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Autore: Smaugslayer    30/07/2014    3 recensioni
Sono passati due anni da quando Sherlock ha lasciato la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts tra urla di dolore.
Di lui, John Watson conserva solo tre libri e un ricordo che si sbiadisce ogni giorno che passa. Non ha più notizie del suo migliore amico da quando è stato rinchiuso all'Ospedale di San Mungo.
Finché non se lo ritrova davanti alla prima partita di Quidditch della stagione.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cacchiata iniziale: si consiglia la lettura della fine di questo capitolo con “Dear John” di Taylor Swift di sottofondo. Come canzone a me non piace neanche tanto, però cavoli, è perfetta. Leggetevi il testo, e capirete. Stavo pensando di farla più spesso, questa cosa di abbinare i capitoli alle canzoni… e più ci penso più mi pare una bella idea, ma ditemi voi. Oh Gallifrey, devo smetterla di parlare.
 
 
“Ma chi me l’ha fatto fare?” si disperava John Watson mentre attendeva il suo migliore amico davanti al ritratto della Signora Grassa, mezzo morto di freddo, all’una di notte, il giorno di Natale.
 
“Eccoti qui.” Sherlock emerse dall’ombra. Indossava il suo solito mantello nero con il bavero alzato e una nuova sciarpa blu.
 
“Bella sciarpa.”
 
“Regalo di Molly. Non so perché l’ho messa.”
 
“Molly Hooper ti ha fatto un regalo di Natale?”
 
“Già. Allora, hai la Mappa?”
 
“Uhm, no.”
 
“Come sarebbe a dire no?”
 
“Sai, forse ho cambiato idea.”
 
“Non dire sciocchezze, se avessi cambiato idea non saresti qui ad aspettarmi.”
 
“No, non sto scherzando, e più resto qui a congelare più me ne convinco. Tu mi hai mentito, mi hai fatto stare male per quasi due anni, e ora pretendi che ti segua come un cagnolino ovunque tu vada, perché Magnussen vuole ucciderti, e bla, bla, bla. E io ti seguo, lo faccio, l’ho sempre fatto. Ma sono stanco delle tue menzogne!”
 
“Io ti ho detto la verità.”
 
“Oh, sì, l’hai fatto. E dopo quanto tempo?”
 
“John mi dispiace, mi dispiace! Mi dispiace. Ti prometto che d’ora in poi… sarò un amico migliore. E se vorrai lasciarmi, per favore, fallo dopo stanotte.”
 
“Comunque la Mappa non ce l’ho” sospirò John.
 
“Non puoi andare a prenderla?”
 
“Questo pomeriggio volevo provarla e, uhm, ci stavo andando in giro e Gazza mi ha visto e me l’ha confiscata?”
 
“Ha preso la Mappa?”
 
“Sì, ma non ha capito che era magica, perché l’ho richiusa vedendolo arrivare. Stavo controllando un'altra cosa e non me n’ero accorto… così me l’ha confiscata perché gli sembrava della pergamena sospetta. Parole sue. Sai com’è fatto.”
 
“Poteva andarti peggio… Peccato, poteva tornarci utile. Andiamo.”
 
Uno dei lati positivi di avere Hogwarts semivuota per le vacanze di Natale era che ci si poteva sedere a qualsiasi tavolo: cosa che infatti Sherlock aveva fatto, quel 24 dicembre. Per un po’ lui e John avevano mangiato fianco a fianco senza proferire parola.
 
“Stasera” aveva infine detto il Corvonero, e lo stomaco di John si era contratto.
 
Stasera?
 
“Stasera. Magnussen non c’è, è tornato a Londra. Ci introduciamo nel suo ufficio, frughiamo tra le sue carte, lo ricattiamo, lo mandiamo a nascondersi in qualche tana di coniglio.”
 
“Aspetta, prima dovremmo essere certi che sia stato lui, avere delle prove che ha voluto ucciderti.”
 
John aveva lasciato all’altro il tempo (infinitesimale) di rimuginarci su. “Giusto, come ho fatto a non pensarci? Sono un idiota. Se si scoprisse che ha ammazzato uno studente lo scandalo sarebbe pubblico, verrebbe screditato su scala nazionale.”
 
“Ma deve essere proprio stasera? Io e Mary…”
 
“Mary ha intenzione di darti buca, comunque. Ci vediamo all’una di notte davanti alla tua Sala Comune. Porta la Mappa del Malandrino, per precauzione.”
 
L’ufficio di Magnussen si trovava al quinto piano; lo raggiunsero senza complicazioni grazie alla prodigiosa memoria del Corvonero e alla sua abilità nell’evitare la ronda. Erano pronti a tutto per entrare, sapevano che doveva essere protetto meglio di una fortezza; per l’occasione si erano ristudiati tutti gli incantesimi che potevano tornare utili.
 
Protegum revelio! Abdo sensi! Curioso. Sembra che non ci sia nulla.”
 
“Fortuna che doveva essere una fortezza inespugnabile, la porta non è nemmeno chiusa a chiave! Guarda, è solo accostata!”
 
Quello fu il primo segnale che qualcosa non andava.
 
Entrarono in una sala ampia, circolare, da cui si spalancavano altre tre porte; una scala a chiocciola conduceva al piano superiore. Alti scaffali stracolmi di libri e oggettini buffi o inquietanti erano addossati alla parete; al centro troneggiavano una scrivania di mogano e una poltrona simile a un trono foderato di velluto verde.
 
Decisero di ispezionare prima il secondo piano, composto da un lungo corridoio su cui si aprivano quattro piccole stanzette circolari. Rivoltarono ogni angolo delle prime tre senza risultati. Stavano bene attenti a rimettere tutto a posto, senza lasciare traccia del loro passaggio.
 
La quarta era l’unica sbarrata, ma non fu difficile accedervi: bastò un “Alohomora” e furono dentro. Era vuota, fatta eccezione per un imponente specchio intarsiato e lavorato.
 
John si sentì irresistibilmente attratto da esso, desiderava ammirare il proprio riflesso come mai in vita sua aveva desiderato qualcosa.
 
Si avvicinò a piccoli passi, ammirando le rifiniture e i particolari della cornice, pregustando il momento in cui si sarebbe specchiato. Quando fu a meno di mezzo metro guardò nello specchio.
Per un attimo ciò che vide fu solo il suo riflesso, come si era aspettato.
 
Da qualche parte, molto lontano, Sherlock mormorò: “Lo specchio”.
 
Poi l’immagine mutò e si ricompose lentamente.
Per prima cosa John rivide se stesso, ma con un sorriso trionfante stampato in volto, la divisa da Quidditch e una coppa scintillante tra le mani. Accanto a lui comparve Mary Morstan –o forse c’era sempre stata? con i capelli biondi mossi dal vento, che gli saltava al collo e lo abbracciava stretto. Non udiva alcun suono, ma avrebbe potuto giurare che lei stesse urlando “Ce l’hai fatta, John, avete vinto!”. Clarisse Weasley, invece, gli saltò sulle spalle arruffandogli i capelli con il pugno chiuso. Charlie Weasley gli strinse la mano e gli diede una pacca sulla schiena. In breve si avvicinarono tutti gli altri membri della squadra, e tutti lo strattonavano e lo abbracciavano e si congratulavano.
 
E infine giunse lui, Sherlock. Tutti si facevano da parte al suo passaggio, si addossavano confusamente ai margini dello specchio. Sherlock lo abbracciò tanto violentemente che i loro sterni cozzarono dolorosamente l’uno contro l’altro. John poteva sentirlo sussurrare: “Complimenti. Mi hai battuto. Meriti un premio…
 
“John?” chiamò il vero Sherlock.
 
Sussultando lui si voltò, arrossendo nel sentire il proprio nome pronunciato con tanta enfasi.
 
“Tu… tu vedi quello che vedo io?” domandò.
 
“Cosa vedi?”
 
“Noi sul, uhm, campo da Quidditch. Ho appena vinto il campionato.”
 
“Questo è lo Specchio delle Brame, senza dubbio. Non capisco…”
 
“Sherlock Holmes non capisce qualcosa? Domani nevica.”
 
“Dalle tre di questa notte alle nove di domattina con temperature dai meno venti ai meno dieci gradi, ma non è questo il punto. Degli innumerevoli desideri che ognuno di noi ha, lo Specchio delle Brame proietta il più profondo e recondito di ciascuno. Io però… non vedo niente, solo la nostra immagine riflessa.”
 
“Significa che non hai desideri?”
 
“No! …O almeno lo credevo. Non capisco.”
 
John prese il controllo della situazione: “Usciamo di qui” ordinò. “Forse è rotto o cose del genere. In ogni caso, meglio starci lontano.”
 
“Vuoi andartene? Molte persone non riescono a staccarsi da ciò che vedono, e tu vuoi addirittura andartene. Bene, andiamo.” Il ragazzo ricciuto non se lo fece ripetere due volte. A metà strada dalla porta, però, si bloccò e ritornò indietro. “Cos’hai detto di vederci?”
 
John gli scoccò un’occhiata obliqua; l’amico era immobile, rivolto verso lo Specchio. Aveva parlato con voce piatta, come in trance.
 
“Certo che resterei per sempre qui davanti” tergiversò. “Ma tu invece devi andartene, perché è evidente che qualcosa non funziona, e non io non ti abbandono per fissarmi su qualcosa che non è nemmeno reale.”
 
Sherlock inclinò lievemente il capo. “Sì, dev’essere rotto. Andiamocene, e subito.”
 
La verità? Era spaventato. Se quello specchio proiettava i desideri più reconditi di ognuno, questo era ciò che lui bramava di più? La vittoria in campo sportivo, gli amici esultanti, la folla che lo acclamava? Voleva davvero questo? Si pentì di aver distolto lo sguardo: che cosa sarebbe successo, poi? Che cosa avrebbe fatto Sherlock? Non lo sapeva. Avrebbe tanto voluto, ma non lo sapeva, non con chiarezza. Era tutto molto confuso quando si trattava di lui, e ora ci si metteva in mezzo pure quello stupido specchio… l’unica cosa certa erano le persone che avrebbe voluto con sé nel proprio trionfo: i cugini Weasley, sempre pronti a dargli un pugno sul braccio e ad arruffargli i capelli; la squadra di Quidditch, la sua vera famiglia lì a Hogwarts; e Mary, che per anni gli era rimasta vicina e ora, tutt’ad un tratto, era divenuta la persona più importante di tutte. I suoi amici. E Sherlock.
 
C’era del movimento al piano di sotto, si sentivano dei passi e il fruscio della carta.
 
A Londra, eh? E adesso che cosa facciamo?
 
“Resta qui, io vado a controllare” bisbigliò Sherlock.
 
“No, vengo con te.”
 
“Resta esattamente dove sei e non discutere.”
 
John si sedette con la schiena al muro, maledicendo la capacità di persuasione del proprio migliore amico. Bastava un “non discutere” detto con quella voce profonda e baritonale, e nessuno discuteva più.
 
Si pentiva di aver distolto lo sguardo dallo Specchio: che cosa sarebbe successo, poi? Che cosa avrebbe fatto Sherlock? Non lo sapeva. Avrebbe tanto voluto, ma non lo sapeva, non con chiarezza. Era tutto molto confuso quando si trattava di lui, e ora ci si metteva in mezzo pure quello stupido specchio… l’unica cosa certa erano le persone che avrebbe voluto con sé nel proprio trionfo: i cugini Weasley, sempre pronti a dargli un pugno sul braccio e ad arruffargli i capelli; la squadra di Quidditch, la sua vera famiglia lì a Hogwarts; e Mary, che per anni gli era rimasta vicina e ora, tutt’ad un tratto, era divenuta la persona più importante di tutte. I suoi amici. E Sherlock.
 
Forse, mentre Sherlock andava a controllare di sotto, avrebbe potuto fare una capatina nella stanza dello Specchio. Giusto per vedere come andava a finire la scena…
 
Stupeficium!”
 
Un tonfo, dei passi, una porta che sbatteva.
 
Sherlock! Sherlock? Oddio, che è successo? Sherlock!”
 
***
 
“Devi parlarle.”
 
“E dirle cosa? Ehi, sai che l’altro giorno mi sono introdotto illegalmente nello studio di un professore e –ma guarda un po’- ho visto te? Oh, brillante, sul serio.”
 
“Non puoi fingere che questo non sia successo.”
 
“Hai ragione, non posso.”
 
“Allora parlale! È davvero così grave? C’eri anche tu, lì, Mary non ha fatto nulla che tu non avessi fatto prima.”
 
“L’altro giorno volevi che non le parlassi più.”
 
“Lei ti piace e non posso farci niente. Parlale. Sono passati quattro giorni.” Sherlock si sedette compostamente ai piedi del letto di John, nella sua stanza. Erano circa le quattro del pomeriggio, e in giro non c’era anima viva –alcuni fantasmi gironzolavano per i corridoi. “Senti, posso farti una domanda stupida?”
 
“Fosse la prima…”
 
“Voi due vi conoscete da tanto… perché, solo dopo tutto questo tempo avete… avete…”
 
Sembrava sinceramente incuriosito, pensò John; forse era desideroso di ampliare le proprie conoscenze in campo sentimentale. “Credo che ci sia sempre stato qualcosa” rispose dopo una pausa, “servivano solo le condizioni adatte a tirarlo fuori. Oddio, detta così suona malissimo.”
 
“Quindi le cose avrebbero potuto andare diversamente… in altre situazioni.”
 
“Suppongo di sì. È stata perlopiù lei a…”
 
“Ok, ho capito. Volevo sapere solo questo.”
 
John aveva imparato che quando Sherlock dichiarava chiuso un argomento, non era il caso di porre ulteriori questioni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Smaug’s cave
Per questo capitolo ho deciso di rifarmi più al libro che alla serie, perché avrei fatto sorgere un sacco di inutili complicazioni se Magnussen si fosse trovato lì. Nel libro, Sherlock e Watson si introducono ad Appledore e, nascosti dietro una tenda, vedono lady Smallwood che forza una cassaforte e ne preleva tutto il contenuto in documenti. È tutto così facile, nei libri…
Passando ad altro, spero che abbiate capito il nesso tra la canzone e il finale… io e le OTP di questa serie tv abbiamo seri problemi di conflittualità. Lo ammetto, non mi piace shippare chi non è canon, non lo approvo nemmeno, perché so che se non è canon c’è un motivo; sinceramente, secondo me Sherlock non dovrebbe stare con nessuno. Sarebbe davvero troppo strano… però non posso fare a meno di shippare la Adlock in “Scandalo a Belgravia”, la Sherlolly ogni volta che si parlano (e poi insomma il loro bacio –inventato, oltretutto- in “An Empty Hearse” era troppo ganzo, con lui che si scompigliava i capelli e quella musica da film d’azione di sottofondo), eccetera. Persino Janine mi stava simpatica, però con lei non l’ho mai shippato, e indovinate perché? Perché loro due, in quei dieci minuti, sono stati come una vera coppia, e la cosa mi faceva davvero ribrezzo.
Ho tenuto i Johnlock per ultimi per un motivo. Loro non si metteranno mai mai mai insieme. Non credo che quell’“expect the unexpected” significhi “expect TJLC” (che, per chi non lo sapesse, significa The John-Lock Cospiration, e sì, qualcuno ha davvero creato una sigla). E credo anche che la loro si tratti solo di bromance, ma non posso fare a meno di shipparli. È divertente, tutto qui. Se Sherlock ama qualcuno, quello è John, di questo però sono certa; lui ammira Irene, apprezza Molly, ma ama John, e con “ama” non intendo per forza un amore passionale.
 
 
 
  
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