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Autore: Claudiac91    28/07/2014    4 recensioni
La storia narrata in prima persona da Jodelle.All'inizio è una ragazza ricca,ma solitaria.A causa della morte dei suoi genitori,la sua vita cambierà totalmente.Sta a voi scoprire come.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Nuovo personaggio, Ryo Ishizaki/Bruce Arper, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ero mai stata particolarmente legata alla mia vecchia famiglia.
Probabilmente, anzi sicuramente, perché era come se non ne avevessi avuta una. Fino ai dodici anni sono cresciuta senza conoscere l’affetto genitoriale. La mia educazione dipendeva da tutori scelti accuratamente da mia madre e che cambiavano in continuazione. Colui che durava sei mesi al massimo poteva ritenersi da guiness dei primati. Lo ammetto, io non sono stata di certo uno zuccherino. Il continuo via vai di facce nuove mi abituavano alla scadenza dei rapporti. Andando avanti cominciai ad impormi di non affezionarmi. Non avevo amici nemmeno nella scuola privata alla quale ero stata iscritta. Non sapevo come rapportarmi con le persone e, a dirla tutta, non ne avevo nemmeno voglia. Ero viziata, arrogante, presuntuosa, incapace di dare un qualsiasi gesto di affetto. Ma più di tutti, sola. Alla solitudine ci si può abituare, specie se si è cresciuti in un ambiente in cui non godi della compagnia dei tuoi genitori nemmeno alle famose cene natalizie. Da piccola mi chiedevo sempre che motivo c’era avermi, se fondamentalmente non mi avevano mai voluta. Stando alle voci di corridoio, mio padre non era mai stato un santo. Andò via di casa poco più che maggiorenne, con molta fortuna cacciò un’impresa che lo portò ad essere un riccone. Sposò una qualsiasi presa quasi dal bel mezzo della strada,interessata prevalentemente ai suoi possedimenti e la mise incinta. Giusto per non lasciare tutto ciò che aveva faticosamente costruito a mani estranee. Credo che quello fosse stato il suo unico pensiero nei miei riguardi.
L’eredità era ciò che mi riguardava.
Tuttavia il suo successo aveva un prezzo,che a lui stava benissimo. Al mondo, purtroppo, esistono persone che pur di ottenere ciò che vogliono, sarebbero capaci di mandare all’aria un’esistenza condivisa con quella che si definisce famiglia. Lui lo fece,e a quanto pare senza nessun rimpianto. Nonostante ciò tra i miei genitori, è quello che più ricordo quasi volentieri. Come ho spiegato, non era un padre degno di nota, ma di lui conservo un ricordo particolare. Una sera d’estate,il mio tutore dell’epoca aveva a disposizione la serata libera, mia madre (che tra l’altro vedevo raramente) era ad una delle sue solite feste organizzate dalle pettegole del suo club e,stranamente,mio padre era a casa. Fu una delle poche volte che cenammo assieme,solo io e lui.Non parlava molto,mi faceva qualche domanda standard sulla scuola. Ancora oggi non saprei dire che cosa gli fosse passato per la mente,ma a fine cena mi propose di uscire con lui. Accettai dopo averci pensato un paio di minuti in silenzio. Uscimmo ad un orario in cui solitamente ero già a letto da un po’. Dopo un quarto d’ora di viaggio con la sua preziosissima Volvo, arrivammo dinanzi ad una sede. Lasciò le chiavi al parcheggiatore ed entrammo. Capii subito che si trattava di una sorta di centro sportivo aperto solo ai soci iscritti ai vari club,di cui faceva parte anche mia madre. Mi fece aspettare seduta al bar,facendomi servire un buon gelato,mentre lui si allontanò con un paio di persone che,come lo videro,gli andarono incontro. Tutto questo facendo come se io non ci fossi. Dopo una ventina di minuti venne a chiamarmi,quando alzai lo sguardo verso di lui lo trovai in tenuta sportiva.
Precisamente per il calcio.
Mi condusse nell’area delle panchine che affacciava al campo,separati da una rete altissima,a cui si poteva assistere tranquillamente alla partita che sarebbe avvenuta in pochi momenti. Dopodichè entrò in campo e cominciarono a giocare. Delle ragazzine erano sedute poco distanti da me e capii che dovevano essere le figlie di qualche tizio che giocava insieme a lui. Non ci volle molto per comprendere che quella non era una partita per giocare semplicemente, ma per affari. Nonostante ciò osservando l’espressione di mio padre, potevo dire di vederlo quasi contento, oltre che divertito. E a dire il vero,mi divertii anch’io.
Sembrava affascinante poter calciare un pallone senza qualcuno che ti rimproveri per averlo fatto,rincorrerlo come una trottola, cercare di segnare. Dopo più di un’ora la partita si concluse con la vincita della sua squadra. D’altronde si sapeva,lui non perdeva mai. Quando vidi le ragazzine alzarsi ed incamminarsi verso l’uscita ne seguii l’esempio. Tuttavia fui richiamata in lontananza da mio padre
 
-”Jodelle!”-
 
Mi voltai stupita e notai che era l’unico rimasto in mezzo al campo,col pallone sotto il piede,che mi faceva segno di raggiungerlo. All’istante esitai,ma poi lo raggiunsi entrando in campo. Non capivo cosa volesse.
-”Ti piace il calcio,Jodelle?”- mi chiese.
 
Alzai le spalle,come per dire”non lo so”. Mio padre fece un mezzo sorriso
 
-”A me si e tanto”.-
 
Iniziò a palleggiare e nel frattempo continuava a parlare
 
- ” Sai quando avevo la tua età,dopo l’economia,il calcio veniva subito dopo. Crescendo non ho potuto occuparmene più di tanto,ma come hai visto,ogni tanto mi concedo il pallone ”-
 
Alzai un sopracciglio, guardandolo titubante
 
- ” Ma tu non fai le partite di calcio per divertirti ”- dissi senza pensarci due volte.
 
Smise di palleggiare. Si diresse verso me e si abbassò,così che i nostri visi potevano essere uno di fronte all’altro.
 
-”Il calcio è come un affare. Se perdi non sei adatto allo scopo,ma se vinci..”- si rialzò - ” allora niente e nessuno può fermarti ”-
 
Si allontanò avvicinandosi ad una delle porte munite di rete.
 
-”Dai vieni”-
 
Lo guardai a bocca aperta -”Cosa?”- chiesi.
 
-”Facciamo due tiri”- mi disse col sorriso divertito e ironico.
 
-”Ma io non so giocare…”-
 
Scoppiò a ridere,e a dirla tutta non capivo cosa ci fosse di così divertente
 
-”Dovrai pure imparare,non credi?”-
 
Rimasi un po’ sul mio posto,ma poi annuii e lo raggiunsi. Non so per quanto tempo siamo stati lì a giocare insieme e a farmi insegnare il calcio,a me ancora oggi sembrava essere passata una vita.Fu da allora che mi dedicai a questo sport. Col tempo mi accorsi che più che attaccare,preferivo difendere la mia area. Così quando tornavo a giocare con mio padre, lui era l’attaccante ed io il difensore o il portiere, poiché mi erano concesse le mani.
Nel campo sembravamo padre e figlia.
Al di fuori eravamo estranei.
Questo era peggio della solitudine. Davvero. La mia vita monotona e solitaria fu totalmente sconvolta dalla morte dei miei genitori. A quanto ne so fu l’alcool la causa. Dovevano andare insieme ad una delle solite feste organizzate da mia madre, ma mio padre cominciò a prendere rinfreschi prima del tempo nell’immenso salone di casa. Doveva essere perso davvero per imboccare la corsia sbagliata e schiantarsi completamente contro un’altra macchina. Non ci fu niente da fare per loro. Morirono sul colpo. Quando mi svegliarono per darmi questa notizia, non piansi subito. Non sapevo se le mie fossero lacrime di tristezza per la loro morte, o per la consapevolezza che ero rimasta veramente sola. Al funerale conobbi quello che era mio zio ,nonché fratello di mio padre. Fu l’unico della sua famiglia a presentarsi, aggiungendo il fatto che anche loro erano orfani dei genitori ormai da tempo. La settimana dopo il funerale lo vidi spesso a casa mia, si occupava delle faccende legali, ma più di ogni altra cosa di me. Mi disse che sarei stata sotto la sua tutela, ma a casa sua con sua moglie e suo figlio. Avrei cambiato scuola, ambiente, stile di vita. Non esistevano più tutori, servizi né altro di estremamente comodo. Lui si sarebbe occupato di me come un padre fa con sua figlia, ma al tempo stesso sarei dovuta divenire responsabile e rimboccarmi le maniche. Mio zio abitava a Nankatsu nella Prefettura di Shizuoka. Possedeva un modesto ristorante tutto compreso nel piano terra, mentre al secondo piano abitava con la sua famiglia. Durante il viaggio, oltre alle questioni scolastiche, discutemmo sulla sua vita, come fu allontanato da mio padre verso cui non ebbe mai il coraggio di riavvicinarsi, della donna che aveva sposato e che amava, ed infine di suo figlio. Anche lui giocava a calcio, ed amava il ruolo di difensore. Mi disse che faceva parte di una squadra, la New Team,e che da poco si stava rivedendo dopo anni di umiliazioni e sconfitte. Una volta arrivati in città, l’autista ci lasciò fuori la casa dove ad attenderci c’erano mia zia e il figlio. Mi somigliava un po’ all’epoca. Crescendo ognuno ha preso i propri lineamenti, ma non sarebbe difficile pensare che siamo parenti. Cugini. Quando scesi dalla macchina, stettimo un po’ a fissarci, finchè, sotto incoraggiamento della madre,mi tese la mano e si presentò
 
-”Ciao,io sono Bruce,Bruce Harper”.-
 
Lo stesso cognome mi fece sorridere divertita. E’una stupidaggine probabilmente,ma sapere che altri,oltre a mio padre,avevano il mio stesso cognome,mi faceva sentire parte di una famiglia. Ricambiai la stretta di mano.
 
-”Ciao io sono Jodelle,Jodelle Harper”-
 
Mi guardò titubante -”Jodelle?Ma che nome è?”-
 
Fu immediatamente rimproverato dai miei zii,ma non ne fui offesa,anzi. Durante il viaggio mio zio mi aveva parlato del suo carattere un po’ burbero e lamentoso,ma al tempo stesso aveva un gran cuore.
 
-”Dobbiamo trovare una soluzione allora…”- dissi sorridendo.
 
Bruce mi sorrise a sua volta -”Ti serve un nomignolo…che ne dici di Jody?”-
 
-“Jody…”- ripetei a bassa voce,ma subito dopo esclamai -”Si!Si,mi piace!”-
 
Scoppiammo tutti a ridere per la cosa. Mio zio prese le valigie, mentre Bruce e mia zia mi fecero entrare in casa. Così stava cominciando la mia nuova vita,con una variante. Non sarei stata più Jodelle, la solitaria ricca ragazzina. Da quel momento in poi ero Jody, la cugina di Bruce, con la passione per il calcio.
 
   
 
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