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Autore: 1rebeccam    28/07/2014    12 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 43
 

 
I telefoni continuavano a squillare, il vociare dei colleghi colpiva le sue orecchie, ma l’udito non era attivo.
Non si era mossa dalla sua posizione per vari minuti. Immobile, con le mani chiuse insieme tra le ginocchia, l’unico movimento percettibile erano gli occhi che saltellavano da una scritta all’altra e le labbra che ripetevano quelle scritte in un borbottio monotono ed incomprensibile. Leggeva e rileggeva con calma, ma alla fine il suo sguardo si fermava sempre sulle stesse frasi.
Io ti vedrò morire…
Spostava lo sguardo oltre, stringeva gli occhi e tornava indietro.
Quando esalerai il tuo ultimo respiro io ti sarò vicino, talmente vicino che sentirai il mio addosso a te…
Stringeva le labbra, corrucciava la fronte. Trascinava nella mente le frasi in cui Dunn incolpava Nikki della morte di quelle giovani donne, rileggeva la parte in cui la additava come una traditrice e poi si soffermava su quella frase che ripeteva spesso. Sempre. In ogni capitolo.
Io ti vedrò morire…
Chiuse gli occhi per concentrarsi sulla sua voce, le aveva detto che erano simili, che il dolore l’avrebbe portata ad odiare, che il buio l’avrebbe travolta.
Sarò accanto a lui per raccogliere il suo ultimo respiro e poi tu sarai mia…
Scosse la testa, ignara che il capitano Gates la osservasse attentamente dal suo ufficio.
Negli ultimi minuti aveva messo al corrente degli sviluppi il Capo della Polizia ed il Sindaco, ed era anche stata costretta a dover intavolare una discussione alquanto fastidiosa con il direttore della CNN. L’esimio signor Bell aveva usato le sue amicizie altolocate per poter accedere al telefono personale del capitano. Aveva sbraitato contro di lei, per dei minuti interminabili, sul fatto che il dipartimento gli doveva l’esclusiva del caso, mentre il video più importante e cliccato sul WEB girava su tutte le emittenti giornalistiche nazionali da ore. Il capitano lo aveva tacciato all’improvviso. Con una calma surreale si era scusata se era stata impegnata a dare la caccia ad un pericoloso assassino e a cercare di salvare la vita ad un uomo e quindi, non aveva avuto il tempo di preoccuparsi della sua esclusiva. In tutto questo caos non aveva tolto gli occhi di dosso dalla sua subordinata. Cercava di carpire i suoi pensieri, di leggere quel borbottio labiale che cominciava ad innervosirla, come la voce di Trenton Bell all’altro capo del telefono. Mise fine alla seconda cosa che la innervosiva sbattendo la cornetta sul telefono, chiudendo così la telefonata con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.
Sollevò le sopracciglia quando Beckett scese d’improvviso dalla scrivania per avvicinarsi alla lavagna. Continuò a fissarla curiosa. Sapeva che il suo cervello era in pieno movimento. Avrebbe voluto sapere però cosa stesse elaborando, mentre con le dita sfiorava le foto dei corpi delle tre vittime attaccate accanto agli ingrandimenti dei manoscritti.
Al contrario di prima, gli occhi si muovevano lenti sui particolari dei corpi, sulle scritte sul loro addome.
Io ti vedrò morire…
Ancora quella frase, ancora quel ritornello…
Senza voltarsi era tornata alla scrivania camminando all’indietro, poggiando le mani sul piano si diede una spinta per tornare a sedersi nella stessa posizione di prima.
Il telefono sulla sua scrivania squillò per l’ennesima volta. Sospirò sperando che non dovesse ancora mandare a quel paese con tutti i crismi della sua rabbia il direttore della CNN se non il Capo in persona. Non avrebbe più perso tempo in discussioni inutili, aveva ben altre cose importanti da fare.
Lasciò che il telefono squillasse.  Incrociò le mani sulla scrivania e sospirò, quando Beckett si portò la mano sulle labbra e, sempre immersa nei suoi ragionamenti, girò la testa alla sua destra per posare lo sguardo sulla sedia, ormai proprietà di Richard Castle.
Osservava quel posto vuoto con la fronte corrucciata e le dita premute sulle labbra.
Il capitano Victoria Gates si sentì improvvisamente di troppo, come se stesse spiando una discussione silenziosa tra innamorati.
Scosse la testa e decise di rimettersi a lavoro. Chiuse la porta e anche le veneziane, per non avere nessuna tentazione di continuare a spiare e tornò alla sua scrivania.
 
Guardare quella sedia vuota è come guardare l’interno del suo corpo. Vuoto anche quello al momento. Non si era mai resa conto di come le abitudini giornaliere fossero diventate aria nella sua vita. Una sicurezza che ancorava le sue certezze. Una sicurezza che adesso è incorniciata solo da un posto vuoto.
In maniera meccanica, prende il telefono che vibra nella sua tasca, continuando a rileggere nella mente le stesse frasi di Scott Dunn, con gli occhi sulla sedia vuota e solo quando nota il nome di Martha sul display si riscuote preoccupata.
-Martha! Che succede?-
-Ehi!-
Il saluto familiare all’altro capo del telefono la fa sospirare e sorridere contemporaneamente.
-Castle!-
-Si, sono io. Non è carino alla mia età dover chiedere il telefono alla mamma, perché uno psicopatico ha clonato il mio!-
Il modo in cui lo dice le fa capire che ha il muso imbronciato e scuote la testa.
-Direi che questo non è il problema più grave riferito allo psicopatico, non credi?-
-Direi che hai ragione. Perché non mi hai detto che ha rapito un’altra ragazza?-
Kate resta spiazzata un attimo. Non se lo aspettava. Sospira e stringe le labbra.
-Non so di chi sia stata l’idea, ma fare sparire il telecomando della televisione che ho in camera è stato davvero stupido. Quando Jim ha convinto mia madre ad andare a mangiare qualcosa, mi sono fatto lasciare il telefono con il pretesto di chiamarti. Ho sentito le ultime notizie in streaming. Hanno detto che c’è stata un’altra quasi vittima… per questo eri qui qualche ora fa?-
-Castle…-
Cerca di dire, ma lui la interrompe immediatamente, facendole capire che non avrebbe accettato una bugia qualunque.
-Chi è? Come sta adesso?-
-Jessica Benton!-
Gli risponde, sentendolo imprecare tra i denti.
-Maledizione…-
-Castle, sta bene.-
-Poteva uccidere anche lei… ma che diavolo vuole ancora?-
Sospira pesantemente e ricomincia a tossire. Kate ascolta in silenzio, aspettando che si calmi.
-Devo… sapere altro?-
Lei resta ancora in silenzio, con gli occhi bassi e lui sospira.
-Kate… tenermi all’oscuro di quello che succede non cambierà la situazione. Cerco di stare tranquillo, ma tu non mi aiuti. Non posso partecipare alle indagini e questo è peggio…-
La sua voce è affaticata. Si capisce anche attraverso il telefono che fa fatica a prendere aria e che questa telefonata è davvero dura per lui, in ogni senso.
-Castle…-
La sua voce lo zittisce e lei lo sente deglutire.
-Mi dispiace non averti detto di Jessica, so quanto ti sei affezionato a lei e…-
-…e non volevi mettermi ansia. Lo capisco Kate, ma così non mi aiuti comunque. Allora, c’è altro che devo sapere?-
-Abraham Pratt è scampato all’esplosione. Ha chiamato il nostro centralino dicendo di avere notizie del veleno, ma la telefonata si è interrotta subito dopo.-
Rick solleva la testa di colpo.
-E me lo dici così?-
-Siamo arrivati tardi. Dunn lo ha trovato prima di noi.-
-Quindi abbiamo un altro cadavere?-
Chiede Rick abbassando il tono della voce.
-No, ma siamo certi che lo ha portato con sé. Abbiamo trovato delle tracce di sangue e della carta bruciata. Probabilmente un foglio su cui era trascritta la formula, o qualcosa comunque di compromettente, sennò non lo avrebbe distrutto.-
-Perché lo ha portato con sé allora? Pensa che la formula esista ancora e che Abraham sappia dove sia?-
Chiede Rick agitandosi.
-E’ probabile. Tutte le pattuglie hanno una sua descrizione e lo stanno cercando.-
Il tono di Kate riporta il silenzio. I loro pensieri sono uguali. Niente di niente.
Dopo qualche secondo, lei solleva lo sguardo ancora sulle lavagne.
-Stavo pensando a quello che hai detto prima, sul fatto di leggere il libro a modo mio.-
Lui resta in silenzio ad ascoltarla, mentre il suo respiro pesante le arriva all’orecchio.
-Ripete sempre la stessa frase, in ogni capitolo, come un ritornello beffardo.-
-Io ti vedrò morire!-
Sussurra lui, prima che Kate possa formulare il resto dei suoi pensieri, dandole prova che il suo cervello non ha smesso un attimo di lavorare e teorizzare.
-Non lo dice tanto per farsi bello Kate. Lui vuole essere davvero qui. Non gli importa di essere arrestato o addirittura ucciso. Sta giocando e il suo gioco prevede che raccolga il mio ultimo respiro, mentre guarda te soffrire per questo. Quando dice che dopo si prenderà te, non vuol dire che ti ucciderà. Si prenderà te perché tu sarai sconfitta…-
Teorizza con calma, scandendo le parole accompagnate dal suo respiro pesante.
-Aspetterà la fine. E’ così presuntuoso che arriverà Kate, in barba ai poliziotti e alla sicurezza. Lui arriverà qui… quando sarà troppo tardi…-
Lei annuisce e stringe le labbra.
-Quindi l’unica cosa da fare è distoglierlo dal suo racconto…-
Sussurra come se lo stesse solo pensando e Rick annuisce.
-…puoi riuscirci Kate, ne sono sicuro.-
Il tono in cui lo dice le fa capire che sta sorridendo. Si porta la mano al petto e sfiora, attraverso la camicetta, i suoi tesori, corrucciando la fronte per l’uscita improvvisa di Rick, che non ha nulla a che vedere con il discorso che stanno portando avanti.
-Mio padre si chiama Alexander!-
Lei non riesce a dire nulla, cercando di incanalare l’informazione ricevuta e Rick, senza badare al suo silenzio, continua quei pensieri che doveva esternare a qualcuno per forza.
-Almeno, questo è il nome con cui si è presentato quando lui e mia madre hanno… si insomma… quando…-
Sospira ancora e lei si ritrova a ridere, reagendo finalmente a quella nuova e, al momento, insensata scoperta.
-Non prendermi in giro, sarò un uomo di mondo e Martha Rodgers sarà una donna estrosa, ma è sempre mia madre e pensarla…-
-Pensarla tra le braccia di tuo padre, mentre fanno sesso, ti fa effetto?-
-Brava Beckett! Rigira il coltello nella piaga. Certo che mi fa effetto, visto che comunque lui è uno sconosciuto!-
Lei scuote la testa sorridendo.
-Sarà uno sconosciuto per te.-
-Lo è anche per lei. Le ho chiesto di parlarmi di lui e… non sa davvero chi sia in realtà. Dopo quella notte è come sparito.-
-Quindi non ti ha mai nascosto la verità. E’ sempre stata sincera con te Castle, si è solo ritrovata coinvolta in una notte brava!-
Lui scuote la testa anche se lei non può vederlo, un leggero sorriso gli incornicia le labbra.
-Aveva gli occhi lucidi mentre parlava di lui. Poche volte l’ho vista emozionata così Kate. Non credo sia stata solo una notte brava, quell’uomo ha lasciato un segno indelebile nella sua vita… e non parlo di me!-
Gli scappa un lamento che la fa sussultare.
-Castle!-
-Tranquilla, è solo la mano. Tenere il telefono è davvero un atto di eroismo per me al momento.-
Dovrebbe essere una battuta, ma lei sente un nodo in gola, lo stesso che sente lui, che sospira.
-Dunn è intelligente, su questo non c’è dubbio. E’ bravo… ma tu sei più brava di lui, per questo ti ha scelta!-
Quando non sente risposta, abbassa la voce.
-E questo è stato l’errore più stupido della sua vita…-
 
Presuntuoso, saccente, esibizionista.
Guarda la lavagna portandosi il pennarello alle labbra e abbozza un impercettibile sorriso, rileggendo gli aggettivi che ha appena scritto per completare la descrizione di Scott Dunn.
Castle ha chiuso la chiamata dicendole che ha fatto un grosso errore scegliendo lei come avversaria di giochi.
Il modo in cui cerca di farle capire che continua a credere in lei, le infonde sicurezza.
Ha ragione lui, sono proprio i suoi ‘pregi’ che lo porteranno a perdere.
Posa il pennarello e si dirige verso la sala relax. Urge di un caffè, forte e nero. Urge soprattutto del suo profumo.
Entra immersa nei suoi pensieri, prepara la macchinetta del caffè e solleva la testa di scatto, voltandosi verso la voce di Ryan.
-Ti amo…-
Gli sente dire dolcemente, prima di chiudere la chiamata e sorriderle.
-Scusami Ryan, non mi ero accorta fossi qui, non volevo disturbarti.-
Il collega scuote la testa e lei gli mette davanti una tazza di caffè fumante.
-Come sta Jenny?-
-Bene. E’ preoccupata, come tutti noi.-
I suoi occhi restano incollati al liquido nero dentro la tazza e Kate gli mette una mano sulla sua.
-Perchè non passi da casa, anche solo un paio di minuti?-
Ryan scuote la testa.
-No. Torno a rileggere i rapporti delle segnalazioni, deve essercene una che ci dia un indizio.-
Kate gli stringe la mano ancora di più e sorride.
-Kevin siamo stremati, Jenny avrebbe bisogno di vederti e anche tu ne hai bisogno. Detto da me può sembrare paradossale, ma a volte un abbraccio ricarica meglio del caffè.-
Ryan corruccia la fronte e solleva lo sguardo su di lei.
-Te lo ha detto!-
Lei storce le labbra, mostrando un’espressione fintamente confusa.
-Detto cosa… a chi?-
-Sarai una grande attrice con i sospettati, ma in questo momento sei pessima Beckett. Non è riuscito a tenerselo per sé nemmeno per dieci minuti!-
Sbuffa fingendosi scocciato, ma non riuscendo a reprimere un sorriso.
-Era spaventato e dolorante Ryan. Tu gli hai dato una bella notizia e doveva assolutamente dirla a qualcuno. Avresti dovuto sentirlo, era eccitato come se fosse opera sua…-
Ryan spalanca gli occhi e scoppiano ridere.
-Sarai un papà fantastico!-
Gli dice senza lasciargli la mano e Ryan  solleva le spalle con gli occhi lucidi.
-Giuro che sarò brava a mostrarmi sorpresa quando lo dirai agli altri.-
-Sorpresa per cosa?-
Si girano di scatto verso la voce di Esposito che li ha interrotti e, scambiandosi uno sguardo complice, scuotono entrambi la testa.
-Niente…-
Dicono insieme mentre il collega li guarda in cagnesco.
-Ci sono novità?-
Chiede Kate, andando verso di lui, cambiando discorso.
-C’è un tizio che vuole assolutamente parlare con te. Ha detto ai colleghi alla reception che non si sarebbe mosso finchè non ti avesse parlato. Lo hanno controllato, niente precedenti e i documenti sono a posto. Non ha nemmeno una faccia finta.-
All’ultima esclamazione, Kate solleva un sopracciglio e lui sorride.
-I colleghi sono diventati paranoici, gli hanno chiesto il permesso di controllare anche il viso e l’uomo, seppur sorpreso, ha acconsentito. Niente maschere in silicone o capelli finti. Hanno detto che aspetta da ore, per questo si sono decisi ad avvertirmi.-
Le porge i documenti che ha in mano.
-Ah… dice di essere un amico di Castle!-
Kate controlla la carta d’identità e corruccia la fronte guardando Esposito.
-Puoi farlo accompagnare nella sala conferenze? Io arrivo subito.-
Esposito annuisce, mentre Ryan le si avvicina notando la sua espressione confusa.
-Vuoi che resti con te?-
-No Ryan, devo vedere questa persona da sola, ma è tutto a posto, tranquillo. Non ha nulla a che vedere con Dunn.-
-Sicura?-
-Sicura!-
-Bene, allora vado a controllare le segnalazioni.-
Ryan esce dalla sala relax seguendo con lo sguardo Velasquez che accompagna un uomo di mezza età, ben vestito e con un’aria tranquilla. Si volta verso Kate, che ha seguito la stessa scena e quando gli fa segno che può andare, si dirige alla sua scrivania, mentre lei va verso la sala conferenze.
Apre la porta ed entra con calma. L’uomo le dà le spalle, sta guardando fuori dalla finestra e sembra assorto in quello che vede, tanto da non sentirla entrare.
-Signor Colbert.-
L’uomo si volta di scatto e le sorride.
-Mi scusi, stavo osservando i giornalisti qui sotto…-
Kate gli restituisce i documenti e lui la ringrazia con un cenno del capo.
-Mi hanno detto che è qui da ore. Mi spiace abbia aspettato tanto e che sia stato sottoposto a strani controlli. Abbiamo una situazione complicata al momento.-
-Non si preoccupi, sapevo a cosa andavo incontro venendo qui…-
China la testa rabbuiandosi in volto.
-Seguo i notiziari da ore, ma non potevo esimermi dal farlo.-
Kate gli fa cenno di sedersi e lei fa lo stesso, mettendosi di fronte a lui, che la guarda con attenzione.
-Perchè è qui signor Colbert?-
-Mi chiami pure Nicholas, Kate… io posso chiamarla Kate?-
Lei annuisce e lui poggia un sacchettino sul tavolo.
-Per questo!-
Kate guarda il sacchetto e deglutisce, riportando poi lo sguardo su Colbert che sta ancora parlando.
-Richard mi ha fatto promettere che, anche se fosse venuto giù il mondo, quell’orologio doveva tornare al suo polso entro un paio di giorni.-
Solleva ancora le spalle, incrociando le mani sul tavolo davanti a lei.
-Era pronto ieri sera, lo avrei chiamato stamattina per dirglielo, ma come ho detto, stanotte ho seguito i TG.-
Si ferma un momento sospirando.
-E’ tutto vero quello che dicono? Richard è davvero in pericolo di vita?-
Kate stringe le labbra e annuisce, senza dire altro.
-Non ho mai mancato ad una promessa, per questo sono qui.-
Restano a guardarsi in silenzio un paio di secondi, poi Kate sposta lo sguardo sul sacchetto.
-E’ un orologio splendido!-
Esclama Colbert, prendendo l’oggetto tra le mani.
-Oggi non fanno più orologi così… col cuore…-
Kate corruccia la fronte e lui sorride.
-Non mi fraintenda, gli orologi di quel calibro sono tutti importanti e fatti col cuore, solo che oggi molti sono tarati   attraverso apparecchiature sofisticate che li rendono perfetti, ma solo quelli nati dalla mano ferma del costruttore e dal suo orecchio sensibile hanno un cuore… e il suo è uno di quelli.-
Parla con la voce calda, sembra descrivere le sembianze di una donna e che ne accarezzi la pelle, mentre sfiora il cinturino ben lucidato. Kate resta in silenzio, con gli occhi sull’orologio di suo padre, tornato magicamente come nuovo grazie all’arte dell’uomo di fronte a lei, senza accorgersi che adesso la sta fissando.
-Richard ha ragione quando dice che lei è splendida!-
Esclama lui all’improvviso, vedendola assorta e Kate abbassa lo sguardo facendolo  sorridere.
-Dice anche che i complimenti la fanno arrossire, ed è vero anche questo. Mi scusi, non volevo metterla a disagio, ma Richard mi ha parlato tanto di lei, che mi sembra di conoscerla da sempre.-
Kate resta spiazzata e scuote la testa.
-A me invece non ha mai parlato di lei.-
-Io non sono bello e affascinante, non c’è molto da dire su di me.-
Le risponde sollevando le spalle strappandole un sorriso.
-Da quanto conosce Castle?-
Gli chiede senza riuscire a frenare la curiosità.
-Oh… io ero solo un ragazzo e lui un bambinetto. Ho sempre amato gli orologi e sognavo di avere una bottega tutta mia, ma ero giovane e squattrinato, quindi mi arrangiavo come potevo. Allora lavoravo nei teatri, mi occupavo degli ingranaggi che servono per cambiare le scene. Lavoro di precisione anche quello, se s’inceppa qualcosa durante lo spettacolo, salta tutto.-
Gesticola con le mani su e giù, per rendere l’idea del movimento.
-Martha Rodgers era la protagonista di Tutto è bene quel che finisce bene, di Shakespeare. Richard avrà avuto sei o sette anni, era la stagione estiva, la scuola era terminata e Martha se lo portava alle prove. Era un bambino curioso, pieno di fantasia e d’inventiva e soprattutto, pieno di parlantina.-
Sottolinea l’ultima parola sbarrando gli occhi e Kate annuisce.
-Non è cambiato molto, allora!-
-No, in effetti no. Stava ore seduto a guardarmi lavorare, memorizzava le battute di tutti gli attori ed era capace di ripeterle man mano che facevano le prove, come un eco…-
Kate si ritrova a sorridere, mentre Colbert continua.
-…era anche capace di parlare per ore, inventando storie fantastiche o raccontando qualunque fandonia gli venisse in mente.-
Sorride anche lui, ritrovandosi poi a sospirare.
-Ma c’erano giorni in cui si sedeva davanti a me, con le mani strette a pugno sotto il mento e restava in assoluto silenzio. Non una parola, solo gli occhi incollati sul movimento delle mie mani mentre sistemavo un congegno. Quelli erano i giorni in cui la sua mente vagava chissà dove, in posti lontani in cui nessuno riusciva ad andare insieme a lui.-
Guarda Kate dritto negli occhi e sospira ancora.
-Era un bravo bambino, sensibile, con due occhioni che mostravano quello che provava in ogni momento e, nonostante parlasse tanto, non faceva mai parola di quello che lo faceva stare male qui.-
Si porta la mano destra sul petto all’altezza del cuore e sorride.
-Aveva già una mente brillante, invece di andare a tirare calci ad un pallone per strada, preferiva leggere o osservare la gente e i suoi piccoli amici a volte questo lo trovavano strano. Soffriva per la mancanza di un padre, si sentiva diverso e si comportava, di conseguenza, in modo diverso anche dai suoi amici. I suoi silenzi parlavano più di lui…-
Kate abbassa lo sguardo, pensando a tutte le cose che ancora non conosce di Rick, a quanto abbia davvero sofferto da bambino e come abbia fatto a diventare l’uomo dolcissimo che è adesso.
-Quando la stagione finì, trovai lavoro nella bottega di un vecchio orologiaio, ma Richard e sua madre restarono in contatto con me. Ogni tanto veniva in laboratorio e mi faceva compagnia. A me faceva piacere.-
Sorride, guardando l’orologio che tiene ancora tra le mani, tornando indietro nel tempo.
-E’ sempre stato un sognatore, amava i racconti di avventura, di fantascienza, leggeva ore e ore, ma nonostante tutto ha sempre avuto le idee chiare. Diceva che la sua fantasia lo avrebbe reso importante…-
Solleva un sopracciglio sorridendo.
-Aveva ragione!-
Strappa un sorriso anche a Kate, che resta in silenzio come a volere che continui.
-Si è sempre confidato con me, diceva che sapevo ascoltare senza interromperlo sempre, ma sapevo anche parlare per riempire i suoi silenzi.-
Kate si ritrova a pensare che Rick si è sempre comportato allo stesso modo con lei. Parole e silenzi che da cinque anni a questa parte le hanno riempito le giornate.
-Pensi che venne da me quando seppe che sarebbe diventato padre, ancora prima di dirlo a Martha. Era spaventato per il guaio che aveva combinato, ma poi aggiunse che era un bel guaio, con un sorriso che mostrava tutti i denti. Era contento anche se sapeva che sarebbe stata dura. Credo di essere stato uno dei primi a conoscere la sua zucca, oltre la famiglia. Ne è sempre stato orgoglioso. Con Alexis ha trovato per la prima volta, un equilibrio anche nel cuore, oltre che nella vita.-
Guarda Kate dritto negli occhi e sorride compiaciuto.
-‘Per avermi ascoltato anche quando ti facevano male le orecchie. Grazie!’-
Ride di gusto, vedendo l’espressione corrucciata di Kate, che si è un attimo persa nel suo racconto.
-La dedica che ha scritto sulla mia copia del suo primo romanzo pubblicato… è sempre stato spiritoso!-
Strappa una risata anche a lei, ma qualche secondo dopo si rabbuia.
-Ne ha prese batoste dalla vita, ma ha sempre finto che tutto andasse bene facendo lo stupido e forse proprio questo suo lato giocherellone lo ha aiutato ad andare avanti anche quando non ne aveva voglia…-
Quando si rende conto che lo sguardo di Kate si è rattristato alla sua constatazione, devia il discorso, tornando a guardare l’orologio tra le sue mani.
-Lui è stato un po’ l’unica famiglia che abbia mai avuto. Non si è mai dimenticato una festa, un compleanno, anche solo con una telefonata. Ma le sto facendo perdere tempo con le mie chiacchiere.-
Kate sembra pendere dalle sue labbra, ascolta le sue parole rapita, immersa in un pezzetto di mondo di Richard Alexander Rodgers che lei non conosce ancora. Si riscuote quando Nicholas Colbert fa per alzarsi.
-Starei ad ascoltarla per ore, ma ha ragione. Il tempo scorre.-
L’uomo le porge l’orologio sorridendo.
-Dica a Richard che lo aspetto per il saldo.-
-Aspetti un momento Nicholas, io…-
Ma Colbert la ferma mettendole una mano sulla sua.
-Deve saldarlo lui, di persona ed in contanti.-
Ammicca, stringendole la mano, per farle capire che i soldi non c’entrano nulla, ma che vuole solo rivedere Richard nel suo negozio e lei annuisce, deglutendo.
-Glielo dirò!-
Sussurra con gli occhi lucidi.
Colbert non può fare a meno di stringerle la mano con più forza.
-Tiene molto a lei Kate. Anche lei, come Alexis, gli ha portato equilibrio, nel cuore e nella vita.-
Le lascia la mano senza darle il tempo di rispondere, esce con calma, con la sua andatura tranquilla e la testa bassa, forse perso nella  preoccupazione per quell’uomo che sente come un figlio. Kate guarda l’orologio di suo padre, lo accarezza e sente le lacrime riempirle gli occhi.
-Tutto bene Beckett?-
Guarda Esposito che si è appena affacciato sulla porta e annuisce.
-Tutto bene.-
Esclama allacciandosi con cura l’orologio al polso sinistro. Lo accarezza ancora una volta e ancora una volta sfiora la camicetta all’altezza del petto.
-Tranquillo Javi… sto bene.-
Ribadisce all’amico che è rimasto a guardarla preoccupato, non molto convinto della visita di quello strano uomo, mentre la Gates fa capolino all’altro lato della porta.
-Abbiamo l’indirizzo di Dunn!-
Dice senza fermarsi, correndo verso l’ascensore seguita da Ryan.
-Kate, hai sentito?-
Le chiede Esposito, ancora incerto, aspettando un suo movimento, ma lei resta immobile ad accarezzare il suo orologio con uno strano sorriso sul volto.
E’ consapevole che il polso non più orfano non ha nulla a che vedere con la buona notizia appena ricevuta, come è consapevole che il suo infrangersi sul pavimento non ha nulla a che vedere con l’inferno che lei è Castle stanno passando, ma non può fare a meno comunque di sentire il cuore più leggero.
Solleva finalmente lo sguardo sull’amico e annuisce sicura, facendogli cenno di seguirlo verso l’ascensore.

 
Era rimasto a guardare quel corpo inerme, perso nelle sue elucubrazioni.
Aveva sempre pensato che ognuno deve scegliere il proprio cammino, senza che altri decidano se è giusto o sbagliato.
Lei si era arrogata il diritto di decidere per lui, per la sua vita, per le sue certezze.
Lei lo aveva ammanettato.
Poteva soccombere e assecondare gli eventi, oppure combattere e reinventarsi il proprio destino.
In prigione aveva smesso di uccidere, ma il suo cervello non aveva smesso certo di funzionare.
Non c’era stato giorno in cui non avesse pensato a lei… pronto a combattere e trovare un modo per riprendere in mano il suo destino.
La sua non era una vendetta.
La sua era solo giustizia! Quella stessa giustizia in cui anche lei credeva…
Un modo per rimettere ogni cosa al suo posto.
Lui voleva solo riprendersi la sua vita, voleva riprendersi il diritto di scegliere, voleva riappropriarsi di tutti quegli istinti che gli erano stati negati quando lei lo aveva tradito.
Non c’era posto per entrambi in questo mondo, ed era stata lei a deciderlo: lui avrebbe continuato ad uccidere e lei avrebbe continuato a dargli la caccia.
Per questo il gioco doveva concludersi con un solo vincitore.
Lei era la causa della sua stessa infelicità.
Aveva spezzato tante vite solo per lei.
Anche il piccolo storpio era stato sacrificato a lei.
Non aveva dovuto faticare molto con Abraham. Era un essere debole nel corpo. Era bastata una semplice pressione sulla gola perché smettesse di respirare e di guardarlo con sfida.
Era rimasto con gli occhi socchiusi, come a volersi prendere una rivincita su di lui, ma non era più un problema.
Gli aveva chiuso le palpebre e lo aveva coperto con la spazzatura che c’era intorno a loro.
Distolse lo sguardo da lui e si guardò le mani, sorridendo.
Erano pulite!
Non aveva fatto altro che porre fine alla vita di ognuno di loro, prima che la loro inutile esistenza li distruggesse lentamente.
Li aveva portati tutti alla pace, liberandoli da una vita inutile ed una coscienza insensata, che prima o poi li avrebbe portati all’infelicità…
E avrebbe fatto lo stesso con lei e il suo scrittore.
Solo la morte libera del tutto l’anima. Dal dolore. Dal buio. Dalla felicità effimera che dura un battito di ali e che quando vola via, lascia dentro soltanto un enorme vuoto.
Doveva liberarla, per liberare se stesso…
Il suo cervello era leggero come non lo era da tempo. I suoi brutti pensieri sarebbero spariti presto.
Aprì la tasca dello zaino e prese la scatola di legno tanto preziosa.
La accarezzò ancora una volta, come a salutare una cara amica e la mise al sicuro.
Gli brillarono occhi, diede un ultimo sguardo alla sagoma che appariva appena da sotto scatole di cartone e rottami e si avviò all’uscita compiaciuto della sua arte.


Angolo di Rebecca:

Un capitolo di riflessioni da parte di tutti, perfino Dunn riflette sul suo operato che chiama arte (compiaciuto per giunta :3)
Rick spiffera a Kate il nome di suo padre e Kate spiffera a Ryan che Castle le aveva già spifferato che sarebbe diventato papà (mi sto incartando :p)
Per di più Kate riflette sulla "prospettiva" di lettura e il nostro amato capitano Gates manda a quel paese chiunque mentre "spia" (riflettendo) la sua detective :3
Direi che posso andare...
Grazie!
  
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