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Autore: AzzurraVermiglio    27/07/2014    2 recensioni
Parto dal presupposto che questa storia è un po' diversa dalle altre. Niente è come sembra.
Jane aveva sempre sognato di fare la poliziotta. Assicurare alla giustizia i criminali non aveva prezzo, donare quel minimo di conforto a coloro che avevano perduto, del tutto ingiustamente, un familiare era una piccola e allo stesso tempo inutile soddisfazione. Faceva tutto questo per altruismo, ma in cuor suo sapeva che, il suo animo ardeva di vendetta. Il suo io interiore era consapevole del suo essere egoista, ma non lo avrebbe mai ammesso!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dolorosamente felice
 
 
Jane aveva sempre sognato di fare la poliziotta. Assicurare alla giustizia i criminali non aveva prezzo, donare quel minimo di conforto a coloro che avevano perduto, del tutto ingiustamente, un familiare era una piccola e allo stesso tempo inutile soddisfazione. Faceva tutto questo per altruismo, ma in cuor suo sapeva che, il suo animo ardeva di vendetta. Il suo io interiore era consapevole del suo essere egoista, ma non lo avrebbe mai ammesso! Si limitò a cacciar in gola l’amaro boccone e a mascherare il tutto con un sorriso perlopiù forzato, come era solita fare fin da piccola. Erano trascorsi oramai vent’anni da quando la sua vita mutò radicalmente…  Un’intera famiglia distrutta, consumata dal dolore e ridotta a brandelli da uno
‘sconosciuto’. All’apparenza sembrava aver superato col tempo, ma in realtà una piccola parte di lei moriva giorno per giorno. Perché la sofferenza non si attenua, si può solamente mettere a tacere e chiudere in un angolo del cuore, ma questa prima o poi torna, sfonda la ‘scatola’ in cui è riposta e, facendosi largo tra i pochi momenti idilliaci, ti spinge ad agire. Non c’è ragione, non c’è compassione, non c’è altro pensiero che occupi la mente se non quella aspra, amara e quasi velenosa voglia di uccidere. Perché in fin dei conti non si ha nulla da perdere quando coloro che ami sono soltanto sfumature di ricordi impressi su pellicola.

 
Aveva visto e rivisto quel filmato un milione di volte senza scorgere nessun particolare. Quella voce implorante riecheggiava nella sua testa, così come quelle immagini che ogni notte le si presentavano davanti. Le lacrime che scaturivano da quell’esile volto supplicante non facevano altro che accrescere la sua rabbia. Osservava ed esaminava quel video da anni, serrava i denti e si limitava a mandar giù un boccone d’acqua in modo tale da trattenere il pianto, stringeva i pugni e respirava a fatica. All’udire del primo stridulo, per via di quella lama che con forza affondava nell’addome facendosi largo tra le carni, alla vista del sangue che con fiotti improvvisi tingeva l’abito floreale, il voltastomaco si affacciava come sempre. In quegli attimi avrebbe preferito la perdita dell’udito piuttosto che sentire l’ennesimo lamento a cui ne seguì subito un altro. L’uomo col volto mascherato rideva divertito sentendosi Dio. Estrasse il pugnale, le premise di respirare per poi piantarlo nuovamente nell’addome della donna poco più in basso rispetto alla prima ferita. Un urlo animalesco si sprigionò da quelle labbra che poco prima, ne era sicura, erano state a contatto con la sua pelle. Un’altra chiazza di sangue comparve sull’indumento, le pareva di sentire il miasma di quel liquido vermiglio attraverso lo schermo. Godeva nel farle del male. Lo si capiva dai gesti insulsi del suo corpo. Man mano che i respiri della donna si fecero più ritmati, alla disperata ricerca di aria e dal momento che i lamenti divennero quasi dei rantoli, decise di farla finita. L’eccitazione andava assopendosi e prima che terminasse del tutto estrasse il pugnale, sghignazzò e con tutta la forza che possedeva nella braccia lo conficcò sul collo della donna. Un getto di sangue lo colpì in pieno volto e in pochi istanti gli occhi della vittima si chiusero, il diaframma si fermò e l’aria divenne inutile. Fu così che Jane perse sua madre…

 
Perfetto! Un’altra giornata di merda è trascorsa e non ho ancora nulla di concreto tra le mani. Giunta a casa si distese sul divano, sorseggiò un bicchiere di vino rosso con la speranza che l’alcol battesse l’insonnia in una lotta all’ultimo sangue. La bevanda stava per avere la meglio quando lo squillare del cellulare la destò dal dormiveglia.
“Che c’è?” Chiese con la bocca impastata.
“Ho delle informazioni sull’assassino di tua madre.” Rispose quello che pareva un uomo.
“Chi parla?” Domandò con astio.
“Non ha importanza, presto lo scoprirai. Al parco tra quindici minuti. Vieni sola!” Le ordinò.
“D’accordo” rispose con voce sicura.
Nonostante fosse notte fonda decise di presentarsi all’appuntamento. Qualsiasi informazione riguardante la morte della madre era vitale per Jane. Eppure il suo intuito la mise in guardia. Quella voce aveva qualcosa di familiare e profondo, ma la stanchezza unita alla rabbia e mista all’alcol non le permettevano di ragionare a dovere. Emma, la sua cucciolona di pastore tedesco, la osservò con una faccia buffa, mosse la testa verso sinistra e poi verso destra, si piazzò davanti alla porta e abbaiò ponendosi sull’attenti.
“Ok, tu vieni con me” disse rivolgendosi alla cucciola che scodinzolava.
Giunta dinnanzi al parco fece un cenno col palmo della mano destra ed Emma si fermò, mentre Jane si addentrò nell’oscurità. Camminò per una ventina di metri quando una voce, la stessa voce di poco prima, provenne da una della panchine che stavano alla sua sinistra.
“Ti stavo aspettando” disse l’ombra che si nascondeva dalla luce del lampione più vicino.
“Chi sei? Come facevi ad avere il mio numero? E soprattutto cosa sai?”
L’uomo non rispose, rimase al suo posto limitandosi a sghignazzare. Solo allora la mente della poliziotta associò quella voce a quel nefasto ricordo. Solo allora capì…
Stava per scagliarsi contro l’uomo quando questi estrasse una chiavetta usb dal taschino destro, la lasciò cadere e intimò di distruggerla col piede sinistro.
“Sta ferma o non saprai mai la verità”
“Sei stato tu non è così? Hai ucciso mia madre!” Sbraitò con odio cercando di placare la sua sete di vendetta. Quello stato d’animo che si era insinuato nelle sue carni, nel suo sangue e che per anni le aveva permesso di andare avanti.
“Sono trascorsi vent’anni da allora. Possibile che tu non riesca a rassegnarti? Avrei dovuto ucciderti quando ne avevo la possibilità. Ora sono un uomo anziano e malato.”
“E cosa vorresti, il mio perdono? Puoi scordartelo!” Gli inveì contro.
“No, niente di tutto questo. Sono qui per porre fine alle mie sofferenze. Sono convinto che vuoi farti giustizia da te.” Rise nuovamente.
Jane sfoderò la sua glock e la puntò contro l’uomo dal volto ancora celato nella penombra “non aspettavo altro” disse avvicinandosi lenta.
“Ne ero sicuro” con dei movimenti cauti si chinò a raccogliere la chiavetta con la mano sinistra, la quale colpì volontariamente l’avambraccio destro affinché il pugnale che aveva nascosto nella manica raggiungesse il palmo della mano. Lo stesso pugnale con cui aveva torturato e ucciso sua madre lo avrebbe utilizzato anche per assassinare lei.
La donna fu più rapida nell’afferrare la chiavetta. L’uomo le mostrò il mini notebook che gli stava accanto, lo accese e la invitò a inserirla.
Continuava a puntargli l’arma, ma venne distratta dall’operazione che si apprestava a compiere. Il killer con un movimento repentino estrasse il pugnale. Lo conficcò sulla mano destra di Jane. La pistola cadde al suolo. Il un attimo si ritrovò a terra con l’uomo che le stava a cavalcioni sull’addome.
“Povera sciocca! In quell’aggeggio non c’è nulla. Sono venuto per te.”
“Cosa vuoi da me?” Domandò in un pianto che non implorava pietà, ma che sprigionava collera.
“Sarebbe stata mia se non avesse incontrato…   Allora ho pensato che se fosse accaduto qualcosa di brutto, io sarei stato l’alternativa; ma nulla è cambiato. Quando ho saputo di te, è stato ancora peggio, è lì che ho compreso; è allora che ho deciso. Se non fosse stata mia, non sarebbe stata di nessuno, tanto meno la tua. Non avevi nessun diritto di avere una madre come lei…
“Dannato bastardo. Hai ucciso entrambe non è così? Non ti perdonerò mai!”
“Prima ha conosciuto me. Non temere tra poco riceverai tutte le risposte, potrai farle direttamente a loro. Solo una cosa non capisco, perché ti ostini a non usare il tuo nome completo?”
“Per non dimenticare. Ero convinta mi avesse abbandonata dopo la tragedia.”
“Non puoi ricordare eri troppo piccola. Era un pomeriggio di settembre, gli alberi cominciavano a spogliarsi e il vento freddo spazzava via ogni cosa. Erano trascorsi appena dieci giorni dalla morte di lei. Sono andato a trovarvi, mi è stato facile entrare dal momento che ero il suo nuovo collega e vecchio amico per giunta. Cercavo di rincuorarla, era così vicina, il suo profumo di vaniglia mi ha dato alla testa, ho cominciato a farle delle avance, ma lei ha continuato a ignorarmi. Ha perfino minacciato di chiedere il trasferimento. In un raptus di follia ho preso la sua pistola e ho fatto fuoco all’altezza delle tempie. Aveva il silenziatore inserito così nessuno ha sentito. Ho ripulito l’arma, ho inscenato un suicidio e sono fuggito dal retro. Ho ucciso entrambe e ora tu le seguirai.” Stava per affondare la lama tra le carni della giovane quando quest’ultima richiamò la sua cucciola. Il cane si lanciò in una corsa senza tempo. Raggiunse la donna e si scagliò contro l’aggressore. Jane riuscì a divincolarsi da quella massa corporea di oltre cento chili grazie a Emma. Lo teneva stretto per un avambraccio, come una salda morsa quei denti serrati avvinghiavano le carni facendosi largo tra i muscoli. La poliziotta raccolse la pistola che giaceva a terra a due, forse tre, metri di distanza e la puntò contro l’assassino che sbraitava e si dimenava nel disperato tentativo di liberarsi.
“Emma, lascia.” Richiamò il cane e questa mollò la presa, ma continuò a rimanere in posizione d’attacco, studiando ogni minimo movimento con i suoi occhioni furiosi.
L’uomo tirò un sospiro di sollievo, ma rimase a terra intimorito dall’eventuale nuova aggressione.  Con la mano sinistra si teneva l’avambraccio destro cercando di comprimere l’emorragia e di rimettere insieme i brandelli di carni e pelle lacerati.
“Non ridi più?    Che c’è? Senti dolore?” Domandò sarcastica godendosi la scena.
“Dannata puttana! Avrei dovuto ucciderti allora.”
“Adesso dimmi perché dovrei esitare dal farti saltare le cervella? Anzi, prima vorrei divertirmi nel torturarti. Hai mai giocato alla roulette russa? Fa conto che io sia la roulette e che la pistola sia la pallina. Dove si fermerà?” Domandò scuotendo l’arma con la mano insanguinata, piazzò la canna all’altezza della gamba sinistra dell’uomo.
“Avanti, che aspetti? Non ho paura della morte” rispose leccandosi le ferite che gli erano state inferte nell’orgoglio.
Era pronta a dare libero sfogo al suo IO più oscuro. Era disposta a precipitare nel baratro senza fine da cui, forse, non sarebbe più riemersa. Serrò i denti. Inspirò profondamente. Era in procinto di premere il grilletto così da eliminare, cancellare, almeno in parte, quel peso che per anni era stata la sua energia vitale.
“Non lo fare” sussurrarono all’unisono due voci ben distinte. Due mani invisibili si posarono sulle sue, le strinsero dolcemente. Un brivido le invase il corpo. Dai suoi occhi, colmi di rabbia, odio, timore, ardore sgorgarono una dietro l’altra gocce cristalline che, lente le segnavano il volto per poi disperdersi a terra. Respirò a fatica percependo la loro presenza. Il tocco contemporaneo di due baci alle gote le diede la conferma, erano lì con lei. “Vi voglio bene” sussurrò al vento.
Mise via l’arma lasciando che fosse Emma a sorvegliare l’uomo. Afferrò il cellulare “sono l’agente Jane, ho preso l’assassino della mia famiglia. Mi trovo al parco a due isolati dalla centrale.”
Fece alzare il killer a suon di strattoni e lo ammanettò “è finita!” Esclamò spingendolo nuovamente a terra.

 
Alzò lo sguardo e la vide come sempre in prima fila. Jane fece una smorfia buffa e lei le sorrise.
“Come ci si sente a essere detective?” Le domandò la collega dai capelli castani.
“Ora che la mia ossessione si è conclusa…   Potrei dedicarmi a qualche altro passatempo!” Scherzò.
“Ah, è questo che sono per te? Un passatempo?” L’attirò a sé e la baciò.
“Beh, adesso non è più un mio superiore. Ora abbiamo gli stessi gradi e di conseguenza posso dirle che per passatempo intendo quella marea di sentimenti che rendono la vita perfetta.”
“Sarebbero fiere di te” le sussurrò tamponandole la ferita con un fazzoletto.
Gli agenti presero in custodia l’assassino.
“Andiamo” disse Jane
“Dove?”
“Seguimi, vieni anche tu Emma.” Urlò la mora correndo. Emma andava di pari passo con la sua adorata proprietaria, mentre Mirian faceva fatica a star loro dietro.
“Che ci facciamo in cimitero?” Chiese col fiatone la castana.
“Ho bisogno di fare le presentazioni.” Raggiunse le due lapidi, erano sepolte una accanto all’altra. I loro nomi incisi su quel marmo bianco e freddo. “Ecco le mie mamme. Lei è la detective Jane Rizzoli e lei è la dottoressa Maura Isles. Vi ho portato la mia compagna. Era giusto che la conosceste personalmente. È la detective Marian Lopez e sono pazza di lei.”
Marian sorrise si chinò ed estrasse una scatolina dai pantaloni “detective, Janette Isles Rizzoli, vorrebbe diventare mia moglie? Sappia che non accetto un no come risposta.” E le mostrò l’anello con sopra una pietra turchese.
Janette non rispose, si chinò, le sorrise e la baciò.
 
 
 

Spazio autrice:
salve a tutti, voglio ringraziarvi perché siete davvero in tanti a seguire le mie storie e di questo sono felicissima. Ok, questa è un po' particolare e solo alla fine c'è una sorta di sorpresa. Magari non piacerà neppure, ma dal momento che amo scrivere e che questa è nata per gioco...   Ho deciso di postarla. Grazie a chi leggerà.
Domani devo partire per la Spagna, quindi "Chimerico" e "In vino veritas" verranno aggiornate a fine settimana.
Baci Azzurra
 
  
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