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Autore: flowersinmyhair    28/07/2014    4 recensioni
È una fotografia quadrata, stampata su un pezzo di carta qualsiasi, rovinata in quel modo in cui si rovinano le fotografie che le persone si portano nel portafoglio o nella tasca dei pantaloni, con le pieghe agli angoli e tutto il resto. C’è un ragazzo, nella foto. E Harry lo ricorda
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTE: Okay, le "avvertenze" sono più o meno queste: la citazione iniziale c'entra e non c'entra, mi piace la canzone (Photograph - Ed Sheeran), mi piace come sta lì e quindi l'ho lasciata per questo; la genetica in questa OS è un'opinione, io giuro che ho provato a scrivere una cosa più reale possibile ma poi non ci sono riuscita, semplicemente non fateci caso; l'idea l'ho avuta, più o meno, da una mia esperienza personale e non riesco sinceramente a capire se la storia potrebbe avere un senso al di fuori della mia testa. Spero di sì, comunque, e spero anche che vi piaccia anche solo la metà di quanto a me è piaciuto scriverla. Buona lettura.
Fra :)


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Photographs
 
We keep this love in a photograph

We made these memories for ourselves

Where our eyes are never closing

Our hearts were never broken

And time's forever frozen, still
 
Harry è anziano. Molto, molto anziano, si intende. È un vecchietto con tanti capelli bianchi, gli occhi verdi sempre un po’ più accessi di quanto ti aspetti, gentile, sorridente e amabile. È anche in salute, tutto sommato; solo, a volte non ricorda. Non ha un vuoto di quelli che potrebbe provocare l’Alzheimer, gli capita più che altro di dimenticare nomi, chi sono per lui certe persone, certi momenti, certi dettagli importanti.
Harry sa, che gli mancano dei pezzi. Ogni tanto, se lo si osserva bene, si può notare il modo in cui stringe la lingua fra le labbra screpolate e si gratta una tempia con la punta dell’indice, si concentra nel tentativo di fare ordine. Si accascia sulla sua poltrona, poi, perché fallisce miseramente di volta in volta.
Harry è amato, comunque. Ha figli, nipoti, amici e parenti di amici che gli gravitano attorno sempre e lo trattano e lo curano come se fosse l’uomo più prezioso del mondo – e forse, comunque, Harry lo è davvero. Qualche volta è solo difficile stare in sua compagnia: capita che faccia confusione con gli avvenimenti, che si dimentichi di certe persone, di quello che erano e peggio ancora di quello che sono o non sono. Qualche volta, cala un alone di tristezza su casa Styles e tutti fingono mezzi sorrisi sperando che lui non se ne accorga. Qualche volta, fa semplicemente male. Una pugnalata in pieno petto che brucia e pizzica anche per settimane.
Harry non ricorda.
 
Le tesserine del memory sono girate sul tavolo del salotto, Harry le fissa ormai da minuti interi senza sapere esattamente cosa deve fare. Non che non gli sia stato già spiegato tre o quattro volte, ma non gli è chiaro lo stesso. Giulie, la nipotina più piccola di Harry, cinque anni appena compiuti, gira annoiata gli occhi e fa cadere la testa sul palmo della mano aperta, prima di sbuffare rumorosamente: “Mà, Haz, mi sono stancata di questo gioco”, mormora quindi tamburellando con le dita sul tavolo. Kailee, che invece è la figlia di Harry, le scompiglia i capelli con un gesto assonnato, copre uno sbadiglio con il palmo di una mano e “Va bene, allora facciamo altro. Ti va di disegnare con il nonno?”, Giulie fa di no con la testa, perché disegnare con Harry non le piace. Le mette tristezza, vederlo maneggiare con difficoltà i pennarelli grossi, vederlo scrivere il suo nome con tratti traballanti e incerti, dimenticandosi a volte che le “r” del suo nome sono due e rimanendo bloccato a metà cognome perché non sa coma andare avanti. Quindi no, non le va.
“Usciamo, allora” e la bimba fa di nuovo un gesto negativo: fa freddo, fuori. Inaspettatamente si alza dalla sedia e inizia a girovagare per il grande salotto, camminando sulle punte dei piedi. Si ferma davanti ad uno scaffale, passa in rassegna incuriosita tutti i libri che vi sono riposti, indica infine degli album di fotografie impilati in un angolo: “Possiamo guardarle?”
 
 
Le prime sono tutte vecchie fotografie di Harry e di Gemma. Ritraggono scene di compleanni e feste, di gite domenicali in famiglia, poi il matrimonio di Anne e ancora feste. Ce ne sono alcune più piccole in cui i due fratelli hanno strane espressioni sul volto, queste risalgono probabilmente al periodo degli One Direction, altre ancora sono molto sgranate e devono essere foto che erano state scattate sul cellulare per poi essere stampate. Giulie gira rapidamente le pagine, fino a quando non ne trova una che le piace particolarmente. È in bianco e nero, Harry sta dando un bacio sulla guancia destra di Gemma, il nasino schiacciato contro la pelle del viso di lei. Sembrano felici e sono belli, Giulie considera, e sa che ha davanti una bellezza rara, così tanto che deve essere trattata come qualcosa di importante, anche se forse è troppo piccola per capire cosa significhi davvero. Posa l’indice sulla fotografia, con decisione: “Siete tu e zia Gemma, questi?”, chiede senza smettere di fissare la foto, così concentrata che le si forma una piccola e adorabile rughetta fra le sopracciglia. Harry annuisce e questo lo ricorda, è sicuro che quella sia Gemma. Ricorda il giorno in cui è stata scattata, una mattina invernale non troppo fredda nel giardino di casa, per inaugurare la nuova macchina fotografica di suo padre. Dopo lo scatto, Harry si era accoccolato sulla spalla di Gemma, naso a strofinarle il collo, le aveva sussurrato un “Ti voglio bene” accompagnato da denti bianchi, occhi verdi che luccicano e fossette profonde sulle guance. Lei aveva risposto con un “Come ti pare” apparentemente disinteressato, la mano sinistra a sventolare nell’aria. Con la destra, però, gli aveva scompigliato i capelli e non molto più tardi gli aveva lasciato un bacio sulla tempia; ed Harry aveva capito. Era così che funzionava tra di loro.
 
 
Quello che stanno sfogliando deve essere l’album delle foto di famiglia, perché alle foto di Harry e Gemma seguono diverse pagine di immagini di parenti-a-caso di cui nemmeno Kailee riesce a ricordare i nomi; Harry ogni tanto tenta di riconoscere qualcuno, instaura legami di parentela fra l’uomo grassoccio e calvo e la donna esile e alta con dei ricci che somigliano vagamente ai suoi, racconta la storia del tal zio Paul che era un gran uomo e un gran lavoratore. Kailee è piuttosto convinta che Harry non sappia davvero di cosa sta parlando, che abbia pescato un po’ di ricordi alla rinfusa per poi metterli insieme disordinatamente, ma nel complesso è okay, perché Giulie sembra pendere dalle labbra del nonno e lui pare divertirsi.
Ci sono una quindicina di pagine dell’album che Kailee stringe fra due dita e gira tutte insieme, in un momento di distrazione – Harry sta raccontando che quello nella foto è davvero lui, Giulie! Ricci, tatuaggi e tutto il resto.
Le ultime fotografie, Kailee le conosce bene. Le ha scattate lei stessa e ritraggono momenti degli ultimi anni: Harry e Niall che giocano a scacchi, Harry e Niall che, seduti su una panchina di Londra, sorridono all’obbiettivo, Harry e Niall che parlano, Harry e Niall in ogni versione possibile. Giulie sorride perché Harry, come al solito, non perde un’occasione per prendere in giro l’amico che ha, ovviamente, riconosciuto – e non potrebbe essere altrimenti, davvero. Harry è la Terra e Niall la sua Luna, gli gravita attorno come se fosse costretto a farlo da qualche forza superiore. O qualcosa del genere.
Le ultime pagine sono dedicate unicamente ai figli e ai nipoti di Harry; Kailee da bambina, è seduta su un’altalena, la frangetta castano chiaro che quasi le copre gli occhi verdi, le guance piene, stesso nasino all’insù e sguardo furbo di Giulie, che è proprio nella fotografia accanto. Harry fatica davvero, davvero tanto a riconoscerle, scambia il figlio più grande di Kailee, Connor, per qualche parente che probabilmente nemmeno esiste davvero, non ricorda i nomi di gran parte dei nipoti e quando la figlia nomina quelli che sono andati a vivere in Francia, Harry dichiara con tono sicuro che non li conosco, quelli, mai visti in vita mia. Giulie prova ad accennare al fatto che sono venuti a trovarlo non più di due mesi prima, lui scrolla ancora la testa, la bimba sbuffa e lascia cadere la conversazione. Nulla di sorprendente, nel complesso. Harry fatica soprattutto a ricordare gli eventi più recenti, ormai Kailee e Giulie – e tutti gli altri – ci hanno fatto l’abitudine.
 
 
Due degli album, i più grandi, sono interamente dedicati alla carriera di Harry e Kailee sorride quando pensa che quelle racchiuse in quelle pagine saranno, sì e no, un quarto delle fotografie degli anni di suo padre come parte degli One Direction. Lì ci sono alcune delle più belle, è stata lei, con l’aiuto di suo fratello, a selezionarle, altre invece erano così meravigliose che Kailee non ha saputo trattenersi dal prenderle per sé, e le tiene a casa sua come se fossero il tesoro più prezioso del mondo. Potrebbero esserlo davvero, comunque.
Nell’album ci sono foto di Harry da ragazzo che canta negli stadi o nel backstage dei più grandi palcoscenici del mondo, foto di un ragazzo dalla pelle un po’ più scura degli altri addormentato nel lettino di un tour bus - “Zayn. Cantava, disegnava, scriveva meravigliosamente. C’erano momenti in cui credevo che la sua anima stessa fosse arte. Era uno tranquillo, quel tipo di persona con cui puoi semplicemente sederti e parlare di tutto, ad ogni ora. A meno che non fosse in compagnia di—“ sta spiegando Harry, quando Kailee lo zittisce velatamente, indicando la fotografia di un altro ragazzo; capelli corti, spalle larghe e mano sullo stomaco, intento a cantare: “E lui che è, Haz?”. Qui, i ricordi di Harry si fanno più fitti e disordinati. Sa che quello nella fotografia doveva essere qualcuno a cui aveva voluto molto, molto bene. E sa anche che era un ragazzo complicato, uno che combinava involontariamente piccoli tornadi attorno a sé un giorno sì e l’altro anche, uno che aveva bisogno di loro ragazzi attorno per avere la testa a posto, uno che accidenti, si è arrampicato su un cornicione da ubriaco una volta. Sbiascica un “Leeeyum?” poco convito, allungando la “e” quasi all’inverosimile. Kailee è piuttosto convinta del fatto che Harry non lo chiamasse spesso così, ne è praticamente certa, ma è okay: “Liam, pà. C’eri quasi”.
Infine c’è, immancabilmente, Niall. Niall che sorride, Niall che salta, Niall che canta, Niall in ogni versione possibile, di nuovo. E, sempre di nuovo, Harry e Niall, in ogni posa. In una delle tante fotografie, i due si stanno abbracciando, un abbraccio così stretto e forte che Giulie può quasi percepire il dolore al petto e il fiato corto causati dalla stretta. Sorride, poi, fossette agli angoli della bocca come quelle del nonno, e le guance le si colorano di rosa perché zio Nì era bello e le riesce difficile credere che quello che sta guardando sia lo stesso uomo dai capelli bianchi e con la pancetta da birra che le strizza le guance sussurrando qualche stupida frase che assomiglia ad un insegnamento di vita in accento irlandese. È solo quando si sofferma sul sorriso che non ha più dubbi: è lo zio Nì, chiaramente e indiscutibilmente.
Gli occhi di Giulie, Kailee ed Harry potrebbero giurarlo, brillano mentre scorre con lo sguardo attento fra le pagine dell’album. L’ultima fotografia ritrae Harry con una coroncina di fiori rosa incastrata fra i ricci scuri, le luci del palcoscenico lo colpiscono in modo praticamente perfetto rendendo i suoi occhi qualche sfumatura più verdi del solito ed è bello, una bellezza rara, di nuovo. Giulie inizia a capire di cosa si tratta. La bimba sospira rumorosamente nel chiudere l’album, come se per tutto quel tempo avesse trattenuto il respiro, troppo concentrata ad ammirare le luci, il pubblico, i ragazzi nelle fotografie. È indubbiamente contenta, orgogliosa del suo nonno, quasi euforica. C’è anche un vuoto, però, all’altezza dello stomaco. La sensazione di qualcosa che manca, qualcosa di bello e unico e importante. Incrocia lo sguardo di Harry, occhi verdi che si riflettono nei suoi che sono invece azzurri. E sa che il nonno ha la stessa identica sensazione.
 
Giulie muove velocemente le dita fra le pagine dell’ultimo album; altre foto di famiglia, alcune lettere dei cugini dalla Francia – “Visto, nonno? Ti scrivono anche” -, fogli di carta consumata con scritti i testi di vecchie canzoni, fotografie delle macchinette automatiche, pezzi di vita di Harry e della sua famiglia sono conservati alla rinfusa in quell’album piccolo e disordinato.
È solo verso la fine che qualcosa cattura l’attenzione di Giulie. È una fotografia quadrata, stampata su un pezzo di carta qualsiasi, rovinata in quel modo in cui si rovinano le fotografie che le persone si portano nel portafoglio o nella tasca dei pantaloni, con le pieghe agli angoli e tutto il resto. C’è un ragazzo, nella foto. Ha i capelli lisci pettinati in un ciuffo che gli copre la fronte; indossa una maglia a righe larghe, dei pantaloni scuri, sta suonando una chitarra, espressione concentrata e divertita allo stesso tempo. Non si riesce a distinguere il colore dei suoi occhi, la bimba è comunque pronta a scommettere, mano sul fuoco, che siano azzurri – Giulie crede di somigliarli, almeno un po’.
Sul lato destro della foto, Harry. Un Harry che Giulie è piuttosto sicura di non aver mai visto, completamente concentrato nei movimenti del ragazzo accanto a lui, le labbra serrate in un’espressione seria, di ammirazione, di vera e propria contemplazione. In quel momento, la bimba decide che quella fotografia è sicuramente qualcosa di importante. “Lui chi è, Haz?” chiede nel momento in cui Kailee si risiede al loro fianco, porgendo ad ognuno una tazza di tè fumante e—Oh. Sembra tutto spegnersi in un istante, dentro di lei. Ha saltato le pagine di Harry e Louis, del loro matrimonio, della nascita sua e dei suoi fratelli, ha racchiuso fra due dita un pezzo delle loro vite nell’album di famiglia, quasi cancellandolo, fingendo che non esistesse. E ha preso ogni fotografia di suo padre custodendola gelosamente in una scatola di legno a casa sua; le fotografie del gruppo al completo, beh, quelle sono nelle scatole che nessuno apre da anni. Ha cercato di distrarre Harry dal parlare di lui, Kailee tenta sempre di nascondere e tenere per sé ogni cosa che riguarda Louis e non perché vuole che ci si dimentichi di lui, è solo perché fa male. Louis è una ferita aperta, per tutti, e Kailee lo sa.
Nello stesso momento in cui una voragine sembra volerle squarciare il petto, qualcosa si accende invece negli occhi di Harry. L’uomo stringe le labbra in una piccola “o”, poi si porta le mani sulla bocca e sorride imbarazzato: “Louis”, risponde quindi, la voce di solito roca e tentennante di Harry esce questa volta in modo pulito e cristallino. Uno scherzo maligno della natura, che suoni così simile a quella di Louis, pensa Kailee.
Giulie non sembra comunque contenta della risposta. Arriccia le labbra, si gratta infastidita un braccio e sta per chiedere qualcosa, ma Kailee la ferma prima che sia necessario: “Era tuo nonno, Giulie”, dice quasi in un sussurro mentre con la punta dell’indice traccia i contorni del viso di suo padre nella fotografia.
È, tuo nonno. – si sente in dovere di rimarcare Harry, che è tutto una fossetta e agitazione, ora che ha finalmente capito cosa mancava – A proposito, dov’è ora, ‘Lee? Non lo vedo da un po’”.
Sono quasi sette anni, conta quindi Kailee. Sette anni da quando Louis ha smesso di riscaldare l’aria di chiunque gli stesse vicino, sette anni da quando i suoi occhi blu hanno smesso si guardarla come se fosse la cosa più bella dell’intero Universo per farle sapere che era speciale, sette anni da quando la sua risata, forte e cristallina fino all’ultimo, ha smesso di riempire l’aria e le parole e le persone. Sette anni da quando Zayn, il migliore amico storico di Louis, ha smesso di frequentare abitualmente casa Tomlinson-Styles, limitandosi a qualche visita di circostanza di quando in quando, che va puntualmente a finire in lacrime leggere e amare che gli solcano il volto perché Dio, tutto sa ancora così tanto di lui. Come se si fosse impresso nei muri, nelle lenzuola che odorano di lui, nei gesti, nella pelle, negli sguardi, Louis, Louis, Louis. Ovunque. Sette anni da quando Harry ha creduto di poter morire anche lui, quasi per simbiosi, quasi come fosse quella l'unica conclusione ovvia per la loro vita passata insieme a prendersi cura uno dell’altro e ad amarsi e a viversi fino a diventare un’unica cosa, Harry e Louis, la pelle che scotta e il cuore che perde battiti dal loro primo incontro, per ogni giorno della loro vita. Sempre di più, sempre più forte, sempre più distruttivo perché in tutto quello che erano, loro due, non c’era tempo di pensare alla fine. Anche se sarebbe bastato uscire un secondo, uno soltanto, dalla loro bolla, per capire che sarebbe arrivata e sarebbe stata devastante. E poi, Harry semplicemente non è morto. Ha ripreso a sorridere, labbra che si alzano stancamente e occhi meno verdi perché cosa è il suo verde senza il blu di Louis; magari, è ancora vivo solo perché Louis è davvero ovunque, lo si respira nell’aria e può far male ma è anche rassicurante. E, dopo ancora, Harry non ricorda più nulla. Ricorda i baci e le carezze, il respiro di Louis sulla sua pelle, la sua voce nell’aria, la mattina quando tutto ciò che lui avrebbe voluto sarebbe stato un po’ di silenzio e Louis invece parlava, parlava e parlava ancora e alla fine andava bene così, il suo modo di preoccuparsi, il suo essere splendido e vero senza nemmeno volerlo, rendersene conto. Ricorda Louis, Harry, non ricorda la sua assenza. Non le sa dare un tempo, una determinazione. È vaga.
“Papà è morto, Haz”, si ritrova costretta ad ammettere Kailee, la consapevolezza di dare nuovamente a suo padre quella sensazione di vuoto infinito e impossibilmente insormontabile. La sua voce è calma, il tono spezzato nelle ultime sillabe. Normalmente, Harry replicherebbe. Normalmente, Harry punterebbe i pugni nella poltrona e discuterebbe fino a non avere più fiato perché ha ragione lui. In questo caso, Harry si lascia cadere pesantemente all’indietro e incassa il colpo.
Harry non ricorda.
E, qualche volta, fa semplicemente male. Una pugnalata in pieno petto che brucia e pizzica anche per settimane.
 
Giulie sfiora con l’indice la linea del naso di Louis, nella fotografia che sua madre ha concesso di mostrarle. Era così bello. Immagina la sfumatura del blu dei suoi occhi che cambia a seconda del tempo, come quella dei suoi. Nei giorni più belli, contorni scuri e iride chiara, delle pagliuzze bianche che accendono lo sguardo e tolgono letteralmente il fiato; un azzurro acquoso che si mischia con il grigio e del verde sporco nei giorni di pioggia.
“Si amavano tanto, mà?”
“Più di quanto saremo mai in grado di capire, Giulie”
“E il nonno lo dimenticherà di nuovo?”
“No. Non l’ha mai fatto”
 
   
 
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