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Autore: Ilaria_mm_    30/07/2014    0 recensioni
Era solo una bugia? Se quello che avevamo era vero, come può stare bene? Perché io non sto per niente bene.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ashton Irwin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ashton non era uscito dalla sua cameretta per giorni interi.
La madre ogni giorno, alle otto del mattino, entrava in camera, lo guardava sdraiato a stella sul letto, sopra le coperte. Sveglio. Andava verso la scrivania, ci appoggiava il vassoio con sopra qualsiasi forma di cibo e poi se ne andava al lavoro.
Al pomeriggio pregava gli altri suoi due figli di non disturbare il maggiore in camera, poi, verso le sette di sera, rientrava in camera e lo vedeva nella stessa identica posizione in cui l’aveva lasciato, prendeva il vassoio ancora pieno e usciva mentre una lacrima le rigava il viso.
Non aveva mai visto il figlio stare così male e non sapeva cosa fare. Le sue amiche le avevano consigliato psicologi o, addirittura, psichiatri, ma lei non voleva mandare suo figlio da uno strizzacervelli, solo perché stava imparando a gestire una brutta emozione.
Solo dopo una settimana, entrando in casa, vide suo figlio in piedi, in mezzo alla cucina. Aveva addosso solo i boxer ed era dimagrito troppo, era sciupato. La barbetta incolta adolescenziale gli marcava il viso stanco, le occhiaie erano inevitabilmente presenti e gli occhi erano gonfi dal pianto e assenti; stava fissando un punto nel vuoto che la madre non riusciva a decifrare e poi, appena la donna gli mise la mano sulla spalla, lui, col movimento più veloce che aveva compiuto in quella settimana, camminò verso la sua camera, chiudendo appena la porta.
La donna se ne stava seduta in cucina, dove poco prima aveva incontrato Ashton e ragionò sul fatto che non riusciva più a vederlo in quello stato, ma, non fece in tempo ad elaborare una qualunque ramanzina o predica, che vide il figlio uscire dalla stanza con un maglione e un paio di jeans, decisamente troppo pesanti per quel Luglio soffocante, il quale cercava le sue chiavi sul tavolino di fianco alla porta.
‘Fa caldo per il maglione, Ash.’ Provò lei.
‘Ho freddo dentro!’ esclamò allora il ragazzo, causando il pianto della madre, che però non poteva sentire, essendo già uscito dallo stabile.
 
Ashton aveva appena parcheggiato la macchina davanti a casa di Taylor, oramai era buio e aveva notato che nella cameretta della ragazza la luce era accesa.
Spegnendo la macchina, appoggiò la testa al sedile e si portò le mani sugli occhi, strofinandoseli lentamente; in quel momento di nero, le strane forme, che si creano quando gli occhi sono sottoposti a tale movimento, assunsero la forma di quell’immagine che il biondo si sognava anche di notte, che non voleva uscire dalla sua mente. Per quello la vide, per l’ennesima volta, avvicinarsi, socchiudendo appena gli occhi e baciarlo velocemente, sussurrando il ‘mi dispiace’ più malinconico che il ragazzo avesse mai sentito.
Ma lui ancora se lo ricorda il sapore di quel bacio. Le labbra di lei erano rosse e gonfie, gli occhi lucidi e il mascara colato che non la rendeva meno bella ai suoi occhi; non lo avrebbe mai definito un bacio amaro, anche se le lacrime non l’avevano addolcito. Quelle labbra non le avrebbe mai volute lasciare, eppure se n’erano andate, lasciandolo solo, a piangere per la prima volta nella sua vita.
Dopo qualche minuto passato a osservare il nulla, accese la macchina e ripercorse la strada per tornare a casa.
 
Non dormiva da parecchio, si era limitato a pensare e a piangere, aveva pronunciato solamente quelle tre parole a sua madre, perché, per il resto, non aveva mai parlato e neanche mangiato, ora che ci pensava.
Erano le tre del mattino e quel silenzio gli ricordò di aver tenuto spento il cellulare per tutti quei giorni.
A lui non era passata, come dicevano i suoi amici.
Era innamorato di lei dalla terza elementare e non aveva mai smesso, neanche ora che l’aveva lasciato solo, neanche ora che aveva diciassette anni, come poteva passargli?
Il temporale di quella notte fungeva da colonna sonora a quel triste avvenimento, dove Ashton, accendendo il cellulare, notò solo pochi, pochissimi messaggi.
I tre mittenti erano: Zayn, il suo migliore amico; suo padre, col quale aveva sempre avuto un pessimo rapporto e, infine, il gestore telefonico.
Decise di aprire quelli lasciati dal suo amico:
 
 
 
Zayn:     17 luglio, 14.47
 
Ehi Ash, ti va di venire
a giocare alla Play oggi?
Fammi sapere.
 

 
Zayn:     17 luglio, 15.04
 
Guarda che se rispondi
non mi offendo.

 
Zayn:     19 luglio, 18.03
 
Ash, sono al cinema con Harry,
Louis e Calum.
Vuoi venire?
 
 
Zayn:     19 luglio, 18.21
 
Ok credo di no.
Si può sapere che
ti è successo?
 

Zayn:     20 luglio, 00.05
 
Ash, abbiamo visto
Luke con Taylor
che rideva  e scherzava,
non è quello che ti sta sul cazzo?
 
 
Zayn:     21 luglio, 13.08
 
Mi ha chiamato tua madre.
Avevo capito stessi male,
ma mi ha  pregato di non
venire a casa tua e di non
disturbarti.
Ti prego rispondi.
 

Zayn:     22 luglio, 01.15
 
Ho capito cos’è successo amico,
mi dispiace.
 

Zayn:     22 luglio, 16.44
 
Domani verrò a casa tua.
Fanculo.

 
 
Domani, pensò il biondo, è oggi.
Ma poi i suoi pensieri volarono dritti alla ragazza per cui era ridotto così: Sta davvero bene? Non si sente sola anche se lui è affianco a lei? Perché io con cento persone nella mia stessa stanza, mi sentirei comunque dannatamente solo.
Poi prese a sfogliare la galleria nel suo telefono, trovandoci solo foto sue e pensava ancora: Era solo una bugia? Se quello che avevamo era vero, come può stare bene? Perché io non sto per niente bene.
 
 
*                           *                           *
 
La routine non era cambiata nemmeno quel giorno: sua madre gli portava la colazione, la poggiava sulla scrivania e se ne andava.
 
Quella mattina però sua madre tentò nell’osservarlo un pochino di più; si era appoggiata sullo stipite bianco della porta e fissava ogni suo movimento, anche se
consisteva nella chiusura e riapertura delle palpebre e nel movimento della cassa toracica per il respiro.
Quella donna scrutava suo figlio, tentando di capire cosa fosse successo; ma poi rinunciò e si chiuse la porta alle spalle.
 
Qualche ora dopo qualcuno suonò il citofono, ma il biondo non sentiva nemmeno i lampi di quello strano cielo di fine luglio, figuriamoci un semplice campanello.
Non sentì, ne vide, una figura amica entrare nella sua stanza rumorosamente, e ci volle più di qualche secondo per notare che la stessa figura che era entrata lo stava strattonando, così: ‘Ah ciao’ Soffiò con un filo di voce.
‘Amico stai uno schifo.’ Osservò il ragazzo dai capelli mori.
Zayn effettivamente non aveva torto: sempre più magro, sempre più sciupato; il viso sempre più scavato, le occhiaie presenti e gli occhi gonfi di un pianto vivo.
Ashton non rispose a questa specie di provocazione, osservò la sua cameretta però,in ordine come non lo era mai stata, forse perché non l’aveva nemmeno toccata dall’ultima volta che la madre l’aveva messa in ordine; poi guardò Zayn che si era seduto sul letto e stava parlottando di chissà cosa che il biondo non riusciva a sentire.
Il moro si era accorto che stava parlando solo per sé, quindi, con un movimento svelto della mano, cercò di riportare l’amico al presente.
‘Hai voglia di spiegarmi cos’è successo?’ chiese poi serio, appena ottenuta l’attenzione di Ashton.
Ma lui era rimasto zitto, voleva parlare, voleva sfogarsi col suo migliore amico, ma qualcosa nel suo cervello glielo impediva.
‘Va bene –si arrese quindi Zayn – mangia un po’ però, sembri un cadavere.’
L’ospite quindi si alzò, prese un po’ di pane dal vassoio che sua madre aveva lasciato al solito posto e quasi con forza gli dovette aprire la bocca.
Il biondo masticò con lentezza ma, appena deglutì un pezzo di quel pane a fette, corse nel bagno della sua stanza a vomitare.
‘Non puoi continuare così.’ Lo rimproverò l’amico, appena l’altro uscì dal bagno.
Non era la prima volta che vomitava.
‘Ash –cominciò di nuovo l’unico interlocutore, appoggiando la mano sulla spalla dell’amico– ti prego, raccontami cos’è successo con Taylor.’
Ma il ragazzo, a quel nome, cominciò a piangere, così, Zayn, lo abbracciò istintivamente.
‘Vorrei svegliarmi e dimenticarmi di tutto Zayn, dimenticarmi di quelle stupide piccole cose, come quando mi addormentavo di fianco a lei e-’ ma non finì la frase, perché ricominciò a piangere, sulla spalla del suo migliore amico.
Erano le prime parole sull’accaduto che pronunciava a voce alta ed il moro era contento le avesse dette a lui.
 
Erano passate due ore oramai e Zayn, oltre ad aver finito la colazione che l’amico non voleva neanche toccare, era riuscito a far parlare Ashton.
‘Ti lascio deprimere anche oggi ma, da domani, dovrai assolutamente uscire da questo buco.’
‘Non lo so Zaynee..’ lo ammonì, mantenendo un atteggiamento affettuoso.
‘Zaynee tua sorella –lo interruppe– domani andremo al parco degli skater, e ti allenerai.’
Lo skateboard, Ashton, lo aveva già dimenticato.
La tavola era preclusa ad una vita felice, emozione che il ragazzo non riusciva a provare.
‘Va bene –soffiò quindi– ma non ti assicuro niente!’
Il moro lo guardò dolcemente. I capelli biondi dell’amico rasentavano la presentabilità, aveva addosso dei pantaloncini grigio chiaro e una maglia bianca sporca di chissà che cosa.
‘Ash –pronunciò sua madre con un’espressione preoccupata, affacciandosi appena nella stanza– c’è una persona che ti vuole alla porta.’
Il biondo guardò l’amico con un’aria perplessa; pensò fossero Louis insieme ad Harry, esagerando Calum, ma la madre conosceva tutti e tre.
Svogliatamente si alzò dal letto e percorse la strada verso la porta d’entrata, che la madre aveva lasciato semiaperta, appoggiò la mano alla maniglia e tirò verso di sé, spostandosi appena per farla passare.
Lo sguardo basso notò un paio di scarpe che conosceva fin troppo bene, e, purtroppo, i suoi occhi non stavano mentendo: Taylor era proprio davanti a lui, le mani della ragazza si intrecciavano nervosamente e gli occhi lucidi urlavano grida di scusa, che però Ashton non ascoltò.
Gli ci vollero pochi secondi, giusti per intuire chi fosse e se stesse sognando meno, perché poi chiuse la porta blindata, senza nemmeno ascoltare, senza nemmeno guardare colei che l’aveva fatto soffrire così tanto; si voltò per ripercorrere i suoi passi verso la cameretta ma Zayn lo fermò, gli diede una pacca sulla spalla e lo accompagnò alla sua stanza.
Ashton era stanco di soffrire e il moro lo capì semplicemente guardandolo, dicendogli a sua volta che il suo migliore amico c’era.
Il suo migliore amico ci sarebbe sempre stato.
Fine.
-Spazio ‘autrice’.
Ciao ragazzi, come avrete capito questa storia gira intorno alla canzone ‘Amnesia’ che io, personalmente, trovo fantastica.
Mi dispiace non aver messo tutti e quattro i componenti della band, ma io con i personaggi ci faccio un po’ quello che voglio. Rido.
La fine è leggermente più drastica, o meglio, reale, rispetto alla canzone, in cui dice: ‘se fosse solo un sogno’ ma la vita non è così e, il nostro Ashton, ha dato una svolta alla sua.
Taylor io me l’ero immaginata coi capelli castani, lunghi e mossi, poi ho pensato che esiste la tanto amata Taylor Swift, che ha i capelli biondi e ricci, ma va beh.
Spero vi sia piaciuta, l’ho scritta in queste due notti leggermente di getto e penso sia venuta bene.
Vi lascio il mio nick di Twitter: @ilaria_mm_ (non sono molto originale, lo so)
E se volete, in precedenza ho scritto una fan fiction Larry: Is It Real?
 
Bene ho finito la pubblicità, vi auguro un buon tutto.
Baci.
Ilaria.

 
  
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