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Autore: _diana87    29/07/2014    3 recensioni
"Era una notte buia e tempestosa... strano come tutte le storie dell’orrore inizino in questo modo, vero, detective Beckett?"
{possibile alzamento di rating}
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessuna stagione
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Ognuno ha quel che si merita
 
Passeggia avanti e indietro nella stanzetta del caffè. Rick sta leggendo il giornale, che in prima pagina riporta l’incendio con un titolone da scandalo “L’appartamento va a fuoco, la ragazza viene rapita, e la polizia che fa? Dorme.”
Storce il naso in senso di disgusto. Non ha mai visto un titolo tanto scabroso. Puntiglioso com’è, va a cercare errori nell’articolo, tanto per il gusto, poi, di scrivere una bella lettera al giornale che l’ha pubblicato. E che giornale! Bella figura per il New York Times.
“Come ho potuto essere così stupida.”
Kate si blocca, battendosi la mano sulla fronte. Rick chiude il giornale e cinge alla vita la sua musa. Dolcemente, le carezza i capelli.
“Kate, smettila di incolparti, non è stata colpa tua.”
“Sì, invece, io sono la responsabile. Dovevo salvare Casey, e non sono arrivata in tempo!”
“Non è ancora finita, possiamo trovarla. Basterà tornare a Greenwood nella chiesa e fermare tutto quanto—“
Lei lo guarda stralunata.
“E come pensi di riuscirci, Castle? Questo non è un film, questa è la vita reale! Non ci sarà nessun intervento divino a fermarci, ma solo noi, esseri umani, con le nostre armi! Devo andare da sola.”
Scioglie l’abbraccio. Di nuovo, si chiude in quella corazza, bisognosa di fare qualcosa per il prossimo. Il suo senso di giustizia non l’abbandona mai.
La caffetteria suona, segno che il caffè è pronto. Prende la sua bevanda quotidiana, un risveglio mattutino immancabile, e offre una tazza al suo scrittore. Da vicino, Rick assapora l’aroma del caffè sentendo il mix con il profumo di ciliegia dai capelli della sua musa.
Decisamente un toccasana per i suoi gusti.
Kate passa una mano sui capelli e tira fuori un elastico, legandoseli a coda di cavallo. La stanchezza inizia già a farsi sentire di buon mattino.
“Verrò con te.” sentenzia Rick.
L’orrore si dipinge sugli occhi di Kate pensando che con lui al suo fianco, non agirebbe da agente di polizia, ma da fidanzata in apprensione. Nonostante l’amore che lo lega, la detective sa che Rick ha coraggio da vendere quando si tratta delle persone a cui tiene. Ma stavolta è diverso.
Il cervello le suggerisce le parole.
“Castle, questa volta voglio che tu stia fuori. È la mia battaglia.”
“Kate, devi smetterla di agire così! Non è colpa tua se non sei riuscita a salvare tua madre!”
Tua madre.
Le parole le giungono distorte. È la sua mente che crea questa illusione o c’è qualcos’altro?
Rimpicciolisce gli occhi, quasi cercasse di assimilare quello che lui ha appena detto.
Castle ha davvero nominato sua madre? E perché improvvisamente sente un ronzio nella sua testa?
Meccanicamente, si massaggia le tempie.
“Che cosa hai detto?”
“Ho detto che non è colpa tua se non sei riuscita a salvare Casey.”
Casey.
Kate conclude che forse aveva capito male. Scuote la testa, incredula, chiedendosi se stesse iniziando a sentire delle voci.
Fa per dire altro, si morde il labbro inferiore e si passa una mano sulla coda. Invece di trovare conforto in quel gesto così naturale, sente solo le mani andare a fuoco.
“Devo tornare a Greenwood.”
Lui l’afferra per il braccio, notando il suo sguardo sconvolto.
“No, Beckett...”
“Nella chiesa del cimitero. È l’unico modo.” Gli accarezza una guancia e poi posa anche la mano sull’altra portando il viso a pochi centimetri dal suo.
Ha bisogno di questo.
Ha bisogno di sentirsi al sicuro un’ultima volta.
“Rick, babe, chiunque sia contro di noi, vuole me. È sempre stato così fin dall’inizio di quest’indagine. Ho promesso ai genitori di Sally Robinson che avrei trovato l’assassinio della loro bambina, e intendo mantenere questa promessa.”
Lui non è dello stesso parere. Posa le mani sulle sue, trattenendo un respiro, stringendole, come avesse la sensazione di non rivederla mai più. Non vuole neanche pensare all’eventualità di non rivedere il suo viso.
“Ti uccideranno, Kate. Entrare lì dentro ti farà star male.”
“Sono pronta a correre questo rischio. Non sarei una delle migliori detective di New York se non avessi il coraggio di mettermi in gioco.”
Lei nota il suo sguardo appassito, rivolto verso il basso e lentamente toglie le mani dal suo volto.
“Non fare quella faccia, okay? Non stare in pensiero per me. Ci vediamo per cena.”
Gli stampa un bacio sulle labbra, assaporando il suo profumo, e mentre lui vorrebbe prolungare senza lasciare andare la presa, lei si stacca e corre verso l’uscita. Lo scrittore mette una mano in tasca e tira fuori la lettera estratta dall’appartamento in fiamme di Casey.
Quelle parole minacciose, che gridano guerra e nessuna speranza, lo fanno trasalire.
L’ultima cosa che percepisce è una brutta sensazione nell’aria.
 

In quella giornata ombrosa, le nuvole fungono da protezione alla chiesa del cimitero di Greenwood.
Deglutisce, ma la mano scivola sulla fondina, assicurandosi di avere un appiglio a cui rivolgersi nel caso le cose andassero male. Arrivata al maestoso portone, si rende conto che l’ingresso è bloccato, quindi non le resta che un’altra strategia: calarsi in alto per osservare meglio. Fruga nello zainetto l’occorrente per una scalata, poi guarda in alto, verso l’imponente chiesa. Non sarà il monte Everest, ma le sembra comunque una bella impresa.
Tira fuori una fune e se la stringe in vita, così che nell’arrampicata, con tanto di strumenti per una indoor. Ne aveva fatte di cose così durante i primi anni di addestramento in polizia. Nella palestra accanto al suo appartamento dove viveva, c’erano questi grossi pannelli che riproducevano le vere arrampicate sulla roccia vera. La struttura era in metallo e legno, il tipo più diffuso. Il legno era generalmente laminato, e Kate si arrampicava usando grazie al truciolato, perché meno resistente.
Adopera delle prese che a contatto con la struttura della chiesa fungono da collante. Si assicura che aderisca, così da iniziare l’arrampicata. Si fa forza tirandosi su, e cerca di pensare positivo. Un po’ di allenamento fuori dall’orario di palestra fa sempre bene al fisico.
Dopo circa mezz’ora, arrampicandosi con cura, riesce ad arrivare nella parte più alta, costituita dalla cupola. Le vetrate sono piccole e strette, una tipica costruzione gotica. Tra un vetro e l’altro ci sono delle protuberanze che vanno verso l’alto, che le permettono di scrutare meglio al suo interno, senza essere vista.
Poi li vede.
Le persone incappucciate.
Proprio come nel racconto di Don Francis.
Si muove piano, lentamente, per non farsi notare. Si sposta da una parte all’altra delle vetrata, ogni tanto controllando la fune che la tiene stretta, ed evitando, il più possibile di guardare giù – la prima regola delle arrampicate in generale.
Li conta uno ad uno. Ci sono sette persone con le tuniche nere addosso, tutti disposti intorno all’altare. Il crocefisso è stato rimesso al suo posto, questa è una cosa che la sorprende, ed è stato disposto in maniera tale da non dare l’impressione che sia stato rimosso in precedenza. Le persone abbassano la testa contemporaneamente, mentre uno di loro, probabilmente il leader della setta, alza entrambe le braccia verso l’alto.
Il tempo scorre inesorabile mentre Kate cerca di capire cosa stia succedendo. Non è esperta in queste cose.
I film dell’orrore, le sette sataniche, e altre cose dell’occulto non sono il suo forte.
Si morde il labbro maledicendo se stessa. Castle aveva ragione.
Ah, Rick! Quanto avrebbe bisogno di lui in quel momento e delle sue teorie strampalate per tirarla su di morale. Invece lei deve sempre essere la stessa Kate Beckett: fare di testa sua, accollarsi le responsabilità, per quel senso di giustizia che è innato e che proviene tutto da sua madre.
Di colpo, uno di loro alza lo sguardo verso di lei: Kate sussulta e si sbilancia all’indietro. Ci vuole una grande forza per mantenersi in equilibrio ed evitare di cadere. La fune è bella stretta in vita, quindi la scioglie di poco e si cala giù alla velocità della luce. Ottiene solo un mezzo strappo alla schiena, colpa del tonfo improvviso, ma non le interessa; la parola d’ordine è correre.
Ficca tutto nello zainetto, sentendo con un orecchio il rumore degli scarpini delle persone che dall’interno della chiesa stanno uscendo fuori. Kate inizia a corre attraverso il viale alberato per raggiungere l’ingresso del cimitero.
Si volta di tanto in tanto.
Due tizi incappucciati la stanno rincorrendo.
Si guarda avanti e indietro e poi di nuovo davanti a lei, ma trova il sentiero bloccato da un paio di altri signori incappucciati: è braccata. Non ha tempo per chiedersi come l’abbiano raggiunta; probabilmente essi conoscono il cimitero e le sue scorciatoie. Il cuore sembra esploderle, e ora che è ferma in quella posizione, un piede verso destra, uno verso sinistra, le manca il fiato.
Si guarda da una parte e poi dall’altra, cercando una via di fuga. Invano. Mette la mano sulla fondina, ma a cosa servirebbe sparare se non per attirare l’attenzione? E comunque, da che parte potrebbe sparare?
Le resta una sola cosa da fare.
Mostrare il distintivo.
“Fermi o sparo!”
Il cerchio si stringe intorno a lei.
Adesso viene circondata da più uomini incappucciati, che la stringono, e uno di loro tira fuori un coltello ricurvo.
Kate sussulta; è lo stesso coltello con cui Don Francis aveva ucciso quella ragazza cinquant’anni fa. Lo stesso che usano per i sacrifici.
“Tu vuoi salvare Casey così pensi di essere meno in debito per non essere riuscita a salvare tua madre la notte in cui morì.” Dice l’uomo col coltello.
Impossibile decifrare il suo volto. Il cappuccio lo copre quasi per intero. La sua voce è profonda e roca. Come fa costui a sapere quelle cose su sua madre? Perché il suo nome sta ritornando prepotentemente nella sua mente? Magari ha ragione?
Kate deve guadagnare tempo e pensare a una via di fuga, anche minima. Le gambe dondolano da una parte all’altra.
Dove potrebbe fuggire?
“Come ti permetti di dirmi queste cose? Tu non mi conosci!”
“E’ facile leggere dentro le pecorelle smarrite come te, Katherine.”
Il coltello viene alzato in alto, il cerchio umano intorno a lei l’avvolge, mentre Kate lancia solo un urlo.
“Era una notte buia e tempestosa... strano come tutte le storie dell’orrore inizino in questo modo, vero, detective Beckett?”
Le nuvole passano dal grigio al nero, e un tuono fa eco nel cielo, mentre le prime gocce di pioggia iniziano a scendere sulla cittadina.

 
Le porte dell’ascensore del Dodicesimo si aprono.
Kate entra barcollando, sentendo lo sguardo degli agenti su di lei. Sa di non avere un bell’aspetto, se ne rende conto.
Lei stessa vorrebbe sapere cosa le è accaduto prima a Greenwood, e come è riuscita a sopravvivere. Soprattutto, vuole sapere perché loro, gli incappucciati, l’hanno risparmiata.
Tutti con le bocche spalancate, qualcuno se le copre per evitare di urlare, qualcun altro lancia un grido di terrore.
Kate sussurra qualcosa cercando un appoggio in qualche scrivania. Gli occhi sono macchiati di rosso, sui palmi delle mani ha due buchi rossastri, dai quali il sangue sgorga.
Da un angolino, anche Rick, Kevin e Javier fanno capolino e vedono Kate accasciarsi a terra. Le mani, posate sulla scrivania, scivolano, lasciando una scia rossa, seguendo il movimento fulmineo delle gambe, che crollano sotto il peso del corpo, che all’apparenza non presenta alcuna ferita. Dietro di loro, la Gates, con lo sguardo più terrificante che abbia mai avuto.
Rick si fa spazio tra gli agenti incuriositi e preoccupati, e soccorre Kate rigirandola.
Lei è ancora viva, di questo ne è certo. Le stringe una mano, macchiandosi di sangue, vedendo il buco profondo inferto su entrambe. Sta piangendo. Ma sono lacrime di sangue. Il contorno degli occhi è di un rosso sangue.
Rick alza lo sguardo verso i due detective e colleghi, come se cercasse una conferma sulle ferite.
Javier e Kevin scuotono le teste, non comprendendo cosa sia successo alla donna accasciata e sofferente davanti a loro.
Poi, riesce a dire qualche parola, lentamente, scegliendo con cura ciò che vuole dire.
“Castle... che... mi... sta... succedendo?”
“Kate cos’hai? Come te le sei procurate queste ferite?” le dice, indicandole entrambe le mani.
Lei deglutisce, e alla vista del suo stesso sangue sussulta e ha un dejà vu con quanto accadde qualche anno fa, quando una pallottola le attraversò il petto, lasciandola inerme. Chiude gli occhi per tornare a quel ricordo, come volesse appigliarsi a qualcosa. Rick la scuote e chiama più volte il suo nome.
Ha paura di perderla.
La brutta sensazione che ha avuto quel giorno, si è avverata.
“Non riuscirete a salvarla, mia cara detective e mio caro scrittore.”
Il contenuto di quella lettera agghiacciante era un campanello d’allarme.
Non dovevano immischiarsi nell’omicidio di Sally Robinson.
Non dovevano proteggere Casey.
Non dovevano entrare più in quella chiesa.
Non dovevano mettere piede a Greenwood.
E ora hanno quel che si meritano. Tanta sofferenza. Da pagare col sangue.
Kate stringe le mani insanguinate alle sue, distogliendolo dai suoi pensieri. Sentendo il respiro venire meno, riesce però a raggiungere il suo orecchio, con il viso vicino al suo, e sussurrargli, “Aiuto... aiutami... Rick.”


Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
Come detto nel precedente capitolo, da questa settimana doppio aggiornamento, siete avvisate! :p
Le cose hanno preso una piega inaspettata... Kate e la sua voglia di fare giustizia hanno solo peggiorato le cose...
Eppure Rick ha avuto quel presentimento per tutto il tempo! Che ne sarà di Kate? Cosa le sta succedendo?
Lo scopriremo nel prossimo capitolo di questa storia, se avete la forza di seguirla, perché mi rendo conto che le tematiche sono forti e sto facendo del mio meglio per renderle credibili.
Un grazie ai lettori silenziosi e a chi si "fa sentire" lasciando un commentino.
Io e la mia mente malata ringraziamo *-*
D.
   
 
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