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Autore: Eliatheas    07/09/2008    7 recensioni
Da quel giorno, il 2 Maggio 1997, io non ho più il mio posto nel mondo.
E così, resto qui. Ferma. Immobile in un punto indefinito della vita.
Impasse.
Perché quel giorno, anche se io sono ancora viva, dentro di me non c’è più nulla.
Il 2 maggio 1997 sono morta anche io.
Sappiamo cosa è successo ad Harry, Ron, Hermione e agli altri personaggi durante la battaglia di Hogwarts. Ma tutti gli studenti, gli altri, che fine hanno fatto?
Una piccola one-shot su un personaggio inventato da me per spiegare la battaglia di Hogwarts da un altro punto di vista.
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Impasse – 2. 05. 97

 

La battaglia di Hogwarts.
Basta questo nome a far tacere le persone, a far calare un’atmosfera di gelo ovunque.
Basta questo nome a far calare un gelo che ha il freddo della verità. Perché lo sappiamo tutti: l’allegria, la spensieratezza, i sorrisi... sono tutti finti. Il calore che esprimiamo è finto. Solo il gelo che cade su di noi è vero.
Per tutti noi, la battaglia di Hogwarts, è stato un giorno significativo, non solo per la caduta di Voldemort – un nome che la gente ha ancora paura di pronunciare, quasi egli possa ritornare più forte di prima – ma per le nostre vite. Molti sono morti, altri sono sopravvissuti, tanti maghi hanno perso qualcuno a cui tenevano.
Anche io.
Io vi ho partecipato, assieme a tutti gli altri studenti, a tutti i maghi.
Io sono una sopravvissuta, una reduce, un avanzo di qualcosa che è finito anni fa.
Da quel giorno, il 2 Maggio 1997, io non ho più il mio posto nel mondo. Se provo a guardarmi indietro, vedo una vita  che non mi appartiene più, quella di una studentessa allegra, felice, un po’ secchiona, circondata dai suoi amici più cari. E se mi guardo avanti...vedo una vita che non mi apparterrà mai: quella di una giovane donna felice, amata, con un bel lavoro e ancora circondata dagli amici più cari.
E così, resto qui. Ferma. Immobile in un punto indefinito della vita.
Impasse.
E so il perché di tutto questo: la battaglia di Hogwarts ha cambiato la mia vita, mi ha scombussolata, mi ha insegnato che non dovrò mai più dare qualcosa per scontato. Ha rovesciato le mie certezze.
Perché quel giorno, anche se io sono ancora viva, dentro di me non c’è più nulla.
Il 2 maggio 1997 sono morta anche io.

“Sta arrivando”
Edward ci guarda, pallido come non è mai stato, con gli occhi spalancati e il volto teso.
“Potter è qui. Ci ha avvertito” continua, tendendomi stretta la mano. Chiude gli occhi e si passa una mano fra i capelli. Due piccolissime lacrime scivolano dai suoi occhi.  Maddie, accanto a me, tace. Io guardo Edward in cerca di sostegno.
“Ci sarà una battaglia” mormora infine Maddie, mordendosi il labbro inferiore. Edward annuisce, il bel volto devastato dalla paura.
“Sì” Mi guarda, il mio ragazzo. Mi fissa impaurito. “Non venite. Sarà pericoloso”
“Edward...” provo a dire qualcosa, ma non ho la voce. Le labbra tremano e, non so neanche come, mi ritrovo a singhiozzare.
“Lo so” mormora lui, stringendomi in un abbraccio protettivo. “Fa’ attenzione” aggiunge, posandomi un bacio sulla fronte.

Sono trascorsi due anni.
Due lunghissimi anni.
Alzo gli occhi al cielo e una goccia di pioggia mi cade sulla guancia, come una lacrima. Torno a posare il mio sguardo per terra, sulla neve e stavolta una lacrima mi scende davvero.
Sono ad Hogsmeade, il luogo della mia adolescenza. Quell’adolescenza che non ho più ritrovato.
Il clima natalizio mi circonda anche qui. La gente è felice, sorride, divertita. Sembra che più nessuno si ricordi della Battaglia, ma io conosco la verità. So, che sotto quei sorrisi, sotto quella maschera di finta allegria, c’è un cuore che non ha più la voglia di battere.
Tutti noi – noi che siamo morti durante quella battaglia – viviamo alla ricerca del giorno perfetto, quello in cui potremmo dire di aver superato tutto, senza sapere che quel giorno non arriverà mai.
L’ho capito ora.
Solo ora.

“Ti prego, Rachel” mormora Edward, guardandomi fisso, con i suoi bellissimi occhi neri e tiene il mio volto fra le mani sudate. “Ti prego, fa’ attenzione”
“Andrà tutto bene” sorrido e poggio la mia fronte sul suo petto, mentre lui mi circonda la vita con le braccia.
“Ti prego” Mi alza il viso e mi guarda dritto negli occhi. Mi sento cedere le gambe e due lacrime mi solcano la guancia. Mi bacia e mi tiene stretta a sé. Non mi lascia andare e mi sorregge. “Ti amo”
Lo bacio.
“Anche io” sussurro, sulle sue labbra. “Fa’ attenzione”
Si scosta da me e mi sorride. Mi sento tremare. Ho paura a lasciarlo andare, ho paura di non vederlo mai più.
“Ti prometto che quando tutto sarà finito e noi saremo fuori di qua...”
“Andremo a vivere insieme?” azzardo, facendo un sorrisetto esitante.
Lui prende la mia mano, mentre le grida si diffondono nel castello.
“No” dice, sorridendo. Un sorriso sincero, un sorriso bellissimo in mezzo a tanta devastazione. “Ti prometto che se usciremo vivi di qui ti sposerò”
Un secondo di silenzio.
Le urla, i lamenti, le imprecazioni, gli incantesimi cessano di esistere. Esistiamo solo io ed Edward.
Mi butto tra le sue braccia e lo stringo a me mentre lui mi bacia, disperato. E’ un bacio impetuoso, un bacio che raramente mi ha dato, un bacio carico di disperazione e di speranza. Un bacio che crede in un futuro.
“Ragazzi,non credo che sia il caso”
Maddie ridacchia debolmente, troppo nervosa per essere davvero divertita.
Edward sorride sulle mie labbra e si scosta da me.
“Te lo prometto, Rachel”
E corre via, con la bacchetta pronta a lanciare incantesimi.

Passo davanti ad una vetrina e non riconosco il mio riflesso.
Ho i capelli rossi raccolti in uno chignon disordinato, ma moltissimi ricci sfuggono all’acconciatura e mi scivolano lungo il collo.  Sono dimagrita molto, fin troppo forse. Il maglione grigio mi va largo e ho dovuto comprare dei jeans nuovi, perché quelli vecchi mi cadevano da dosso.
Il mio aspetto è sciupato.
Non sono la stessa Rachel di due anni fa.
Tra le mani ho un mazzo di fiori –Stelle di Natale, per la precisione – dai colori così vivi che contrastano con il pallore etereo del mio volto.
Sta nevicando e la neve mi ha imbiancato le spalle ed è caduta sui miei capelli disordinati.
Non sono più Rachel.
Sono solo il fantasma di me stessa.

“Rachel!”
Mi volto. Incantesimi volano da tutte le parti, raggi di luce colorati illuminano per un secondo il corridoio buio, poi tutto torna come prima.
Mia sorella corre verso di me, spaventata, stupita, disperata.
“Danielle!”
Mi prende le mani, mentre intorno a noi la battaglia continua. Mi impongo di non far caso ai cadaveri di ragazzini ai miei piedi, ma è dura evitare di posare lo sguardo su di loro.
Ragazzini come me, come mia sorella, come tutti noi. Ho pura di guardare i loro cadaveri, di riconoscerne qualcuno.
“Rachel, ti prego...”
Scuoto la testa.
“Danielle, muoviti” dico, secca, asciugandomi le lacrime. “Non puoi rimanere qui. Ti prego. Va’ con gli altri. Non puoi restare”
Ha solo tredici anni, mia sorella. Ha tredici anni e ha visto le cose più orribili di questo mondo, che nessuno, neanche un uomo adulto, dovrebbe vedere.
Deve scappare, mia sorella. Deve andarsene per il suo bene, per il suo futuro. Non può rimanere. Non voglio che rimanga.
“Perché allora tu puoi restare?” mi grida, con le lacrime che le scivolano lungo la guance rotonde, infantili. E’ una bambina, per Merlino. Perché deve vedere tutto questo?
“Perché io sono maggiorenne, Ellie” replico, brusca, trascinandola con me verso la Stanza delle Necessità. La guardo, guardo i suoi occhi castani come i miei. I suoi sono un po’ più allegri, un po’ più pieni di vita, anche se ora sono pieni solo di lacrime. Sono gli occhi di una bambina. I miei occhi sono pieni sono di responsabilità, i miei sono gli occhi di un’adulta. “Fallo per me, Danielle. Mettiti in salvo”
Lei mi guarda.
Forse vuole conservare l’ultima immagine di me.
Forse vuole solo convincermi che lei può restare qui, perché lei è brava in Incantesimi e può farcela.
Ma non dice nulla.
“Promettimi...” dice, la voce tremante, singhiozzante. “Promettimi che quando tutto sarà finito, verrai anche tu. Promettimelo”
La stringo a me, piangendo.
“Te lo prometto”


Mi siedo per un attimo su una panchina imbiancata dalla neve. Il freddo di questa panchina di penetra fino nelle vene e mi sento congelare, ma non mi sposto. Accanto alla mia gamba, qualcuno ha dimenticato una figurina delle Cioccorane.
La prendo con una mano e la osservo.
Harry Potter.
Strano, vero, come in due anni cambino tante cose?  Harry Potter è finito sulle figurine delle Cioccorane, in modo che le prossime generazioni possano ricordare chi ha sconfitto Voldemort.
Harry Potter e i suoi amici.
Ma tutti gli altri, gli altri che hanno combattuto quella battaglia, che sono morti e che si sono sacrificati per dare ad Harry Potter la possibilità di ammazzare Voldemort, non sono citati in nessun libro di storia, nessuno li conosce,  non sono nemmeno sulle figurine delle Cioccorane.
Poso la figurina sulla panchina e mi rialzo, con le lacrime agli occhi.
Riprendo a camminare, devo arrivare il prima possibile. Non voglio incontrare gli altri. Voglio essere da sola.

Un rumore assordante, che mi stordisce. Barcollo. Un Mangiamorte è caduto a terra, sotterrato dalle macerie.
Un’ala del castello è esplosa. Ci sono cadaveri attorno a me.
Guardo a terra, ho di nuovo paura.
“Rachel...”
Un sussurro. Un lamento.
Mi precipito tra le macerie, mentre il vento, dietro di me, mi scompiglia i capelli, mi congela il corpo.
“Rachel...”
Edward. E’ qui. Edward.
Sotto le macerie.
Scosto qualche pezzo di muro ed eccolo.
Il sangue gli cola lungo la tempia e gli sporca il viso candido. Gli occhi neri sono semiaperti. I capelli biondi sono sporchi di rosso.
“Edward...”
Allunga una mano verso il mio viso, mentre io singhiozzo, disperata. Stringo la sua mano, posata sulla mia guancia.
“Rachel, sei così bella...” mormora, sfinito, con un sorriso sul volto. “Avrei voluto sposarti davvero, Rachel”
Lascia la presa dal mio viso e la mano cade, inerme, lungo il suo fianco.
“Edward, non dire così...ti prego, tu ce la farai”
Ma parlo a vuoto.
Il viso di Edward è rilassato in un sorriso sereno, gli occhi neri sono chiusi, il pallore del suo volto è aumentato.
“Edward...”
Ma lui già non risponde più.
Mi lascio cadere a terra, accanto a lui, con la testa poggiata al suo petto e gli occhi chiusi, immaginando il suo respiro che non c’è più.

Sono quasi arrivata, ma mi fermo a guardare Hogwarts. L’ala del palazzo è stata ricostruita, il castello sembra immutato.
Sembra che non ci sia stata una guerra, qui.
Le torri sono le stesse. Sembrano ancora sfiorare il cielo, in un gesto di sfida.
Il Lago Nero è ancora lì, misterioso e spaventoso come sempre, mentre la Foresta Proibita si estende ancora per miglia e miglia di alberi, oscura e preoccupante.
Nulla è cambiato.
Solo io.
Una lacrima mi scende lungo la guancia, ma io non la asciugo.
Continuo a camminare, mentre la neve mi bagna i capelli e il leggero cappotto che ho indosso.

“Rachel...”
E’ finita. Harry Potter ha vinto.
Io ho visto il suo incantesimo salvare la vita a tutti noi.
Ho visto Voldemort sparire in un mucchietto di polvere, ho visto tutti correre verso il loro salvatore. Ma io non vado da lui.
Io resto qui, davanti al cadavere di Edward.
E a quello di Danielle.
Non mi ha ascoltata, Danielle. Avrei dovuto saperlo. Avrei dovuto immaginare che sarebbe rimasta. Ma non l’ho fatto.
Lei è rimasta. Ed è morta.
Morta.
Morta.
Mia sorella è morta.
Guardo i suoi capelli biondissimi che le cadono lungo le spalle, dolcemente. I suoi occhi castani sono chiusi. Chiusi.
Anche quelli di Edward sono chiusi.
“Rachel...”
Maddie mi mette una mano sulla spalla, ma io non sento nulla.
Non sento le sue parole vuote che cercano di consolarmi.
Io non sento.
Io non esisto.
Io sono morta.

Entro nel cimitero con le Stelle di Natale tra le mani, con gli occhi rossi di pianto.
Passo davanti alla tomba di Silente e faccio un rispettoso segno di saluto, ma non mi fermo.
Mi inginocchio davanti alla tomba di Edward e poso uno dei due mazzi di fiori che ho in mano. Il colore rosso dei fiori contrasta con la lapide di marmo bianco e mi stordisce.
Guardo la foto che hanno messo.
Edward.
Gli occhi neri pieni di vita, i capelli biondi spettinati, il sorriso sempre sul volto.

Edward Collins
1980 – 1997
Caduto durante la Battaglia di Hogwarts

Non vedo più nulla. Ci sono solo le mie lacrime e la sua foto. Mi mordo il labbro inferiore e mi alzo.
Sorrido, disperata.
“Mi manchi” mormoro, prima di voltarmi e raggiungere la tomba di mia sorella.

Danielle Geller
1984 -1997
Caduta durante la Battaglia di Hogwarts.

Poso anche sulla sua tomba il mazzo di Stelle di Natale e resto in silenzio.
Non c’è bisogno di parole vuote, oggi.
Non c’è bisogno di racconti inutili, oggi.
Oggi c’è solo bisogno del silenzio.

“Rachel...”
Scuoto la testa, mentre la donna davanti a me prova a sorridermi comprensiva.
“Non voglio sapere nulla”
“Rachel, per favore”
Poso lo sguardo sulle mie mani e chiudo gli occhi.
“No” mormoro. “Non voglio sentire nulla di quello che mi direte. Non voglio rendermi conto di quello che è accaduto. Voglio vivere così”
Mi alzo e mi volto, uscendo dalla stanza.
Non voglio andare da una psicologa.
Io sto bene.
Sono solo morta anche io.

Mi alzo e mi allontano, asciugandomi gli occhi con l’orlo del cappotto.
Sono una sopravvissuta.
Sono una reduce.
Sono  un avanzo di qualcosa che non c’è più.
Perché, quando sei sopravvissuta, è come se anche tu fossi morta.  Perché il peso dei sopravvissuti è il più ingombrante del mondo.
E’ il peso di tutti i ricordi di tutti coloro che sono morti. Me li trascino addosso, me li porto ovunque io vada.

Da quel giorno, il 2 Maggio 1997, io non ho più il mio posto nel mondo.
E così, resto qui. Ferma. Immobile in un punto indefinito della vita.
Impasse.
Perché quel giorno, anche se io sono ancora viva, dentro di me non c’è più nulla.
Il 2 maggio 1997 sono morta anche io.

   
 
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