Anime & Manga > Bleach
Ricorda la storia  |      
Autore: myosotiis    28/07/2014    4 recensioni
Bleach | IchiUri (Ichigo/Uryū) | one-shot | 6.854 words.
Eravamo il bianco ed il nero, la luna ed il sole, la prudenza e l’impulsività, la pioggia ed il lampo, il cielo e la terra, la luce e l’oscurità, un Quincy ed uno Shinigami, due facce della stessa medaglia tempestata d’orgoglio ed onore. [...] Ed è strano da dire, ma… io, Ishida Uryū, e Kurosaki Ichigo eravamo in qualche maniera in sintonia.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Inoue Orihime, Ishida Uryuu, Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
[note dell'autrice;]
ho scritto questa fanfiction su una delle mie coppie preferite di Bleach, alternando i punti di vista dei due protagonisti, quindi di Ichigo ed Ishida — spero che, nonostante quest'idea leggermente stramba, il testo sia piacevolmente leggibile. Grazie a chiunque leggerà e chiunque recensirà (perché mi farebbe piacere una piccola recensione su questo mio lavoro, sì); vi auguro, in ogni caso, buona lettura!
 














  you were the thunder, I was the rain.



Quel giorno, in classe, fui sorpreso dalla buffa sensazione di essere osservato per tutto il tempo.
Non potevo affermarlo con certezza, ma avvertivo come se qualcuno mi stesse spiando, ammirando, guardando.
Intravedermi non era affatto arduo, giacché avevo ormai acquisito l’abitudine di sedermi spesso in prima fila, come il miglior studente della classe avrebbe dovuto fare, tanto che non era la prima volta che questa sensazione s’impossessava di me: ma quel giorno avere quegli occhi inchiodati su di me era fastidioso. Nonché piuttosto inquietante.
Provai a voltarmi, più di una volta, ma non ebbi l’occasione di notare movimento alcuno da parte dei miei compagni. Nessuno mi stava realmente guardando. Tutti erano immersi nella lezione, nulla sembrava smuoversi.
“Probabile siano persone che stanno ridendo di me”, fu quello il mio primo pensiero, prima di sospirare. Il mio essere lo studente migliore della classe non era accettato da tutti, in fondo. Ho sempre pensato fosse invidia, la loro, in ogni caso.
Non ero il tipo di persona da non impegnarsi a scuola per apparire, come probabilmente altri facevano. E poi c’erano coloro che, anche senza brillare, se la cavavano con lo studio… Come Kurosaki.
Kurosaki Ichigo.
L’unico chiodo fisso errante nei miei pensieri, con il suo coraggio ed il suo essere diversamente simile a me, continuamente nella mia mente. Avrei voluto non pensare a quel ragazzo, schiodarlo dalla mia anima definitivamente— perché neanche avrei desiderato così ardentemente essere notato da uno Shinigami.
Ma mentirei se negassi che nel profondo, speravo che quegli occhi che avvertivo alle mie spalle fossero i suoi, pur avendo la certezza che non lo fossero.
Ero sicuro che il “sostituto Shinigami” non mi avesse mai notato, se non come un compagno d’armi. Anche se non credevo che lui e Kuchiki fossero semplici amici, non credevo neanche avesse capito che Inoue era innamorata di lui.
Mi sono sempre chiesto come faceva a non notare quel suo sorridere luminoso e splendente senza dubitare che sotto quelle labbra ricurve ci fossero dei veri e profondi sentimenti nei suoi confronti. Non lo concepivo. E potevo (eccome, se potevo) comprendere la maniera in cui Inoue si sentiva.
A volte reprimevo l’istinto di inzupparmi dell’odore forte ma piacevole di quella pelle bronzea, di accarezzare i suoi capelli ed il loro inusuale colore, di sfiorare le sue labbra con le mie. Mi mancava persino quando era al di fuori del mio raggio visivo, ma mi rallegravo al solo remoto pensiero di poter parlare con lui nuovamente.
Eravamo il bianco ed il nero, la luna ed il sole, la prudenza e l’impulsività, la pioggia ed il lampo, il cielo e la terra, la luce e l’oscurità, un Quincy ed uno Shinigami, due facce della stessa medaglia tempestata d’orgoglio ed onore.
Ed è strano da dire, ma… io, Ishida Uryū, e Kurosaki Ichigo eravamo in qualche maniera in sintonia.


 


C’era qualcosa di bizzarro, in quella lezione, che mi attirava più di qualunque altra cosa.
Di solito, durante le lezioni, ero piuttosto attento… O perlomeno, tentavo d’esserlo. Forse a causa della stanchezza, o di una semplice distrazione crescente come il divagare di una macchia d’inchiostro su un foglio bianco, non riuscivo a prestare attenzione a quel professore. Non m’importava realmente e, sinceramente, potevo anche permettermi di dar spago a quella distrazione, dato che ero nascosto da una serie di banchi che portava alla fonte di ciò.
La fonte della mia distrazione aveva anche un nome, se ve lo stavate chiedendo.
Uryū Ishida.
Avevo mai notato, stando dietro di sé, come fossero rigide le sue spalle o come la divisa scolastica gli calzasse in maniera impeccabile? Come se quella divisa fosse stata cucita di proposito per farla indossare al suo corpo e— probabilmente i miei pensieri erano tutto un continuo delirio. Davvero la lotta contro gli Hollow mi aveva trasmesso questo strano effetto, tanto da trovare (in un’orrendamente buffa maniera) la schiena di Ishida attraente?
Qualche volta il suo sguardo vagava per la classe per rari istanti, ma non mi era difficile mascherare il mio osservarlo – era troppo poco distante dal professore e dal suo vacuo parlare per scoprire l’identità misteriosa che lo stava indirettamente torturando con i propri occhi.
Le mie labbra si stiravano in un sorriso sornione, specie quando il suo viso pallido si voltava nuovamente di fronte a sé, senza aver guadagnato nulla o scoperto nulla sul mio conto e sul mio sguardo, aggiungendo un sospiro.
“Ishida 0 – Kurosaki 1. Ha!” soddisfatto di non esser stato scoperto, continuai, imperterrito. Sapevo che Ishida non era il tipo di persona che non avrebbe notato degli occhi altrui su di sé… alle volte era fin troppo perspicace.
E non avevo motivo di sottovalutarlo da quel punto di vista.
Ma, nonostante tutto, la maniera in cui ero così dannatamente attratto da quella schiena – o da quel corpo diafano in generale — m’inquietava. E quando il suo viso si voltava verso di noi, per poi tornare verso l’originaria direzione, percepivo un distante desiderio di assaporare quelle labbra così sottili e chiare, di poter osservare da vicino quelle iridi blu notte, di poter intersecare le mie dita con le sue affusolate e sottili, di toccare la sua fronte con la mia e— nel bel mezzo dei miei pensieri più reconditi, si fece spazio il suono deciso di una campanella, che indicava la fine della lezione.
Da quanto tempo lo stavo fissando?
E, prima che potessi dire, fare o pensare ad altro, incontrai i suoi occhi. Quei zaffiri mi fissavano. E ci fu silenzio, solo un assordante bombardamento di pensieri da parte di entrambi.
Ed è strano da dire, ma… io, Ichigo Kurosaki, ed Uryū Ishida eravamo maledettamente in sintonia.


 


Fui irrimediabilmente sollevato quando udì il suono della campanella che interrompeva ancora le lezioni per una pausa più lunga: quella del pranzo.
Sospirai. Il reiatsu di Kurosaki era ancora percettibile dietro di me. Come quegli occhi instancabili.
Avevo acquisito anche un’altra abitudine, da quando mi resi conto di ciò che provavo per il “sostituto Shinigami”: ad ogni campanella, avrei controllato ciò che si sarebbe accinto a compiere. Per questo, non appena il suono della campanella si spense, lasciandoci non più di un vago eco del suo urlo per il corridoio della scuola, mi voltai non completamente dietro di me, con la scusa di afferrare un libro dalla mia borsa.
Ed avvenne.
Ciò che vidi era uno Shinigami il cui volto era appoggiato al palmo della sua mano sinistra, gomito posato sul banco (più precisamente sul suo quaderno vuoto). Fra noi cadde il silenzio. Notai come le sopracciglia aggrottate altrui si sposavano perfettamente con il suo viso abbronzato. Le sue iridi castane non si mossero di un millimetro, mi osservavano. Mi sentii nudo, spoglio, oserei considerarmi quasi impotente; quel Kurosaki che rovistava nelle profondità della mia anima e dei miei occhi, in cerca dei miei veri sentimenti. Non passarono più di qualche secondo, ma mi parve che un’infinità di tempo scorreva di fronte ai nostri occhi, attratti come dei magneti. Non riuscivo a sopportare tutta quella tensione; la classe intorno a me divenne inesistente di fronte alla tortura delle sue iridi castane. In ogni caso, mi portai una mano sul viso, sistemandomi gli occhiali silenziosamente scivolati lungo il mio naso – e posso anche confermare, ora, che fu anche un efficace metodo per distogliere lo sguardo ed interrompere il nostro intenso contatto visivo.
«Devo supporre che tu non mi abbia mai guardato in faccia, Kurosaki?», pronunciai, sulle mie labbra screpolate non v’era neanche l’ombra d’un sorriso, nonostante la mia anima stesse palpitando d’una dolce gioia. Sentì il mio cuore velocizzare il suo battito, quando l’altro si fece sfuggire un sorriso divertito e socchiuse per un istante le palpebre, prima d’alzarsi. Quando lasciò il suo banco, avvertì il come mi passò accanto per raggiungere l’uscita. Gli lanciai una nuova occhiata, che fu ricambiata, come la mia frase: «Potrei dire la stessa cosa».
Con la coda dell’occhio potei ammirarlo mentre si dirigeva verso… Kuchiki, che lo attendeva di fronte alla porta della nostra classe, mentre aprivo il mio libro sul banco di scuola. Spalancai le palpebre, nascoste dai miei occhiali.
“Lo sapevo, maledizione, lo sapevo… Quel dannato Kurosaki.”
Ero geloso. Fu arduo ammetterlo, ma lo ero. Lo ero disperatamente.
Digrignai i denti: dovevo ignorarlo e non soffermarmi su quei muscoli delle braccia dello Shinigami. Conoscevo le cicatrici sul suo corpo ormai consumato, l’odore del suo sangue, le volte in cui la sua Zangetsu era stata stretta da quelle forti mani. Immaginavo le sue grandi mani di un calore indescrivibile, rassicurante ed accogliente, ed avrei scommesso qualunque cosa su questa mia immaginazione. Lasciai cadere lo sguardo sulle mie: più affusolate, ma scalfite, fredde, pallide. E poi ancora una volta lo guardai andare via, la sua schiena nascosta dalla camicia della divisa scolastica, che trovavo così affascinante se indossata da Kurosaki. E poi… una piccola e femminea mano su di essa.
«Ishida-kun», Inoue si avvicinò a me, interrompendo il flusso dei miei pensieri. «Potresti… uhm, sistemarmi questo vestito? Non volevo disturbarti, ma non so proprio come rimediare a quello strappo», disse, osservai l’abito color rosa.
Ma la mia mente era ancora incantata da quelle iridi castane non mie.
Quanti pregi, quanti difetti e imprecisioni… ma era così perfetto in ogni sua imperfezione.


 


Quel ragazzo e le sue risposte mi avrebbero ucciso.
Rukia mi attendeva sulla soglia d’ingresso per la nostra classe, in compagnia di Chad e Keigo. Appena uscì dall’aula, Rukia passò una mano sulla mia schiena, pulendomi.
«Ichigo, sei zuppo di cancellature di gomma qui— cosa c’era sullo schienale della tua sedia?», lanciai un’occhiata alle mie spalle, per controllare… uhm, Ishida? In quel momento suonava così bizzarro. Ma quando le mie pupille corsero verso la sua direzione, potei notare Inoue avvicinarsi a lui, sorridendo. Mi rubò il sorriso alla quale avevo accennato poco prima.
Inoue… ed Ishida? Avrei dovuto dimenticare l’intensità con la quale c’eravamo osservati qualche istante prima?
No, certo che no.
Aggrottai le sopracciglia, distolsi lo sguardo, sotto quello dubbioso di Chad e Rukia. Proprio in quel momento in cui non riuscivo a dimenticare il suo corpo, il suo volto, i suoi occhi… lui. Non riuscivo a togliermi dalla mente con quale maniera mi aveva osservato poco prima. Le sue iridi erano oceani – ed io non avevo mai pensato simili idiozie.
“Oh diavolo, no, Ishida, no. Non m’imbroglierai, non stavolta.”
Ero geloso. Fu difficile ammetterlo, ma lo ero. Lo ero fottutamente.
Pensai ai suoi occhi, pensai a come mi avevano catturato poco prima, pensai a come sarebbe stato toccare quel pallore del suo viso: immaginavo la sua pelle morbida e soffice, come cucita da un abile tessitore… ed in quel caso poteva trattarsi anche di lui. Credevo che Rukia avesse capito qual era il problema, il suo sguardo sì serio ed interrogatorio verso il mio ancora imbevuto di rabbia e gelosia dall’incontro poco desiderato di quell’Ishida. Uscimmo in cortile, in ogni caso, dopo aver acquistato il pranzo. Non sono mai stato un campione nel nascondere i miei sentimenti, per questo in compagnia risultai davvero poco amichevole ed irritante. E Rukia volle parlare con me in privato.
«Allora?», la sua voce risuonò nella mia mente più volte. Come un eco.
«Allora..?», ripetei, immaginando un continuo alla sua domanda, che ottenni dopo un pesante sospiro da parte sua.
«Non fare il finto tonto, non sono un’idiota. Hai qualcosa che non va».
I suoi occhi e le sue labbra stirate appena in un sorriso soddisfatto mi spinsero a sospirare. Sapeva di avere ragione e sapeva che stavo cercando di sviare la sua domanda. Anche se pensavo che parlarne direttamente con Ishida fosse la scelta migliore, le parlai. Le parlai di quanto l’avevo osservato e studiato in classe – omettendo, ovvio, tutti i dettagli imbarazzanti che mi svolazzavano per la mente — di come ci eravamo osservati prima di uscire; la ragazza dai capelli corvini mi osservava, attenta, mantenendo fra le labbra minute la cannuccia del suo succo di frutta (ricordavo ancora quando non era in grado di berlo!). Le parlai di com’ero invidioso qualche istante prima e di come la gelosia mi stava logorando internamente anche in quell’esatto istante. Le palpebre si chiusero per un istante. Quando le riaprì, Rukia mi stava fissando. «E quindi, uhm, penso di essere vagamente interessato a lui». Conclusi.
«Ichigo, non mi starai dicendo che ti vergogni a parlare di una cosa simile con Ishida?», domandò lei, sbigottita.
« Non è una cosa— usuale, va bene?», d’accordo, ero in imbarazzo. Il solo pensiero di dover dire ad Ishida tutto ciò che pensavo di lui in classe era così lontano da me. «E poi non posso dirgli ciò che provo, sembrerei un idiota».
«Non sembreresti diverso, dunque», la ragazza sorrise, socchiudendo le palpebre, mentre l’ammonivo con un “ehi”, tentando di fingermi offeso, ma… fui bellamente tradito da un sorriso che mi sfuggì, in risposta al suo. «Avanti, torna in te!», continuò lei. «Parlagli. Al più presto. Altrimenti la relazione con Inoue potrebbe davvero realizzarsi».
Mi aveva messo alle strette. La campanella suonò di nuovo, stavolta per indicare la conclusione della pausa.
«…hai vinto tu. Gli parlerò». Lasciai svolazzare lo sguardo verso la finestra della nostra aula sotto lo sguardo soddisfatto di lei; pensavo di nuovo a quegli occhi, quel corpo, quelle labbra, quella pelle.
La sua perfezione lo rendeva imperfetto… ma era così perfetto in ogni sua imperfezione.


 


«Perdonami » alzai lo sguardo dal capo ormai ricucito e perfetto. Pensavo di aver fatto un buon lavoro. «posso chiederti una cosa?», non era la prima volta che Inoue mi poneva domande simili, per questo non riflettei neanche prima di schiudere le mia labbra. E poi non riuscivo a mancar di rispetto… specialmente ad Inoue. Come potevo? Era una delle mie poche e rare persone a me amiche in quella scuola.
«Di che si tratta?».
«Di te, Ishida-kun e di… Kurosaki-kun». Io deglutì. Percepii un grosso e pesante vuoto dentro me, una specie di nausea al solo udire i nostri cognomi così vicini, l’uno dopo l’altro… come un delicato battere d’ali nel mio stomaco. «Vi ho visti prima, mentre vi osservavate. E’ successo qualcosa?» Le mie pupille sfuggirono al suo contatto visivo, non avrei mai desiderato parlare di lui. Mi ritornava in mente il momento in cui la mano esile di Kuchiki si posava delicatamente sulla spina dorsale di Kurosaki, in maniera così informale e semplice: una maniera che avrei potuto acquistare con lui solo nei miei sogni più segreti. «Sai che non sopporto vedervi litigare». Aggiunse in seguito, forse notando quella punta di disagio ed inquietudine nelle mie iridi. Potei notare il modo in cui mi sorrise. Cercò di sembrare rassicurante.
Ma avevo paura. Avevo paura di parlarle di ciò che provavo per Kurosaki, le avrei fatto male. E non volevo.
Avrei voluto davvero aprirmi con lei, ma non era l’argomento migliore. Per questo nascosi tutto. Come sempre.
«Inoue-san», iniziai; mi sistemai nuovamente gli occhiali “scivolati” via — avrei forse nascosto nuovamente l’imbarazzo. «ringrazio la tua gentilezza ed il tuo interesse nei nostri confronti», le mie mani si mossero delicatamente, piegando il capo dalla ragazza prestato per qualche minuto, per consegnarglielo nuovamente; «ma la tua preoccupazione è futile. Tra noi non c’è nient’altro che pura e semplice rivalità. Dovresti saperlo».
Non mi parve molto rassicurata e convinta, per questo accennai ad un sorriso.
«Capisco… di solito se c’è un problema fra due persone la cosa migliore sarebbe parlarne, ma a quanto pare fra di voi non c’è nulla di preoccupante», l’ennesimo suo sorriso. Mentirle mi fece sentir peggio. Ma… «mi fa piacere! Oh— e grazie mille per aver ricucito il mio vestito! Avevo tentato di sistemarlo da sola, ma non ci sono riuscita».
…non mi soffermai al capo sottratto dalle mie mani, piuttosto ripensai intensamente alle parole di Inoue.
“Di solito se c’è un problema fra due persone la cosa migliore sarebbe parlarne”. Parlarne.
“Cosa dovrei dire a quello stupido?”, pensai, mentre congedai Inoue, che raggiunse le sue amiche. Riflettei parecchio, ma la maggior parte delle volte finii per lodare nuovamente e soffermarmi a ricordare il suo corpo, il colore della sua pelle, le grandi mani ed il suo sorriso. Avrei dovuto parlare dei miei sentimenti, di come la mia anima esultasse ogni volta che i nostri occhi s’intrecciavano in un rivale contatto visivo, di come brividi mi percorrevano la schiena al suo solo avvicinarsi a me.
E mi piaceva, dannazione; amavo ogni singola caratteristica di lui, a partire dal modo in cui pronunciava il mio cognome.
Sarebbe stato bello udire le vibrazioni delle corde vocali ed osservare il muoversi delle sue labbra nel pronunciare il mio nome.
Ritornai alla mia lettura. Non avevo fame e, dopotutto, il fattore meno distante che avrebbe potuto distrarmi dal pensare e dall’oscurarmi dal mondo per riflettere su Kurosaki era quel libro.
Non alzai mai più lo sguardo, nessuno mi rivolse la parola dopo Inoue, e potevo udirla ridere fuori dalla classe.
Nessuno mi rivolse la parola e… mi accorsi che la sensazione di essere osservato scomparve con Kurosaki stesso.
Suonò la campanella. Dovevamo affrontare ancora poche ore di lezione. Sospirai, nel chiudere delicatamente il mio libro, accarezzando la copertina liscia di quest’ultimo.
E nel chiacchiericcio dopo la pausa, immerso in una bolla di silenzio, notai, con la coda dell’occhio, il suo rientro in classe.
Non ebbi neanche il coraggio di guardarlo in faccia. “Kurosaki.”


 


Rientrai in aula con i miei compagni. Prima di compiere l’ultimo passo che mi avrebbe permesso di penetrare in aula, Rukia posò la sua minuta mano sulla mia schiena, all’altezza delle scapole, per imprimermi del coraggio. Avrei voluto ribellarmi a lei e dirle che, diamine, non avevo bisogno di altro coraggio per portare a termine una cosa simile— ma non ne ebbi il tempo.
Così, appena entrato, lanciai un’occhiata a colui che tra lì a qualche ora mi avrebbe ascoltato — eccome, se l’avrebbe fatto. Osservava la copertina del suo libro senza aprir bocca o alzare il suo sguardo? Non capivo quella sua aria così seria, in quel momento, ma… mi resi conto che avrei voluto farlo. Avrei voluto davvero comprenderlo, lui ed anche le sue stranezze. Lui ed i suoi sentimenti. Lui e… il vero Ishida Uryū. Ma ce l’avrei fatta. Non mi sarebbe sfuggito.
Tutto il lasso di tempo che trascorsi in classe (durante le lezioni) fu un vero inferno di pensieri. Talvolta lanciavo ad Ishida uno sguardo, per mantenerlo d’occhio, ma non incontrai mai più i suoi occhi. Non si voltò neanche in una misera occasione. Rimase lì, a vegetare, ascoltando la lezione (o così mi pareva) e prendendo appunti.
E mi piaceva, dannazione; mi accorsi di trovarlo bellissimo in ogni suo singolo movimento... persino quando mi dava le spalle. Sarebbe stato bello avvertire le sue braccia circondarmi in un sincero abbraccio, percepire le sue labbra pallide sovrastare le mie.
Non prestai seriamente attenzione alle lezioni, per nulla. E quindi, dopo avermi torturato con dei pensieri improbabili sullo studente modello che si trovava al primo banco della mia fila, udì l’ultima campanella della lezione.
Lanciai uno sguardo a Rukia, che le ricambiò: la salutai velocemente con un gesto della mano – ci saremmo comunque rivisti poco dopo, credevo. Ma mentre la mia mano s’alzava verso la ragazza dai capelli scuri, potei notare Inoue salutare invece Ishida, con lo stesso sorriso della pausa. Non riuscì ad osservare dettagliatamente il volto di Ishida, ma notai dal suo profilo l’accenno di un sorriso. Pensai che il battito del mio cuore si fosse fermato per secondi. E prima che potessi rendermene conto, Ishida era già fuori dalla classe, con una strana velocizzazione del suo passo, che fui costretto a mantenere, ma ad alcuni metri di distanza.
L’avrei seguito. Si era sicuramente accorto di me, come accadde al nostro primo incontro.
E camminammo. Ignorai e superai tutti i miei compagni – mi dispiaceva, dopotutto, ma non potevo concedergli la fuga.
Finalmente, i suoi passi si placarono, fino a quando non si decise a fermarsi. Stava salendo l’ultimo scalino di una scalinata che, ad osservarla meglio, era proprio dove ci parlammo da soli la prima volta. E poi, le sue parole.
«Rimembrami, Kurosaki», potei distinguere un pesante sospiro; «Sbaglio o ti ho detto più volte che non sei in grado di controllare la tua energia spirituale? Seguirmi, da parte tua, è idiota». E si voltò verso di me, il suo sguardo severo ed impenetrabile mi studiava con calma ed attenzione. Ma sorrisi, ed una delle sue sopracciglia si mosse impercettibilmente.
«E’ proprio questo il motivo per cui l’ho fatto», non rispose, in attesa di una mia spiegazione più approfondita; «Vedi, dovevo parlarti in privato, e sapevo che non avresti aperto bocca di fronte a tutte quelle persone rimproverandomi sulla mia energia spirituale», mi lasciai sfuggire una lieve risata, le sue sopracciglia aggrottate.
«Cosa vuoi», le sue parole furono gelide, distaccate, fatali.
«Almeno mi hai portato in un luogo piuttosto tranquillo e vuoto. Eri diretto a casa tua?», potrei sembrare ridicolo, ma ancora stavo ricercando le parole adatte. Portai entrambe le mie braccia sulla nuca, osservando Ishida dal basso.
«Rispondi alla mia domanda».
«E tu rispondi alla mia! Questa è la stessa strada che hai percorso la prima volta».
Lui alzò gli occhi al cielo, probabilmente disturbato. «Posso avvalermi della possibilità dell’astenermi dal rispondere».
«Oh, avanti, Ishida. Allora anch’io potrei fare una cosa simile».
«Andrebbe contro i tuoi piani. Mi hai costretto a venire fin qui e neanche mi dici di cosa vuoi parlarmi? Bizzarro».
Amava mettermi alle strette, a quanto pareva. Sospirai. Il mio sorriso si spense, osservai dritto negli occhi l’altro.
«Sappiamo entrambi di cosa voglio parlare». E pausai.
Ci guardammo ancora una volta, e la nostra intensità non aveva fatto altro che aumentare con il passare dei minuti.


 


“Sappiamo entrambi di cosa voglio parlare”.
Quella frase. Kurosaki aveva assunto un’aria piuttosto seria, che non fece altro che incrementare la mia preoccupazione. Io sapevo di dover parlare con lui dei miei sentimenti, ma… lui non poteva saperlo. Io non sapevo di cosa volesse parlare. Né tantomeno pensavo fosse un’idiozia, per una volta. Strinsi, senza che me ne accorgessi, la mia borsa di scuola. Avevo evitato il suo sguardo durante le ultime ore di lezione, avevo cercato in tutti i modi di ignorarlo, solo per la ricerca delle parole adatte per parlare di ciò che provavo per lui e… c’era una possibilità che lui sapesse già tutto?
Il mio cuore cessò di battere per infiniti istanti di silenzio, in cui ci guardammo soltanto. Come accadde in quella mattinata. Eppure, questa volta mi sentivo completamente impotente ed assente a quel rovistare così furioso nel mio cuore. Non sapevo come reagire, cosa dire. E liberai un profondo respiro, mentre quelle iridi castane si posarono stabilmente sulle mie, acquose. Quell’intensità insopportabile del suo sguardo era letale.
Ed in men che non si dica, mi trovai a necessitare di alcuni secondi di silenzio, senza sapere cosa rispondere. Lui parve soddisfatto dal mio evidente disagio. Schiusi le mie labbra piuttosto velocemente quando mi accorsi il brillare dei suoi occhi di una malcelata fierezza nel trovarmi in quella maniera, ed andai a proteggere i miei occhiali ancora una volta scivolati lungo il mio naso. «Dove vuoi andare a parare, Kurosaki?» Sussurrai.
«Sto semplicemente dicendo che non mi avevi detto nulla di te e di Inoue».
«…me ed… Inoue-san?», se pochi secondi prima ero nel panico, ora ero in uno stato confusionale completo, non sapendo proprio di cosa stesse parlando quel sostituto Shinigami. Potei percepire il mio cuore ricominciare a battere.
«Avresti potuto dirmelo».
«Avrei potuto dirti cosa?», sembrò addirittura annoiato dalle mie parole.
«Non fare il finto tonto! Lo sai». E si strinse le spalle. Cos’aveva capito quello Shinigami.
“No, maledizione, non lo so. Non so cosa tu stia dicendo, Kurosaki, abbi il buonsenso di spiegarti meglio.”
«Vuoi parlare o atteggiarti da misterioso per tutto il tempo? Non ho tempo libero da dedicarti. E lo sai».
Lui sospirò. Alzai un sopracciglio, mentre lui mi osservava. «Ishida, tu ed Inoue siete fidanzati».
La mia sorpresa arrivò al culmine. Fra tutti gli argomenti di cui aveva la possibilità di parlare, decise di soffermarsi su quello più falso. Avrei desiderato sapere da chi aveva ottenuto quella menzogna, per quale motivo e perché in quel momento appariva addirittura seccato dalla mia “relazione” con Inoue. Ma per quale ragione avrei dovuto svelargli il come stavano realmente le cose quando lui non aveva ancora comunicato a me la sua verità?
«Potrei dire la stessa cosa di te e Kuchiki-san».
«Quindi lo siete davvero!» esclamò lui, forse ancora non dava peso a ciò che gli avevo detto. Infatti, attesi poco, prima di udire il continuo della sua frase. «E no— cioè, cosa? Io e Rukia non stiamo insieme». Disse rapidamente, sciogliendo le sue braccia da dietro la nuca ed arricciando le labbra.
«Ma davvero». Intersecai le braccia al petto, assottigliando il mio sguardo da dietro il vetro dei miei occhiali.
Ma ebbi un dubbio. Perché Kurosaki sembrava così preoccupato delle mie relazioni sentimentali?
Non avrei mai voluto scendere a conclusioni affrettate, ma… pareva geloso. Geloso di me.
Sentii un dolce tepore avvolgere delicatamente le punte delle mie orecchie, per poi affievolirsi e vagare anche lungo le mie gote. Lui bloccò il flusso dei miei pensieri, ancora una volta, schiudendo le sue labbra per ribattere. Ed io cercai in tutti i modi di tradire il mio evidente imbarazzo, perché il solo pensiero della sua gelosia mi avrebbe fatto sfuggire un sorriso.
«Io ho visto te ed Inoue oggi, nell’ora di pranzo!», gesticolò, mentre superava alcuni scalini.
Mi aveva visto? Quindi anche lui si era voltato verso di me. Quindi non mi aveva dimenticato.
«Ed io ho visto te e Kuchiki-san insieme nell’ora di pranzo!», non persi tempo nel ribattere, alzando involontariamente di poco il tono di voce, riacquistando la distanza compiendo qualche passo all’indietro, indietreggiando.
Non sopportavo l’idea di Kurosaki sfiorato da altre labbra al di fuori delle mie.
Ma lui fu più rapido e, prontamente, mi afferrò in modo ferreo l’avambraccio, tanto da lasciarmi con l’amaro ed aspro sapore dell’amore non ricambiato nei suoi confronti in bocca, ancora una volta: più mi afferrava in quella maniera, più lo squarcio nel mio cuore s’approfondiva.
«Ma lei mi stava salutando!», protestò, «Hai presente? Gli amici possono anche salutarsi con pacche sulla schiena».
Silenzio.
Ritornai in vita solo grazie alle sue ultime parole.


 


“Ed io ho visto te e Kuchiki-san insieme nell’ora di pranzo!”
Mi aveva visto. Quindi aveva ricambiato il mio sguardo. Quindi i nostri occhi dovevano incrociarsi ancora.
Assaggiai il bisogno di avvicinarmi a lui e, quando lo vidi indietreggiare, lo raggiunsi rapidamente, afferrandolo per il braccio. Pensavo volesse sfuggirmi. Potevo sembrare ossessionato, da questo timore che Ishida potesse sfuggire alle mie parole, ma… desideravo sul serio che ascoltasse ciò che avevo da confessargli. E quella era un’ottima occasione. Notai uno strano spalancare delle sue palpebre al mio tocco, pensavo di avergli provocato del dolore, ma non disse nulla.
Io, in ogni caso, rallentai la presa su di lui, dopo aver ribattuto alle sue parole.
«Ma lei mi stava salutando! Hai presente? Gli amici possono anche salutarsi con pacche sulla schiena».
Percepì il muscolo dell’altro rilassarsi, il respiro più pacato, le palpebre si socchiusero appena.
Ishida tacque per qualche attimo. Non conoscevo il motivo di tale silenzio, ma potei constatare una nota di cedimento e calma nel suo comportamento. Fui rapito dai suoi occhi di nuovo. Stavolta ero anche meno distante.
Perché dovevamo studiarci così intensamente? Osservando le sue labbra illuminate dalla luce del sole, sentivo che se avessi allungato la mano sarei riuscito a sfiorarle: ma non conoscevo la probabile reazione altrui.
E poi, Inoue? Avrei lasciato correre, per questa volta.
Prima che potessi rendermene conto, il braccio snello dell’altro era già sfuggito dalla mia mano; Ishida che si sistemava la sua borsa sulla spalla in ricerca di maggiore comodità.
«Ed Inoue-san mi aveva chiesto di sistemare il suo abito strappato». Mormorò, osservandomi di nuovo dritto negli occhi.
«…davvero», era una domanda, ma forse non suonò come tale. Abbassai lo sguardo, lasciando alzare un angolo delle mie labbra in uno sghembo sorriso, che forse Ishida intravide. Ero così… dannatamente sollevato.
Non sopportavo l’idea di Ishida sfiorato da altre labbra al di fuori delle mie.
Liberai un sospiro di sollievo – ero troppo felice per preoccuparmi di come stessi mancando di rispetto ad Ishida.
E lui non pronunciò nulla, fino a quando non rialzai il mio capo ed il mio sguardo non fu di nuovo catturato da lui.
«Kurosaki» pronunziò, freddo; «volevi dirmi solo questo?»
Sapevo che Ishida mi avrebbe posto in difficoltà con una simile domanda. Rimasi in piedi, inerte, in un chiassoso silenzio. Ishida continuò, dunque, cancellando ed annullando la bolla di silenzio in cui c’eravamo nuovamente immersi.
«A quanto pare. Quindi, ti saluto. Porta i miei saluti anche a Kuchiki-san».
Quella nota d’insoddisfazione, d’incompletezza, di delusione galleggiante nelle sue iridi d’oceano: essa mi colpì appieno, in una freccia ben scoccata verso il centro del mio palpitante cuore per lui. Gli zaffiri sviarono il mio sguardo bisognoso di lui, il suo busto si voltò verso la direzione che avrebbe intrapreso per ritornare al suo appartamento. Incominciò ad indirizzare i passi verso la sua abitazione, la borsa sistemata ancora una volta sulla sua spalla.
«Ishida», protestai, per poi diminuire il tono di voce; «non andare».
S’arrestarono i suoi passi, ma non mi fu concesso osservare il suo volto: «Ti ho già detto tutta la verità riguardo la tua storia».
«Lo so. Io mi fido di te».
Attesi qualche istante prima di udire una sua risposta, il suo corpo inerte; «…dunque?».
«Ho un problema», mormorai, improvvisando il tutto. Perché ogni frase che la mia mente elaborava per quel fatidico momento, non erano abbastanza da poterle pronunziare con Ishida. E mi sentivo così stranamente pesante da non riuscire a sostenere tutte quelle parole mai pronunciate per timore. Ma ero lì, dietro di lui: quest’ultimo che mi dava ancora le spalle, mentre io liberavo un battito della mia anima – un sospiro.
«Kurosaki, che tipo di problema?», domandò, ora riuscivo ad intravedere il suo profilo che non mi rivolgeva più lo sguardo, occhi vacui che osservavano il vuoto. «Per quale motivo m’impedisci di andarmene anche quando non hai nulla da dirmi? Non ho tutto il tempo del mon—».
«Ishida, provo qualcosa per te».
Mi sentii leggero come una piuma, trasportato dal nostro usuale, compiaciuto ed urlante silenzio.
Interruppi il fiume delle sue parole, il mare di pensieri che la mia mente partoriva ad ogni suo respiro, il vuoto delle sue iridi, il suo respiro, il mio cuore, il nostro vivere l’un con l’altro, la nostra rivalità, il nostro modo di affezionarci all’altro. Interruppi il tutto. Dimenticai persino di respirare per diversi secondi: quella porzione di viso che riuscivo ad intravedere non mi era sufficiente. Mi avvicinai leggermente a lui, mantenendo la mia borsa con nonchalance nella mancina.
Mi bloccai appena dietro di lui; il suo viso pallido era giunto nuovamente di fronte a sé.
«Non si tratta di astio, non si tratta di antagonismo od altro. Si tratta di, beh… lo sai. Amore». A quanto pareva non ero il solo ad aver trascurato il respiro: Ishida appariva più rigido del solito, e constatai che neanche un suo solo muscolo riusciva a compiere movimento. Appoggiai la fronte al di sotto della sua nuca; le mie labbra si schiusero ancora una volta.
«Perché mi sono accorto – e, credimi, non me lo sarei mai aspettato da me – di quanto mi piaci.
Di quanto mi piace tutto di te. Di quanto meravigliosi siano i tuoi occhi. Di quanto mi sarebbe piaciuto averti fra le mie braccia. Dopotutto, ti ho osservato per tutto il tempo, oggi».
Un tacito sospiro.
Un intrecciarsi continuo di parole, pensieri, speranze… che, in quel momento, erano appese ad un cappio, la quale salvezza portava il nome di Uryū Ishida, di colui che aveva preso possesso del mio cuore.

 



“Ishida, provo qualcosa per te.” Un lampo che interruppe la serenità del giorno, un albore nel cielo notturno, una luce nell’oblio delle tenebre, una speranza splendente in un campo di guerra, un sorriso in un mare di lacrime.
L’orizzonte mi sembrava così luminoso… se solo avessi voluto, avrei potuto fuggire. Ma non volevo.
“Non si tratta di astio, non si tratta di antagonismo od altro. Si tratta di, beh… lo sai. Amore”. I miei respiri si bloccarono, quasi inconsciamente, mentre le mie palpebre si socchiudevano dolcemente; le mie braccia ciondolavano privi di movimento alcuno, impotenti, ghiacciate, come il mio corpo. Percepii un tocco. Pensai fosse una sua mano, ma ad ogni sua parola la mia schiena vibrava con dolcezza, gioia, gaudio, fino a quando le sue parole non furono bloccate dal serrarsi delle sue stesse labbra.
“Perché mi sono accorto – e, credimi, non me lo sarei mai aspettato da me – di quanto mi piaci.
Di quanto mi piace tutto di te. Di quanto meravigliosi siano i tuoi occhi. Di quanto mi sarebbe piaciuto averti fra le mie braccia. Dopotutto, ti ho osservato per tutto il tempo, oggi”.

Mi ripetei mentalmente ogni sua singola parola, senza esclusioni; vissi di nuovo il suo respiro contro la mia spina dorsale. Quando liberai un muto sospiro, impregnai i miei polmoni dell’aroma forte che Kurosaki emanava. Inspirai più a lungo che potevo: per nulla al mondo mi sarei fatto sfuggire l’occasione d’intridere le mie narici del suo effimero profumo, di colmare di lui le mie membra, d’inzupparmi nei suoi pensieri… perché lui non mi avrebbe mai stancato.
“Uryū, Uryū, Uryū.
Sto di nuovo sognando Kurosaki ad occhi aperti? Mi sto forse arrendendo alla mia convinzione del non essere ricambiato? Sto annegando di nuovo fra le mie insicurezze? Sto soffocando fra le sue incorporee grinfie di parole? Sono debole. Non riesco a concepire nulla, mi sembra tutto un ambiente onirico di cui tra qualche minuto non ricorderò neanche l’esistenza. Il suo tocco però sembra così reale. Avverto delle vibrazioni sulla mia schiena: è forse il suo respiro? Sto immaginando tutto.
Se mi volto, Kurosaki sarà già tornato a casa, dalla sua famiglia: mentre io, da solo, mi dirigerò nel mio appartamento deserto, nessuno che verrà mai a salutarmi e chiedermi com’è andata la nuova giornata di scuola.
Nessuno che mi farà i complimenti dei miei risultati scolastici… Nessuno che verrà a concedermi la sua compagnia… Nessuno che mi dirà di quanto sono migliorato con il cucito. Nulla di tutto ciò. Sarò solo io ed il mio libro.
Ma se tutto ciò non fosse un sogno… la mia reazione quale sarebbe?”

Sbattei le ciglia più volte, come alla ricerca di una lucidità più convincente. Era ancora tangibile il suo respiro sulla mia schiena, che si divulgava e sfiorava la mia pallida nuca. Ma il mio silenzio s’era concluso.
Non era un sogno. La realtà mi stava donando l’opportunità d’esser felice con la persona alla quale tenevo più al mondo.
«—Kurosaki». Sussurrai, placido. In risposta ottenni il suo silenzio, accompagnato dal suo schiodare il capo dalla mia schiena, perciò proseguii.
«Non burlarti di me in quest’orribile maniera, perché…» pausai. Digrignai i denti, il non voler cedere a quello che appariva come una magnifica e splendida menzogna s’imponeva in me. Se fosse stata tutta una bugia, non sapevo a cosa sarei arrivato a compiere; «perché te la farei pagare davvero cara».
Sibilai, un velo di rabbia e disturbo mi avvolgeva avidamente in uno spesso stato d’inquietudine.
«Mi stai forse dicendo», le sue parole furono scandite più lentamente, se confrontate al suo ritmo comunicativo. Ma prima che potessi rendermene conto, lo Shinigami mi aveva saldamente afferrato una spalla, costringendomi ad osservarlo dritto negli occhi, voltandomi verso di lui con forza. Alzò leggermente il tono di voce; «che dopo tutta quella sfacchinata per dirti che mi piaci non vuoi neanche credermi?».
In risposta alla sua domanda ed alle sue sopracciglia aggrottate, scostai con forza la mano dalla mia spalla. Non volevo fallire e cadere in un oblio di disperazione a causa dell’inutile idiozia che aveva appena esclamato. Non sapevo se credergli, se ammonirgli tutti quei comportamenti verso di me ed allontanarlo per sempre, ma… purtroppo, come sempre, una porzione di me non voleva distanziarsi da lui.
«Posso sapere perché non mi è concessa la sua fiducia, allora?», ironizzò lui, guadagnando nient’altro che una truce occhiata da parte mia.
«Non mi sembra così arduo da intuire, Kurosaki», iniziai. L’altro alternava sguardi alle mie labbra, oltre che ai miei occhi. La mia attenzione oscillava pericolosamente: «non hai mai provato interesse alcuno per me se non sul campo di battaglia, ed ora mi esterni i tuoi sentimenti dicendomi che ti piaccio. Mi sembra innaturale», intravidi la maniera in cui l’altro alzò le pupille al cielo, esasperato, sospirando anche rumorosamente.
«…nonché del tutto insens—», non riuscì a completare la mia sentenza, perché delle labbra morbide arrestarono il passaggio degli altri vocaboli con la loro forza, caratterizzata da una buffa ed inusuale dolcezza. Una sua mano giunse sulla mia nuca, spingendomi lievemente verso quelle fauci affamate. E mi baciò: delle mie parole non v’era rimasta l’ombra, poiché la danza delle nostre labbra sovrastava, arrogante, qualsiasi mio altro pensiero contro Kurosaki.
Lui era il lampo, io ero la pioggia che l’avrebbe sempre accompagnato.


 


“Non mi sembra così arduo da intuire, Kurosaki”, lui mi osservava dritto negli occhi, ma la mia debolezza lievitava lentamente, portandomi a studiare il come le labbra di Ishida pronunciavano il mio cognome. Era piacevole, e le sue labbra pallide e sottili m’invitavano a sfiorarle ad ogni sua parola.
“Non hai mai provato interesse alcuno per me se non sul campo di battaglia, ed ora mi esterni i tuoi sentimenti dicendomi che ti piaccio. Mi sembra innaturale”, mi chiesi per quanto Ishida avrebbe dovuto seguitare a rimproverarmi inutilmente. “…nonché del tutto insens—”
Mi avvicinai per sfiorare finalmente quelle labbra diafane; l’istinto di appropriarmi di quelle labbra ebbe la meglio su di me, bloccando ogni sua futura parola. Mi avrebbe creduto, non intendevo abbandonargli la vittoria ora che ce l’avevo in pugno. Ci baciammo, entrambi con l’obbiettivo di conquistare le labbra altrui, in una dolce quanto appassionata guerra. La mia mano si mosse individualmente sulla nuca dell’altro, gelida. Ishida non ricambiò immediatamente il bacio, ma constatai come lentamente s’abbandonò alla mia effusione, chiudendo le palpebre. Entrambi, per diversi momenti, mantenemmo le nostre palpebre chiuse, assaporando il momento e le labbra dell’altro. Sostituimmo il nostro usuale silenzio in un continuo suono impercettibile dello sfiorarsi, toccarsi, desiderarsi delle nostre labbra, senza interruzione alcuna, in una battaglia ad armi pari.
Quando, con un sonoro rumore, le nostre labbra acquistarono la distanza adatta per arrestare quel bacio, entrambi respiravamo irregolarmente, in un ritmo più frettoloso ed anormale. M’incantò il come le labbra di Ishida avevano acquisito una leggera colorazione rosea, sicuramente più vivace del suo usuale pallore, perché mi provocò di nuovo l’istinto d’impossessarmene com’ero riuscito appena a fare.
«Perché…?», sputò lui, lasciandosi trasportare contro di me dalla mia mano ancora sulla sua nuca.
Sospirai. «Sei un deficiente».
«Da che pulpito», il ragazzo dai capelli corvini lasciava girovagare le sue iridi blu intorno a noi, come alla ricerca di qualcosa (anche se, in questo momento, posso confermare sia stato solo un suo modo per assicurarsi che intorno a noi non ci fossero altro che oggetti inanimati), sotto il mio sguardo interrogativo che seguiva ogni suo movimento. Quando il suo sguardo si posò stabilmente sulle mie iridi castane, trascorsero pochi istanti prima che le sue labbra s’installarono di nuovo sulle mie, stavolta in maniera più effimera, rapida ma efficace, soffice. Quel tocco, quell’effusione fu paragonabile alla fioritura di un pesco; sì delicata, dolce— come m’immaginavo fossero le labbra candide e pure di Ishida.
«In fondo, i tuoi sentimenti sono compresi. Nonché ricambiati».
Udì il mormorio dalle fauci sottili altrui, avvertendo non solo come il mio viso pareva indubbiamente più accaldato, ma anche come una spruzzatina di rossore invase le gote di Ishida.
Le mie braccia circondarono la sua vita in un abbraccio, inizialmente non contraccambiato. Le mie membra si bearono di ogni suo particolare mai notato prima; la vicinanza mi lasciava la possibilità d’amare anche il suo aroma naturale, le sfumature impercettibili delle sue iridi perennemente malcelate dal vetro dei suoi occhiali, il come i suoi capelli assumessero colorazioni simili al blu notte, del come il suo naso e le sue labbra fossero perfetti.
Le mani fredde di Ishida si posarono sulla mia schiena con titubanza, ricambiando la delicatezza dell’abbraccio.
«Che ne dici se ti chiamassi Uryū?», esordii, intrecciando le mie stesse dita fra loro intorno alla vita altrui; «Ho sempre preferito il tuo nome al tuo cognome: è più breve e più efficace», pausai per un singolo secondo, «Uryū».
Ripetei più volte, in un sussurro, il suo nome. Il desiderio di chiamarlo Uryū era così forte.
«Taci, Ichigo».
Il Quincy nascose porzione del suo volto nell’incavo nascosto della mia spalla, lasciandomi constatare il come le sue labbra s’erano curvate appena dopo aver udito il suo stesso nome fuoriuscire dalle mie labbra. Un sorriso apparve sul mio viso abbronzato, frutto di un desiderio portato alla luce e realizzato.
Ero felice.
Avrei potuto sfiorare il cielo con un dito… ed Uryū avrebbe guidato la mia mano.
Perché… lui era la pioggia, io ero il lampo che l’avrebbe sempre accompagnato.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bleach / Vai alla pagina dell'autore: myosotiis