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Autore: dilpa93    27/07/2014    6 recensioni
"La speranza è un essere piumato che si posa sull'anima e canta melodie senza parole e non si ferma mai"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexis Castle, Kate Beckett, Martha Rodgers, Quasi tutti, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Il mondo



"La speranza è un essere piumato che si posa sull'anima e canta melodie senza parole e non si ferma mai"
Emily Dickinson



 
[...]Solo una cosa resta incompiuta.
Si era avvalsa delle ricerche di Rick, aveva riguardato insieme a lui i significati di ogni singola carta.
Gioia, prosperità, bellezza, questo rappresenta la carta del Mondo, l’ultima carta girata e la sola che non ha avuto un riscontro nella realtà. Ma ora come ora non può credere che Elijah abbia sbagliato. Ancora spera che quella predizione si avveri. Deve avverarsi, poiché altrimenti nulla avrebbe senso.
Ma non deve pensarci adesso. In questo momento deve concentrarsi solo sul rosso che spicca maestoso davanti ai suoi occhi e godersi quei sessanta secondi di serenità, nonostante dei passi alle sue spalle sembrano volersi intromettere.

 
 
 
 
“Non volevo svegliarti”, bisbiglia ancora di spalle sentendo poi le grandi mani di Rick cominciare a massaggiarle il collo.
“Non lo hai fatto, è stato il tuo non essere al mio fianco a farlo. Mi sono allungato e il mio braccio è caduto nel vuoto.” Le sfiora la guancia con il naso continuando a massaggiarla sentendo pian piano i suoi muscoli rilassarsi. “Hai ancora gli incubi?”
Scivola lontano dalla sua presa così da poterlo guardare negli occhi. “Non fare quello sguardo. Come avrei potuto non accorgermene? Ti agiti nel sonno, sono settimane che fai avanti e indietro dal nostro letto a qui. Non ti ho detto nulla perché era evidente che tu per prima non eri pronta a farlo”, continua rispondendo a quella domanda che si era solo formulata nella mente di Kate.
“Ora sei qui... Cos’è cambiato?”
Le carezza le braccia, guardandola dall’alto dolcemente, come ama fare in quelle rare ed intime occasioni in cui la loro altezze sono così diverse. “Non saprei, chiamalo... istinto. Ho aperto gli occhi, constatando con dispiacere la tua assenza. Speravo che almeno per una sera riuscissi a dormire per più di quattro ore filate. E... non lo so, stanotte la tua assenza era insostenibile. Ho provato ad ignorarla, ma non ci sono riuscito. Volevo darti il tuo spazio. Mi rendo conto che le ultime settimane siano state soffocanti ed intense, che l’ultima vista di Janine sia avvenuta nel momento peggiore...” Ascoltandolo Kate ricorda la frenesia di quella giornata. La febbre di Madison che non accennava a voler scendere, Sarah che si rifiutava di mangiare piangendo cominciando a sentire la mancanza della mamma. In quel momento, il campanello era suonato rivelando al di là della porta l’assistente sociale lì per effettuare una delle sue ispezioni a sorpresa. Aveva sentito la testa scoppiarle, eppure riflettendoci ora, a distanza di qualche giorno, non può fare a meno che sorridere.
“... che abbiamo avuto molto da fare tra il distretto, il nuovo libro in pubblicazione, programmare le date del tour. Non volevo rischiare che ti rifugiassi totalmente in te stessa e ho creduto che tenendomi alla larga, aspettando che fossi tu a volerne parlare, le cose sarebbero andate bene. E ora mi sento un completo idiota, perché sono qui davanti a te che mi guardi come se fossi pazzo e io non so se ho sbagliato a starti lontano oppure a dirti tutto questo ora.”
Si alza sulle punte baciandolo lentamente.
“Ecco, adesso sono confuso.”
Lei scuote la testa baciandolo di nuovo, più a fondo, “Non sei pazzo e tantomeno un idiota. Avevamo fatto un patto, niente più segreti, niente questioni irrisolte e cose non dette e io l’ho infranto neanche due minuti dopo. Lo hai capito subito. E sono anche certa che non serve che io ti racconti il contenuto dei miei incubi. Gordon aveva ragione su tutto, tu lo sapevi. Io invece non riuscivo ad accettarlo per il semplice fatto che è qualcosa che non riesco a controllare. In famiglia e al distretto sono quella che tiene i piedi per terra, che si rifiuta di credere alla magia e agli incantesimi o all’esistenza di buffi omini verdi o uomini che riescono a viaggiare nel tempo. Rifiuto di credere nel soprannaturale solo perché non riuscirei ad avere il controllo su quello che comporterebbe. Ho smesso di crederci dalla morte di mia madre perché da quel momento ho avuto il bisogno di sentire di avere tutto sotto controllo. E il fatto che lui avesse ragione mi fa venire i brividi.”
Rick sospira, allungando la mano verso di lei così da afferrare la sua. La trascina dolcemente fino alla cucina suggerendole di sedersi su uno degli sgabelli, accingendosi poi a preparare il caffè.
“Non ti avrei detto nulla se solo avessi potuto immaginare che ti avrebbe sconvolto tanto.” Posa una tazza davanti a lei e l’atra al suo posto ancora vuoto. Prende la caraffa versando lentamente il caffè caldo. Il liquido nero riempie entrambi i recipienti fino all’orlo scaldando la ceramica e con essa le mani di Kate che l’avvolgono.
“Tu non centri affatto e con quello che hai detto prima, quello che hai fatto, il non volermi forzare la mano... a volte mi domando perché tu abbia scelto me e se io abbia fatto qualcosa o faccia abbastanza da meritarmi tutto ciò che mi dai per farmi felice. Ora sei tu a guardarmi come fossi pazza.” Sussurra dopo qualche secondo abbassando il capo. Non riesce a sostenere quei suoi occhi così chiari ed immensi che la fissano nonostante solitamente non vorrebbe mai si staccassero da lei, si chiudessero e smettessero di guardarla.
“Lo sei se ti poni certe domande”, questa volta è lui ad avvicinarsi per baciarla, dopo averle sollevato il viso portando l’indice sotto il suo mento.
“Ti amo così tanto”, sospira contro la sua fronte carezzandogli il viso con il palmo e poi col dorso della mano. Lui l’afferra portandola a contatto con le labbra che la sfiorano appena.
“C’è altro o sbaglio?”
Sorride per quanto bene la conosca. L’angolo destro della bocca punta verso l’alto mentre pare tenere l’altro immobile. La mano scivola giù dal bancone con le dita che accarezzano distrattamente il marmo prima di intrufolarsi quasi di soppiatto nella tasca della vestaglia. Ne estrae una striscia rettangolare di carta, evidentemente piegata più e più volte, posandola dinanzi a lui osservando poi le sue espressioni durante la lettura. Gli occhi che si muovono rapidi saltando da una parola all’altra come una pallina all’interno di un flipper. La fronte gli si corruga dando vita a quella ruga che gli conferisce un’aria pensierosa e particolarmente intellettuale, la mano sinistra passa lentamente tra i capelli corti alla base del collo.
“Sono giorni che leggo e rileggo, che ripenso ad ogni singolo avvenimento. Sono arrivata a pensare per un istante che potrebbe riferirsi al piccolo che si è salvato, ma questa, come tutte le altre carte che ha estratto Gordon, sono riferite alla mia vita e, per quanto sia felice che quel bambino possa ancora crescere e un giorno venire al mondo, sono sicura che quell’ultima carta si riferisca a qualcosa di davvero significativo. Non voglio sminuire quella piccola vita dicendo questo, ma...” si interrompe, rivedendo ancora una volta nella sua mente i significati del Mondo: gioia, prosperità, bellezza.
“Cosa ti farebbe gioire Kate? Cosa porterebbe bellezza nella tua vita?” e mentre Rick, con voce profonda ed avvolgente, scandisce quelle parole, la lancetta più lunga dell’orologio si posiziona perfettamente nel sottile spazio tra i due numeri che compongono il dodici.
Sono le sei.
Il telefono squilla interrompendo così Kate ancor prima che la sua bocca si schiuda, eppure la risposta che stava per dare è racchiusa nel contenuto di quella telefonata.
 
Come qualche settimana prima si cambiano in fretta. Kate si infila i pantaloni saltellando per la camera, andando a rovistare nell’armadio cercando dei vestiti per Sarah Grace.
La veste mentre la bambina è ancora in pieno dormiveglia, assonnata per l’orario inusuale in cui è stata svegliata. Ormai pronti e sul punto di uscire si ricordano di non avere nessuno che possa badare alla piccola di casa. È in circostanze come queste che scrittore e detective rimpiangono la decisione di Martha di affittare un appartamento tutto suo per non pesare sull’intimità della famiglia che avevano intenzione di creare.
Jim non aveva tardato molto a rispondere, nonostante non dovesse andare in ufficio, gli risultava difficile non svegliarsi presto, non seguire la sua solita routine. Mettere su il caffè, leggere il giornale mentre l’aroma dei chicchi tostati riempiva la cucina e sorseggiare la bevanda dedicandosi alla pagina sportiva.
Era arrivato poco dopo, di corsa. Aveva mormorato un breve saluto a Rick mentre baciava sulla guancia la figlia, carezzando i capelli della piccola Sarah che lei teneva fra le braccia.
Adorava il suo ruolo di nonno, poter coccolare Madison, viziarla quando sarebbe cresciuta, darle tutto ciò che non aveva potuto dare a Kate, poiché a lei doveva dare il buon esempio.
Una volta che loro erano usciti, aspettando con impazienza l’ascensore, era corso nella cameretta sedendosi a fianco del lettino. È così piccola, da anni non aveva occasione di occuparsi di un neonato, è come tornare indietro nel tempo, sentirsi ancora giovane, quando toccava a lui stare con la sua Katie, così impacciato e stranito mentre si destreggiava tra pannolini, borotalco e tutine.
Kate, nell’ascensore dell’ospedale, ripensa teneramente all’espressione di suo padre che, nonostante l’ora insolita, aveva un sorriso immenso stampato in volto, gli occhi che esprimevano felicità, una gioia che non gli aveva più visto dal giorno del suo matrimonio, nel momento in cui accompagnandola all’altare l’aveva affidata a Rick.
La campanellina suona, le porte si aprono con quel consueto cigolio che sveglia definitivamente
Sarah. Gli occhi chiari e grandi, spalancati, vagano per i corridoi, chiedendo quasi timidamente perché stiano andando dalla mamma così presto.
Rick apre lentamente la porta ed incatena immediatamente lo sguardo a quello del medico di turno, aspettando il suo consenso per entrare. Jenny è seduta stancamente, con la schiena poggiata al cuscino alle sue spalle. È stremata, si vede dagli occhi spenti, dalla mancata luminosità del viso che fin dalla prima volta in cui l’aveva incontrata ricordava di aver notato. Si solleva ulteriormente notando la sua bambina stretta al petto della detective e sorride commovendosi. Allunga le braccia, ancora parzialmente intorpidite, mentre Sarah continua a ripetere la parola “mamma”, come avesse dimenticato tutte le altre. La stringe a sé non appena Kate la lascia andare al suo fianco, in quel letto dalle lenzuola immacolate.
Rick avvolge la moglie nel suo abbraccio. Le bacia il capo, felice, e il tremore delle spalle di Kate gli fa capire che anche lei sta sorridendo.
Entrambi la osservano, persi nei suoi movimenti, nel suo baciare quasi compulsivamente il capo di sua figlia, il suo viso, solleticarle la pancia per sentirla ridere come se nelle settimane di coma ne avesse sentito la mancanza.
Il medico era stato molto sbrigativo con lei, quasi sentisse che dei visitatori sarebbero arrivati in fretta dopo che l’infermiera era stata mandata ad avvisare i familiari. Avevano parlato brevemente, qualche esame di routine per verificare la capacità respiratorie, i riflessi e, cosa più importante, l’attività cerebrale. I ricordi sembravano intatti e, prima che potesse riferirgli la prematura dipartita del marito, era stato interrotto dall’ingresso dei coniugi Castle.
“Scusate, non vi ho… non vi ho neanche salutato”, non è più che un sussurro quello che esce dalle sue labbra, ancora intervallato dai silenzi causati dalle labbra che posa sulle guance paffute di Sarah. “Kevin dov’è? Sta bene? Non mi hanno detto ancora nulla... lo hanno avvisato, oppure anche lui come me è...” non termina la frase, puntando lo sguardo sulla figlia non volendola turbare più del dovuto, ma del resto, il solo arrivo di Sarah in loro compagnia avrebbe dovuto svegliare in lei un campanello di allarme.
Kate sente il braccio di Rick stringerla maggiormente, quel gesto la fa sentire quasi a disagio per ciò che sta per dire a Jenny.
Il giorno del cordoglio per Kevin aveva pensato e ripensato a quello che aveva detto a Rick: se si fosse trovata lei nella situazione che ora sta affrontando Jenny sarebbe impazzita. Non ha alcun dubbio in merito. Sa cosa significhi affrontare la morte di una persona cara, sa cosa significhi scoprirlo all’improvviso durante un momento di pura felicità. Sarà dura, sarà difficile, proverà un dolore così acuto che crederà di morire. Lentamente, come colta da un soffocamento improvviso.
“Kevin non...” lascia cadere la frase a metà, nel vuoto. Le parole non dette rimbalzano nella stanza, fino a colpire Jenny con forza, come un boomerang che torna indietro ad alta velocità.
Con una mano massaggia la schiena di Sarah riscaldandola, mentre in un gesto automatico si porta una mano sul ventre ponendo quella domanda tacitamente.
Il sorriso della coppia davanti a lei è la sola risposta di cui ha bisogno. Un lacrima le graffia il viso, una sensazione pungente e dolce allo stesso tempo. Quella notizia non spazza via il dolore della perdita, ma riesce a sovrastarlo almeno per qualche istante. Il bambino è sopravvissuto quasi per un segno del destino. L’ora di Kevin era arrivata, eppure sembra che l’Universo non voglia toglierle tutto in una sola volta e, oltre a Sarah Grace, le ha lasciato quel piccolo di cui occuparsi, un bambino che forse avrà gli stessi occhi e gli stessi lineamenti di Kevin o che magari, una volta cresciuto, glielo ricorderà nei modi di fare, nelle movenze, nelle espressioni e smorfie del viso.
Kate non può fare a meno di voltarsi verso Rick, di soffermarsi sul suo sorriso, come a volerlo imprimere nella sua mente e renderlo indimenticabile, di catturare l’amore che rilascia il suo sguardo addolcito da quella scena madre figlia. Tornando a guardare Jenny, vede prendere vita davanti a sé quell’ultima predizione di Gordon per cui ormai credeva non ci fosse più speranza e, esattamente come quel giorno trascorso a Coney Island con suo padre diciotto anni fa, anche questo momento lo porterà nel cuore. Un ricordo dolce e amaro, che la farà sorridere tra le lacrime e ancora una volta le ricorderà quanto sia prezioso il dono della vita.
 
 
 
 
 
 
Diletta’s coroner:
 
Siamo giunti alla fine di questa “avventura”.
Non so se sia finita o si sia svolta come vi aspettavate (non so neanche se alla fine si sia svolta come io avevo progettato u.u), spero comunque che, per quanto triste (forse un tantinello deprimente) e con la solita vena angst che mi accompagna in ogni fan fiction, vi sia piaciuta e non sia stata troppo pesante da leggere.
Un grazie a tutti, ai lettori silenziosi e a chi invece si è fermato a lasciare un commento breve o lungo.
Un grazie particolare a Monica che mi ha aiutato sin da quando di questa storia esisteva solo il prologo.
 
Una buona domenica a tutti e ancora grazie!
  
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