Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
Ricorda la storia  |      
Autore: TrustInBieber    28/07/2014    11 recensioni
“Piccola, per favore. Potresti stare meglio, prova solo a fare due sedute. Va bene? Solo due. Non hai niente da perdere.” Dice piano, come ogni volta che parliamo di questo argomento.
“Hai ragione, ho perso tutto. Almeno i capelli vorrei tenermeli.”
“I tuoi capelli sono più importanti della tua vita?” Inarca un sopracciglio e io mi lecco le labbra.
“Hai sempre detto che ti piacciono.”
“In questo momento mi piacerebbe che tu vivessi più a lungo, Eva. Non me ne frega proprio niente dei tuoi capelli.”
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il cancro non discrimina, non pensa a quanti anni hai o a quanto hai faticato per arrivare dove sei. Non pensa alle nottate passate in bianco per finire di studiare un capitolo di storia solo per essere promosso, o a tutte le estati che hai passato lavorando su un progetto solo per essere pagato di più per prenderti cura della tua famiglia. Non gli interessa quanti amici hai, o quali difetti pensi di avere, non gli interessa quante persone resteranno sveglie per mesi dopo la tua morte, non gli interessa quanto hai vissuto, dove hai vissuto, con chi hai vissuto, nè se hai dato il tuo primo bacio o se hai preso un 10 a un compito di Matematica. Il cancro non si ferma davanti ai progetti che hai costruito per il tuo futuro, nè davanti al tuo matrimonio che è solo a due giorni di distanza. Non si ferma neanche se hai 75 anni e la tua ora sarebbe giunta presto in ogni caso. Questa one shot è dedicata a mio nonno. Spero solo che tutto ti vada per il meglio, perché attualmente non posso fare altro. Ti voglio bene.





The death.





Ci incontrammo il 4 Luglio, festa dell'Indipendenza Americana. Non volevo relazioni serie, lui neanche, e nonostante questo mi baciò sotto un salice due settimane dopo. Due giorni dopo fui diagnosticata con un cancro terminale ai polmoni. La dottoressa disse che era delle dimensioni di un pugno, situato al centro del polmone destro, e che era inoperabile. Mi suggerì di sottopormi a varie sedute di chemioterapia, varie analisi, varie pillole, ma rifiutai. Non avevo più il diritto di scegliere la quantità della mia vita, ma potevo ancora fare qualcosa per la qualità.
Justin lo scoprì a fine Agosto mentre mi aiutava a sistemare i vari documenti sparsi per il soggiorno. E urlò. E pianse. E ruppe ogni cosa che trovò per vendicarsi di come il cancro aveva rotto ogni progetto che avevamo costruito. Poi fece l'amore con me una volta, due volte, tre volte, finché finalmente smisi di piangere. Poi se ne andò, e per una settimana non vidi il suo numero comparire sul display del mio telefono.
Quando tornò mi disse che era andato fuori città con i suoi amici, perché non sopportava l'idea di guardarmi e vedere solo quell'ammasso nero che aveva preso posto dentro di me. Annuii, e gli dissi che poteva andarsene quando voleva. Avevo accettato l'idea che il cancro avrebbe ucciso me, ma non riuscivo ad accettare che avrebbe potuto uccidere lui.
La scuola rimonciò e passai più tempo a letto che in classe, drogandomi di pillole e dormendo a ogni ora del giorno. Dicono che l'istruzione è la cosa principale della vita: per me la cosa principale era controllare il ritmo dei miei respiri.
Tra una pillola e l'altra, i miei genitori litigavano al piano di sotto e si insultavano a vicenda per le cose più banali: chi doveva lavare i piatti, chi doveva spolverare i mobili in sala, chi doveva portare fuori la spazzatura.
E intanto io portavo avanti un cancro in fase avanzata che mi permetteva a mala pena di fare due passi prima di ricordarmi che dovevo tossire di tanto in tanto.





Dici che il bianco mi sta bene?” Chiedo mentre mi appoggio un vestito contro il corpo e guardo Justin.
Posa il telefono e alza lo sguardo. “Girati.” Faccio come dice e mi ricordo che il vestito è solo sul davanti, quindi glielo lancio addosso e lo sento ridere. “Stai bene in bianco.”
“Sei un pervertito.” Dico mentre afferro il vestito e lo lancio sullo schienale della sedia, poi mi siedo accanto a Justin. “Stai bene?”
Annuisce. “Ho troppo da studiare. A quanto pare non fanno eccezioni neanche per quelli che hanno una ragazza che sta per morire.” Dice prima di prendermi per un braccio e buttarmi giù accanto a sè. “Tu stai bene?”
“Sono solo stanca. E ho dormito tutto il giorno, perciò non voglio neanche immaginare come sarà tra una settimana.” Faccio spallucce e sento le sue dita tra i miei capelli.
“Magari non staresti così se facessi la chemioterapia.” Dice infine.
“Ne abbiamo già parlato.” Lo sento sospirare e si sdraia su un fianco, prendendomi il viso con una mano e girandolo verso il suo.

Piccola, per favore. Potresti stare meglio, prova solo a fare due sedute. Va bene? Solo due. Non hai niente da perdere.” Dice piano, come ogni volta che parliamo di questo argomento.
“Hai ragione, ho perso tutto. Almeno i capelli vorrei tenermeli.”
“I tuoi capelli sono più importanti della tua vita?” Inarca un sopracciglio e io mi lecco le labbra.
“Hai sempre detto che ti piacciono.”
“In questo momento mi piacerebbe che tu vivessi più a lungo, Eva. Non me ne frega proprio niente dei tuoi capelli.” Si passa una mano sul viso e la rimette sulla mia guancia. “Non ci pensi mai a come sarà quando non ci sarai più? A come tua madre smetterà di andare a lavoro, e invece di aiutarti a scegliere il vestito da sposa, dovrà scegliere una fottuta bara? E dovrà farlo bene, perché non potrà cambiarla dopo due mesi perché sei ingrassata di cinque chili e ti sta troppo stretta. Tuo padre non ti accompagnerà giù per la navata ma seguirà il carro funebre fino al cimitero e non ti darà a tuo marito ma alla terra. Non pensi che dopo 18 anni si meritano un tuo sforzo, Eva? Potresti fare qualcosa per cambiare la situazione ma non stai facendo assolutamente niente. Scommetto che quando ti ha partorita, tua madre sperava che tu scegliessi una bara per lei e non il contrario.”
Faccio vagare lo sguardo da una parte all'altra della mia stanza, sperando di far finire questo discorso in qualche modo. Alla fine opto per la scelta più ovvia. “Sono molto stanca. Forse dovresti tornare domani, o quando vuoi.”
“Porca puttana, Eva, non ti capisco.” Sbotta mentre si mette a sedere. “Hai l'occasione di stare meglio e non la sfrutti.”
“Meglio come, Justin? Senza capelli e in un letto d'ospedale per l'ultimo mese di vita che mi rimane? Sto bene qui, grazie.”
“Sai cosa? Ti stai comportando come un'idiota in questo momento. Hai 18 anni e non sai un cazzo della vita, e già vuoi finirla. Fallo per me o fallo per i tuoi genitori, o fallo per te stessa, perché ti meriti di vivere più di 18 fottuti anni. Non ti sta uccidendo il cancro, ti stai uccidendo da sola.” Afferra la sua giacca ed esce dalla mia camera, sbattendo la porta alle sue spalle.





Non ci pensare neanche.” Dico quando Justin cerca di togliermi il berretto di lana dalla testa.
“Sei a casa e non ti vede nessuno. A me non importa.” Mi afferra quando mi alzo dal letto e mi ributta giù, stringendomi.
“Mi vedo io e mi faccio schifo.” Faccio spallucce e lui mi guarda, poi mi da una leggera sberla.
“Sei un'idiota, Evangeline Midford.” Ride prima di sdraiarsi di nuovo e tirarmi contro il suo petto. “Potevano stare più attente quelle idiote.” Dice mentre mi passa le dita sul braccio, evitando i lividi violacei che si stanno formando accanto alle vene.
“Hanno fatto il loro meglio.” Mi lecco le labbra e Justin mi toglie il berretto, lanciandolo dall'altra parte della stanza quando cerco di afferrarlo. “Grazie tante, Justin.”
“Di niente, piccola. Sai, mi piaci di più con i capelli corti. Non mi volano più in bocca quando ti bacio.” Dice prima di premere le labbra sui pochi capelli rimasti che ho. “E ti stanno meglio.”
“Come no. Sembro una bambina di 13 anni che si è tagliata i capelli da sola in bagno perché non le hanno dato il permesso di farsi un tatuaggio sulla fronte.” Ride.

Dovresti dormire un po', piccola. É stata una giornata lunga e non hai dormito neanche mezz'ora, ieri.”
“Non sono stanca. Ho voglia di camminare. Facciamo un giro?” Lo sguardo speranzosa.
Mi bacia la punta del naso. “Hai appena finito la chemio e la dottoressa ha detto che devi riposare.”
“Ti prego, solo intorno alla casa? Dieci minuti e torniamo dentro, non ne posso più di sentire mamma e papà litigare ogni minuto.”
Sospira piano mentre mi metto a sedere. “Va bene. Ma niente berretto e niente cappelli. E solo dieci minuti, oppure ti trascino in casa con la forza.” Mi da una pacca sul sedere prima di alzarsi e spingermi gentilmente fuori dalla stanza.
Usciamo di casa e immediatamente mi mette la sua giacca sulle spalle, aiutandomi a infilare le braccia nelle maniche. Ci sono 30 gradi fuori e un sole che spacca le pietre.
“Poveri i tuoi figli, Justin.” Scuoto la testa e lo sento ridacchiare. Mi prende per mano e mi stringe a sè, cercando di non superarmi. Ha le gambe trenta volte più lunghe e io sono trenta volte più debole dopo l'ennesima seduta in ospedale.

Sei sicura di stare bene?” Mi chiede ancora e io annuisco per la terza volta da quando siamo usciti dalla mia stanza.
“Sto bene. Sono solo un po' rintontita e mi girano gli occhi da tutte le parti. É questo ciò che capita quando provi quei funghi allucinogeni?”
Ride. “Non lo so, mai provati.”
“Strano. Con tutta la merda che ti sei fumato l'anno scorso, è sorprendente che non sei arrivato a questo.”
“Beh, mi dispiace, piccola. Sai com'è, la mia ragazza era stata diagnosticata con un cancro terminale e non voleva neanche la chemioterapia. O la uccidevo o fumavo.” Fa spallucce e io caccio una risatina.
“Non sporcarti le mani che tra poco muoio da sola.”
Mi da una sberla sul fianco e preme le sue labbra sulle mie. “Hai le labbra screpolate. Hai messo il balsamo?”
“Sì.”
“Davvero?”
“No.”
Un'altra sberla.





Cosa vuol dire che la chemio non funziona? L'avete detto voi di farla, cosa cazzo è questa storia?” Chiede Justin mentre sono sdraiata nel letto dell'ospedale con vari tubi attaccati al mio corpo.
“Mi dispiace ma è arrivata troppo tardi. Non possiamo fare altro che darle medicine per attutire il dolore e sperare per il meglio.” Sospira l'infermiera.

Sperare per il meglio? La mia ragazza sta morendo davanti a voi e avete il dovere di fare qualcosa per salvarla, non per farle provare meno dolore. Cosa cazzo state facendo per salvarla? Cinque di voi bevono il caffè al bar e le altre venti scopano sul letto di un paziente appena morto?” Sbraia di nuovo lui e io gli stringo la mano per farlo tacere.
“Justin, smettila.” Sospira mio padre, alzandosi dal divano. “Posso parlarle un momento?”
L'infermiera annuisce e lancia un'occhiata di scuse a Justin, poi segue mio padre fuori dalla stanza e chiude la porta dietro di sè.
“Calmati.” Gli dico piano e lui si lecca le labbra, poi mi bacia la mano e chiude gli occhi, sospirando. “Esci, prendi un po' d'aria fresca e mangia qualcosa. Non hai mangiato niente da quando sono qui.”
“Non ho fame. Porca puttana.” Si alza dalla sedia e si passa una mano tra i capelli, andando alla finestra e appoggiando il fianco contro il muro. “Te l'avevo detto, Eva! Te l'avevo detto! Fai la chemioterapia, cazzo, falla! No, porca di quella puttana! Non fai mai niente di quello che ti viene detto e poi finisci in questi cazzo di casini! Cosa cazzo vuoi fare ora, me lo dici?” Urla, girandosi verso di me.
Mia mamma si alza e lo prende per le spalle, tirandolo verso un angolo e iniziando a parlargli sottovoce per calmarlo almeno un po'. So che ha ragione. Avrei dovuto farlo prima. Ma non sarebbe cambiato niente. Avrei comunque il cancro, e starei comunque per morire.
Quando ritorna si siede di nuovo accanto al mio letto e mi afferra la mano, chiudendo gli occhi e appoggiandosela alla fronte. “Scusa.”
“Non ti preoccupare.” Mi lecco le labbra ancora screpolate e guardo il soffitto. “Mi dispiace.”
Justin non dice niente e continua a tenere gli occhi chiusi, respirando piano contro la mia mano e stringendola, aumentando ogni tanto la presa.
“Vado a prendermi un caffè, volete qualcosa?”
“No, grazie.”
Mia mamma esce dalla stanza e chiude la porta, lasciandoci soli e in silenzio. Non avrei mai pensato che il silenzio potesse essere così rumoroso, specialmente quando l'unica cosa che sento sono i suoi respiri.

Justin?”
“Mhm?”
“Devi andare a casa, dormire e mangiare qualcosa. Poi torni, ti prego. Vai a casa.” Tolgo la mia mano dalla sua e gli passo le dita tra i capelli, spingendoli indietro.
“Non ho fame, non ho sonno e voglio restare qui.” Sospira prima di aprire gli occhi e lasciar cadere le mani sul letto. “Come ti senti?” Chiede infine.
Faccio spallucce. “Sono drogata e piena di antidolorifici. Me la caverò.”
Accenna un sorriso e si guarda intorno. “Vorrei che avessimo più tempo. Porca puttana, dovremmo avere più tempo. Nessuno muore di cancro a 18 anni. Ci sono drogati per il mondo di cui non frega un cazzo a nessuno e che si rovinano la vita ma non muoiono.”
“Desiderando la morte per gli altri non mi togli la mia, Justin.” Dico piano e lo sento sospirare di nuovo.

Non hai nessun diritto di lasciarmi, Eva. Nessuno. Hai detto che saresti rimasta per sempre, cazzo. Hai detto che mi avresti sposato.” Si alza di nuovo e io mi lecco le labbra un'altra volta per mantenerle umide, e anche perché non so cosa altro fare. “Preferirei saperti con un altro ma viva.” Dice infine.





Ho vinto. Di nuovo.” Rido mentre Justin mi prende le carte di mano e inizia a mischiarle di nuovo.
“Sei una stronza. Bari ogni volta.” Borbotta mentre appoggia la schiena allo schienale della sedia.
“Ma se non so neanche cosa sto facendo.” Ride e da le carte di nuovo. “Allora, se ho tre carte devo metterle giù, vero?”
“No, se hai tre carte devi tenerle.” Fa spallucce e pesca dal mazzo.
“Hai appena detto che devo metterle giù.”
“Senti, mi lasci vincere almeno una partita? Dio santo, a mala pena muovi le mani e mi batti ogni volta. Stai ferma.” Alza gli occhi al cielo e io ridacchio piano mentre metto giù tre 6. “Ogni tanto ti detesto, sai?”
“Lo so. Non è colpa mia se sono brava, sai?”
“Fai schifo, ti lascio solo vincere.” Dice, mettendo giù tre carte e facendomi segno di continuare.
“Beh, non farmi vincere, allora. Magari questa volta riesci anche a fare un punto.”
“Non posso. Va contro i miei principi morali far perdere una ragazzina di 18 anni che non si alza mai dal letto.” Mi lancia un'occhiata e io gli mostro la lingua, facendolo ridere. “Sono stanco.” Mi prende le carte di mano e le posa sul comodino prima di spingere via il tavolo con le ruote.

Cosa vuoi fare, allora?”
“Beh, dormire sarebbe perfetto, ma sono le cinque di pomeriggio.” Fa spallucce e si sdraia accanto a me. “Riesco a vedere il riflesso delle lampade al neon sul tuo scalpo.”
Gli do un pugno sul petto e si tira velocemente indietro mentre ride. “Sei un bastardo.”
“Scusa, piccola. Se ti fa stare meglio, non hai bisogno delle lampade, fai luce già da sola.” Gli do un altro pugno e lui mi bacia la testa. “Ti amo.”
“Ti amo anche io.”





Smettila. Eva, smettila. Non sistemi niente piangendo, smettila. Dio santo, la vuoi finire? Non è successo niente, smettila.” Mi continua a ripetere mentre mi guardo le dita prive di unghie, visto che mi sono cadute tutte a causa della chemio. Non capisco perché devo continuare a farla se non mi aiuta. “Evangeline, smettila immediatamente. Sono solo unghie, cazzo.”
“Faccio schifo! Sono senza capelli, ho le labbra screpolate, la pelle gialla e ora non ho neanche le unghie! Faccio schifo!” Affondo il viso nel cuscino e lo sento sospirare prima di stendersi accanto a me e prendermi tra le braccia.
“Piccola, non frega a nessuno delle tue unghie o dei tuoi capelli o della tua pelle o delle tue labbra, va bene? E quelli che fissano possono andarsene a fanculo o girarsi. Non sono obbligati a guardare, anche se sei bellissima.” Mi sussurra contro la spalla, lasciando vari baci.
Tiro su con il naso e continuo a piangere nel cuscino. “Smettila di dire cazzate, sembro un alieno. Oppure uno di quei cuccioli di cane appena nati che non hanno neanche il pelo. Ecco, sono un cucciolo di cane senza pelo.”
“Forse, ma tutti amano i cuccioli di cane e a nessuno frega se hanno il pelo o no, giusto? Ora smettila, stai solo sprecando forze e ne hai bisogno adesso.” Ripete.
“Ogni volta che vado in bagno vedo il mio riflesso in quel dannato specchio e voglio romperlo.” Borbotto piano.
“Facciamolo. Forza.”
“Cosa? Justin, dove vai?” Mi metto a sedere appena lo sento alzarsi e lo sguardo sparire in bagno per ritornare qualche secondo dopo con lo specchio in una mano e il portasapone di ceramica nell'altra. “Cosa stai facendo? Non posso rompere lo specchio, è dell'ospedale.”
“Non me ne frega proprio niente. Dai.” Mi porge il portasapone e mette lo specchio sulla sedia, appoggiandolo allo schienale. “Forza, rompilo.”
“Justin-”
“Senti, volevi rompere lo specchio? Allora rompilo. Oppure guarda il tuo riflesso e inizia ad accettarti per quello che sei ora e non per quello che eri cinque mesi fa. Non puoi cambiarlo, Eva. Anche se rompi lo specchio, non potrai cambiare il riflesso e non potrai cambiare il tuo viso. Hai capito? Perciò forza, o lo rompi o lo guardi. Hai due scelte.” Si ferma accanto allo specchio e incrocia le braccia, aspettando pazientemente una mia mossa. “Rompere lo specchio non ti darà indietro i tuoi capelli, o le tue unghie, e non ti porterà via il cancro. Sappilo.”
Mi lecco le labbra e poso il portasapone sul comodino, sospirando e iniziando a piangere di nuovo. E di nuovo Justin mi prende tra le braccia e continua a baciarmi la tempia.





Voi non scegliete proprio un cazzo, Liz. Non è ancora morta e già volete prenderle una bara? Non funziona così, datele almeno il fottuto tempo di andarsene.” Sbotta Justin contro mia madre mentre mi accarezza il braccio.
“Justin, dobbiamo prenotarla o non arriverà in tempo. Stiamo male quanto te al solo pensiero ma cosa altro possiamo fare?” Sospira mio padre, passando le dita tra i capelli.
“Aspettate. Porca puttana, la state mandando via prima ancora che possa essere lei a andarsene. Smettetela. C'è tempo per prenotare una fottuta bara, passate più tempo con vostra figlia invece che con il tipo delle lapidi.” Borbotta, poi mi guarda. “Hai sete?” Scuoto la testa e mi bacia la fronte. “Copriti, fuori nevica. L'ultima cosa di cui hai bisogno adesso è un raffreddore.” Dice prima di scendere dal letto e tirare la coperta fino al mio mento, stritolandomi e facendomi ridere. Accenna un sorriso e guarda di nuovo i miei genitori. “Non voglio più sentir parlare di questa merda intorno a lei. Siete i suoi genitori o dei fottuti avvoltoi che vogliono solo avere il posto migliore al cimitero? Smettetela.”
Mia madre sospira e si siede sul divano accanto a mio papà, affondando il viso nelle mani e inziando a piangere. “Vogliamo solo che riposi in pace.”
“Allora fatela riposare e parlate di queste cazzate fuori da questa stanza. Ne ho abbastanza di sentirvi ripetere che dovete prenotare questo o quello. L'unica cosa che dovete fare e starle accanto e assicurarvi che abbia tutto ciò che le serve per adesso, non per dopo.”
Abbasso lo sguardo e fisso le unghie che stanno ricrescendo da capo. Sono passate due settimane da quando sono cadute tutte e grazie a Dio stanno ricomparendo. Era troppo strano vedere la carne al posto delle unghie.
“Devi mangiare qualcosa, piccola.” Mi dice infine, cambiando tono di voce e sedendosi accanto a me.
“McDonald's?” Sorrido speranzosa e lui ridacchia.
“No, qualcosa di leggero. Verdure, una minestra.” Arriccio il naso e me lo bacia. “Lo so, credimi. Fa schifo, ma è l'unica cosa che puoi mangiare per ora.”
Sospiro. “Verdure. Però non voglio le zucchine bollite, va bene? Dillo alle infermiere perchè ogni volta mi portano un piatto pieno di zucchine e niente peperoni e mi fa ancora più schifo.”
“Va bene. Non scoprirti e rimani sdraiata.” Annuisco e Justin si alza, uscendo dalla camera e chiudendo la porta. Si è preoccupato più lui per me che i miei genitori in questi mesi. É terrificante sapere come reagirà una volta che non mi sveglierò Non voglio neanche pensarci.





Non possiamo fare niente, mi dispiace.” Ripete l'infermiera mentre mi infila un altro ago nel braccio.
“Sta vomitando sangue, cosa cazzo significa che non potete fare niente?” Chiede mio padre, alzandosi dal divano e prendendo un'altra bacinella dal comodino, tenendomela sotto il mento. “Almeno le dovete dare una pastiglia o qualcosa del genere, cosa diavolo state facendo qui?”
“Il nostro meglio, signore, ma non possiamo fare niente. Dobbiamo solo aspettare che passi e fare nuove analisi, le prenoto subito una stanza così potrà incontrare il dottore non appena si sentirà meglio.” Cerca di mostrare un sorriso rassicurante. “Mi chiami se c'è altro, va bene?” Dice prima di uscire dalla stanza.
Justin non sopporta il sangue, ed è l'unico momento in tutti questi mesi che non mi è accanto ma seduto dall'altra parte della stanza a cercare di non guardare.
“Tesoro, come ti senti?” Mi chiede mia mamma. Come mi sento? Sto vomitando sangue e anima.
Alzo sarcasticamente un pollice in su. “Benissimo, mamma. Non sono mai stata meglio!” Dico prima di vomitare un'altra volta.
“Che domande fai, Liz?” La riprende papà prima di accarezzarmi la schiena e sospirare. “Mi dispiace, tesoro.”
Dopo circa cinque minuti ho esaurito le forze anche per vomitare, perciò mi sdraio di nuovo e chiudo gli occhi, respirando a fatica.
Justin si alza di nuovo e si siede accanto a me. “Stai meglio?” Annuisco leggermente. “Dormi. Domani ti sentirai meglio. Magari anche io.”
Rido prima di tossire di nuovo e mi bacia la testa, poi mi aiuta a sdraiarmi sotto le lenzuola e le tira su di nuovo. “Rimani qui?”
“Dove vuoi che vada?” Fa spallucce e si siede sulla sedia, prendendomi la mano e baciandomi le nocche. “Dormi.”





No, rimani sveglia. Piccola, apri gli occhi. Forza, rimani sveglia. Non dormire.” Sussurra Justin mentre mi accarezza la pancia e la spalla. “Non dormire.”
“Sono stanca.” Mugugno piano mentre cerco di tenere gli occhi aperti.
“Lo so, ma non addormentarti. Va bene? Passerà un in secondo, tieni gli occhi aperti. Ti ricordi quando siamo andati allo zoo e hai visto i fenicotteri?” Annuisco leggermente. “Domani ti porto fuori da qui e ti porto a vederli di nuovo. Scommetto che ce ne sono di più.”
Tossisco di nuovo. “Justin, non mi lasceranno mai uscire dall'ospedale.”
“Non importa, vedremo di trovare una scusa. Insomma, i fenicotteri sono un'ottima scusa.” Ridacchio piano. “Non chiudere gli occhi.” Ripete e li riapro velocemente. “Brava. Rimani sveglia e continua a guardarmi.”
“Justin-”
“Continua a guardarmi e smettila di parlare.”
Sospiro piano e appoggio la testa sulla sua spalla. Lo so che lo sa. E so anche che sta facendo di tutto per non farlo accadere.
“Justin-”
“Shh.” Mi interrompe di nuovo. “Devi svegliarti presto, però. Di sera hai un'altra seduta di chemio e devi essere pronta anche per quello, perciò dovremo tornare qui presto.”
“Justin-”
“Probabilmente prenderemo un taxi, però. Non voglio guidare.” Dice infine. “Preferisci il taxi?”
“Justin-”
“Taxi o la mia macchina?”
Mi lecco le labbra e affondo il viso nel suo collo, ricacciando indietro le lacrime. “Taxi.”
“Anche io. Magari questa volta riuscirai a mangiare qualcosa che non assomigli a vermi verdi.”
Caccio una risatina e rimaniamo in silenzio per un po', ascoltando il rumore della macchina accanto a me e dei nostri respiri nel silenzio della stanza. I miei genitori stanno mangiando e ci hanno lasciati da soli un'altra volta. L'hanno fatto spesso da quando sono qui.
“Eva?”
“Mhm?”
“Chiamerò mia figlia come te.” Accenno un sorriso e sospiro contro la sua pelle. “Promettimi che sarà esattamente come te. Bionda, bellissima, intelligente. Promettimelo.”
Vorrei poterlo farlo. “Lo prometto.”
Mi bacia la fronte e sento le sue lacrime sulla pelle. “Dormi, ora. Domani uscirai di qui.” Annuisco leggermente e mi stringe a sè. “Ti amo.”
“Ti amo anche io.”





The remedy.





Il funerale si tenne una settimana dopo la sua morte. I suoi genitori piansero, i suoi amici piansero, i suoi vari parenti piansero. Giurerei che anche il prete pianse. Mentre io rimasi in piedi tutto il tempo, appoggiato al salice piangente dove l'avevo baciata due settimane dopo averla incontrata, quando tutto andava a meraviglia, quando pensavo che sarebbe rimasta per sempre, quando i suoi capelli mi finivano in bocca ogni volta che c'era vento, quando le sue unghie si conficcavano nella mia schiena quando eravamo a letto insieme e quando la prendevo in giro per la pelle troppo chiara, così strana in un posto come Los Angeles.
Odiava il mare, preferiva la montagna, e si scottava ogni volta che cercava di rimanere sotto il sole per più di mezz'ora, poi si lamentava che il sole le avrebbe fanno venire il cancro.
Curiosa la vita: le cose per cui metà del mondo vive, come una perfetta abbronzatura, finiscono per uccidere la metà che non le voleva.
La gente si droga ogni giorno, cercando un modo per andarsene, e quelli che vogliono restare usano le stesse droghe per continuare a vivere.
La gente si lancia giù dai balconi, tentando disperatamente di farla finita, e quelli che vogliono solo acchiapparli dopo la caduta finiscono schiacciati contro il marciapiede sotto il loro peso.
Vari treni finiscono contro un palazzo per colpa dell'idiota che aveva bevuto prima di andare a lavoro, e i dottori a bordo che volevano salvare una vita finiscono per lottare per la propria.
É tutto un caso. Non scegliamo come vivere, non scegliamo come morire, non scegliamo dove morire, nè perchè.
Alla fine, pensandoci bene, nessuno vuole davvero morire. Anche quando sa che la sua fine è vicina, chiunque cercherà di credere il contrario, continuando a darsi tempo per cambiare la propria situazione quando ormai non ce n'è.
Perciò io direi di inziare adesso.





Fine.
Non so se a qualcuno piacerà e francamente non me ne frega niente.
Era solo un modo per togliermi di dosso questa costante sensazione di peso
che mi porto con me da quando ho scoperto che mio nonno potrebbe anche non farcela.
Siamo così abituati all'idea di morire che passiamo 80 anni preparandoci per quel momento,
e dimentichiamo che prima della morte c'è la vita.
Se chiunque di voi sta pensando che non vale la pena di vivere, che non farete mai niente di buono, che siete uno spreco di spazio, ripensateci,
e contate quante persone piangeranno se ve ne andate.
E se la risposta è 0, probabilmente fate schifo a Matematica.
Iniziate a vivere prima di iniziare a morire.



   
 
Leggi le 11 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber / Vai alla pagina dell'autore: TrustInBieber