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Autore: finnicksahero    28/07/2014    5 recensioni
Chi era la madre di Katniss? Come ha conosciuto il signor Everdeen?
Io ho provato a rispondere a queste domande.
Dal testo:
'Le strade del giacimento erano deserte, si sentivano i canti dei bambini e qualche rumore di stoviglia, ma per il resto il silenzio era assordante, neanche gli uccellini cantavano, il cielo da azzurro era diventato nuvoloso. Rendendo l'ambiente ancora più grigio, i miei stivali alzavano la cenere argentea per aria, creando delle piccole nuvole che stancamente si riposava a terra. Era così folle alzarla, dargli della speranza, facendogli credere di poter volare, quando in realtà si sarebbe schiantata al suo suolo da li a poco. Mi ritrovai a pensare che prima o poi tutti diventavamo polvere.
Polvere alla polvere.
Cenere alla cenere.'
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maysilee Donner, Mr. Everdeen, Mr. Mellark, Mrs. Everdeen, Mrs. Undersee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I'm in love with you ...'
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Capitolo uno.

 

Strinsi gli occhi azzurri prima di riaprirli un poco. Un raggio di sole era riuscito ad entrare dalla malmessa e sottile finestra dei Donner,ed ad atterrare suoi miei occhi, uno spruzzo di aria calda e gentile entro dal foro della finestra rotta accarezzandomi il viso, mi girai e mi ritrovai il nasco aquilino schiacciato contro la schiena della mia amica Maysilee, sorrisi fissando il nero della sua camicia da notte, i capelli biondi della mia amica mi solleticavano il naso e mi entravano negli occhi e in bocca.

Mi tirai su notai che era ancora addormentata, abbracciata alla sorella gemella Page, avevano un'aria pacifica con le bocche piene rosa semichiuse, le palpebre pallide che si muovevano appena per via dell'occhio, le ciglia bionde si sfioravano e i loro nasi erano attaccati l'uno a quello dell'altra. I loro capelli biondi erano sparsi per il cuscino, costruendo così una aureola intorno alle loro testoline. I loro visi carichi di lentiggini erano sinceramente felici.

Mi guardai attorno, nella stanza c'erano abiti sparsi ovunque, la porta era socchiusa, di un legno povero, l'armadio con le ante rotte era di un legno costoso ma purtroppo col tempo si era rovinato, dentro c'erano gli abiti per la mietitura, lo si capiva dalla qualità delle stoffe presenti, mi alzai lisciandomi la maglietta, stiracchiandomi sbadigliai silenziosamente e mi sistemai i capelli biondi, lisciandoli con le mani per poi legarli in una coda alta.

Mi tolsi la maglia e raccolsi lo zaino dove tenevo principalmente i medicinali per il distretto, e ci frugai dentro, trovando dei pantaloni e una maglietta, di un nero fumo, le strinsi al petto e uscii in punta di piedi dalla loro stanza. Conoscevo talmente bene la casa dei Donner da saper benissimo dov'erano tutte le stanze. La cucina, che era sempre un disastro perché la madre delle gemelle, una donna con il sorriso gentile i capelli biondi striati di grigio, il viso costantemente rosso per via del calore dei fornelli, che stava ora a cucinare per i minatori, in cambio barattava stoffe e cose del genere. Andai fino al bagno, infondo a sinistra.

Mi lavai velocemente con l'acqua fredda e mi rivestii, gli abiti erano grandi e informi. Alzai lo sguardo dagli stivali marroni da caccia che avevo rubato a mia madre, da giovane scappava nei boschi e stava ore a fare niente la, a me stavano larghi ma erano comodi quando andavo tutto il giorno per curare i bambini del giacimento, mia madre non lo sapeva. E io non glielo dicevo, per lei era una perdita di tempo. Non potevano pagarci, ma secondo me vedere quei bimbi con le convulsioni per via della febbre alta dovevano essere aiutati e poi quando ti sorridevano guariti per strada, era la migliore paga.

Cercai di non passare molto tempo in quel bagnetto piccolino, con una tinozza nera da usare come vasca, degli asciugami appesi a dei vecchi chiodi arrugginiti dietro la spessa porta di legno. Una finestra con le tende chiuse dava sui boschi e quando il vento soffiava riuscivi a sentirne il profumo. Pino mischiato alla libertà. Respirai a pieni polmoni e sorrisi, aprii gli occhi solo per guardarmi allo specchio. Ero decisamente diversa dalle mie due amiche, loro erano tutte curve, con le labbra piene e quei modi aggraziati e seducenti, io invece avevo le curve solo perché era giusto che le avessi, le mie labbra erano piccole e la pelle pallidissima e gli occhi grandissimi, da cerbiatto. Distolsi lo sguardo e uscii di corsa dal bagno.

Quando tornai nella camera delle gemelle, scoppiai a ridere, Page stava schiacciando Maysilee che cercava di liberarsi, mi guardò con gli occhi azzurri imploranti -Anse, aiutami- implorò, scossi la testa e mi appoggiai allo stipite -Oh no- replicai, lei strisciò sotto la gemella che l'aveva bloccata, trattenni le risate solo per non svegliare l'altra gemella, mi concentrai sui lineamenti di entrambe, così armoniosi e perfetti -Se non l'avessi notato, questo bradipo di sorella che mi ritrovo mi sta schiacciando. AIUTAMI- gridò, Page che si era svegliata mi sorrise maliziosamente. Mi avvinai e la scossi, come per cullarla.

-Tesoro ti prego potresti non uccidere tua sorella? Sai, è l'unica che hai- le ricordai, lei si tirò giù fissandomi sorridente. Maysilee si mise seduta a gambe incrociate, aveva il cuscino stretto al petto e ci appoggiava sopra la testolina -Vai già a casa?- mi chiese, annui, dovevo andare a fare il giro di ricognizione, il fratellino minore di Alius Mellark, il mio migliore amico, stava male, volevo vedere come stava. Le gemelle iniziarono a parlare fra loro, le fissai a disagio. Il mio unico fratello aveva dieci anni. Non potevamo fare grandi discussioni insieme. -Sei ufficialmente invitata a fare colazione da noi- dissero insieme, le fissai, un sorriso mi baciò le labbra -Lo sapete quanto siete inquietanti voi due, quando parlate insieme?- chiesi, loro mi lanciarono delle occhiatacce e sospirai, quando un Donner ti offriva da mangiare, non c'erano scuse. Dovevi mangiare.

Tamburellai con il dito sul tavolo della cucina mentre le aspettavo, ero già in ritardo erano le otto, avrei dovuto essere la, in piazza per le otto e quarto, non ce l'avrei mai fatta. Guardai le iniziali incise sul tavolo. Una P e una M e li vicino una A, mi avevo fatto incidere la mia iniziale perché ero parte della famiglia. Volevo bene a tutti in quella casa. -Ragazze vi prego, MUOVETEVI- gridai e subito comparve Page, che sfoggiava un abito cucito da lei, bianco, che le arrivava a metà cosce, i capelli biondi legati in due trecce, corse ai fornelli e iniziò a cucinare. Guardò il pane stantio e sospirò, scuotendo la testa.

Maysilee arrivò e attirò l'attenzione di tutte e due, anche se avevo appena chiesto a Page come stava andando con quel Undersee, se era una cosa seria o no, e lei arrossendo aveva appena iniziato a parlare quando sua sorella era entrata. Aveva i lunghi capelli biondi sciolti, gli occhi azzurri brillanti, il corpo rinchiuso in un paio di pantaloni leggeri neri e indossava una canottiera marrone scuro. Ai piedi gli stivali da lavoro. Era decisamente bellissima. Da togliere il fiato.

-Undersee eh?- chiese, sorridente, Page sorrise e arrossii, alzando le spalle -Si- disse, solamente, mi schioccò un'occhiatina e andò dalla sorella, le cinse la vita con le mani e le sussurrò qualcosa all'orecchio, l'altra scosse solo la testa ma quel mezzo sorriso sulla bocca la tradiva. E di tanto. Maysilee batte la mani deliziata -ANSE- disse, appoggiandosi con tutto il corpo alla sedia. Gli occhi erano incredibilmente vivi -Stanno insieme- alzò le mani in aria e rise, io feci dei versi approvazione scuotendo la testa subito dopo. Mangiai di gusto, era poca roba, pane stantio un sugo preparato con due pomodori e della mente vecchia e tutta rugosa, ma nessuno sapeva cucinare come loro. Mi abbracciarono entrambe quando le salutai. Maysilee mi strinse il braccio e si morse un labbro -Stasera passo da te- disse, sembrava agitata, annui e lei mi baciò la guancia, sorrisi e mi chiusi la porta alle spalle.

Le strade del giacimento erano deserte, si sentivano i canti dei bambini e qualche rumore di stoviglia, ma per il resto il silenzio era assordante, neanche gli uccellini cantavano, il cielo da azzurro era diventato nuvoloso. Rendendo l'ambiente ancora più grigio, i miei stivali alzavano la cenere argentea per aria, creando delle piccole nuvole che stancamente si riposava a terra. Era così folle alzarla, dargli della speranza, facendogli credere di poter volare, quando in realtà si sarebbe schiantata al suo suolo da li a poco. Mi ritrovai a pensare che prima o poi tutti diventavamo polvere.

Polvere alla polvere.

Cenere alla cenere.

Non c'era speranza per noi, eravamo nati per morire. Morire in modo o bruto o violento, o per la fame oppure per solo Dio sa cos'altro. Gli Hunger Games e le rivolte passate ci avevano ridotto allo schifo. Ridotti ad uccidere il vicino di casa per una singola briciola di pane. Vendendosi per un po' d'acqua. Non andava bene a nessuno, ma nessuno faceva niente.

Venivamo sollevati come la cenere, convinti di poter volare, ma poi fatti precipitare, e così era all'infinito.

Voltai l'angolo, dovevo tornare in piazza, alla panetteria, per controllare Ector, anche se ero sicura che non avrei potuto curare quello che aveva lui. Non senza l'aiuto dei medici della capitale. Asciugai una lacrima. Sarebbe morto, non oggi, e nemmeno domani. Ma da li a poco, lo sospettava. Non era febbre normale. Era qualcosa di ancora più profondo.

Guardai ancora una volta la cenere e una lacrima ci cadde sopra, sprofondando fra la spessa polvere, trassi un respiro profondo e mi grattai via le ultime lacrime.

Quando voltai l'angolo andai a sbattere contro qualcuno. Qualcuno di forte e muscolo. Alzai lo sguardo e rimasi senza fiato. Stavo guardando i due più belli occhi color cenere.

  
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