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Autore: Dedde_Jester    27/07/2014    1 recensioni
«Non ci credo che lo sto per fare» gemette.
Chiara gli regalò l’ennesimo dei suoi collaudati sorrisi folli. «È per una buona causa» gli fece notare giocherellando con la cannuccia del suo frappé.
«E cioè?».
«La mia soddisfazione personale, e…». La ragazza aggrottò la fronte, pensierosa. «Be’, la mia soddisfazione personale». Sorrise, mentre Arthur alzava sarcastico gli occhi al cielo. «Ora sì che sono motivato».

*
Un ex attore, una fan strampalata e un paio di manette.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di iniziare, due piccole note: sì, il titolo è una citazione di Moriarty, sì, ci sono spudorati riferimenti a Doctor Who e no, non mi pento di nulla. 
Biscotti virtuali a tutti coloro che arriveranno la fine, carry on!
 
Honey, you should see me in a crown
 


Quello non sarebbe dovuto succedere. 

Arthur non aveva la più pallida idea di come avesse fatto a cacciarsi in una situazione simile, sapeva solo che era tutto dannatamente sbagliato. Erano sbagliati i produttori che lo osservavano straniti, sbagliate erano le manette che aveva al polso e ancora più sbagliata era la persona a cui era ammanettato. 

Per farla breve era tutto un immenso errore, e la cosa peggiore era che Arthur vi si era invischiato di sua spontanea volontà. 

Era tutto iniziato alla convention de “La regina di perle”, la serie tv in cui aveva interpretato l’antagonista sadico e codardo fino alla sua prematura e oltremodo dolorosa morte. Inutile dire che i fan di tutto il mondo avevano esultato per la sua tanto agognata dipartita, e lui si era finalmente spogliato dei panni scomodi di Jean, abbandonando la corona d’oro massiccio e i mantelli in pelliccia per tornare ai cari vecchi jeans e maglietta. Non aveva mai voluto recitare, era praticamente inciampato nel ruolo di Jean del tutto casualmente e una volta ottenuta la parte non si era più potuto tirare indietro, nonostante fosse un personaggio davvero detestabile: da quando finalmente il bastardo aveva tirato le cuoia, Arthur era ritornato alla sua vecchia vita con la promessa di non piazzarsi mai più sotto una telecamera o nello smoking per le serate di gala.

 Aveva appena vent’anni, aveva tutto il diritto di fare idiozie senza finire su qualche squallido giornaletto di gossip, di vestirsi come più gli pareva e di dormire fino a tardi in una stanza disordinata senza l’impegno delle riprese a tenerlo sveglio tutta notte per imparare le sue battute. 

Arthur era libero, e aveva tutta l’intenzione di restarlo: aveva accettato di partecipare alla convention solo per divertimento e per rivedere i suoi vecchi compagni prima che iniziassero a girare la nuova stagione, e mai avrebbe immaginato in cosa si stava andando a cacciare quando varcò la soglia per raggiungere gli attori tra la folla di fan in delirio. Se l’avesse saputo, non avrebbe esitato a darsela a gambe levate, alla faccia di onore e tutto. Finiti gli abbracci e i saluti, avevano iniziato a rispondere alle domande dei fan e a firmare autografi, quando un qualcosa di estremamente inquietante si fece largo tra la folla gettandosi il lungo mantello scarlatto dietro le spalle. 

Era la versione miniaturizzata di Jean curata in ogni singolo particolare, e Arthur non poté fare a meno di restare a bocca aperta, scioccato. L’essere sorrise raggiante. «Tu sei me» fu l’unica cosa che riuscì a balbettare Arthur appena li raggiunse, osservando il taglio di capelli uguale al suo e gli occhi del suo stesso colore. 

«No, io sono Jean, sovrano delle Terre d’Oro e legittimo erede al trono rosso» annunciò lo sconosciuto che, a conti fatti, si rivelò essere una sconosciuta
Parlava inglese con un inconfondibile accento straniero, ma il timbro era decisamente femminile. 

«Okay. D’accordo. Com’è che ti chiami?». 

La ragazza sbatté le palpebre, stranita. «Jean». 

Gli attori si lanciarono occhiatine eloquenti, e Sam si picchiettò le tempie sillabando uno “svitata” più che udibile. La ragazza, però, non sembrò farci caso, e senza mai smettere di sorridere allungò ad Arthur quello che aveva tutta l’aria di essere un album. Era aperto su una pagina con la scritta “La regina di perle” esattamente come nella sigla, le lettere colorate in modo da sembrare metallo arrugginito e la fila di perle che rilucevano candide avvolte attorno al titolo. 

«È proprio un bel disegno» commentò Miranda, autografando al centro della pagina. «Sei un’artista?». 

La ragazza scoppiò a ridere, scuotendo la testa. La corona massiccia le scivolò di lato e lei si affrettò a risistemarla con un colpetto di tosse, prima di dire: «Disegno un po’, ma solo per hobby. Sono solo schizzi, nulla di che…». Ottenuti tutti gli autografi, la ragazza si profuse in complimenti e commenti di alcune scene clou della serie, per poi sparire con un mezzo inchino. 

«Stramba» sospirò Miranda con un’espressione compassionevole dipinta sul viso, per poi accogliere un nuovo fan con una t-shirt della serie recitante alcune delle frasi più famose. Al che Arthur alzò gli occhi al cielo, massaggiandosi il polso dolorante per i troppi autografi, e la piccola Jean fu presto dimenticata. 

Dopo un’altra mezz’ora di convention, però, Arthur iniziava a vederci doppio e a rimpiangere amaramente la sua decisione di presentarsi ai fan. Sapeva benissimo di aver interpretato il personaggio più odiato di tutta la serie, quindi sgusciò via con la scusa di un caffè confidando che a nessuno sarebbe importato se fosse presente o meno, e raggiunse un piccolo bar all’aperto con la sensazione di essere appena sfuggito all’Apocalisse. Si lasciò cadere su una sedia prendendo a sfogliare il menù, giurando a se stesso che qualsiasi cosa fosse successa non sarebbe mai tornato alla convention. 

Se anche gli altri attori si fossero accorti del suo mancato ritorno -il che era improbabile vista l’immensa mole di lavoro che gli si prospettava davanti- non avrebbero comunque mosso un dito per tornare a cercarlo. 

Che fosse per compassione o indifferenza, Arthur non sapeva dirlo, e neanche gli interessava più di tanto. «Io ti consiglio i frappé. Qui li fanno da Dio» sussurrò una vocina al suo orecchio, e lui per poco non cadde dalla sedia. Lanciò un gridolino acuto, scostandosi di scatto dalla fonte del suono, solo per poi strozzarsi con la sua stessa saliva e iniziare a tossire senza sosta. La piccola Jean gli batté delle pacche sulle spalle, emettendo un risucchio fastidioso mentre succhiava dalla cannuccia del suo frappé. 

«Tu che ci fai qui?» rantolò Arthur appena si fu ripreso dallo shock e dal mancato soffocamento, osservando l’essere con gli occhi sbarrati. Quello, dal suo canto, si esibì in una nuova serie di risucchi mordicchiando la cannuccia. «Bevo un frappé. Tu?». 

«Io? Io… be’, prendevo anche io un frappé» bofonchiò confuso Arthur, per poi alzarsi e andare alla cassa con la speranza assai infondata che la piccola Jean la smettesse di tormentarlo. La ragazza difatti lo seguì baldanzosa, estraendo dal mantello un cellulare ultima generazione e scattandogli una serie di foto con la naturalezza di chi non ha fatto altro nella vita. 

«Smettila» la ammonì Arthur pagando il frappé. «Qualsiasi cosa tu stia facendo, smettila». 

Circumnavigò l’essere e affrettò il passo per seminarlo mentre si dirigeva verso casa, la mente che ancora rielaborava gli eventi della convention. Era sicuro che quella notte avrebbe avuto incubi riguardo ad autografi e frappé, e a quel pensiero non riuscì a trattenere un sorrisetto divertito. 

«Cosa c’è di tanto divertente?» lo sorprese una voce squillante dietro di sé, costringendolo a mettersi praticamente a correre con una mezza imprecazione per seminare la piccola Jean. 

«Ehi, aspetta!» gli urlò dietro lei lanciandosi al suo inseguimento. 

Mentre sfrecciava tra i passanti e le macchine, Arthur si ritrovò a pensare a quanto dovesse sembrare strana la scena agli occhi degli altri: un ragazzo che fugge a tutta birra inseguito dalla versione miniaturizzata di Jean della “Regina di Perle”, il mantello che ondeggiava alle sue spalle e un frappé in mano. Se non fosse stato troppo impegnato a non schiantarsi da qualche parte, sarebbe scoppiato a ridere fino a perdere un polmone. Assurdo, semplicemente assurdo. Era sicuro che non fosse tutta un’allucinazione per il troppo stress? Sembrava l’unica soluzione plausibile. 

Ad un certo punto scartò bruscamente a sinistra, infilandosi in un vicolo stretto e semi-deserto; salì due a due i gradini di una scala anti-incendio e si lasciò scivolare con la schiena contro il parapetto di ferro, ansimando all’ombra dell’enorme edificio in cui si era riparato. Per qualche minuto non accadde nulla, poi la piccola Jean apparve all’imbocco del vicolo e caracollò sulla stradina con il fiatone, tenendosi la pancia. 

Mentre si guardava intorno inciampò miseramente nel mantello e rovinò per terra, dove restò sdraiata a pelle di leone ad osservare il cielo lattiginoso inglese, esibendosi in quelle che Arthur suppose essere colorite imprecazioni nella sua lingua. Passò una manciata di minuti in cui entrambi rimasero in silenzio, talmente immobili nelle rispettive posizione da far sospettare al ragazzo che l’essere fosse svenuto. Sembrava quasi che non respirasse, e Arthur iniziò a preoccuparsi seriamente. 

Si alzò il più silenziosamente possibile e scese la scala anti-incendio in punta di piedi. La sagoma a terra non si mosse di un millimetro. Arthur allora si fece coraggio e la raggiunse incerto, sbirciando dall’alto in cerca di segni di vita. Quando si chinò a prenderle il polso, però –possibile che si fosse sentita male?-, la piccola Jean si alzò a sedere di scatto spaventandolo a morte e lo afferrò per un braccio. Ci fu un clangore metallico, e Arthur Gillan si ritrovò ammanettato all’essere, che ora esibiva un sorriso folle. 

«Sapevo che eri ancora qui da qualche parte!» gongolò vittoriosa, alzandosi in piedi e spolverandosi le vesti. 

«Ma che-? Liberami subito!». Arthur provò a sfilarsi le manette, ma il meccanismo era scattato e l’unica via di fuga era il taglio del polso; cosa che, in quel momento, sembrò all’ex attore molto più appetibile della prospettiva di restare solo in quel vicolo con l’essere

«Calma, calma, ti libererò tra poco. Voglio solo parlare» tentò di rassicurarlo la piccola Jean. 

Arthur prese un profondo respiro, alla ricerca della pace interiore o, più realisticamente, di un miracolo. «D’accordo. Ma prima si può sapere chi diavolo sei? E non mentire» aggiunse in fretta, vedendo che la ragazza stava già articolando il nome di Jean. 
Lei sbuffò, presa in contropiede, poi rispose in un sospiro: «Mi chiamo Chiara. Non sono inglese, ma sono una grande fan della Regina di Perle!». 

E riecco il sorriso folle, con tanto di luce inquietante ad accendere quegli occhi innaturalmente simili ai suoi. Arthur tentò di guardare altrove, deglutendo a vuoto. «E per quale motivo vai in giro con un paio di manette?». 

«Spoilers» soffiò serafica lei, il sorriso che andava allagandosi. 

«Ah no, niente citazioni! Dimmi le cose come stanno o chiamo la polizia!» ribatté in un lampo Arthur, portandosi le mani ai fianchi con un fastidioso tintinnare di manette. 
Ma Chiara batté le mani, deliziata. «Oh, guardi anche tu Doctor Who? Io sono una grandissima fan anche di quello, hai visto l’episodio in cui-». 
«No no no, frena. Hai detto che volevi parlarmi, non divagare. Che cosa vuoi?». 

«Hai mai sentito parlare il film “La profezia perduta”?» indagò lei, raddrizzandosi la corona sui capelli cortissimi tagliati alla meno peggio. Arthur si chiese distrattamente cosa diavolo ci fosse che non andava in quella ragazza da costringerla a girare per le strade di Londra con un taglio così maldestro e approssimato. E un attore ammanettato al polso. 

«Il primo film del seguito della trilogia “L’eroe ritrovato”, sì. Nulla di che, a mio parere, e se permetti dovrebbero controllare di più dove mettono le cose. Trovano il protagonista e perdono la profezia? È il colmo» commentò sprezzante Arthur, ma Chiara non sembrava della stessa opinione.

Si gonfiò come un tacchino, estremamente offesa, esclamando: «Ma come osi! Sia i film che i libri sono grandi capolavori, come puoi anche solo pensare-». 

«Sono noiosi e banali, fatti apposta per le ragazzine come te che non hanno affatto gusto» la interruppe lui con un sorrisetto accondiscendente. Chiara inarcò le sopracciglia, serafica. «Difatti ho talmente poco gusto che mi sei piaciuto tu ne “La regine di perle”». 
Quella sentenza ebbe il potere di zittire Arthur e allo stesso tempo di farlo arrossire fino alla punta dei capelli.

«E ti dirò di più: quando ho letto del personaggio di Leo ne “La profezia perduta”, ho pensato subito a te. E appena Jean muore nella “Regina di Perle” tu che fai? Annunci che hai intenzione di ritirarti dalla recitazione. Io voglio vedere te nei panni di Leo, te e nessun altro. Quindi adesso andiamo a fare il provino» concluse determinata Chiara, iniziando ad incamminarsi verso lo sbocco del vicolo. 

Fortunatamente Arthur era più alto di lei di una ventina di centimetri –quasi tutto era più alto di lei, effettivamente, dal momento che era praticamente tascabile-, e la ragazza fu costretta a terminare la sua marcia verso la vittoria più presto del previsto. 

«Embé? Andiamo!» sbottò, strattonando le manette invano. 

«Nossignore, non se ne parla neanche» rise Arthur incrociando le braccia al petto, cosa che, con sua immensa soddisfazione, fece incespicare Chiara con una mezza imprecazione. 
«Te lo dico io che cosa facciamo ora: ti trascino fino alla centrale di polizia e ti lascio alla saggia custodia degli agenti, prima di finire il mio frappé» e qui alzò la bibita che ancora stringeva tra le mani. «E tornarmene a casa a fare zapping sul divano senza pantaloni». 

Chiara si lasciò sfuggire un versetto disgustato, lanciandogli un’occhiata corrucciata. «Questo non è per niente di classe» commentò. 

«Esatto, e sai perché? Perché non sono più un attore. Posso fare quello che fa qualsiasi altro ventenne senza alcun problema, e ho intenzione di godere di questa condizione finché vivo». 

L’ultima parola la sibilò a pochi centimetri dalla faccia della ragazza, che si ritrasse con espressione delusa.
«Non è giusto! Fai almeno il provino, che ti costa?» tentò supplichevole, ma Arthur non si smosse di un centimetro.
«Se mi prendono sarei costretto a recitare in quello stupido film, non se ne parla!». 

«Sei molto sicuro di te se dai così per scontato che vincerai». 

L’ex attore ignorò molto diplomaticamente le provocazioni e iniziò a trascinarsela dietro, verso la Centrale, nonostante gli strattoni alle manette e la sua strenua resistenza. 

Inizia a diventare seccante…
 

Con uno sbuffo, Arthur tirò fuori l’I-Pod e si infilò le cuffie, alzando il volume al massimo per ignorare le proteste della piccola Jean. 

«Bene!» strillò lei sovrastando la musica. «Se vuoi portarmi alla centrale di polizia mi ci dovrai trascinare di peso!» minacciò, per poi lasciarsi cadere a peso morto sull’asfalto. Arthur non fu abbastanza veloce per impedirglielo, e in men che non si dica si ritrovò nella polvere accanto alla figura scomposta di Chiara. 

«Ti prego, no» gemette lui scuotendola per le spalle, ma la ragazza continuò a tenere gli occhi chiusi e il corpo molle, con l’aria di non avere alcuna intenzione di collaborare. 
Arthur provò a prenderla per le braccia e a trascinarla, ma dopo pochi metri fu costretto a rinunciare per ovvi motivi, quali la sua reputazione, che avrebbe subito seri danni se fosse stato visto trascinare il corpo esanime di una ragazza fuori da un vicolo buio, e la fatica non indifferente che gli costava l’operazione. 

Con un sospiro esasperato, l’ex attore si lasciò scivolare per terra alzando le mani in segno di resa. «Come vuoi. Farò quello stupido provino, basta che dopo tu mi prometta di sparire dalla mia vita e non farti mai più rivedere» ringhiò, furioso per essere stato incastrato da una ragazzina e un paio di manette. 

Chiara non se lo fece ripetere due volte e si mise a sedere con un sorriso che non prometteva nulla di buono.
«Prima di venire alla convention mi sono informata su tutto ciò che bisogna sapere. Andiamo, o ce lo perderemo!».
chizzò in piedi e iniziò a trascinarlo di buona lena nella direzione opposta a quella presa precedentemente da Arthur, il che gli fece sospettare che si fosse informata anche sul’ubicazione della centrale di polizia e che dopo le sue minacce stesse cercando di tenervicisi il più lontano possibile. 

«Allora» esordì poco dopo il ragazzo, osservandola di soppiatto. «L’hai fatto tu il costume?». 

Chiara annuì orgogliosa, sistemandosi la corona sulla testa. «E mi sono anche tagliata i capelli e tinta di biondo, oltre a mettermi lenti a contatto azzurre. Vedi?». Gli tagliò la strada, posizionandosi in punta di piedi e con gli occhi sbarrati in modo che Arthur potesse osservare quanto inquietantemente simili fossero ai suoi. 

«Tutto ciò non fa che confermare la mia tesi» commentò lui, cercando di aggirarla. 

Chiara sbatté le palpebre, curiosa. «E cioè?». 

«Che tu non hai solo qualche rotella fuori posto, sei completamente andata». 

Chiara ridacchiò, saltellando al suo fianco e guidandolo tra strade e traverse senza esitazione. 
Per essere una straniera, Arthur doveva ammettere che sapeva orientarsi piuttosto bene: e tanti saluti alla speranza che si perdessero e non fossero in grado di raggiungere le audizioni. Ovviamente anche lui aveva sentito parlare dei provini per il nuovo film, e vivendo in quella città da anni, ormai, sapeva benissimo dove si sarebbero svolti; tuttavia non c’era bisogno che Chiara venisse a conoscenza di quell’insignificante particolare, a Arthur aveva fatto in modo che il suo senso dell’orientamento non trapelasse neanche per sbaglio.
Così, per sicurezza. 

Eppure, nonostante la sua accortezza,  alle audizioni ci arrivarono eccome  e in men che non si dica Arthur si ritrovò con un copione in mano e il suo frappé in balia della piccola Jean, che si era tanto gentilmente offerta di finirglielo. Sospirò, passandosi una mano tra i capelli biondi. 

«Non ci credo che lo sto per fare» gemette. 

Chiara gli regalò l’ennesimo dei suoi collaudati sorrisi folli.
«È per una buona causa» gli fece notare giocherellando con la cannuccia del suo frappé. 
«E cioè?». 
«La mia soddisfazione personale, e…». La ragazza aggrottò la fronte, pensierosa. «Be’, la mia soddisfazione personale».
Sorrise, mentre Arthur alzava sarcastico gli occhi al cielo. «Ora sì che sono motivato». 

In quel momento uno degli aspiranti Leo uscì dalla porta in cui erano rintanati i produttori, e l’assistente che si occupava di scortarli all’interno fece loro segno di seguirlo. 

Chiara schizzò in piedi raggiante, lisciandosi il mantello spiegazzato e passandosi le dita tra i capelli ribelli.
«Pronto?» gli chiese entusiasta, scuotendo la manette per ottenere una reazione dall’ex attore. 

Arthur si prese il tempo di mormorare una breve preghiera a qualsiasi divinità in ascolto, prima di trascinarsi come un condannato a morte dietro l’esagitata Jean. Fece il suo ingresso nella stanza delle audizioni sospirando tetramente, senza darsi la pena di rispondere alle domande a raffica di Chiara e  lanciando un’occhiata rassegnata al tavolo dove erano seduti i produttori e lo scrittore.
Appena li vide, la ragazza emise invece un acuto squittio, frugando all’interno del mantello per ritrovare il suo album. 

«Oh, io vi adoro! Mi fate un autografo?» saltellò eccitata, sbattendo una pagina con il titolo “La profezia perduta” praticamente sotto il naso dello scrittore. 

Arthur la strattonò indietro con le manette. «Piantala» sibilò, fulminandola con un’occhiataccia e riprendendo l’album dallo scrittore vagamente scosso. Glielo ficcò senza troppe cerimonie tra le braccia, per poi voltarsi a guardare i produttori, che avevano inarcato le sopracciglia e si stavano lanciando occhiatine scettiche. 

Esattamente come avevano fatto loro de “La regina di perle” alla vista della piccola Jean. 

In quel momento Arthur seppe che era tutto sbagliato, l’intera situazione un unico dannato errore, e fu preso dalla tentazione di piantare i produttori e le loro espressioni snob in asso per andare a comprarsi un nuovo frappé, dal momento che Chiara aveva finito anche il suo. 

Aveva abbandonato la recitazione anche e soprattutto per l’aria di superiorità che ostentavano attori e registi con i comuni mortali, come se fossero artisti incompresi con un QI superiore alla media. Non avevano alcun diritto di comportarsi da dei scesi in terra, né di rifilare certe occhiatine compassionevoli a lui o a Chiara. Soprattutto a lui, e che diamine. Non era mica travestito da Jean, lui

«Bene… i vostri nomi?» esordì il regista con tono annoiato, esaminandoli distrattamente con un’occhiata eloquente. Si soffermò particolarmente su Chiara e la corona che le era scivolata nuovamente di lato, il mantello spiegazzato e i capelli arruffati.
L’uomo non riuscì a trattenere una smorfia critica. 

«Io sono Arthur Gillan, e sono qui per il provino per il personaggio di Leo» disse il ragazzo, mentre la piccola Jean riprendeva a saltellare con un sorriso da orecchio a orecchio. «Esatto!». 

«Hai letto il copione, sai già cosa dire, giusto?» riprese il regista, e quando Arthur annuì, gli fece segno di iniziare. 

«È un dialogo a due. Lo faccio da solo?» chiese il ragazzo perplesso, notando con la coda dell’occhio che Chiara sembrava fin troppo attenta. 

«È il dialogo tra Leo e Kylia?» sussurrò infatti con voce strozzata, l’espressione invasata che Arthur aveva imparato ad associare a nuove, scintillanti e assolutamente dannose idee. 
Gemette, sperando che si trattasse di tutt’altro. 

Ti prego, no. Qualsiasi dialogo, ma non quello.

 «Quello nella tenda di Kylia prima di attaccare l’esercito di pietra?» continuò la ragazza in adorazione. 

No, no, no, ti prego, no. 

«Ehm… sì». 

… ma perché. 

Regista e produttore si scambiarono un’occhiata preoccupata che Arthur non poté biasimare. 
Anche lui sarebbe stato preoccupato per il tono esaltato di Chiara e la luce folle che le illuminava gli occhi.
Anzi, effettivamente lui era preoccupato, e anche molto. 

Deglutì a vuoto, azzardando un passo indietro verso la porta, solo per poi ricordarsi della manette. 

Be’, poteva sempre gettarsi Chiara su una spalla e fuggire via il più in fretta possibile, anche se in quel modo non sarebbe andato lontano. Aveva già provato a trascinarla di peso contro la sua volontà, e i risultati non erano stati dei migliori. 

«Ooh, so quel dialogo praticamente a memoria, avrò riletto quel pezzo come minimo venti volte! Vi prego, vi prego, vi prego, fatemi recitare nel provino la parte di Kylia!» squittì Chiara, per poi afferrare Arthur per un braccio e sussurrargli all’orecchio: «Io non sono brava come attrice, non farò che migliorare la tua performance! Sembrerai bravissimo!». 

E nonostante tutti i suoi ferrei propositi di umiltà, Arthur non poté fare a meno di indispettirsi. 
«Io sono bravissimo!» replicò piccato. 

La ragazza gli rivolse un sorrisino indulgente e gli fece pat-pat su una spalla. 
«Se lo dici tu. Allora, iniziamo?» trillò poi in direzione dei giudici, schiarendosi la gola e piazzandosi di fronte ad Arthur con espressione determinata. Il ragazzo sospirò, cercando di attingere alla vena professionale che dopo la morte di Jean sembrava aver dato forfait. 

«Allora… pensi di attaccare l’esercito di pietra o preferisci direttamente dargliela vinta? Così, tanto per chiedere» iniziò a recitare, sbirciando giusto di tanto in tanto il copione aperto sul tavolo dei produttori. 

Il sorriso entusiasta sparì all’istante dal volto di Chiara, e la ragazza strinse rabbiosamente i pugni. 

«Non mi sembra di averti dato il permesso di entrare» commentò a denti stretti, mentre Arthur inarcava le sopracciglia con espressione affettata. 
«Oh, ti chiedo perdono. Spero solo che non mi tratterai con la stessa ferocia che usi con l’esercito di pietra, o sarei davvero spacciato. Devi attaccare, Kylia, o verrai considerata una traditrice».
Sputò l’ultima parola con più disprezzo possibile, e seppe che le vecchie abitudini alla Jean stavano tornando. Aveva indossato la stessa espressione antipatica che si trovava ancora sulle locandine de “La regina di perle”, e ormai la concentrazione era al culmine: nulla avrebbe potuto distrarlo dal personaggio. 

Nulla, tranne forse quello che accadde una frazione di secondo più tardi. 

Chiara stava recitando come da copione la sua battuta (“Io non devo fare proprio nulla, quindi modera il tono! Ricorda chi è che comanda, qui”), quando si portò improvvisamente una mano sugli occhi e si tuffò in ginocchio con una mezza imprecazione. 

«Per adesso…» ringhiò Arthur, sempre come da copione, nonostante fosse stato costretto sul pavimento accanto a lei per via delle manette. «Kylia… cosa stai facendo?» indagò  poi. 

«Credo che la ricerca della mia lente a contatto non sia affar tuo, Leo». 

Arthur cercò disperatamente di restare serio. «Quando comanderò io l’esercito, bandirò tutte le lenti a contatto… guarda come ti hanno reso debole, come ti hanno fatto precipitare nella polvere come un soldato qualunque» sibilò con il tono più disgustato che riuscì a trovare, solo per poi scoppiare miseramente a ridere alla vista degli occhi di colori differenti di Chiara.
Uno era ancora azzurro pallido, mentre l’altro, strizzato con aria miope, era talmente scuro da sembrare nero. 

La ragazza rimase attonita per qualche istante, prima di venir contagiata dal suo attacco di ridarella e lasciarsi cadere per terra scossa dalle risate. 

E tanti saluti alla professionalità.
 

Erano due idioti che si rotolavano sul pavimento della stanza delle audizioni, senza fiato per il troppo ridere, e andava più che bene così.

I produttori iniziarono a tossicchiare scandalizzati, confabulando tra di loro su quello che era probabilmente il miglior modo di sbatterli fuori con l’invito a non farsi mai più rivedere. 

Con l’unica parte ancora razionale del suo cervello, Arthur decise che si meritavano uno straccio di dignità… o magari un’ultima, colossale presa il culo. Sì, quell’ultima opzione lo attraeva di gran lunga di più. 

Con un sorriso che non prometteva nulla di buono, si rialzò in piedi con quanta più dignità riuscì a racimolare, si spolverò i vestiti e porse una mano a Chiara. Una volta assicuratosi che la ragazza non avrebbe fatto di qualcosa di estremamente stupido, Arthur prese un profondo respiro preparandosi a fare qualcosa di estremamente stupido
 
«Questo è il momento in cui ci cacciate dall’edificio, non è vero?» domandò con aria contrita e espressione melodrammatica. Il regista fece per aprire bocca, ma Arthur lo zittì con un cenno imperioso della mano, come un’eroina harmony con tanto di litania di violino in sottofondo e vento a scompigliargli i capelli. 

Che scena straziante.

I produttori inarcarono le sopracciglia, ormai al limite della sopportazione, ma ancora curiosi di vedere quale asso nella manica avrebbe tirato fuori quella strana coppia. 

«Ebbene, non c’è bisogno che lo facciate» continuò Chiara cogliendo la palla al balzo e portandosi teatralmente una mano sulla fronte. «Ce ne andiamo di nostra spontanea volontà!». 

E di comune accordo, i due diedero sdegnosamente le spalle ai giudici e si allontanarono ancheggiando con arie da primadonna. Se qualcuno trovò strana l’uscita di scena della piccola Jean e del famoso ex attore Arthur Gillan, ebbe almeno il buon gusto di non darlo a vedere.

***

Chiara si tolse la lente a contatto sopravvissuta e pescò fuori dal mantello un paio di grosso occhiali squadrati.
«Allora» domandò dopo qualche istante di silenzio, mentre osservavano il viavai di gente sul marciapiede. «Zapping sul divano, eh?». 
«Zapping sul divano senza pantaloni» la corresse Arthur con un mezzo sorriso. 

In fondo non sei così male, ragazza.

I due scoppiarono a ridere e fecero per allontanarsi, quando all’improvviso Arthur saltò su con aria illuminata, scuotendo le manette ancora al polso. «E queste?». 
Chiara assunse un’espressione fortemente colpevole, sfuggendo al suo sguardo. 
«Ah, già… queste. Ehm, potrebbe darsi che io non abbia la chiave» ammise poi con una vocina sottile. 
«Ma questa è ovviamente solo una possibilità» azzardò Arthur con un sorrisino speranzoso. «Una possibilità molto molto remota, giusto?». 
«Ovviamente» esalò all’istante la ragazza, guardandosi attorno in cerca di una via di fuga. «Ma ne parliamo a casa tua, ti va? Magari davanti a una grossa ciotola di popcorn» propose poi con un sorriso smagliante. 

«Non se ne parla, tu non ci vieni a casa mia! È fuori questione!». 
«Zapping…» canticchiò Chiara, ignorandolo platealmente. 
«Assolutamente no, avevi promesso di liberarmi subito dopo il provino!». 
«Hai delle bibite in casa? Io ho sete». 
«Casa mia non la vedrai neanche con un binocolo!» protestò il ragazzo. 
« Sul canale della BBC mandano in onda la quinta stagione di Doctor Who» lo informò Chiara. 

Arthur tacque all’istante, improvvisamente attento. «Oh». 
«Eh già». 
«Suppongo che questo cambi tutto». 
Chiara rise, alzando le braccia al cielo con espressione vittoriosa. «E che Doctor Who sia!». 
  
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