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Autore: Dama degli Intrighi    27/07/2014    2 recensioni
“Vi ringrazio per essere entrati nel mio blog e perché mi state leggendo.
Ah, vi do anche il benvenuto e vi ringrazio ancora. Io sono -Invisible Girl-, non dico il mio nome perché forse sono troppo timida o sono semplicemente stufa della mia condizione; questo lo lascio decidere a voi. Non sto cercando di fare la solita persona interessata di gossip, sbandierando a tutti i segreti delle persone più in vista.
Ho iniziato a scrivere questo blog perché cerco un amico, un amico che mi possa aiutare…”
[...]
-Invisible Girl- “Sapete come possono essere duri i giovani di oggi con gli altri loro coetanei, con me è peggio! Sono presa di mira dal bullismo da sempre e ora sono stufa… Non voglio più ricevere scherzi telefonici da quelli del football, non voglio più essere presa di mira da quelle arpie delle cheerleader solo perché loro hanno una stupida divisa mini e io no… Non ne posso più, ma non so nemmeno come uscirne.
Se qualcuno non mi aiuta ho paura di finire come la maggior parte delle ragazze americane prese di mira dal bullismo. Chiunque stia leggendo, Help me”
---
Alcuni episodi sono tratti da fatti veri...
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Blog of an InvisibleGirl'
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***

Rimasi a piangere nella doccia per un bel po’ di tempo. Non so dirvi quanto, perché non volli guardare l’orologio. Mi ero rannicchiata in un angolino e lasciavo che l’acqua cadesse sul mio corpo come della pioggia tiepida. Le goccioline d’acqua si mischiavano con le mie lacrime e mi sembrava di piangere da settimane, o anche da anni, come se non avessi fatto altro nella mia vita.
Una volta uscita dalla doccia, mi asciugai distrattamente e poi andai a nascondermi sotto al piumone, come al solito. So di aver chiuso il blog, sono consapevole che forse è lo sbaglio più grosso della mia vita, ma non voglio leggere o scrivere più niente.
Non ho proprio cancellato la pagina, forse perché mi piace avere la speranza che un giorno lo riaprirò. Chissà quando i miei compagni scopriranno questo mio segreto. Scommetto che inizieranno a insultarmi anche lì e perderò anche -RedBoy-. Mi sento veramente un verme, non voglio più uscire da sotto al piumone, mai più.
I miei genitori arrivarono per l’ora di cena. Rimasero un po’ interdetti nel notare che non avevo preparato né la cena né la tavola. Mia madre iniziò quindi a cucinare e mio padre mi raggiunse in camera con l’intenzione di sgridarmi. Lo capivo perfettamente che era arrabbiato, poiché salendo le scale aveva sbattuto i piedi a ogni passo.
Non mi mossi nemmeno di un centimetro con la speranza che non mi si notasse. Sapevo che avevo mancato nei miei compiti di figlia, ma non ero dell’umore per preparare da mangiare, sentivo ancora l’odore di scarti di cibo sulla mia pelle, figuriamoci per una lavata di capo da papà. Quando entrò nella camera, facendo cigolare la mia porta, non accese nemmeno la luce.
Probabilmente quella del corridoio illuminava l’interno della mia camera quel tanto che serviva per fargli notare che ero accoccolata sotto al mio piumone. Per qualche strana ragione, mio padre si sedette sul mio letto ed esitò un attimo. Appoggiò la sua mano dove doveva esserci la mia spalla e cercò di tranquillizzarmi con qualche carezza. Questo gesto insignificante, alquanto ordinario potreste dire voi, mi ha fatto dolere la punta del naso e salire le lacrime agli occhi.
Trattenni i singhiozzi e mi strinsi ancora di più nel piumone
-Tutto bene, piccina?- mi chiese mio padre gentilmente, rimanendo seduto dove era.
Io non risposi, temevo che la mia voce strozzata mi avrebbe tradito. Annuii semplicemente sapendo che avrebbe notato lo spostamento del piumone.
-Ok tesoro, se hai fame vieni giù a mangiare, altrimenti la mamma ti lascerà un piatto fuori dalla porta, ok?-
Annuii ancora. Non sarei andata di sotto, avrebbero visto i segni del mio pianto e io avrei dovuto spiegare cosa era successo a scuola. Le ferite erano ancora aperte, certo, ma non avevo voglia di ricordare ancora quella maledetta giornata. Come potevo essere stata così stupida da credere di potermi godere la vita? Ero caduta nella loro trappola come un salame. Sono stata stupida, stupida, stupida!
Mio padre si alzò e in silenzio tornò da basso da mia madre. Probabilmente le avrebbe raccontato i suoi dubbi su di me, avrebbero indagato e forse, dico forse, avrebbero chiamato pure a scuola. Con un po’ di fortuna il professor Reed gli avrebbe raccontato cosa era successo oggi in mensa. Non sapevo bene cosa poteva succedere dopo. Un’espulsione? Cambio di scuola? La mia morte sociale? Ah no, quella c’è già.
Quella sera non toccai cibo. Chiusi gli occhi e li riaprii per pochi secondi quando sentii che mia madre riportava via il piatto ancora pieno di cibo che, molto probabilmente, aveva messo fuori dalla mia porta alcune ore prima. La seconda volta che mi svegliai, invece, fu per colpa della mia sveglia che suonava come se non ti fosse un domani.
La spensi dandole una manata, come al solito. Non volevo andare a scuola, ci avrei rimesso solamente. Mi avevano fotografata mentre piangevo ricoperta di spazzatura. Matt e Jennifer non me lo avrebbero fatto dimenticare facilmente quell’episodio. Andare a scuola in quelle circostanze voleva dire essere masochisti; io mi odio, ma non a questi livelli.
Decisi che la scelta migliore era rigirarsi nel letto e cercare di dormire ancora. Mi sarei accontentata di un sonno senza sogni, come era stato per tutta la notte. I miei genitori uscirono di casa senza provare a costringermi ad alzarmi, gli avrei ringraziati un’altra volta per questo. Mi addormentai quasi subito, ma per mia sfortuna iniziai a sognare…
“Ed eccole ancora qua, quelle risate assordanti, quegli sguardi taglienti. Tutti che mi indicano, guardano e ridono. Sono ancora in mensa, per terra, ricoperta da ogni sorta di spazzatura. Le figura di tutti i miei compagni mi ruotano attorno, in una danza demoniaca fatta di scherno e derisione.
Anche se mi tappo le orecchie con le mani, le sento ancora e ancora. Jennifer e Matt ridono più di tutti e continuano a buttarmi addosso carte e avanzi del pranzo. Poi iniziano i flash delle macchine fotografiche. La mensa si trasforma, diventa un palcoscenico e nella platea ci sono tutte le persone della città. Los Angeles è grandissima e la platea riesce comunque a ospitare tutte quelle persone.
In prima fila ci sono gli insegnanti e i miei genitori. Nessuno mi aiuta, tutti che ridono e mi urlano contro. Mi dicono che sono orribile, una sfigata, regina del lurido. Provo a urlare a dire che non è vero, che non lo sono, ma dalla mia bocca non esce alcun suono. Mi rannicchio su me stessa, come farebbe un riccio per proteggersi. Provo persino a dondolarmi per cercare di calmarmi ma le voci non smettono e io non so più che fare.
Quando qualcuno mi tocca la spalla. Ora mi vogliono anche picchiare? Alzo lo sguardo e me lo vedo davanti: il ragazzo più bello del pianeta che mi sorride e mi tende una mano. Josh Hutcherson è qui per me, lui mi salverà ed è così. Mi aiuta ad alzarmi e in quel preciso istante la gente scompare e anche il palco.
-Sono Venuto a salvarti- mi sorride Josh. -Non devi abbatterti così, prova a reagire-
La sua voce è proprio come quella che si sente nei film, bella e potente. Il suo sorriso è ancora più smagliante e i suo occhi ancora più verdi. Mi tiene la mano e io non riesco a far altro se non a guardarlo e a sorridere, almeno credo di star sorridendo.
-Non so reagire- riesco a dirgli, la voce mi è tornata. -Non sono abbastanza forte da sola-
-Ma tu non sei sola, svegliati!-
-Non capisco…- aggrotto le sopracciglia sforzandomi di comprendere quello che mi dice Josh.
-Svegliati, svegliati, svegliati…-“
Rinvengo nel mio letto, un po’ sudata per l’incubo. Piano mi scopro dal piumone per respirare aria fresca, la luce mattutina mi acceca, saranno si o no le dieci o le undici. Guardo l’orario sulla sveglia e in effetti sono le dieci e quarantadue. Sbuffo asciugandomi gli occhi, ho pianto anche nel sonno. Guardo il soffitto dove Josh regna ovunque. L’ho sognato, me lo ricordo perfettamente, anche se non so cosa mi stesse dicendo.
Avrei voluto fosse vero, mi ha fatto sentire così bene averlo accanto a me. Mi alzai di scatto e guardai la stanza. No, non c’era nessuno, avrei voluto ci fosse Josh in effetti. Mi alzo e mi trascino fino al bagno per lavarmi la faccia. Per quanto sia bello non avere la preoccupazione di dover andare a scuola, restare a casa da sola mi fa salire qualche timore. Forse è colpa dei film horror che qualche volta mi concedo. Dovrei smettete, ma mi fanno sentire meno disgraziata: quelle ragazzine che scendono in cantina mezze nude e armate di solo mascara mi fanno più pena di me.
Dopo essermi lavata e aver sistemato un po’ i capelli, quel tanto per non sembrare la moglie di Frankenstein, torno in camera non sapendo che fare. Il mio stomaco brontola e ho delle tremende fitte, non è stata un buona idea saltare la cena. Vado giù in cucina senza abbassare la guardia, ormai mi aspetto che salti fuori Matt dall’armadio delle scope. Mi preparo dei cereali con un po’ di latte e torno nel mio regno personale al secondo piano.
Mi appollaio sulla sedia della scrivania, accanto al computer spento e lo fisso mangiucchiando. Ora sono davvero sola. Prima forse non lo ero del tutto, c’era  -RedBoy- che mi regalava un timido e fugace sorriso. Mi distraeva dalla mia vita schifosa quel tanto che bastava per credere di poter sopravvivere fino alla fine del mese. Due settimane ancora. Prima il ballo e poi il diploma, non mancava molto. Non so cosa mi spinse a farlo di preciso, so solo che mentre riflettevo su come saltare il ballo, malgrado mia madre pianificasse quel momento da anni, le mie dita scivolarono sul computer e lo riaccesero.
La prima schermata che mi apparve, dopo l’accensione, fu la pagina del blog. Era da tanto che non scrivevo, da poco prima di quel… Avete capito. Ho immaginato di aggiornarlo, ma alla fine non l’ho fatto. Per mia sorpresa sono arrivati tantissimi messaggi, o almeno più di quelli che di solito ci sono. Con mano tremante sposto il mouse sperando che non siano insulti quelli che mi sono arrivati. Inaspettatamente sono tutte notifiche di -RedBoy-.
-RedBoy- “Dai per una volta posso esagerare, no?”
-RedBoy- “Ehy tutto bene? Se vuoi non esagero, tranquilla”
-RedBoy- “-Invisible Girl- stai bene? E’ successo qualcosa?”
-RedBoy- “Mi devo preoccupare? Ti serve una mano?”
-RedBoy- “Spero tu stia bene e che aggiornerai presto il tuo blog, mi sto preoccupando”.

L’ultimo commento era di quella mattina presto, sempre di -RedBoy-. Mi commossi a vedere che mi aveva cercata, se fosse stato un altro non lo avrebbe fatto. Scommetto che nessuno oltre a lui si sarebbe preoccupato per me, anche se sono pochi giorni che ci conosciamo e sempre per via informatica. Mi tremavano le mani da una sorta di felicità quasi ossessiva. Non è che non volessi rispondere, ma temevo che facendolo mi avrebbe risposto a malo modo perché ero sparita così all’improvviso e ora non mi volesse più parlare.
-Invisible Girl- “Scusate per la mia assenza. Ho avuto un crollo emotivo, uno pesante. Ieri in mensa, poco dopo il mio ultimo post, mi sono ritrovata per terra, derisa e ricoperta di sporcizia. Non so chi leggerà questo mio commento. Non so se mi crederete, ma quello che sta succedendo a me, veramente, non è uno scherzo, non sto inventando storie per essere cagata. Vi posterei anche una foto di ieri, me le hanno scattate mentre mi sputavano addosso, ma sarebbe come divulgare quello che è successo, penso che loro vogliano proprio questo. In ogni modo di sicuro sono già in circolo nella rete. E se non lo sono ancora, prima del tramonto le troverete da qualche parte. In questo momento vorrei morire, mi sto chiedendo cosa ho fatto per meritarmi tutto questo, ma non trovo risposta. Sono incapace di trovare un valido perché. Non augurerei a nessuno questo trattamento. Avrei voluto farla finita ieri sera, ma sono riuscita a trattenermi. Non voglio più vivere così, non ce la faccio. Oggi sono rimasta a scuola, avevo bisogno di un po’ di respiro da quell’inferno dove anche i professori stanno al -gioco-, se così lo si vuole chiamare. Ho paura di tornarci domani..”
Smisi di scrivere e guardai il blog aspettando che qualcuno rispondesse. Un po’ speravo che nessuno commentasse e una parte di me invece desiderava che quel ragazzo mi scrivesse ancora con un buon consiglio e qualche parola dolce.
-RedBoy- “Ero davvero in pensiero per te, avrei voluto essere lì per difenderti. Mi dispiace davvero tanto, ma non puoi restare a casa a nasconderti e dargliela vinta così. Ora se la staranno ridendo alle tue spalle dicendo che non hai il fegato per andare a scuola dopo quello che ti hanno fatto. Quando si cade bisogna rialzarsi. Vai a scuola anche se è già tardi, presentati a loro con la testa alta. Fagli vedere che non ti batteranno così facilmente.”
Mi alzai dalla sedia carica di nuova speranza. Se fosse stato un film avrei urlato “Alla mobile”, invece mi vestii e presi la borsa per andare a scuola.
  
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