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Autore: Il Cavaliere Nero    29/07/2014    10 recensioni
Shinichi Kudo è famosissimo: il più giovane detective, un curriculm che vanta il maggior numero di casi- rapidamente!- risolti. Per la sua consapevole abilità, e talvolta saccente professionalità, parte della polizia lo applaude e lo stima; l’altra metà, per la stessa ragione, lo ostacola nascondendosi dietro una finta esaltazione di rigorismo, che è in realtà qualunquismo.

“Tu…sei, sei stato in centrale oggi?”
“Sì. Ma sai, non mi sono fermato lì con loro, non sono soliti parlare benissimo di me."
In quella dichiarazione di consapevolezza, in lui tornò a dominare il detective orgoglioso e sicuro di sé, distaccato e persino un po’ scontroso.
"Tu...sai che..."
"Mph, credi che io viva sulle nuvole? Dicono che io sia ancora più arrogante da quando sono amico suo. Un mese fa ero un eroe, ora improvvisamente uno sbruffone. Come si spiega quest'incoerenza? Io sono sempre io. Sono sempre stato un eroe, sarò sempre uno sbruffone. Purchè scelgano. Sono lo stesso di un mese fa, non c'è nulla di diverso in me."

Ran apprezza i suoi metodi, totalmente distanti da quelli di suo padre. Ma li apprezzerà anche quando ne verrà travolta?
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Sesto – Nubi all’orizzonte
 

«Squassa Eros
l'animo mio, come il vento
sui monti
che investe le querce.
»
Saffo


 

Ed eccolo lì, come aveva promesso, a bussare alla sua porta.
Era arrivato quando, fortuitamente, suo padre non era a casa; il suo telefonino aveva squillato e lei, visto il numero privato, non aveva lontanamente pensato a lui:
“Sonoko! Non ho intenzione di ripeterti quel che da questa mattina a scuola ho continuato a dirti sino alla sfinimento. Ieri sera non è successo nulla, la capisci questa parola? Nulla! Perciò smettila.”
“Davvero per te è nulla?” una voce suadente e profonda la rimbeccò dall’altra parte della cornetta.
“Sh-Shinichi!”
-Perché non mi ha interrotto prima?- si chiese retoricamente.
“Per me invece è stato molto…” proseguì, con tono di voce fermo.
“Co-cosa c’è?”
“Scendi! Sono qui sotto.”
“Ti apro la porta, sali!” si ritrovò a dirgli, senza pensare.
“Ma no, ma no; meglio che sia tu a scendere in strada.” Le replicò, stranamente elusivo. Lei non ne afferrò subito il motivo, credette forse che fosse imputabile al timore che suo padre rientrasse e lo trovasse in casa sua; d’altronde sospettandolo complice di quei rapinatori, la probabile ed intuibile reazione di Kogoro non sarebbe stata delle migliori. Afferrò la giacca –che appena rincasata aveva provveduto a stirare nella convinzione che, se non fosse venuto a riprendersela, gliel’avrebbe personalmente restituita- e si fiondò in strada; prese la via delle scale, poi si arrestò di scatto, rischiando di piombare a terra per l’attrito. Tornò rapidamente indietro e si specchiò nella vetrina della porta: si aggiustò i capelli, e si lisciò la maglietta con la mano perché non fosse troppo stropicciata. Poi, dopo un rapido accenno del capo che valesse dal consenso al suo riflesso sul vetro trasparente, riprese le scale e scese.
Messo piede fuori, sul marciapiede, lo vide: appoggiato contro la colonna di marmo che segnava l’ingresso del Poirot, il bar che la famiglia Mouri aveva come vicino di casa al piano di sotto.
“Ecco la tua giacca, ti ringrazio molto per ieri!” non gli diede il tempo di parlare, preda di un insolito imbarazzo; ogni qual volta le pareva di aver superato lo scoglio della timidezza e di essere a buon punto, ecco che senza motivo la voce le tremava e il pensiero le si offuscava; dalla bocca non le uscivano che frasi scontate o di senso tutt’altro che compiuto, affermazioni strani e bambinesche, tutto fuorché eleganti giochi di parole o maliziose allusioni che potessero intrigarlo.
Non era una donna, si rimproverava, e non riusciva a stare tra la gente in maniera normale; o quanto meno, non tra la gente che le piaceva, e non nel modo che lei desiderava. Le sarebbe piaciuto comunicare un’immagine di sé completamente diversa da quella che, ne era certa, esprimeva quando era al centro dell’attenzione, che l’interlocutore fosse uno o che fossero cento; voleva essere spigliata, e invece s’ingarbugliava nella prima parola pronunciata, anche se aveva ripetuto il discorso sino a cinque secondi prima, per volte innumerevoli; voleva avere uno sguardo che parlasse per lei, e invece lo teneva, spontaneamente, quasi sempre basso, come timorosa che i suoi occhi scorgessero qualcosa senza permesso; non capiva che il connubio di quelle caratteristiche comunicavano un atteggiamento estremamente dolce, e pacato. Comunicava l’idea di una persona tranquilla, e tanto sicura di sé da non curarsi degli altri; una ragazza gentile che non voleva apparire, stra apparire; talvolta quell’immagine di lei le andava bene. Ma quel giorno no; mai come allora desiderò essere più decisa, autoritaria e persino frivola, un po’ come quell’attrice che era uscita dalla porta di Villa Kudo qualche giorno prima. Agli occhi di Shinichi voleva manifestarsi come una femme fatale , e sempre accadeva qualcosa che le conferiva le sembianze, piuttosto, di una goffa karateka che sa lanciare colpi ma non sa camminare sui tacchi.
“Oh, che efficienza. Grazie, Ran.” Nonostante la frase fosse semplice e quasi banale, la pronunciò con un tono tale ed un’espressione del volto che parve aver pronunciata una grande massima.
E’ tutta una questione d’atteggiamento, le aveva sempre detto Sonoko, che di lei si atteggiava di gran lunga meglio.
“Io non sono spigliata come te, Sonoko!” la rimbeccava lei, e la risposta che riceveva era colma di tenerezza:
“Oh, Ran, ma lo so…!”
Non rispose nulla, improvvisamente rattristita dai suoi limiti, che allora nella sua mente stavano assumendo dimensioni gigantesche.
Dimenticò di essere davanti ad un detective; un ottimo detective.
Afferrò la giacca e cercò di guardarla negli occhi, ma non ci riuscì dal momento che lei li teneva bassa, pudica.
Perciò si avvicinò a lei un po’, ma ancora Ran non reagì. Ma neppure fece per tornare a casa.
Quindi parlò:
“Qual è il problema, Ran?”
Il modo con cui pronunciava il suo nome…tutte le volte che capitava, lei sussultava. Come se fosse la prima volta che sentiva la voce di lui articolare quel suono, che mai avrebbe creduto possibile di sentire.
Mordendosi un labbro, scosse la testa.
“Nulla!”
“Oh, e invece sì. Dimmi, cosa c’è?”
Tacque per un paio di istanti; quindi:
“Da cosa l’hai capito?”
“Sono un investigatore, Ran. Se si tratta di come stai, lo capisco dal tono della tua voce…”*
Lei sorrise, arrossendo sulle gote. Fece spallucce, stringendosi nelle spalle.
“Non c’è niente, ti ringrazio. Mi sono solo…svegliata di cattivo umore.”
Per tutta risposta lui si sedette sul primo gradino che conduceva all’agenzia investigativa Mouri, senza aggiungere nient’altro. Seppur incuriosita anche lei fece lo stesso, in silenzio.
Rimasero così per un po’, lui che la scrutava e lei che si reggeva le gambe con le mani.
Lui esordì, d’un tratto:
“Devi imparare ad essere debole.”
“Mhm?” finalmente sollevò gli occhi, fissandoli nei suoi.
“So bene quanto sia difficile esserlo. Ammiro la tua autonomia e la tua determinazione, ieri sera hai dimostrato una forza d’animo che mi ha impressionato molto. Sei forte, e non parlo soltanto di forza fisica, che in te è comunque indubbia. Ma devi anche essere debole. Con qualcuno devi essere debole, alla fine. Puoi tirare questa molla, e tirarla ancora, ma arriverà il momento in cui invece di allungarsi si frantumerà: non procedere per forza di inerzia ed accumulazione, procedi per te stesso.”
Fece per rispondere qualcosa ma la bloccò sul nascere:
“Non ti sto dicendo di abbandonarti senza riserve alle tue peggiore paure, sarebbe un consiglio sciocco. Le paura vanno combattute. Ma se non ne prendi coscienza, contro cosa lotterai? Come puoi uccidere un dragone se prima non lo vedi? Individua qualcuno che non approfitterà di vederti a nudo e sii debole.”
“…e tu?” replicò Ran: non si accorse che, quando tornava a suo agio, era dotata di notevole acume, e sagace ironia. Se lo avesse capito, si sarebbe tirata su di morale; e avrebbe avuto un po’ più stima di sé.
“Dai per scontato che io abbia paure. Io non sono spaventato da nulla!” si aspettava una risposta del genere, conoscendolo. E lo conosceva molto bene. Aspettò un po’ e quella replica non arrivò; allora si voltò nuovamente a guardarlo e si accorse che la stava fissando con una strana espressione in volto.
Il sorriso un po’ malinconico che le concesse come risposta fu molto eloquente, seppur sorprendente, allo stesso tempo; ne rimase quasi scottata, e distolse immediatamente lo sguardo. Mentre si scrutava le punte dei piedi
“Come?” domandò, semplicemente lui.
“Eh?”
“Tu come faresti ad essere debole?”
“Io…mi fiderei del mio intuito. Mi suggerisce quando una persona è buona oppure cattiva, no? Potrà suggerirmi anche di chi fidarmi.”
“A me lo ha già suggerito.” Le rivelò, rispondendo in ritardo alla domanda di lei.
 “So che…so che non approfitterà delle mie debolezze. Ma non so come potrebbe reagire di fronte ad esse.”
Ran lo fissò con sguardo interrogativo e lui, tornando a fissarsi le mani, le sfregò tra loro prima di aggiungere:
“Non c’è nessuno con cui io sia sempre e completamente me stesso. Sono un investigatore saccente, sbruffone, snob. E’ vero…ma sono anche altre cose, e queste cose non renderebbero molto onore alla mia immagine, all’immagine che voglio dare di me.”
Quella somiglianza introspettiva la stupì.
Esitò ancora: “Sono…” e tacque.
“Sei caparbio, tenace, fiero.” Gli disse Ran, dando finalmente voce ai pensieri che per mesi e mesi aveva nutrito in sé davanti alla tv o alla radio.
“Sei lava incandescente che travolge con impeto qualunque cosa trovi sulla sua via. E sei…” arrossì, grattandosi una guancia con l’indice: “…carismatico e affascinante.”
Shinichi la stette ad ascoltare con un’espressione divertita a illuminargli il volto, e quando ebbe finito di parlare si morse una guancia dall’interno della bocca.
“Mhm…” disse solo, non staccandole gli occhi di dosso.
“Chiunque ti conosca almeno un po’ sa che sei questo, e molto di più. E se il tuo intuito ti suggerisce di metterti a nudo con lui, o lei che sia…” si affrettò a mostrarsi disinvolta, ma lui subito comprese l’allusione:
“Non stavo parlando di Hidemi.” Ridacchiò. “Ti ho già detto che noi non siamo…”
“Chiunque sia…” lo interruppe come per non dare importanza a quella rivelazione “…è sicuramente qualcuno che conosci da un po’, e bene, se vuoi fidarti di lui. Perciò…”
“In realtà è effettivamente una lei.” La interruppe ancora, seccandola.
“Vai, allora.” Provò a fare l’amica, desiderando in ogni maniera di vederlo di nuovo se stesso. Quell’atteggiamento mogio non gli si confaceva affatto “E dille che sei anche…”
“Sono anche un amico preoccupato.” Disse in un sol fiato come in un incontrollabile atto liberatorio. “Un amico preoccupato per un amico.”
“Con chi è che vuoi metterti a nudo, Shinichi?” le brillarono gli occhi quando le attraversò la mente l’idea che, forse, la persona con cui voleva davvero essere se stesso…
“Con te.” Soffiò, abbassando gli occhi per qualche secondo come per prendere la forza per poterla di nuovo scrutare in volto:
“Continuerai a pensare che sono il numero uno quando ti dirò chi sono davvero?”
Ran rimase molto colpita da quella domanda: allora lui sapeva! Aveva sempre saputo il suo debole per lui? Oppure si riferiva alla lealtà dimostrata il giorno prima? La sua espressione dubbiosa gli fece capire di avere forse, parlato troppo. Se ne pentì; poi pensò che anche quello era lui, e decise di proseguire:
“Non vorrei che … cambiassi idea su di me.”
Ran lo fissò con attenzione: si stava pavoneggiando come al solito?
Ci impiegò un istante per capirlo: no. Era sincero. E la fissava in un modo che…
Senza quasi rendersene conto si avvicinò a lui, un turbinio di pensieri capaci di ridursi in uno:
“Vuoi essere debole con me, Shinichi?”
I suoi occhi furono attraversati da un lampo di resa.
Ma durò per pochi secondi; vide chiaramente nel suo volto il momento in cui lui desiderò abbandonarsi; ma distinse anche chiaramente l’istante in cui decise che, no, non si sarebbe abbandonato.
“Avevamo detto mettersi a nudo!” sviò l’argomento, il sorriso malizioso: “E’ un po’ diverso…”
Avvampò, compresa l’allusione. Piccata da quel repentino cambio d’umore, si lasciò sfuggire:
“Hidemi va benissimo per metterti a nudo!” quindi si alzò di scatto, gelosa di lui, di lei, di loro, dell’immagine che aveva ancora stampata in mente da quattro giorni.
Shinichi la afferrò per il polso, volendola costringere a tornare seduta sul gradino accanto a lui; peccato che lei tentò di dimenarsi e, per tutta risposta, gli cadde in braccio.
Scattò sul posto, imbarazzata. E cercò immediatamente di tornare in piedi, ma lui la trattenne:
“E tu non vuoi metterti a nudo con me?” scherzò, ma quell’ombra di malizia non gli abbandonava lo sguardo.
Continuò a tenerla stretta e lei non vide altre possibilità se non incalzarlo:
“Sarebbe questa la tua debolezza? Essere ancora più audace di quanto non sei già normalmente?” alluse alle battute che da giorni le ripeteva, ma che poi lasciava cadere. Quella sera invece pareva non intenzionato ad abbandonare l’atteggiamento suadente che, tuttavia, le faceva mancare il fiato.
Lui sorrise, e non smentì del tutto:
“Non vuoi sapere cosa penso, a questo proposito.”
“Se è qualcosa di sporco, non dovrei di certo.” Si finse disinvolta, cercando di non fargli notare più di tanto l’imbarazzo. Non riuscì tuttavia a smorzare la tensione:
“Allora perché chiedermelo?”
“Non è quello che ti stavo chiedendo.” E stavolta nel suo tono di voce non potè nascondere la delusione provata quando aveva capito che no, neanche quel discorso era servito a far fidare Shinichi completamente di lei.
Ignorava che lui cercava di trattenersi; che se si fosse abbandonato davvero alle sue debolezze…
“Volevo sapere cosa ti preoccupa, e magari aiutarti a risolvere il problema.” Si issò di nuovo sulle ginocchia per alzarsi, e lui glielo permise: aveva compreso la delusione nella sua voce.  Solo quando fu in piedi, pur rimanendo lui seduto, le rispose guardandola negli occhi. Voleva la verità? Ebbene, l’avrebbe avuta.
“Mi preoccupa l’attrazione che provo per te. Se fossi stata una qualunque, probabilmente saresti già passata dal mio letto. Ma mi hai colpito profondamente, e capisco molto bene che hai un debole per me, e non so fino a che punto io possa spingermi. Perciò nel dubbio, preferisco lasciar stare. Essere debole con te significa abbandonarmi al mio istinto, no?” le rimbeccò. “ Se fossi stato debole con te, ti avrei baciata. Ti avrei baciata la sera in cui ti sei presentata alla mia porta, zuppa di pioggia, solo per avvisarmi che ero nei guai. E poi non mi sarei fermato.”
Un brivido di consapevolezza le gelò la schiena: recepì quelle parole non come avvertimento, né come minaccia di seduzione o invito a stare attenta, mantenersi cauta. Fu come una bomba a mano lasciata innescare, il gancetto disinserito che travolge tutto senza curarsi di niente.
Non pensò al domani, all’indagine, a suo padre; non pensò alle altre, alla gelosia, alla paura.
Non lo fece neanche riprendere fiato dopo quel discorso che, immediatamente, s’inginocchiò per baciarlo: gli assalì il volto, facendo scontrare violentemente le loro bocche. Lei la aprì immediatamente, decisa a rispondere in quel modo alla sua velata e implicita richiesta. Ma lui non parve convinto; le labbra chiuse, aveva serrato gli occhi ma rimaneva immobile, seduto sul gradino. L’aveva sorpreso di nuovo: le mani, come per cercare di proteggersi dal calare del suo corpo contro di lui –aveva temuto si stesse inginocchiando per dargli uno schiaffo!- erano aperte, di fronte al torace, sospese a mezz’aria come indecise.
Ran gli afferrò le spalle, prendendo a mordergli un labbro. E a quel punto anche Shinichi aprì la bocca, ricambiando dapprima il morso anziché il bacio. Colpita dalla sua foga fece per tirarsi indietro in un movimento involontario, ma lui le circondò la schiena con le mani stringendola a lui e costringendola ad approfondire quel contatto. Le diede piccoli morsi sul contorno della bocca finchè lei non gli leccò l’angolo tra le due labbra; e allora anche lui si abbandonò a se stesso e alle sue voglie, permettendo finalmente alle due lingue d’incontrarsi.
Fu un bacio impetuoso, passionale, quasi violento. Per Ran fu il sublimare di un sogno durato mesi e mesi, la concretizzazione di un percorso fatto con grande coinvolgimento: aveva apprezzato Shinichi sui giornali, l’aveva ammirato in tv e l’aveva amato dal vivo. Era tutto quello che si era sempre immaginata, il timore di averlo idealizzato o aver proiettato su di lui desideri e sogni che invece appartenevano a lei era naufragato: Shinichi era così, e basta.
Se ne era innamorata.
E lui…lui parve quasi volerle dimostrare a cosa sarebbe andata incontro se non avesse accettato la distanza che l’investigatore tentava di ristabilire.
“Continua a darmi corda, e finirai nelle mie mani” parevano essere le parole di quel bacio travolgente. Eppure, quando rimasero entrambi senza fiato, in un ultimo anelito di dolcezza lei non volle staccarsi; rimase appoggiata con il naso contro il suo, riprendendo fiato con la bocca aperta e la voglia di baciarlo ancora. Ci provò, ma lui si tirò indietro: e con tono di voce gentile e dolce, le disse:
“Grazie per essere venuta ad avvisarmi subito, ieri sera. Non me l’aspettavo…ne sono rimasto sorpreso.”
E con fare protettivo e affettuoso, le stampò un  rapido bacio a fior di labbra.
Scattò in piedi, invertendo le posizioni e portando lei a sedersi sul marmo dello scalino.
Il lavoro mi chiama!” le ammiccò, prima di volgerle le spalle e andare. Era la stessa frase con cui si era congedato da lei il giorno del loro primo incontro, entrambi se ne ricordavano. Ma quella volta volle aggiungere una precisazione non di poco conto:
“ E quel lavoro non si chiama Hidemi!”
 
§§§
 
“Per oggi è tutto, Mouri. Ti ringrazio per essere rimasto così a lungo per la deposizione, e mi dispiace sia stato necessario.” Megure chiuse con una mossa secca il rapporto sulla fallita retata del giorno prima.
Kogoro si alzò dalla poltrona di fronte la scrivania del poliziotto, e fece un cenno del capo:
“Non si preoccupi, andava fatto. Ma cos’ha deciso poi?”
“Riguardo cosa?”
“Riguardo Kudo.” S’intromise Furuya, scambiandosi un’occhiata complice con Kogoro.
“Vuole escluderlo dalle indagini?”
“Se vuole, posso seguirlo di nascosto.” Si offrì l’agente. “Non se ne accorgerà.”
Megure sospirò.
 
§§§
 
“Puoi parlare?” fu l’esordio di quella telefonata segreta.
“Sì, scusami. Io ero…impegnato.” Shinichi sorrise tra sé e sé, rifugiandosi dietro l’angolo del complesso di edifici a cui apparteneva anche l’appartamento dei Mouri. Non appena aveva sentito il telefono vibrare nella tasca interna della giacca, aveva pensato di dover correre via per rispondere; ma quel bacio l’aveva travolto, e lui aveva preferito ignorare, per qualche istante, il lavoro, le preoccupazioni, il mondo esterno. Che il suo telefonino stesse suonando non glien’era importato più molto.
“Ascoltami, Hidemi…”
“Lo so, è venuta da me. Ieri.” Aggiunse, repentino. Sollevò gli occhi; il cielo cominciava a farsi scuro, delle nubi si condensavano oltre i raggi, già deboli, del sole.
“Mi ha ragguagliato sulla situazione.”
“Molto bene, così risparmieremo tempo.”
“Come vanno le cose?” si affrettò a chiedergli prima che riagganciasse.
“Mi hai appena detto che Hidemi…!”
“A te, intendo. Come ti vanno le cose?”
Un tuono si diffuse per l’aria elettrica della città già scura a causa dello smog. D’improvviso il sole era scomparso e minacciava temporale.
“Tutto a posto.”
“Davvero?”
“Certo, non preoccuparti. Anzi, volevo ringraziarti. Io…ho saputo. Ti sei messo nei guai per farlo, non è vero?”
“Non stare a preoccuparti per me, è tutto a posto. Pensa a te, piuttosto.”
“Se dovessi avere problemi…” insistette, e quindi Kudo si ritrovò a rivelare, con un mezzo sorrisetto:
“Non avrò problemi. Ho trovato un’alleata inaspettata.”
“Ah, sì?” lo sfottè con tono ironico “Una donna, eh? Strano. Non piaci per niente alle donne, eh, piccoletto?”
Shinichi rise, poi tornò repentinamente serio:
“Fai attenzione.”
“Puah. Piuttosto, visto che hai parlato con Hidemi, ti dirò una cosa soltanto. Ho un nome per te.”
 
§§§
 
“Se ne accorgerà eccome, invece.” Replicò l’ispettore, afferrando il dossier per inserirlo nella sua cartella.
“E’ bravo. Molto più bravo di quanto si possa credere. Non ho ancora deciso come agire.” E senza aggiungere altro, fece capire ai due uomini che erano congedati.
Fuori dal suo ufficio, Mouri si sentì libero di esprimere il suo dissenso:
“Perché l’ispettore si pone questi problemi?”
“Suppongo sia preoccupato, e molto.” Rispose l’agente Furuya, comprensivo “Ikari…lui è potentissimo. Con uno schioccare di dita può sottrarci l’indagine e noi non potremmo fare più nulla; comanda lui, e noi dobbiamo muoverci con attenzione. Probabilmente, teme che se Kudo si insospettisse, avvertirebbe immediatamente il capoquestore.”
 
§§§
 
Ripose il telefono in tasca, e sollevò la giacca che Ran gli aveva restituito –era possibile che fosse addirittura profumata? L’aveva forse lavata?- sopra la testa per proteggersi dalle prime gocce di pioggia, preludio di un poderoso acquazzone.
Negli ultimi tempi, non faceva che piovere; che fosse un segno del destino?
Shinichi non credeva al destino. Eppure poteva quasi sembrare che il cielo piangesse per la cattiveria degli uomini.
-Sospettavo qualcosa, in effetti. – Ragionò sugli argomenti di quella chiamata, mentre di fretta correva verso casa.
-Ma temevo di sbagliarmi.-
Assottigliò gli occhi, incurante del fango che gli sporcava le scarpe.
-Devo elaborare un piano d’azione…Anche se… ho già in mente qualcosa.-
 
 
 
 
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Precisazioni d’autrice:
 
Sono un investigatore, Ran. Se si tratta di come stai, lo capisco dal tono della tua voce…: Lo dice davvero. Nell’episodio Il Diplomatico.
Ichi-chan: è un’abbreviazione del nome di Shinichi, che a primo acchitto può risultare affettuosa e giocosa. In realtà qui viene usata dal suo interlocutore con un altro scopo: Ichi in giapponese significa numero uno. L’appellativo dunque è qualcosa come: Signor numero uno.

§§§

Note d'autrice:
Perdonatemi il grande ritardo, sto di nuovo percorrendo una cattiva strada, vero? xD Cado nei vecchi difetti :'(
Non so se ad Agosto farò in tempo a postare, ma non credo :( Diciamo che definisco preventivamente questo sesto capitolo un regalo di buone vacanze, con l'augurio di risentirci a settembre.
Ringrazio ancora molto, anzi moltissimo, chi ha recensito, chi ha inserito la fic tra preferite, seguite e che più ne ha più ne metta.
Grazie di cuore dalla vostra Cavy!

   
 
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