Impasse
– 2. 05. 97
La
battaglia di Hogwarts.
Basta questo nome a far tacere le persone, a far calare
un’atmosfera di gelo
ovunque.
Basta questo nome a far calare un gelo che ha il freddo della
verità. Perché lo
sappiamo tutti: l’allegria, la spensieratezza, i sorrisi...
sono tutti finti.
Il calore che esprimiamo è finto. Solo il gelo che cade su
di noi è vero.
Per tutti noi, la battaglia di Hogwarts, è stato un giorno
significativo, non
solo per la caduta di Voldemort – un nome che la gente ha
ancora paura di
pronunciare, quasi egli possa ritornare più forte di prima
– ma per le nostre
vite. Molti sono morti, altri sono sopravvissuti, tanti maghi hanno
perso
qualcuno a cui tenevano.
Anche io.
Io vi ho partecipato, assieme a tutti gli altri studenti, a tutti i
maghi.
Io sono una sopravvissuta, una reduce, un avanzo di qualcosa che
è finito anni
fa.
Da quel giorno, il 2 Maggio 1997, io non ho più il mio posto
nel mondo. Se
provo a guardarmi indietro, vedo una vita
che non mi appartiene più, quella di una
studentessa allegra, felice, un
po’ secchiona, circondata dai suoi amici più cari.
E se mi guardo avanti...vedo
una vita che non mi apparterrà mai: quella di una giovane
donna felice, amata,
con un bel lavoro e ancora circondata dagli amici più cari.
E così, resto qui. Ferma. Immobile in un punto indefinito
della vita.
Impasse.
E so il perché di tutto questo: la battaglia di
Hogwarts ha cambiato la mia
vita, mi ha scombussolata, mi ha insegnato che non dovrò mai
più dare qualcosa
per scontato. Ha rovesciato le mie certezze.
Perché quel giorno, anche se io sono ancora viva, dentro di
me non c’è più
nulla.
Il 2 maggio 1997 sono morta anche io.
“Sta
arrivando”
Edward ci guarda, pallido come non è mai stato, con gli
occhi spalancati e il
volto teso.
“Potter è qui. Ci ha avvertito”
continua, tendendomi stretta la mano. Chiude
gli occhi e si passa una mano fra i capelli. Due piccolissime lacrime
scivolano
dai suoi occhi. Maddie,
accanto a me,
tace. Io guardo Edward in cerca di sostegno.
“Ci sarà una battaglia” mormora infine
Maddie, mordendosi il labbro inferiore.
Edward annuisce, il bel volto devastato dalla paura.
“Sì” Mi guarda, il mio ragazzo. Mi fissa
impaurito. “Non venite. Sarà
pericoloso”
“Edward...” provo a dire qualcosa, ma non ho la
voce. Le labbra tremano e, non
so neanche come, mi ritrovo a singhiozzare.
“Lo so” mormora lui, stringendomi in un abbraccio
protettivo. “Fa’ attenzione” aggiunge,
posandomi un bacio sulla fronte.
Sono
trascorsi due anni.
Due lunghissimi anni.
Alzo gli occhi al cielo e una goccia di pioggia mi cade sulla guancia,
come una
lacrima. Torno a posare il mio sguardo per terra, sulla neve e stavolta
una
lacrima mi scende davvero.
Sono ad Hogsmeade, il luogo della mia adolescenza.
Quell’adolescenza che non ho
più ritrovato.
Il clima natalizio mi circonda anche qui. La gente è felice,
sorride,
divertita. Sembra che più nessuno si ricordi della
Battaglia, ma io conosco la
verità. So, che sotto quei sorrisi, sotto quella maschera di
finta allegria,
c’è un cuore che non ha più la voglia
di battere.
Tutti noi – noi che siamo morti durante quella battaglia
– viviamo alla ricerca
del giorno perfetto, quello in cui potremmo dire di aver superato
tutto, senza
sapere che quel giorno non arriverà mai.
L’ho capito ora.
Solo ora.
“Ti
prego, Rachel” mormora Edward, guardandomi fisso, con i suoi
bellissimi occhi
neri e tiene il mio volto fra le mani sudate. “Ti prego,
fa’ attenzione”
“Andrà tutto bene” sorrido e poggio la
mia fronte sul suo petto, mentre lui mi
circonda la vita con le braccia.
“Ti prego” Mi alza il viso e mi guarda dritto negli
occhi. Mi sento cedere le
gambe e due lacrime mi solcano la guancia. Mi bacia e mi tiene stretta
a sé.
Non mi lascia andare e mi sorregge. “Ti amo”
Lo bacio.
“Anche io” sussurro, sulle sue labbra.
“Fa’ attenzione”
Si scosta da me e mi sorride. Mi sento tremare. Ho paura a lasciarlo
andare, ho
paura di non vederlo mai più.
“Ti prometto che quando tutto sarà finito e noi
saremo fuori di qua...”
“Andremo a vivere insieme?” azzardo, facendo un
sorrisetto esitante.
Lui prende la mia mano, mentre le grida si diffondono nel castello.
“No” dice, sorridendo. Un sorriso sincero, un
sorriso bellissimo in mezzo a
tanta devastazione. “Ti prometto che se usciremo vivi di qui
ti sposerò”
Un secondo di silenzio.
Le urla, i lamenti, le imprecazioni, gli incantesimi cessano di
esistere.
Esistiamo solo io ed Edward.
Mi butto tra le sue braccia e lo stringo a me mentre lui mi bacia,
disperato.
E’ un bacio impetuoso, un bacio che raramente mi ha dato, un
bacio carico di
disperazione e di speranza. Un bacio che crede in un futuro.
“Ragazzi,non credo che sia il caso”
Maddie ridacchia debolmente, troppo nervosa per essere davvero
divertita.
Edward sorride sulle mie labbra e si scosta da me.
“Te lo prometto, Rachel”
E corre via, con la bacchetta pronta a lanciare incantesimi.
Passo
davanti ad una vetrina e non riconosco il mio riflesso.
Ho i capelli rossi raccolti in uno chignon disordinato, ma moltissimi
ricci
sfuggono all’acconciatura e mi scivolano lungo il collo. Sono dimagrita molto, fin
troppo forse. Il
maglione grigio mi va largo e ho dovuto comprare dei jeans nuovi,
perché quelli
vecchi mi cadevano da dosso.
Il mio aspetto è sciupato.
Non sono la stessa Rachel di due anni fa.
Tra le mani ho un mazzo di fiori –Stelle di Natale, per la
precisione – dai colori
così vivi che contrastano con il pallore etereo del mio
volto.
Sta nevicando e la neve mi ha imbiancato le spalle ed è
caduta sui miei capelli
disordinati.
Non sono più Rachel.
Sono solo il fantasma di me stessa.
“Rachel!”
Mi volto. Incantesimi volano da tutte le parti, raggi di luce colorati
illuminano per un secondo il corridoio buio, poi tutto torna come prima.
Mia sorella corre verso di me, spaventata, stupita, disperata.
“Danielle!”
Mi prende le mani, mentre intorno a noi la battaglia continua. Mi
impongo di
non far caso ai cadaveri di ragazzini ai miei piedi, ma è
dura evitare di
posare lo sguardo su di loro.
Ragazzini come me, come mia sorella, come tutti noi. Ho pura di
guardare i loro
cadaveri, di riconoscerne qualcuno.
“Rachel, ti prego...”
Scuoto la testa.
“Danielle, muoviti” dico, secca, asciugandomi le
lacrime. “Non puoi rimanere
qui. Ti prego. Va’ con gli altri. Non puoi restare”
Ha solo tredici anni, mia sorella. Ha tredici anni e ha visto le cose
più
orribili di questo mondo, che nessuno, neanche un uomo adulto, dovrebbe
vedere.
Deve scappare, mia sorella. Deve andarsene per il suo bene, per il suo
futuro.
Non può rimanere. Non voglio che rimanga.
“Perché allora tu puoi restare?” mi
grida, con le lacrime che le scivolano
lungo la guance rotonde, infantili. E’ una bambina, per
Merlino. Perché deve
vedere tutto questo?
“Perché io sono maggiorenne, Ellie”
replico, brusca, trascinandola con me verso
la Stanza delle Necessità. La guardo, guardo i suoi occhi
castani come i miei.
I suoi sono un po’ più allegri, un po’
più pieni di vita, anche se ora sono
pieni solo di lacrime. Sono gli occhi di una bambina. I miei occhi sono
pieni
sono di responsabilità, i miei sono gli occhi di
un’adulta. “Fallo per me,
Danielle. Mettiti in salvo”
Lei mi guarda.
Forse vuole conservare l’ultima immagine di me.
Forse vuole solo convincermi che lei può restare qui,
perché lei è brava in
Incantesimi e può farcela.
Ma non dice nulla.
“Promettimi...” dice, la voce tremante,
singhiozzante. “Promettimi che quando
tutto sarà finito, verrai anche tu. Promettimelo”
La stringo a me, piangendo.
“Te lo prometto”
Mi
siedo per un attimo su una panchina imbiancata dalla neve. Il freddo di
questa
panchina di penetra fino nelle vene e mi sento congelare, ma non mi
sposto.
Accanto alla mia gamba, qualcuno ha dimenticato una figurina delle
Cioccorane.
La prendo con una mano e la osservo.
Harry Potter.
Strano, vero, come in due anni cambino tante cose?
Harry Potter è finito sulle figurine delle
Cioccorane, in modo che le prossime generazioni possano ricordare chi
ha
sconfitto Voldemort.
Harry Potter e i suoi amici.
Ma tutti gli altri, gli altri che hanno combattuto quella battaglia,
che sono
morti e che si sono sacrificati per dare ad Harry Potter la
possibilità di ammazzare
Voldemort, non sono citati in nessun libro di storia, nessuno li
conosce, non sono
nemmeno sulle figurine delle
Cioccorane.
Poso la figurina sulla panchina e mi rialzo, con le lacrime agli occhi.
Riprendo a camminare, devo arrivare il prima possibile. Non voglio
incontrare
gli altri. Voglio essere da sola.
Un
rumore assordante, che mi stordisce. Barcollo. Un Mangiamorte
è caduto a terra,
sotterrato dalle macerie.
Un’ala del castello è esplosa. Ci sono cadaveri
attorno a me.
Guardo a terra, ho di nuovo paura.
“Rachel...”
Un sussurro. Un lamento.
Mi precipito tra le macerie, mentre il vento, dietro di me, mi
scompiglia i
capelli, mi congela il corpo.
“Rachel...”
Edward. E’ qui. Edward.
Sotto le macerie.
Scosto qualche pezzo di muro ed eccolo.
Il sangue gli cola lungo la tempia e gli sporca il viso candido. Gli
occhi neri
sono semiaperti. I capelli biondi sono sporchi di rosso.
“Edward...”
Allunga una mano verso il mio viso, mentre io singhiozzo, disperata.
Stringo la
sua mano, posata sulla mia guancia.
“Rachel, sei così bella...” mormora,
sfinito, con un sorriso sul volto. “Avrei
voluto sposarti davvero, Rachel”
Lascia la presa dal mio viso e la mano cade, inerme, lungo il suo
fianco.
“Edward, non dire così...ti prego, tu ce la
farai”
Ma parlo a vuoto.
Il viso di Edward è rilassato in un sorriso sereno, gli
occhi neri sono chiusi,
il pallore del suo volto è aumentato.
“Edward...”
Ma lui già non risponde più.
Mi lascio cadere a terra, accanto a lui, con la testa poggiata al suo
petto e
gli occhi chiusi, immaginando il suo respiro che non
c’è più.
Sono
quasi arrivata, ma mi fermo a guardare Hogwarts. L’ala
del palazzo è stata ricostruita, il castello sembra immutato.
Sembra che non ci sia stata una guerra, qui.
Le torri sono le stesse. Sembrano ancora sfiorare il cielo, in un gesto
di
sfida.
Il Lago Nero è ancora lì, misterioso e spaventoso
come sempre, mentre la
Foresta Proibita si estende ancora per miglia e miglia di alberi,
oscura e
preoccupante.
Nulla è cambiato.
Solo io.
Una lacrima mi scende lungo la guancia, ma io non la asciugo.
Continuo a camminare, mentre la neve mi bagna i capelli e il leggero
cappotto
che ho indosso.
“Rachel...”
E’ finita. Harry Potter ha vinto.
Io ho visto il suo incantesimo salvare la vita a tutti noi.
Ho visto Voldemort sparire in un mucchietto di polvere, ho visto tutti
correre
verso il loro salvatore. Ma io non vado da lui.
Io resto qui, davanti al cadavere di Edward.
E a quello di Danielle.
Non mi ha ascoltata, Danielle. Avrei dovuto saperlo. Avrei dovuto
immaginare
che sarebbe rimasta. Ma non l’ho fatto.
Lei è rimasta. Ed è morta.
Morta.
Morta.
Mia sorella è morta.
Guardo i suoi capelli biondissimi che le cadono lungo le spalle,
dolcemente. I
suoi occhi castani sono chiusi. Chiusi.
Anche quelli di Edward sono chiusi.
“Rachel...”
Maddie mi mette una mano sulla spalla, ma io non sento nulla.
Non sento le sue parole vuote che cercano di consolarmi.
Io non sento.
Io non esisto.
Io sono morta.
Entro
nel cimitero con le Stelle di Natale tra le mani, con
gli occhi rossi di pianto.
Passo davanti alla tomba di Silente e faccio un rispettoso segno di
saluto, ma
non mi fermo.
Mi inginocchio davanti alla tomba di Edward e poso uno dei due mazzi di
fiori
che ho in mano. Il colore rosso dei fiori contrasta con la lapide di
marmo
bianco e mi stordisce.
Guardo la foto che hanno messo.
Edward.
Gli occhi neri pieni di vita, i capelli biondi spettinati, il sorriso
sempre
sul volto.
Edward
Collins
1980 – 1997
Caduto durante la Battaglia di Hogwarts
Non
vedo più nulla. Ci sono solo le mie lacrime e la sua
foto. Mi mordo il labbro inferiore e mi alzo.
Sorrido, disperata.
“Mi manchi” mormoro, prima di voltarmi e
raggiungere la tomba di mia sorella.
Danielle
Geller
1984 -1997
Caduta durante la Battaglia di Hogwarts.
Poso
anche sulla sua tomba il mazzo di Stelle di Natale e
resto in silenzio.
Non c’è bisogno di parole vuote, oggi.
Non c’è bisogno di racconti inutili, oggi.
Oggi c’è solo bisogno del silenzio.
“Rachel...”
Scuoto la testa, mentre la donna davanti a me prova a sorridermi
comprensiva.
“Non voglio sapere nulla”
“Rachel, per favore”
Poso lo sguardo sulle mie mani e chiudo gli occhi.
“No” mormoro. “Non voglio sentire nulla
di quello che mi direte. Non voglio
rendermi conto di quello che è accaduto. Voglio vivere
così”
Mi alzo e mi volto, uscendo dalla stanza.
Non voglio andare da una psicologa.
Io sto bene.
Sono solo morta anche io.
Mi
alzo e mi allontano, asciugandomi gli occhi con l’orlo
del cappotto.
Sono una sopravvissuta.
Sono una reduce.
Sono un avanzo di
qualcosa che non c’è
più.
Perché, quando sei sopravvissuta, è come se anche
tu fossi morta. Perché
il peso dei sopravvissuti è il più
ingombrante del mondo.
E’ il peso di tutti i ricordi di tutti coloro che sono morti.
Me li trascino
addosso, me li porto ovunque io vada.
Da
quel
giorno, il 2 Maggio 1997, io non ho più il mio posto nel
mondo.
E così, resto qui. Ferma. Immobile in un punto indefinito
della vita.
Impasse.
Perché quel giorno, anche se io sono ancora viva,
dentro di me non c’è più
nulla.
Il 2 maggio 1997 sono morta anche io.