Il cancro non discrimina, non pensa a quanti anni hai o a quanto hai faticato per arrivare dove sei. Non pensa alle nottate passate in bianco per finire di studiare un capitolo di storia solo per essere promosso, o a tutte le estati che hai passato lavorando su un progetto solo per essere pagato di più per prenderti cura della tua famiglia. Non gli interessa quanti amici hai, o quali difetti pensi di avere, non gli interessa quante persone resteranno sveglie per mesi dopo la tua morte, non gli interessa quanto hai vissuto, dove hai vissuto, con chi hai vissuto, nè se hai dato il tuo primo bacio o se hai preso un 10 a un compito di Matematica. Il cancro non si ferma davanti ai progetti che hai costruito per il tuo futuro, nè davanti al tuo matrimonio che è solo a due giorni di distanza. Non si ferma neanche se hai 75 anni e la tua ora sarebbe giunta presto in ogni caso. Questa one shot è dedicata a mio nonno. Spero solo che tutto ti vada per il meglio, perché attualmente non posso fare altro. Ti voglio bene.
The death.
Ci
incontrammo il 4 Luglio, festa dell'Indipendenza Americana. Non
volevo relazioni serie, lui neanche, e nonostante questo mi
baciò
sotto un salice due settimane dopo. Due giorni dopo fui diagnosticata
con un cancro terminale ai polmoni. La dottoressa disse che era delle
dimensioni di un pugno, situato al centro del polmone destro, e che
era inoperabile. Mi suggerì di sottopormi a varie sedute di
chemioterapia, varie analisi, varie pillole, ma rifiutai. Non avevo
più il diritto di scegliere la quantità della mia
vita, ma potevo
ancora fare qualcosa per la qualità.
Justin lo scoprì a fine
Agosto mentre mi aiutava a sistemare i vari documenti sparsi per il
soggiorno. E urlò. E pianse. E ruppe ogni cosa che
trovò per
vendicarsi di come il cancro aveva rotto ogni progetto che avevamo
costruito. Poi fece l'amore con me una volta, due volte, tre volte,
finché finalmente smisi di piangere. Poi se ne
andò, e per una
settimana non vidi il suo numero comparire sul display del mio
telefono.
Quando tornò mi disse che era andato fuori città
con i
suoi amici, perché non sopportava l'idea di guardarmi e
vedere solo
quell'ammasso nero che aveva preso posto dentro di me. Annuii, e gli
dissi che poteva andarsene quando voleva. Avevo accettato l'idea che
il cancro avrebbe ucciso me, ma non riuscivo ad accettare che avrebbe
potuto uccidere lui.
La scuola rimonciò e passai più tempo a
letto che in classe, drogandomi di pillole e dormendo a ogni ora del
giorno. Dicono che l'istruzione è la cosa principale della
vita: per
me la cosa principale era controllare il ritmo dei miei respiri.
Tra
una pillola e l'altra, i miei genitori litigavano al piano di sotto e
si insultavano a vicenda per le cose più banali: chi doveva
lavare i
piatti, chi doveva spolverare i mobili in sala, chi doveva portare
fuori la spazzatura.
E intanto io portavo avanti un cancro in fase
avanzata che mi permetteva a mala pena di fare due passi prima di
ricordarmi che dovevo tossire di tanto in tanto.
“Dici
che il bianco mi sta bene?” Chiedo mentre mi appoggio un
vestito
contro il corpo e guardo Justin.
Posa il telefono e alza lo
sguardo. “Girati.” Faccio come dice e mi ricordo
che il vestito è
solo sul davanti, quindi glielo lancio addosso e lo sento ridere.
“Stai bene in bianco.”
“Sei un pervertito.” Dico mentre
afferro il vestito e lo lancio sullo schienale della sedia, poi mi
siedo accanto a Justin. “Stai bene?”
Annuisce. “Ho troppo da
studiare. A quanto pare non fanno eccezioni neanche per quelli che
hanno una ragazza che sta per morire.” Dice prima di
prendermi per
un braccio e buttarmi giù accanto a sè.
“Tu stai bene?”
“Sono
solo stanca. E ho dormito tutto il giorno, perciò non voglio
neanche
immaginare come sarà tra una settimana.” Faccio
spallucce e sento
le sue dita tra i miei capelli.
“Magari non staresti così se
facessi la chemioterapia.” Dice infine.
“Ne abbiamo già
parlato.” Lo sento sospirare e si sdraia su un fianco,
prendendomi
il viso con una mano e girandolo verso il suo.
“Piccola,
per favore. Potresti stare meglio, prova solo a fare due sedute. Va
bene? Solo due. Non hai niente da perdere.” Dice piano, come
ogni
volta che parliamo di questo argomento.
“Hai ragione, ho perso
tutto. Almeno i capelli vorrei tenermeli.”
“I tuoi capelli
sono più importanti della tua vita?” Inarca un
sopracciglio e io
mi lecco le labbra.
“Hai sempre detto che ti piacciono.”
“In
questo momento mi piacerebbe che tu vivessi più a lungo,
Eva. Non me
ne frega proprio niente dei tuoi capelli.” Si passa una mano
sul
viso e la rimette sulla mia guancia. “Non ci pensi mai a come
sarà
quando non ci sarai più? A come tua madre
smetterà di andare a
lavoro, e invece di aiutarti a scegliere il vestito da sposa,
dovrà
scegliere una fottuta bara? E dovrà farlo bene,
perché non potrà
cambiarla dopo due mesi perché sei ingrassata di cinque
chili e ti
sta troppo stretta. Tuo padre non ti accompagnerà
giù per la navata
ma seguirà il carro funebre fino al cimitero e non ti
darà a tuo
marito ma alla terra. Non pensi che dopo 18 anni si meritano un tuo
sforzo, Eva? Potresti fare qualcosa per cambiare la situazione ma non
stai facendo assolutamente niente. Scommetto che quando ti ha
partorita, tua madre sperava che tu scegliessi una bara per lei e non
il contrario.”
Faccio vagare lo sguardo da una parte all'altra
della mia stanza, sperando di far finire questo discorso in qualche
modo. Alla fine opto per la scelta più ovvia.
“Sono molto stanca.
Forse dovresti tornare domani, o quando vuoi.”
“Porca puttana,
Eva, non ti capisco.” Sbotta mentre si mette a sedere.
“Hai
l'occasione di stare meglio e non la sfrutti.”
“Meglio come,
Justin? Senza capelli e in un letto d'ospedale per l'ultimo mese di
vita che mi rimane? Sto bene qui, grazie.”
“Sai cosa? Ti stai
comportando come un'idiota in questo momento. Hai 18 anni e non sai
un cazzo della vita, e già vuoi finirla. Fallo per me o
fallo per i
tuoi genitori, o fallo per te stessa, perché ti meriti di
vivere più
di 18 fottuti anni. Non ti sta uccidendo il cancro, ti stai uccidendo
da sola.” Afferra la sua giacca ed esce dalla mia camera,
sbattendo
la porta alle sue spalle.
“Non
ci pensare neanche.” Dico quando Justin cerca di togliermi il
berretto di lana dalla testa.
“Sei a casa e non ti vede nessuno.
A me non importa.” Mi afferra quando mi alzo dal letto e mi
ributta
giù, stringendomi.
“Mi vedo io e mi faccio schifo.” Faccio
spallucce e lui mi guarda, poi mi da una leggera sberla.
“Sei
un'idiota, Evangeline Midford.” Ride prima di sdraiarsi di
nuovo e
tirarmi contro il suo petto. “Potevano stare più
attente quelle
idiote.” Dice mentre mi passa le dita sul braccio, evitando i
lividi violacei che si stanno formando accanto alle vene.
“Hanno
fatto il loro meglio.” Mi lecco le labbra e Justin mi toglie
il
berretto, lanciandolo dall'altra parte della stanza quando cerco di
afferrarlo. “Grazie tante, Justin.”
“Di niente, piccola.
Sai, mi piaci di più con i capelli corti. Non mi volano
più in
bocca quando ti bacio.” Dice prima di premere le labbra sui
pochi
capelli rimasti che ho. “E ti stanno meglio.”
“Come no.
Sembro una bambina di 13 anni che si è tagliata i capelli da
sola in
bagno perché non le hanno dato il permesso di farsi un
tatuaggio
sulla fronte.” Ride.
“Dovresti
dormire un po', piccola. É stata una giornata lunga e non
hai
dormito neanche mezz'ora, ieri.”
“Non sono stanca. Ho voglia
di camminare. Facciamo un giro?” Lo sguardo speranzosa.
Mi bacia
la punta del naso. “Hai appena finito la chemio e la
dottoressa ha
detto che devi riposare.”
“Ti prego, solo intorno alla casa?
Dieci minuti e torniamo dentro, non ne posso più di sentire
mamma e
papà litigare ogni minuto.”
Sospira piano mentre mi metto a
sedere. “Va bene. Ma niente berretto e niente cappelli. E
solo
dieci minuti, oppure ti trascino in casa con la forza.” Mi da
una
pacca sul sedere prima di alzarsi e spingermi gentilmente fuori dalla
stanza.
Usciamo di casa e immediatamente mi mette la sua giacca
sulle spalle, aiutandomi a infilare le braccia nelle maniche. Ci sono
30 gradi fuori e un sole che spacca le pietre.
“Poveri i tuoi
figli, Justin.” Scuoto la testa e lo sento ridacchiare. Mi
prende
per mano e mi stringe a sè, cercando di non superarmi. Ha le
gambe
trenta volte più lunghe e io sono trenta volte
più debole dopo
l'ennesima seduta in ospedale.
“Sei
sicura di stare bene?” Mi chiede ancora e io annuisco per la
terza
volta da quando siamo usciti dalla mia stanza.
“Sto bene. Sono
solo un po' rintontita e mi girano gli occhi da tutte le parti.
É
questo ciò che capita quando provi quei funghi
allucinogeni?”
Ride.
“Non lo so, mai provati.”
“Strano. Con tutta la merda che ti
sei fumato l'anno scorso, è sorprendente che non sei
arrivato a
questo.”
“Beh, mi dispiace, piccola. Sai com'è, la mia
ragazza era stata diagnosticata con un cancro terminale e non voleva
neanche la chemioterapia. O la uccidevo o fumavo.” Fa
spallucce e
io caccio una risatina.
“Non sporcarti le mani che tra poco
muoio da sola.”
Mi da una sberla sul fianco e preme le sue
labbra sulle mie. “Hai le labbra screpolate. Hai messo il
balsamo?”
“Sì.”
“Davvero?”
“No.”
Un'altra
sberla.
“Cosa
vuol dire che la chemio non funziona? L'avete detto voi di farla,
cosa cazzo è questa storia?” Chiede Justin mentre
sono sdraiata
nel letto dell'ospedale con vari tubi attaccati al mio corpo.
“Mi
dispiace ma è arrivata troppo tardi. Non possiamo fare altro
che
darle medicine per attutire il dolore e sperare per il
meglio.”
Sospira l'infermiera.
“Sperare
per il meglio? La mia ragazza sta morendo davanti a voi e avete il
dovere di fare qualcosa per salvarla, non per farle provare meno
dolore. Cosa cazzo state facendo per salvarla? Cinque di voi bevono
il caffè al bar e le altre venti scopano sul letto di un
paziente
appena morto?” Sbraia di nuovo lui e io gli stringo la mano
per
farlo tacere.
“Justin, smettila.” Sospira mio padre, alzandosi
dal divano. “Posso parlarle un momento?”
L'infermiera annuisce
e lancia un'occhiata di scuse a Justin, poi segue mio padre fuori
dalla stanza e chiude la porta dietro di sè.
“Calmati.” Gli
dico piano e lui si lecca le labbra, poi mi bacia la mano e chiude
gli occhi, sospirando. “Esci, prendi un po' d'aria fresca e
mangia
qualcosa. Non hai mangiato niente da quando sono qui.”
“Non ho
fame. Porca puttana.” Si alza dalla sedia e si passa una mano
tra i
capelli, andando alla finestra e appoggiando il fianco contro il
muro. “Te l'avevo detto, Eva! Te l'avevo detto! Fai la
chemioterapia, cazzo, falla! No, porca di quella puttana! Non fai mai
niente di quello che ti viene detto e poi finisci in questi cazzo di
casini! Cosa cazzo vuoi fare ora, me lo dici?” Urla,
girandosi
verso di me.
Mia mamma si alza e lo prende per le spalle,
tirandolo verso un angolo e iniziando a parlargli sottovoce per
calmarlo almeno un po'. So che ha ragione. Avrei dovuto farlo prima.
Ma non sarebbe cambiato niente. Avrei comunque il cancro, e starei
comunque per morire.
Quando ritorna si siede di nuovo accanto al
mio letto e mi afferra la mano, chiudendo gli occhi e appoggiandosela
alla fronte. “Scusa.”
“Non ti preoccupare.” Mi lecco le
labbra ancora screpolate e guardo il soffitto. “Mi
dispiace.”
Justin non dice niente e continua a tenere gli occhi
chiusi, respirando piano contro la mia mano e stringendola,
aumentando ogni tanto la presa.
“Vado a prendermi un caffè,
volete qualcosa?”
“No, grazie.”
Mia mamma esce dalla
stanza e chiude la porta, lasciandoci soli e in silenzio. Non avrei
mai pensato che il silenzio potesse essere così rumoroso,
specialmente quando l'unica cosa che sento sono i suoi
respiri.
“Justin?”
“Mhm?”
“Devi
andare a casa, dormire e mangiare qualcosa. Poi torni, ti prego. Vai
a casa.” Tolgo la mia mano dalla sua e gli passo le dita tra
i
capelli, spingendoli indietro.
“Non ho fame, non ho sonno e
voglio restare qui.” Sospira prima di aprire gli occhi e
lasciar
cadere le mani sul letto. “Come ti senti?” Chiede
infine.
Faccio
spallucce. “Sono drogata e piena di antidolorifici. Me la
caverò.”
Accenna un sorriso e si guarda intorno. “Vorrei che
avessimo più tempo. Porca puttana, dovremmo avere
più tempo.
Nessuno muore di cancro a 18 anni. Ci sono drogati per il mondo di
cui non frega un cazzo a nessuno e che si rovinano la vita ma non
muoiono.”
“Desiderando la morte per gli altri non mi togli la
mia, Justin.” Dico piano e lo sento sospirare di nuovo.
“Non
hai nessun diritto di lasciarmi, Eva. Nessuno. Hai detto che saresti
rimasta per sempre, cazzo. Hai detto che mi avresti sposato.”
Si
alza di nuovo e io mi lecco le labbra un'altra volta per mantenerle
umide, e anche perché non so cosa altro fare.
“Preferirei saperti
con un altro ma viva.” Dice infine.
“Ho
vinto. Di nuovo.” Rido mentre Justin mi prende le carte di
mano e
inizia a mischiarle di nuovo.
“Sei una stronza. Bari ogni
volta.” Borbotta mentre appoggia la schiena allo schienale
della
sedia.
“Ma se non so neanche cosa sto facendo.” Ride e da
le
carte di nuovo. “Allora, se ho tre carte devo metterle
giù,
vero?”
“No, se hai tre carte devi tenerle.” Fa spallucce e
pesca dal mazzo.
“Hai appena detto che devo metterle
giù.”
“Senti, mi lasci vincere almeno una partita? Dio santo,
a mala pena muovi le mani e mi batti ogni volta. Stai ferma.”
Alza
gli occhi al cielo e io ridacchio piano mentre metto giù tre
6.
“Ogni tanto ti detesto, sai?”
“Lo so. Non è colpa mia se
sono brava, sai?”
“Fai schifo, ti lascio solo vincere.”
Dice, mettendo giù tre carte e facendomi segno di continuare.
“Beh,
non farmi vincere, allora. Magari questa volta riesci anche a fare un
punto.”
“Non posso. Va contro i miei principi morali far
perdere una ragazzina di 18 anni che non si alza mai dal
letto.” Mi
lancia un'occhiata e io gli mostro la lingua, facendolo ridere.
“Sono
stanco.” Mi prende le carte di mano e le posa sul comodino
prima di
spingere via il tavolo con le ruote.
“Cosa
vuoi fare, allora?”
“Beh, dormire sarebbe perfetto, ma sono le
cinque di pomeriggio.” Fa spallucce e si sdraia accanto a me.
“Riesco a vedere il riflesso delle lampade al neon sul tuo
scalpo.”
Gli do un pugno sul petto e si tira velocemente
indietro mentre ride. “Sei un bastardo.”
“Scusa, piccola. Se
ti fa stare meglio, non hai bisogno delle lampade, fai luce
già da
sola.” Gli do un altro pugno e lui mi bacia la testa.
“Ti
amo.”
“Ti amo anche io.”
“Smettila.
Eva, smettila. Non sistemi niente piangendo, smettila. Dio santo, la
vuoi finire? Non è successo niente, smettila.” Mi
continua a
ripetere mentre mi guardo le dita prive di unghie, visto che mi sono
cadute tutte a causa della chemio. Non capisco perché devo
continuare a farla se non mi aiuta. “Evangeline, smettila
immediatamente. Sono solo unghie, cazzo.”
“Faccio schifo! Sono
senza capelli, ho le labbra screpolate, la pelle gialla e ora non ho
neanche le unghie! Faccio schifo!” Affondo il viso nel
cuscino e lo
sento sospirare prima di stendersi accanto a me e prendermi tra le
braccia.
“Piccola, non frega a nessuno delle tue unghie o dei
tuoi capelli o della tua pelle o delle tue labbra, va bene? E quelli
che fissano possono andarsene a fanculo o girarsi. Non sono obbligati
a guardare, anche se sei bellissima.” Mi sussurra contro la
spalla,
lasciando vari baci.
Tiro su con il naso e continuo a piangere nel
cuscino. “Smettila di dire cazzate, sembro un alieno. Oppure
uno di
quei cuccioli di cane appena nati che non hanno neanche il pelo.
Ecco, sono un cucciolo di cane senza pelo.”
“Forse, ma tutti
amano i cuccioli di cane e a nessuno frega se hanno il pelo o no,
giusto? Ora smettila, stai solo sprecando forze e ne hai bisogno
adesso.” Ripete.
“Ogni volta che vado in bagno vedo il mio
riflesso in quel dannato specchio e voglio romperlo.”
Borbotto
piano.
“Facciamolo. Forza.”
“Cosa? Justin, dove vai?”
Mi metto a sedere appena lo sento alzarsi e lo sguardo sparire in
bagno per ritornare qualche secondo dopo con lo specchio in una mano
e il portasapone di ceramica nell'altra. “Cosa stai facendo?
Non
posso rompere lo specchio, è dell'ospedale.”
“Non me ne frega
proprio niente. Dai.” Mi porge il portasapone e mette lo
specchio
sulla sedia, appoggiandolo allo schienale. “Forza,
rompilo.”
“Justin-”
“Senti, volevi rompere lo specchio?
Allora rompilo. Oppure guarda il tuo riflesso e inizia ad accettarti
per quello che sei ora e non per quello che eri cinque mesi fa. Non
puoi cambiarlo, Eva. Anche se rompi lo specchio, non potrai cambiare
il riflesso e non potrai cambiare il tuo viso. Hai capito?
Perciò
forza, o lo rompi o lo guardi. Hai due scelte.” Si ferma
accanto
allo specchio e incrocia le braccia, aspettando pazientemente una mia
mossa. “Rompere lo specchio non ti darà indietro i
tuoi capelli, o
le tue unghie, e non ti porterà via il cancro.
Sappilo.”
Mi
lecco le labbra e poso il portasapone sul comodino, sospirando e
iniziando a piangere di nuovo. E di nuovo Justin mi prende tra le
braccia e continua a baciarmi la tempia.
“Voi
non scegliete proprio un cazzo, Liz. Non è ancora morta e
già
volete prenderle una bara? Non funziona così, datele almeno
il
fottuto tempo di andarsene.” Sbotta Justin contro mia madre
mentre
mi accarezza il braccio.
“Justin, dobbiamo prenotarla o non
arriverà in tempo. Stiamo male quanto te al solo pensiero ma
cosa
altro possiamo fare?” Sospira mio padre, passando le dita tra
i
capelli.
“Aspettate. Porca puttana, la state mandando via prima
ancora che possa essere lei a andarsene. Smettetela. C'è
tempo per
prenotare una fottuta bara, passate più tempo con vostra
figlia
invece che con il tipo delle lapidi.” Borbotta, poi mi
guarda. “Hai
sete?” Scuoto la testa e mi bacia la fronte.
“Copriti, fuori
nevica. L'ultima cosa di cui hai bisogno adesso è un
raffreddore.”
Dice prima di scendere dal letto e tirare la coperta fino al mio
mento, stritolandomi e facendomi ridere. Accenna un sorriso e guarda
di nuovo i miei genitori. “Non voglio più sentir
parlare di questa
merda intorno a lei. Siete i suoi genitori o dei fottuti avvoltoi che
vogliono solo avere il posto migliore al cimitero?
Smettetela.”
Mia madre sospira e si siede sul divano accanto a mio papà,
affondando il viso nelle mani e inziando a piangere.
“Vogliamo solo
che riposi in pace.”
“Allora fatela riposare e parlate di
queste cazzate fuori da questa stanza. Ne ho abbastanza di sentirvi
ripetere che dovete prenotare questo o quello. L'unica cosa che
dovete fare e starle accanto e assicurarvi che abbia tutto
ciò che
le serve per adesso, non per dopo.”
Abbasso lo sguardo e fisso
le unghie che stanno ricrescendo da capo. Sono passate due settimane
da quando sono cadute tutte e grazie a Dio stanno ricomparendo. Era
troppo strano vedere la carne al posto delle unghie.
“Devi
mangiare qualcosa, piccola.” Mi dice infine, cambiando tono
di voce
e sedendosi accanto a me.
“McDonald's?” Sorrido speranzosa e
lui ridacchia.
“No, qualcosa di leggero. Verdure, una minestra.”
Arriccio il naso e me lo bacia. “Lo so, credimi. Fa schifo,
ma è
l'unica cosa che puoi mangiare per ora.”
Sospiro. “Verdure.
Però non voglio le zucchine bollite, va bene? Dillo alle
infermiere
perchè ogni volta mi portano un piatto pieno di zucchine e
niente
peperoni e mi fa ancora più schifo.”
“Va bene. Non scoprirti
e rimani sdraiata.” Annuisco e Justin si alza, uscendo dalla
camera
e chiudendo la porta. Si è preoccupato più lui
per me che i miei
genitori in questi mesi. É terrificante sapere come
reagirà una
volta che non mi sveglierò Non voglio neanche pensarci.
“Non
possiamo fare niente, mi dispiace.” Ripete l'infermiera
mentre mi
infila un altro ago nel braccio.
“Sta vomitando sangue, cosa
cazzo significa che non potete fare niente?” Chiede mio
padre,
alzandosi dal divano e prendendo un'altra bacinella dal comodino,
tenendomela sotto il mento. “Almeno le dovete dare una
pastiglia o
qualcosa del genere, cosa diavolo state facendo qui?”
“Il
nostro meglio, signore, ma non possiamo fare niente. Dobbiamo solo
aspettare che passi e fare nuove analisi, le prenoto subito una
stanza così potrà incontrare il dottore non
appena si sentirà
meglio.” Cerca di mostrare un sorriso rassicurante.
“Mi chiami se
c'è altro, va bene?” Dice prima di uscire dalla
stanza.
Justin
non sopporta il sangue, ed è l'unico momento in tutti questi
mesi
che non mi è accanto ma seduto dall'altra parte della stanza
a
cercare di non guardare.
“Tesoro, come ti senti?” Mi chiede
mia mamma. Come mi sento? Sto vomitando sangue e anima.
Alzo
sarcasticamente un pollice in su. “Benissimo, mamma. Non sono
mai
stata meglio!” Dico prima di vomitare un'altra volta.
“Che
domande fai, Liz?” La riprende papà prima di
accarezzarmi la
schiena e sospirare. “Mi dispiace, tesoro.”
Dopo circa cinque
minuti ho esaurito le forze anche per vomitare, perciò mi
sdraio di
nuovo e chiudo gli occhi, respirando a fatica.
Justin si alza di
nuovo e si siede accanto a me. “Stai meglio?”
Annuisco
leggermente. “Dormi. Domani ti sentirai meglio. Magari anche
io.”
Rido prima di tossire di nuovo e mi bacia la testa, poi mi
aiuta a sdraiarmi sotto le lenzuola e le tira su di nuovo.
“Rimani
qui?”
“Dove vuoi che vada?” Fa spallucce e si siede sulla
sedia, prendendomi la mano e baciandomi le nocche.
“Dormi.”
“No,
rimani sveglia. Piccola, apri gli occhi. Forza, rimani sveglia. Non
dormire.” Sussurra Justin mentre mi accarezza la pancia e la
spalla. “Non dormire.”
“Sono stanca.” Mugugno piano mentre
cerco di tenere gli occhi aperti.
“Lo so, ma non addormentarti.
Va bene? Passerà un in secondo, tieni gli occhi aperti. Ti
ricordi
quando siamo andati allo zoo e hai visto i fenicotteri?”
Annuisco
leggermente. “Domani ti porto fuori da qui e ti porto a
vederli di
nuovo. Scommetto che ce ne sono di più.”
Tossisco di nuovo.
“Justin, non mi lasceranno mai uscire
dall'ospedale.”
“Non
importa, vedremo di trovare una scusa. Insomma, i fenicotteri sono
un'ottima scusa.” Ridacchio piano. “Non chiudere
gli occhi.”
Ripete e li riapro velocemente. “Brava. Rimani sveglia e
continua a
guardarmi.”
“Justin-”
“Continua a guardarmi e smettila
di parlare.”
Sospiro piano e appoggio la testa sulla sua spalla.
Lo so che lo sa. E so anche che sta facendo di tutto per non farlo
accadere.
“Justin-”
“Shh.” Mi interrompe di nuovo.
“Devi svegliarti presto, però. Di sera hai
un'altra seduta di
chemio e devi essere pronta anche per quello, perciò dovremo
tornare
qui presto.”
“Justin-”
“Probabilmente prenderemo un
taxi, però. Non voglio guidare.” Dice infine.
“Preferisci il
taxi?”
“Justin-”
“Taxi o la mia macchina?”
Mi
lecco le labbra e affondo il viso nel suo collo, ricacciando indietro
le lacrime. “Taxi.”
“Anche io. Magari questa volta riuscirai
a mangiare qualcosa che non assomigli a vermi verdi.”
Caccio una
risatina e rimaniamo in silenzio per un po', ascoltando il rumore
della macchina accanto a me e dei nostri respiri nel silenzio della
stanza. I miei genitori stanno mangiando e ci hanno lasciati da soli
un'altra volta. L'hanno fatto spesso da quando sono
qui.
“Eva?”
“Mhm?”
“Chiamerò mia figlia come
te.” Accenno un sorriso e sospiro contro la sua pelle.
“Promettimi
che sarà esattamente come te. Bionda, bellissima,
intelligente.
Promettimelo.”
Vorrei poterlo farlo. “Lo prometto.”
Mi
bacia la fronte e sento le sue lacrime sulla pelle. “Dormi,
ora.
Domani uscirai di qui.” Annuisco leggermente e mi stringe a
sè.
“Ti amo.”
“Ti amo anche io.”
The remedy.
Il
funerale si tenne una settimana dopo la sua morte. I suoi genitori
piansero, i suoi amici piansero, i suoi vari parenti piansero.
Giurerei che anche il prete pianse. Mentre io rimasi in piedi tutto
il tempo, appoggiato al salice piangente dove l'avevo baciata due
settimane dopo averla incontrata, quando tutto andava a meraviglia,
quando pensavo che sarebbe rimasta per sempre, quando i suoi capelli
mi finivano in bocca ogni volta che c'era vento, quando le sue unghie
si conficcavano nella mia schiena quando eravamo a letto insieme e
quando la prendevo in giro per la pelle troppo chiara, così
strana
in un posto come Los Angeles.
Odiava il mare, preferiva la
montagna, e si scottava ogni volta che cercava di rimanere sotto il
sole per più di mezz'ora, poi si lamentava che il sole le
avrebbe
fanno venire il cancro.
Curiosa la vita: le cose per cui metà del
mondo vive, come una perfetta abbronzatura, finiscono per uccidere la
metà che non le voleva.
La gente si droga ogni giorno, cercando
un modo per andarsene, e quelli che vogliono restare usano le stesse
droghe per continuare a vivere.
La gente si lancia giù dai
balconi, tentando disperatamente di farla finita, e quelli che
vogliono solo acchiapparli dopo la caduta finiscono schiacciati
contro il marciapiede sotto il loro peso.
Vari treni finiscono
contro un palazzo per colpa dell'idiota che aveva bevuto prima di
andare a lavoro, e i dottori a bordo che volevano salvare una vita
finiscono per lottare per la propria.
É tutto un caso. Non
scegliamo come vivere, non scegliamo come morire, non scegliamo dove
morire, nè perchè.
Alla fine, pensandoci bene, nessuno vuole
davvero morire. Anche quando sa che la sua fine è vicina,
chiunque
cercherà di credere il contrario, continuando a darsi tempo
per
cambiare la propria situazione quando ormai non ce n'è.
Perciò
io direi di inziare adesso.
Fine.
Non so se a qualcuno piacerà e francamente non me ne frega
niente.
Era solo un modo per togliermi di dosso questa costante
sensazione di peso
che mi porto con me da quando ho scoperto che
mio nonno potrebbe anche non farcela.
Siamo così abituati
all'idea di morire che passiamo 80 anni preparandoci per quel
momento,
e dimentichiamo che prima della morte c'è la vita.
Se
chiunque di voi sta pensando che non vale la pena di vivere, che non
farete mai niente di buono, che siete uno spreco di spazio,
ripensateci,
e contate quante persone piangeranno se ve ne
andate.
E se la risposta è 0, probabilmente fate schifo a
Matematica.
Iniziate a vivere prima di iniziare a morire.