'altra cerco nel suo zaino qualcosa che possa tornare utile, ma trovo solo un pezzo di stoffa sudicio.
-Fa freddo...- Biascica a fatica queste due parole e intanto cerca di scaldarsi stringendosi nella giacca, ma le gambe sono nude. In effetti fa piuttosto freddo la mattina qui in montagna, ma il sole si è levato da poco e c'è ancora tempo prima che scaldi l'aria. Prima mentre cercavo qualcosa da mangiare avevo adocchiato una coperta di lana, l'ho recuperata e gliel'ho messa addosso. Per sbaglio gli sfioro la guancia e rimango colpito da quanto scotta la sua pelle! Gli tocco la fronte con le labbra: ha almeno 39 gradi di febbre. Questa proprio non ci voleva. Da lontano si sentono dei boati, ma Alfred sembra non accorgersene, per fortuna.
Non resta altro da fare che togliere quella fasciatura e sperare che la pelle rimanga al suo posto. Al solo pensiero di vedere la carne viva mi vengono i conati di vomito, ma in qualche modo mi faccio coraggio. In fondo Alfred è poco più giovane di Feliciano e ha tutto il diritto di vivere e imparare dalle sue cazzate, proprio come questa: come gli è venuta in mente l'idea di trascurare in questo modo una ferita del genere proprio non lo capisco.
Dopo aver preso un bel respiro profondo afferro il lembo di stoffa con una mano e con l'altra tendo la pelle dalla parte opposta. Alfred non fa in tempo a fermarmi che viene scosso da una fitta appena incomincio a tirare e le sue suppliche vengono interrotte da un urlo straziante persino per le mie orecchie. Per farlo stare zitto gli ficco in bocca lo straccio che ho trovato nel suo zaino e lui colto dalla sorpresa per poco non soffoca. Riprendo a tirare e per fortuna la pelle bruciata rimane attaccata alla carne. Piano piano riesco a toglierla tutta e scopro uno squarcio suturato abbastanza bene, ma comunque sembra fare infezione nonostante il disinfettante. 
Credo che sia una delle ferite più impressionanti che abbia mai visto durante la mia breve carriera militare: il taglio è nero a causa del sangue rappreso e siccome il filo non è abbastanza lungo ha usato anche delle clip chirurgiche. Tutt'intorno la pelle è livida e in alcuni punti anche gialla, in altri è bruciata, per non dire letteralmente carbonizzata.
Provo a guardare anche nel cassone della vettura e trovo una scatola di pacchetti di primo soccorso, di quelli che si portano in battaglia i soldati. Dentro a ogni pacchetto ci sono tre cerotti di misure diverse, una bottiglietta di disinfettante, dei batuffoli di cotone, una lunga striscia di garza, ago e filo. Forse i tedeschi non saranno dei buongustai, ma sotto molti altri punti di vista sono ben organizzati: i soldati italiani si possono sognare delle cose del genere in tempi di guerra, se hai bisogno di cure urgenti devi sperare che qualcuno si sia portato qualcosa per le medicazioni, se no ti arrangi con quello che trovi.
Imbevo il cotone con i disinfettante e lo strofino più piano che posso sulla sutura per due volte per togliere i residui di sangue e così anche sulla bruciatura, poi 
avvolgo la garza intorno alla sua gamba e chiudo il tutto con un nodo stretto. Mi faccio i complimenti da solo per il lavoro che ho fatto, perchè Alfred è caduto addormentato accasciandosi sul sedile. Gli sembra questo il momento buono per fare una pennichella? Gli mollo due schiaffi sulle guance e gli tolgo di bocca lo straccio. Lui alza la testa di scatto e apre gli occhi, che sono sempre rossi e lucidi. Purtroppo non ho nessuna medicina da dargli per abbassare la febbre, bisogna raggiungere la sua base e sperare che sia ancora in piedi.
-Sto bene....- Farfuglia cercando di scendere dal mezzo e intanto infilarsi i pantaloni. Non riesce a fare nessuna delle due cose e devo afferrarlo per la giacca per evitare che cada a terra come un sacco di patate. 
-Tu non vai da nessuna parte!- Lo costringo a rimettersi seduto e intanto faccio il giro del mezzo per andare dal suo lato. Mi fa quasi tenerezza vederlo in questo stato e avvolto come in un bozzolo di coperte, tutto quello che si riesce ancora a vedere sono la punta degli stivali e gli occhi, tutto il resto è coperto.
Adesso però bisogna pensare a mangiare e recupero il barattolo di salsicce e crauti, in silenzio ce lo mangiamo sorseggiando a ogni boccone della birra, che forse è l'unica cosa buona. Alfred dal canto suo non fa alcun commento e mangia la sua parte in silenzio.
Tra una cosa e l'altra abbiamo quasi perso un'ora e il sole si sta alzando sempre di più, avvicinandosi piano piano al mezzogiorno.
Finito il pasto, raccattiamo tutto quello che possiamo portarci dietro: lui prende un fucile di precisione, io il mitra, una cartina, una bussola, salsicce e crauti.
-Quanto siamo distanti?- Lui cammina dietro di me, che gli faccio strada su uno strettissimo sentiero circondato dalla fitta boscaglia.
-Non molto: circa 4 km. Se manteniamo un passo spedito arriveremo quasi per l'ora di pranzo.- Mentre lo dico guardo la cartina e la bussola per orientarmi.
-Cosa?! Per pranzo?! A quell'ora potrebbero essere tutti morti!- Mi volto per guardarlo in faccia. Si è avvolto nella coperta come se fosse una madonna e il suo ciuffo di capelli ribelle spunta come un'antenna. Devo sforzarmi di mantenere un'espressione seria e impassibile per reggere il suo sguardo.
-Ma cosa vuoi che succeda?- Lui si ferma e mi guarda storto. -Vedrai che andrà tutto bene.- Mi volto di nuovo verso il sentiero davanti a me e riprendo a camminare.
-Quando mi dicono così poi succede un disastro.- Sollevo gli occhi al cielo e tiro un lungo sospiro. Potrebbe anche cercare di non pensare troppo negativo!
-Che ti posso dire? Tu hai la febbre e comunque non possiamo correre su questi piccoli sentieri, se no quando inciampiamo rotoliamo giù fin dove siamo arrivati.- Stranamente non ribatte nulla, ma all'improvviso mi fa voltare di scatto e poi mi solleva da terra come se se fossi un sacco di piume e mi carica in spalla. 
-M-ma cosa fai?! Mettimi subito giù!- Per poco non mi viene un infarto!
-Dobbiamo correre il rischio di rotolare giù dalla montagna.- Ignorando i miei insulti e lamentele prende a correre zoppicando, anche se è gravemente ferito ad una gamba e ha quasi la febbre a 40.
Mi rassegno all'evidenza che non vengo minimamente preso in considerazione e cerco di mettermi comodo anche se ho la pancia schiacciata sulla sua spalla e anche se sono girato al contrario del senso di marcia, gli do lo stesso le indicazioni della strada con la cartina aperta. Se qualcuno ci vedesse si piegherebbe dal ridere: una specie di fantasma febbricitante americano avvolto in una coperta con in spalla un italiano dentro un'uniforme nazista maledettamente troppo grande che cerca di non vomitare le salsicce che ha mangiato per colazione e che tenta in qualche modo di tenere la cartina aperta.

Poi finalmente arriviamo alla base, se si può ancora chiamare così. Macerie ancora fumanti sparse per terra, voragini nel terreno, aerei e altri mezzi militari ancora in fiamme, corpi carbonizzati per terra, la  cenere che si solleva dal terreno in vortici e si posa di nuovo per terra. Il sole si è nascosto da un po' dietro le nuvole. Il cielo, la terra e persino gli alberi si sono scoloriti dopo aver assistito a questo macello. A 500 metri di distanza c'è un edificio in parte crollato su se stesso ma l'altra parte si tiene miracolosamente in piedi. La rete elettrificata che circonda tutto il perimetro è in parte disintegrata.
-Alfred?- Lo chiamo per accertarmi che sia ancora sveglio e che non mi sia svenuto da qualche parte. Non ricevo risposta da lui.
-Ma dove sei?- Mi volto per cercarlo con lo sguardo e lo vedo seduto in posizione fetale su un grosso masso al limite del bosco, l'arma buttata per terra ai suoi piedi, in stato di trance con un'espressione indecifrabile in volto.
-Tutto bene?- Ma come posso chiedere una cosa del genere? Ovvio che non va tutto bene! Lui alza lo sguardo verso dei me, gli occhi vuoti che non esprimono né rabbia e né rancore.
-Siamo arrivati troppo tardi.- Mi dice infine, la voce gli trema e infatti le lacrime arrivano in ritardo, rotolando copiose fino al mento, dove poi si lanciano affrontando il vuoto. Che posso dirgli per consolarlo? Niente. Ha perso tutto come me.
-Senti, magari è rimasto qualcuno di vivo la sotto le macerie. Dovremmo andare a vedere...- Una cosa poco probabile, anzi, impossibile. Lui annuisce piano e lentamente recupera il suo fucile da terra.
-Ti copro le spalle, allora.- Lo dice pianissimo, ma con il silenzio tombale che c'è qui riesco a sentirlo benissimo. E' chiaro che non vuole avvicinarsi a quel posto, forse ha paura di vedere dei suoi amici e colleghi morti. E Arthur.
Recupera un po' della sua voglia di vivere e si siede sopra una lastra di metallo per fare la sentinella in un punto dove si può vedere gran parte dello spiazzo. 
-Io vado avanti. Fammi un fischio se vedi qualcuno.- Annuisce di nuovo e si guarda intorno sconsolato.
A me non resta da fare altro che avanzare e vedere cosa è stato risparmiato sotto il bombardamento. I piedi mi affondano della cenere che si solleva a causa dello spostamento d'aria. I morti non sono più riconoscibili perchè sfigurati dalle fiamme, ma so che i soldati americani portano al collo una piastrina di riconoscimento. Alcuni si sono fusi insieme, altri si sono addirittura incollati alla blindatura dei carri armati e degli aerei. Ogni tanto mi volto per guardare nella direzione di Alfred, per accertarmi che non si sia allontanato o che gli sia successo qualcosa. Dopo un po' però mi dimentico di controllare e appena me ne rendo conto mi volto di scatto. Alfred non c'è.
Il panico e il terrore si appropria della mia mente facendomi perdere il controllo. Dove si è cacciato? Gli è successo qualcosa? Sta bene? 
-Forse si è addormentato.- Sembra assurdo pensarlo perchè in casi simili nessuno cede al sonno, ma avendo la febbre è comprensibile. Avrei dovuto farlo venire con me.
Mi trovo a un centinaio di metri di distanza dall'edificio miracolosamente in piedi. Penso di aver anche avvertito uno spostamento dalla finestra, ma spero di essermi sbagliato. Se c'è qualcuno nascosto la dentro rischio davvero grosso a rimanere così esposto.
Mi guardo intorno e adocchio un pezzo di muro ancora in piedi, così mi metto a correre in quella direzione. All'improvviso il boato di uno sparo interrompe il silenzio. Sono quasi riuscito a rifugiarmi dietro al muro ma una pallottola mi entra nel petto vicino allo stomaco. Succede tutto così velocemente che non mi rendo nemmeno conto che sto morendo. Ma non si sta male, non sento nulla e mi sembra di vedere tutto al di fuori del mio corpo, fino a quando il buio non mi abbraccia.


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Continuo a guardare Romano che si allontana lentamente attraverso quella che una volta era la pista di atterraggio per gli aerei.
Siamo arrivati troppo tardi. Lo sapevo! Tutta colpa mia che ho fatto perdere tempo con la medicazione della gamba, che adesso non smette di pulsare insistentemente, in più come se non bastasse deve aggiungersi anche un dolore fortissimo alla testa e le lacrime agli occhi.
Mi sono sdraiato a pancia in giù contro una lastra di metallo ancora calda, che a contatto con il mio corpo mi scalda fino alle ossa e così smetto di tremare di freddo. Con il mirino ottico montato sul fucile studio i movimenti di Romano. Non smette di guardarsi intorno, poi si ferma e rimane ad ammirare il palazzo che ha di fronte.
Ho preferito non andare con lui, perchè ho paura di trovare qualche conoscente o peggio, Arthur bruciato vivo. Vorrei solo andarmene da qui al più presto.
Mi sposto una trentina di metri più in la, dove ho adocchiato  una lastra di cemento dove posso sdraiarmi per rimanere in mira, con la coperta grigia addosso è difficile che venga visualizzato.
Mi sdraio a pancia in giù e con un angolo della coperta mi copro l'occhio sinistro per non affaticarlo sforzandomi di tenerlo chiuso mentre sto in mira, poi riprendo ad osservare la situazione con il mirino. Romano deve essersi girato nella mia direzione e ora si sta voltando di nuovo verso il palazzo, sembra agitato per qualcosa.
Guarda di nuovo su e fa uno scatto all'indietro, come se avesse visto qualcosa che lo ha spaventato, poi si guarda intorno e prende a correre. In un attimo raggiungo il punto in cui stava guardando e alla finestra scorgo un cecchino armato con un fucile di precisione che sta prendendo la mira. Sono già pronto per sparargli un colpo in mezzo alla fronte, ma il boato di uno sparo mi spaventa facendomi fare uno scatto con la mano, così colpisco il telaio della finestra da cui è affacciato. 
L'individuo alza la testa di scatto, colto alla sprovvista. Proprio in quel momento lo riconosco.
Non ci posso credere! Lui non dovrebbe trovarsi qui in questo momento! Ma è proprio Matthew in carne ed ossa! E dire che stavo per sparargli!
Senza pensarci mi metto a correre verso l'edificio dimenticandomi di quello che mi circonda, troppo felice di vedere il mio adorato fratellino vivo dopo tutto questo tempo. Ignoro completamente le fitte di dolore alla gamba che mi fa zoppicare. 
Sento di nuovo un forte boato e una frazione di secondo dopo una pallottola mi si conficca nella gamba, vicinissima alla ferita. Mi sento afflosciare per terra, come in una caduta libera, senza neanche la forza di urlare. Cadendo sbatto malamente il mento contro dei pezzi di macerie, stordendomi completamente, in più perdo gli occhiali e non riesco a trovarli, tastando inutilmente in mezzo alla cenere davanti a me. Un altro sparo echeggia nell'aria ferma, ma questa volta la pallottola mi trapassa da parte a parte la spalla sinistra, passandomi vicinissimo all'orecchio ho avvertito persino lo spostamento d'aria. 
Senza perdere altro tempo cerco di rimettermi in piedi e in qualche modo striscio da una parte appoggiando la schiena contro un muretto di cemento. Il fucile mi è volato cinque metri più in la, ma per recuperarlo devo andare allo scoperto.
Nel giro di un minuto la coperta diventa da grigia a rossa a causa della forte perdita di sangue. 
Vorrei chiamare in mio aiuto Romano, ma una cinquantina di metri più in la lo vedo a terra, morto.
Intanto ogni secondo che passa perdo sempre più sangue, anche se cerco inutilmente di bloccare la fuoriuscita del sangue della gamba non riesco a fare abbastanza pressione, la vista diventa sempre più sfocata, la testa mi gira vorticosamente. Delle voci si avvicinano sempre di più, fino a quando delle figure che non riesco a distinguere mi si piazzano davanti, puntandomi il fucile contro. Sembrano litigare tra loro, urlandosi qualcosa che però mi arriva alle orecchie come un assordante boato continuo, poi finalmente perdo i sensi, o forse muoio, chi può dirlo. L'ultima cosa che vedo abbastanza distintamente è il grigiume del muretto e poi una strisciata color rosso acceso, il mio sangue.

 
  
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