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Autore: ValentinaRenji    29/07/2014    0 recensioni
Il buio è solamente luce capovolta.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3. HOPE



“Emeleb … è così triste.”

“Cosa?”

La grande figura nera si volta verso quella più piccola, svolazzandole accanto come un rapace. I lembi neri fluttuano nell’aria densa di piccole goccioline d’acqua, l’umidità aderisce alle fronde delle felci vicine, agli steli d’erba bruciata, alla loro stessa massa informe d’energia scura, simile a bava di un lupo famelico che cola dalle sue fauci aperte.

“Tutto. Tu sai cosa penso.”

“Ah Valentina …”

Le pone una mano sull’esile spalla, come per confortarla tristemente.

“Ti guardavi attorno, vedevi le persone brulicare come formiche, con la loro ventiquattrore fra le mani e l’orologio al polso intento a scandire un tempo inesistente ed un ritmo frenetico che uccide lentamente, come una cappio al collo sempre più stretto. Vedevi le luci delle sale giochi, le insegne a neon dei bar, le auto, le strade asfaltate. E cosa ti domandavi? Ti chiedevi: che orrore è mai questo?”

Lei annuisce affranta, sospirando, scrutando il cielo denso di nubi perlacee affollate le une sulle altre.

“Sì. Ovunque si posassero i miei occhi le uniche cose che potevano carpire erano meschinità e viltà umana. Che schifo, vero Emeleb? Tu hai combattuto per la tua vita. Hai razziato, vissute guerre, impugnato una spada con nobili valori. Hai lottato per la tua famiglia ,per la sopravvivenza, per la tua gente. Ed ora guarda, guarda le generazioni di questa esistenza malata: vivono inebriate dal dogma del denaro, trascorrono il proprio tempo a straziarsi l’anima per guadagnare una manciata di pezzi di carta che serviranno ad alimentare la propria stessa sofferenza. Comprano, comprano, comprano oggetti, beni, materiali e credono che tutto, persino gli altri esseri umani ed i loro sentimenti possano essere acquistati e messi in vendita come gli pare. Vivono in un mondo sfalsato, dove gli alberi sono anneriti dallo smog, dove gli animali vengono uccisi per sfamare e poi vengono gettati in un cassonetto perché già scaduti. Dove la vita non conta nulla perché nessuno è in grado di riflettere sul suo valore. Dove nessuno è realmente felice, dove l’ignoranza anziché condannare se stessa ghermisce l’intera collettività. Ho assaggiato questo male di vivere Emeleb, a questo punto l’eternità è una salvezza.”

“Salvezza?”

L’uomo scoppia a ridere rocamente, stringendo la lunga spada annerita dall’usura e dai secoli fra le mani forti, temprate dalla foga passata.

“Le persone sono essere vili e sciocchi, privi di consapevolezza. Trascorrono l’intera vita a pregare entità inesistenti, sperando nei miracoli, in una giustizia trascendente che li saprà lodare al giusto momento ed invece punirà i malfattori. Credono che il loro spirito si salverà dai mostri, rifugiandosi in una dimensione migliore, idilliaca. Che bugie, che frodi dello spirito! Se veramente esistesse un Dio a quest’ora avrebbe raso al suolo l’intera popolazione, li avrebbe spazzati con un soffio e si sarebbe maledetto amaramente per aver creato qualcosa di tanto disgustoso. Le loro anime viziate sono talmente deboli da dissolversi nel momento stesso in cui esalano l’ultimo respiro e se mai resistessero verrebbero divorate da qualcun altro più affamato e cosciente di loro.”

Ha ragione, ha ragione davvero. Ci si illude di favole auree per poi sbattere il viso su un’eternità ancora più buia e straziante, una lotta per la sopravvivenza dove non esistono leggi, non esiste pietà, non esistono sentimenti. Solo l’istinto, il puro e semplice istinto di sopravvivenza, di prevaricazione del più debole, di sopraffazione. Quella forza interiore che ti rende una bestia, facendoti divorare il più debole, smembrare il suo lacero agglomerato oscuro, sbranandolo con morsi rabbiosi fino a percepirne il dolore, la paura, il gelo della morte definitiva. Lo inglobi in te, diventi più forte. E più spietato.

Diventi la fiera che hai sempre temuto. Diventi il mostro sotto al letto che ti teneva sveglio quand’eri bambino. Diventi la parte oscura e violenta che ognuno di noi cela in un lato nascosto del proprio sé.
In fondo è questo ciò che siamo: belve incatenate che attendono una prossima liberazione.
La sofferenza è l’unico aiuto terreno che ti costringe ad aprire il cuore e la mente, per aprirti ad una conoscenza nuova.

Cosa farò adesso?

Porta una mano al petto, perforando il corpo fluttuante con i lunghi artigli acuminati, stringendo il cuore inesistente mentre un rantolio di dolore s’eleva nell’aria pesante. Il dolore lancinante preme le tempie, mozza il respiro, la costringe ad accasciarsi nuovamente in preda alle grinfie dei ricordi e del malessere, alla malinconia, al senso di colpa, al vuoto interiore malevolo ed algido.

Fa male … fa così … male.

Urla, ma nelle sue grida non vi è più nulla di umano. È un’ombra, un oblio dove la luce muore, un fulcro di disperazione e nichilismo, un alveare di follia dagli sciami velenosi. I flebili raggi di sole non si posano più su alcuna pelle diafana da riscaldare. Il vento non trova più capelli fluttuanti con cui giocare.

Marcire … in una tomba. Mentre chi ti è stato nemico alza le spalle e ti deride. E dove chi invece ti era accanto appassisce insieme al tuo ricordo.

Ridursi in polvere e scivolare via, mentre l’anima precipita nell’oblio della follia.

“Emeleb, raccontami di nuovo la tua morte. Ancora, ancora una volta.”

Lo spettro nero ruggisce, abbassando l’elmo arrugginito sul capo rivolto al cielo, sogghignando beffardo. Una goccia di pioggia cade dalla coltre increspata dal vento, pungendolo sul naso una volta dritto e nordico, sulle guance dai lineamenti duri, glaciali, sul mento appuntito.

“Avevamo fame. Mia moglie aveva fame. I miei figli avevano fame. Proprio come l’intero villaggio. Dovevamo razziare a nord, ma ci hanno colto di sorpresa proprio su questi pendii, dove ora vi è una scia d’alberi secchi e scarni. Hanno ucciso i miei compagni ed i lupi hanno sbranato le loro carni, leccandosi le fauci, beandosi del gusto e dell’odore del sangue caldo di quelle viscere ancora pulsanti. Mi hanno trafitto il ventre con una spada, ricordo ancora il contrasto gelido della lama con il calore del mio corpo accasciato al suolo, riverso fra la brina e le foglie della stagione passata. Mi sono sollevato dal terreno, ho visto la mia sagoma agonizzante spegnersi come l’alone del tramonto. E poi ho visto loro, i miei soldati, bestie riluttanti che cercavano di divorarsi l’un l’altro mentre le fiere della foresta banchettavano con i loro cadaveri. Mi hanno attaccato ed io … ed io li ho sbranati come un leone mai sazio.”

“Ripetimi ti prego … ripetimi perché l’hai fatto.”

“Nella vita terrena ciò che temi è la spada, la falce, il dolore. Ciò che ti attende dopo … è la paura di te stesso. Ogni giorno che passa scava alle nostre spalle un solco sempre più profondo.”

“Dimmi, mio caro Emeleb. Lo ritroverò mai?”

Si siedono vicini, inermi, sferzati dal nuovo acquazzone che scende copioso, colmo di rancore, pioggia di spine, di rovi, di aghi appuntiti.
Ma non ha importanza, nulla è più terribile di un animo ridotto in frantumi.

“Ritroverò colui che amo?”

“Credi che io abbia ritrovato la mia famiglia? Sono passati millenni, la sto ancora aspettando qui, giorno dopo giorno. Sotto la neve dell’inverno, i sussurrii dell’autunno, le lacrime della primavera e i graffi dell’estate. Attenderò finchè non diverrò polvere io stesso.”

“Posso aspettare insieme a te?”

I suoi occhi verdi, le labbra soffici come petali di rosa. Le gote arrossate, il petto caldo, le braccia avvolgenti. Il suo profumo, il suo inebriante profumo fra quelli che una volta erano i miei capelli.

Ti amo, ti amerò sempre e ti aspetterò per l’eternità. Nella mente ho impresso il tuo volto, mi salverai dall’abisso della disperazione, mi darai un motivo per rimanere cristallina nel cuore come l’acqua di una sorgente. So che non avrai paura di me. So che ti rispecchierai nelle mie iridi nocciola, so che piangeremo insieme quando potremo finalmente sfiorarci le mani acuminate ancora, ancora una volta.

Manterrò la mia promessa, quella di non abbandonarti mai a costo di rischiare la mia incolumità.
Nel frattempo, perciò, ti aspetterò qui. Io ed Emeleb, due spettri neri sulla vetta di un colle dimenticato. Due anime solitarie unite dallo stesso dolore, due fiori strappati troppo presto al fertile prato verdeggiante baciato dalla brezza profumata di vita.

Ci troveremo qui, ho ancora una speranza accesa nel petto.

Ecco perché io, Valentina, ti attenderò per sempre, fra questi alberi dal fusto scuro ed i loro rami spogli protesi verso un cielo plumbeo. 

Il petto non fa più così male. Ora posso assicurarti di riuscire finalmente a respirare.


Fine



Note:
Per chi volesse approfondire il tema trattato, ovvero le figure dei Los Voladores può effettuare una ricerca leggendo i libri dell'antropologo Carlos Castaneda, studioso della civiltà tolteca. Credo sia l'unico ad affrontare questo argomento, non l'ho mai rinvenuto in altre culture nè religioni, ma in ogni caso tale fatto è comprensibile.
Mi auguro questa storia sia stata di vostro gradimento, spunto di riflessione e , perchè no, di nuovi orizzonti.
Mi congedo, lasciandovi un caro saluto.
Valentina


PS: Grazie a tutti i lettori, siete in tantissimi e ne sono piacevolemente sorpresa :)
   
 
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