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Autore: TheSlayer    29/07/2014    6 recensioni
Mary Jane Watson ha un nome che la rende il bersaglio di battutacce da parte di tutte le persone che conosce. E la gente non sa nemmeno il vero motivo per cui si chiama così (fortunatamente, perché le battute orribili potrebbero solo peggiorare). Frequenta la Washington University a St. Louis, nel Missouri, e ha una cotta enorme per il suo professore di Scrittura Creativa: Harry Styles.
E se anche il professore mostrasse un interesse particolare nei suoi confronti? Oppure Mary si sta immaginando tutto?
***
Dalla storia:
"Che vita difficile. Avevo un professore che, nella migliore delle ipotesi, era un idiota e non si rendeva conto dell'effetto che faceva sulla gente. E, nella peggiore, era un maledetto diavolo tentatore e faceva apposta a torturarmi in quel modo."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PRIMA PARTE

Capitolo 1 – Washington University

 
“Sono un cliché che cammina, è logico che la gente ride quando mi presento.” Dissi a Laurel, la mia migliore amica e compagna di stanza.
“Vedrai che qui è diverso.” Cercò di rassicurarmi lei. “Nessuno ti prenderà in giro.”
Annuii, anche se ero poco convinta. Le battutine sul mio nome mi seguivano da tutta la vita.

Uno scampanellio leggero annunciò la nostra entrata nella libreria del college e mi avviai subito verso il bancone.
“Ciao, come posso esserti utile?” Domandò il commesso. Liam, o almeno così riportava il nome sulla targhetta appuntata alla sua maglietta. Era lo stesso che mi aveva aiutata il giorno precedente, ma evidentemente non si era ricordato di me.
“Devo ritirare i due libri che ho ordinato ieri. Ho telefonato questa mattina e mi avete detto che erano arrivati.” Spiegai.
“Oh, d’accordo.” Replicò lui. Si voltò, recuperò un foglio con una lista di nomi e cominciò a scorrere l’elenco. “Mi ricordi il tuo cognome, per favore?”
Laurel mi rivolse un’occhiata eloquente. Forse voleva farmi capire che questa volta non sarebbe stato come tutte le altre. Magari questo Liam, con i suoi occhi castani e gentili, non avrebbe fatto battutacce. Il giorno prima non aveva detto nulla, quando avevo mormorato a bassa voce come mi chiamavo per prenotare i libri.
“Watson.” Dissi a bassa voce. Lui continuò a scorrere la lista con il dito.
“Ah, Mary Jane?” Domandò. Poi mi osservò da capo a piedi, come sapevo che sarebbe successo, e sorrise. “Mi dispiace, ma c’è stato un errore. I tuoi libri non sono ancora arrivati. Adesso telefono e chiedo spiegazioni.” Disse dopo un po’. “Tu dì a Spiderman di non venire a picchiarmi questa sera, okay?”
Roteai gli occhi al cielo e guardai Laurel, scuotendo la testa. Lei si strinse nelle spalle e mi rivolse un sorrisetto.
“Molto divertente.” Commentai. “Comunque non preoccuparti, tornerò domani.” Dissi e uscii dal negozio.

“Non ho ancora capito perché la gente ti guarda così quando dici il tuo nome.”
Laurel ed io ci conoscevamo da pochi giorni, in realtà – da quando ci eravamo incontrate all’orientamento per quelli del primo anno – ma eravamo diventate amiche istantanee. Poi avevamo scoperto di essere state assegnate allo stesso dormitorio ed eravamo diventate immediatamente migliori amiche. Ci capivamo al volo e spesso dicevamo le stesse cose nello stesso momento.
“Perché Mary Jane Watson è un personaggio dei fumetti, è la fidanzata di Spiderman.” Spiegai. “E la gente ha delle aspettative quando sente quel nome, perché lei ha i capelli rossi, gli occhi azzurri e, beh, due tette enormi. O almeno così ho visto quando ho cercato su Google, io non leggo i fumetti.” Dissi.
Io ero il totale opposto della mia omonima. Avevo i capelli castani, gli occhi verdi e il fisico asciutto da ragazzino di dodici anni. Pochissimo seno, niente fianchi, niente di niente. E la gente rimaneva delusa quando mi guardava, perché probabilmente si aspettava una ragazza sexy come quella dei fumetti. Io non ero sexy. Non proprio.
“I tuoi genitori sono grandi fan?” Mi domandò poi. Ecco, era arrivato il momento di spiegare anche a lei l’origine del mio nome. Quella vera, almeno.
“Non proprio.” Dissi. “Ma sicuramente preferisco che la gente pensi che sono amanti di Spiderman, piuttosto che la verità.”
“Cioè?” Laurel stava diventando curiosa.
“Beh, devi capire che i miei genitori sono molto… liberali.” Dissi. “Possiamo anche dire che sono dei grandi hippie, se vogliamo.” Aggiunsi. “E quando sono nata hanno voluto onorare una delle cose che preferiscono al mondo, dandomi questo nome.”
“Spiderman?” La mia amica non capiva ed io non ero nemmeno tanto sicura di volerle spiegare sul serio il motivo.
“La marijuana.” Dissi infine, abbassando lo sguardo. “Si chiama anche Mary Jane, così quando sono nata hanno pensato a quel nome. Poi si sono accorti che, grazie al cognome di mio padre, mi avevano chiamata come un personaggio dei fumetti e per loro la cosa è diventata ancora più divertente.”
Sospirai e spostai lo sguardo sui campi di calcio, che erano pieni di ragazzi che stavano provando a entrare nella squadra. Sentii l’allenatore, Niall Horan, imprecare ad alta voce e sorrisi. Conoscevo la sua reputazione ancora prima di iscrivermi alla Washington University a St. Louis, Missouri. Avevo frequentato l’ultimo anno della scuola superiore proprio in quella città, dopo aver passato tutta la vita a spostarmi da uno stato all’altro perché ai miei genitori piaceva cambiare, e avevo sentito parlare di lui in modo non molto positivo.
“Oh.” Commentò Laurel. “Sì, forse è meglio che la gente sia convinta che i tuoi sono grandi fan della Marvel.” Aggiunse con un sorriso. “Vivono lontano da qui?”
“L’ultima volta che li ho sentiti erano in viaggio verso il Nevada. Volevano vivere per un po’ a Las Vegas.” Spiegai. “Io ero stanca di fare quella vita, avevo voglia di un po’ di stabilità e… St. Louis mi piace.” Aggiunsi.

I miei genitori si spostavano, in media, una volta all’anno. Quando finalmente riuscivo ad ambientarmi a scuola e a conoscere qualcuno della mia età, tornavo a casa e trovavo i bagagli pronti e l’auto in moto, segno che era ora di partire.
E anche dopo la cerimonia del diploma avevo trovato quello scenario una volta tornata a casa, ma avevo finalmente deciso di dire di no. Avevo diciotto anni, non dovevo più seguirli per forza. Ed io volevo davvero frequentare il college, perché volevo diventare una scrittrice. Avevo anche già mandato l’applicazione ed ero stata accettata. Così li avevo salutati e mi ero imbarcata in quella nuova avventura.
***

“Pronta per il primo giorno di lezioni?” Domandai. La mia amica annuì e guardò il foglio con i suoi orari.
“La mia prima lezione è Anatomia Artistica con il professor Malik.” Disse Laurel, leggendo. “E quella è una delle cose che mi interessa più studiare, ho sentito parlare molto bene di questo insegnante.”
“Dicono che è bravo?” Domandai, camminando con la mia amica verso l’edificio del dipartimento delle arti visive.
“Sì, sembra che sia giovane e che coinvolga gli studenti. Insomma, anche se non è un vecchio impagliato sa il fatto suo.” Rispose lei. “Quello che mi preoccupa è l’insegnante di teatro, Tomlinson. Ho sentito dire cose terribili sul suo conto.”
“Anch’io.” Risposi. “Ma sono sicura che le voci che sono arrivate a noi sono state ingigantite con il passaparola. Sai com’è.” Aggiunsi.
“Speriamo, perché io non voglio uscire dal teatro piangendo. Non il primo giorno. Non posso fare figuracce. Anche perché pare che Tomlinson sia come i cani: fiuta la paura. Più uno studente è spaventato e più lui lo tratta male.”
“Sono sicura che andrà tutto bene, Laurel. Vedrai che non è così terribile come sembra.”
“Speriamo. E tu, invece, che lezione hai?” Chiese la mia amica, fermandosi davanti all’edificio in cui avrebbe dovuto entrare.
“Scrittura Creativa con il professor Styles. Di lui invece non si sa nulla, perché è nuovo.”
“Allora tanti auguri. Speriamo che non sia uno stronzo!” Esclamò la ragazza. “Vado, perché non voglio arrivare in ritardo.” Aggiunse poi. Mi salutò con la mano e sparì dietro il portone dell’edificio di mattoni.
Io, invece, camminai ancora per qualche metro e raggiunsi la mia classe.

La stanza non era grande e, oltre a me, una ventina di studenti avevano già trovato un posto dove sedersi. Gli unici banchi liberi erano quelli in prima fila, così sospirai e mi sedetti esattamente di fronte alla cattedra del professor Styles, che entrò pochi minuti dopo.
“Buongiorno!” Esclamò, ignorando la sedia e accomodandosi sul bordo della cattedra.
Lo guardai bene e pregai che lui non mi stesse osservando, perché ero convinta di essere diventata rossa e di aver aperto la bocca e sgranato gli occhi.
Il professor Styles era giovane, aveva i capelli ricci e castani, dei bellissimi occhi verdi ed era bello da mozzare il fiato. Portava un paio di occhiali da vista leggermente troppo grandi, ma gli donavano un’aria da intellettuale, da professore serio.
“È probabile che, se siete finiti nella mia classe, il sogno della vostra vita sia quello di vivere in un appartamento con un gatto scorbutico e lavorare tutto il giorno in pigiama.” Esordì lui, facendo ridere tutti. Beh, ci aveva azzeccato, ero sicura che quello fosse davvero il sogno più grande della maggior parte delle persone in quella stanza, me compresa. “E so anche che non vedete l’ora di cominciare a scrivere storie o poesie, ma voglio fare le cose in modo un po’ diverso dal solito.” Aggiunse.
Un mormorio rammaricato si levò tra i miei compagni di corso. Anch’io mi ritrovai un po’ delusa. Avrei voluto cominciare a scrivere immediatamente.
“Suvvia, non fate quelle facce!” Esclamò il professor Styles. “Abbiate pazienza e vi assicuro che, quando finirà questo corso, sarete tutti soddisfatti. Per prima cosa voglio che vi dividiate in coppie. Vi intervisterete a vicenda e scriverete un finto articolo di giornale con le informazioni che avete ottenuto dai vostri compagni. Potete dire quello che volete, rivelare informazioni vere oppure fingere di essere qualcun altro – qualunque cosa, anche un supereroe.”
“Professore?” Domandò timidamente una ragazza due file dietro di me.
“Sì?”
“Non ci dice niente su di lei?” Chiese lei. Per una frazione di secondo le guance dell’insegnante diventarono rosse, poi scoppiò a ridere e tolse gli occhiali per pulirli con un fazzoletto che estrasse dalla valigetta.
“Certamente, avevo tutta l’intenzione di farlo.” Rispose lui. “Il mio nome è Harry Styles, ho ventisei anni – e no, prima che me lo chiediate, non sono troppo giovane per fare il professore – e, proprio come voi, quando ero a scuola, il mio sogno era quello di lavorare in tuta e coccolare il mio gatto. Poi l’università mi ha chiamato per fare questo lavoro e ho dovuto cominciare a indossare camicie e giacche, lasciare il gatto a casa e venire in classe.”
Un’altra risata dagli studenti. Le ragazze pendevano dalle sue labbra e ridacchiavano a ogni sua parola. I ragazzi sembravano interessati alla personalità strana di questo professore giovane. Ci sapeva fare, dovevo ammetterlo.
“A parte gli scherzi, ho recentemente pubblicato il mio secondo libro e in questo corso parleremo anche della mia esperienza con le case editrici, gli editor e tutto quello che succede dopo la prima pubblicazione.”
“Ci dirà anche qual è stata l’ispirazione dietro la poesia che ha vinto il concorso nazionale indetto dal New York Times?” Domandò una delle ragazze. Il professore annuì, ma sembrò imbarazzato. Sembrava che volesse evitare quel discorso.
“Sì, ma non oggi. Adesso facciamo un giro di presentazioni e poi cominciamo a dedicarci alle interviste e agli articoli. Partiamo da te, in prima fila.”
Avvampai, quando mi resi conto che il professor Styles stava guardando proprio me. Sorrideva e quel gesto metteva in mostra le fossette ai lati della sua bocca.
Mi obbligai a smettere immediatamente di fantasticare su quelle labbra e, invece, a rispondere.
“Mi chiamo Mary Jane Watson.” Mormorai a bassa voce, sperando che nessuno capisse il mio nome.
“Mary Jane Watson?” Domandò lui, alzando il tono. Alcuni dei miei compagni di corso ridacchiarono, altri mi guardarono incuriositi e altri ancora mi ignorarono del tutto. Lo sguardo del professor Styles indugiò per qualche secondo sul mio viso, poi il suo sorriso diventò più ampio. Stava per fare una battutaccia, lo sapevo. “Benvenuta in quello che sarà il tuo posto per il resto dell’anno.” Disse invece. “Non ve l’ho detto, ma il banco che avete scelto oggi sarà vostro per il resto del corso.” Aggiunse, voltandosi verso il resto dei miei compagni.
Alcuni di loro, soprattutto quelli nelle prime file, protestarono.
“Ma perché?” Domandò il ragazzo dietro di me.
“Come ti chiami?” Chiese il professore.
“Joshua Maverick.” Rispose lui.
“Perché, caro Joshua, sono pessimo a ricordarmi i nomi. In questo modo mi posso fare uno schemino e non dimenticherò mai come vi chiamate.”
Scossi la testa, sorridendo. Il professor Styles era completamente fuori di testa e quello non faceva che renderlo ancora più intrigante. Ero sicura che mi sarebbe piaciuto quel corso.
***

“Ottimo lavoro con le interviste, siete stati tutti molto bravi!” Esclamò il professore alla fine della lezione. Sorrisi a Carmen, la vicina di banco che avevo intervistato – e che aveva finto di essere una superstar in America Latina – e poi fissai il mio sguardo sull’insegnante. Era impossibile non guardarlo. “Noi ci vediamo giovedì e ho un compito per tutti voi.”
“Ma prof, abbiamo appena iniziato il corso!” Si lamentò Naomi, facendo gli occhi dolci all’insegnante. Lui la ignorò.
“Per giovedì dovete cercare il tema che avete scritto durante l’ultimo anno delle superiori di cui siete più orgogliosi e portarmelo. Ho intenzione di leggerli tutti e di tenerli fino alla fine del corso, così potremo capire quanto è cambiato il vostro stile di scrittura in questo periodo.” Aggiunse lui. “Ne leggeremo alcuni insieme, ma se non siete ancora pronti per una critica pubblica ne potremo parlare nel mio ufficio, in privato, dopo la lezione.”
L’idea di passare del tempo nel suo ufficio, magari con la porta e le tendine chiuse, mi sembrò la migliore del secolo. In quel momento decisi che non ero assolutamente pronta per una critica pubblica e gli avrei chiesto un appuntamento per parlare del mio tema preferito.
***

“Ehi, Laurel! Come sono andate le lezioni?” Dopo aver passato tutto il resto del pomeriggio a cercare tra i file del mio computer e a scegliere il mio tema preferito, avevo raggiunto la zona comune del dormitorio per mangiare qualcosa. La mia amica, che era appena tornata a casa dalle lezioni, si accasciò sulla sedia davanti a me e non parlò per qualche minuto. Chiuse gli occhi e si coprì la testa con le mani.
“Louis Tomlinson è il più grande figlio di puttana mai esistito al mondo.” Annunciò dopo parecchio tempo.
“Che cos’è successo?” Domandai. Avevo finito di preparare un tramezzino ed ero finalmente riuscita a mangiare il primo morso.
Laurel era così nervosa che sembrava stesse per scoppiare a piangere da un momento all’altro.
“Non ha programmato una prima lezione normale, come tutte le persone normale. No, Lo Stronzo ci ha fatti lavorare subito, ci ha fatto fare improvvisazione e ovviamente qual è stata la prima cosa che ci ha detto? ‘Fingetevi scimmie!’ ed io sono terrorizzata da quelle cose. Un mio compagno mi è saltato di fianco, facendo i versi di quelle bestie orribili, mi ha fatta spaventare e sono caduta e sai cos’è successo? È successo che Louis Tomlinson non mi ha aiutata ad alzarmi. No. Mi ha guardata dall’alto in basso con aria schifata e mi ha detto: ‘Carter, se fai fatica a stare in equilibrio sui tuoi stessi piedi, forse devi prima frequentare un corso di sopravvivenza base e poi, magari, pensare a diventare un’attrice’. Ti rendi conto? Davanti a tutti i miei compagni!” Si sfogò la ragazza.
“Wow.” Commentai. Così erano vere tutte le voci sul professor Tomlinson. Era famoso per far piangere gli studenti e per essere maleducato con tutti a teatro. “Mi dispiace, Laurel. Vedrai che le prossime lezioni andranno meglio.”
“Non ci saranno prossime lezioni, perché ho tutta l’intenzione di ritirarmi da quel corso. Fanculo a lui e tutto il resto.”
“Laurie, non puoi dargliela vinta per un commento odioso. Fatti forza e prova ancora una lezione, magari oggi era incazzato per problemi suoi.”
“Non mi sono mai sentita così umiliata in tutta la tua vita.” Borbottò lei, rubandomi delle patatine dal sacchetto che avevo aperto. Il fatto che la mia cena consistesse in un tramezzino e un sacchetto di patatine mi fece realizzare che ero davvero al college. Cercai di reprimere il sorriso che minacciava di spuntare sulle mie labbra, perché Laurel avrebbe potuto pensare che volevo prenderla in giro.
“E la lezione con il professor Malik com’è andata, invece?” Domandai per cercare di cambiare argomento. Speravo che quella fosse stata più soddisfacente e che le facesse tornare un po’ di buonumore.
“Molto bene, lui è un figo da paura e vorrei tanto studiare l’anatomia del suo corpo, ma ha una fede grossa come una casa e, anche volendo, è un professore, il che lo rende off limits.” Spiegò lei. La mia mente andò subito all’aula di Scrittura Creativa e pensai al professor Styles.
Già, era un insegnante. Io ero una studentessa. Non sarebbe mai potuto succedere nulla tra di noi. Ma fantasticare non aveva mai fatto male a nessuno, giusto?
“Va beh, dai, hai visto la quantità di ragazzi carini che ci sono in questo campus? Troverai qualcuno che fa per te.” Dissi.
“In realtà ce n’è già uno che mi piace.”
“Chi è?” Domandai. Amavo i gossip, amavo le possibili storie d’amore, i rapporti appena nati, quelli che avrebbero potuto nascere, quelli duraturi e amavo anche le storie di una notte sola. Adoravo conoscere le persone, l’intimità, i sentimenti, le sensazioni che si provavano insieme. Ero innamorata dell’amore.
“Liam, il commesso della libreria.” Confessò lei. “A proposito, sono passata dopo la lezione e si è ricordato di me. Cioè, si è ricordato che sono tua amica e mi ha detto che alla fine ha trovato i tuoi libri e me li ha dati. Li ho messi nel nostro dormitorio.”
“Grazie.” Dissi. “E così ti piace Liam.” Mormorai tra me e me. “Non l’avevo capito!”
“Sono una persona misteriosa.” Scherzò lei. “A proposito, venerdì sera siamo invitate a una festa di una delle confraternite. Non conosco nemmeno la persona che mi ha invitata, ma immagino che sarà un’opportunità per conoscere parecchia gente.”
“Andiamo? Il college non è il college senza feste.” Dissi.
“Ovvio che sì.” Rispose lei. “Mi ubriacherò così tanto che dimenticherò anche come mi chiamo. Beh, mi basta arrivare a dimenticare l’umiliazione di oggi.”
Scoppiai a ridere e scossi la testa. “E tu? Non mi hai nemmeno detto com’è andata con il professor Styles. Com’è?”
“Affascinante.” Risposi semplicemente. Ricominciai a pensare alla lezione di quella mattina, alle interviste, al suo sguardo su di me e al fatto che non avesse fatto nessuna battuta orribile sul mio nome. Ero sicura che l’avrei sognato quella notte, perché aveva rapito il mio cuore e non vedevo l’ora della lezione successiva per chiedergli un appuntamento per valutare insieme, da soli, il mio lavoro delle scuole superiori.

 


Sono già tornata con una nuova storia! Se mi conoscete già perché avete letto qualche altra mia fan fiction... ben tornate! Se non ci conosciamo ancora, piacere di conoscervi!
Che dire? Questa storia è stata ispirata da un sogno che ho fatto (il protagonista non era Harry, ma un attore di una serie televisiva che seguo) e ho pensato di adattarla e di crearne una fan fiction. Non so ancora cosa succederà o come finirà, perché ho scritto pochi capitoli, ma volevo cominciare a pubblicarla perché tra poco finirò di postare The Butterfly Effect e volevo avere qualcosa di nuovo.
Se avete deciso di leggere e se siete arrivati fin qui GRAZIE! Spero che questa storia vi piaccia!

Martedì prossimo posterò il prossimo capitolo (probabilmente di sera).
Alla prossima e un bacione!

Vi lascio i miei link, se volete fare quattro chiacchiere o se volete leggere aggiornamenti sulle mie storie :)

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