(François de La Rochefoucauld)
L’anello
che Edward mi ha regalato sembra pesare
ancora di più al mio anulare destro.
Ma la fede, all’altra mano, sembra fare da contrappeso, e
inconsciamente
abbasso gli occhi ad ammirare quella semplice fascia d’oro
che avvolge il mio
anulare come una promessa.
Attraverso l’atrio di casa Cullen – che ora
è anche casa mia – con un po’ di
apprensione, e davvero… davvero non capisco
perché. Ho voluto io tutto questo.
E’ il
rimpianto, mi accorgo con amarezza. Questo senso di rimorso e sconfitta
che fa
pesare il mio cuore come fosse di piombo.
Ora sono una Cullen, mi dico con
fermezza. Non essere sciocca, Bella. Tu
ami Edward.
Sì, è vero, lo amo. Ma un
amore che
mi porta a fare certe scelte può essere allo stesso tempo
stupendo e terribile.
Non sono un’idiota. Ho sempre pensato che ci fosse un prezzo
da pagare.
E ora siamo… sposati. Sono talmente tanto restia da non
riuscire nemmeno a
pronunciare questa parola?
Non è che rimpianga lui,
o la scelta
del matrimonio. Per me è sempre stata una
formalità come un’altra, per lui un
bisogno. Non ci vedo nulla di male ad assecondare i suoi bisogni.
Purché lui assecondi i miei, penso.
Accidenti. Sono così confusa. Attraverso lentamente il
grande atrio fino a
poter sfiorare il pianoforte con la punta delle dita. Cauta, prendo
posto sul
seggiolino e carezzo i tasti d’ebano, freddi quasi quanto le
sue dita.
Vorrei suonare, se sapessi. Vorrei riproporre le note della mia
dolcissima
ninna nanna, perché ascoltandola so che mi calmerei, e forse
tutti i pensieri
che in questo momento formano un groviglio nella mia mente andrebbero
al loro
posto, o forse scomparirebbero e resterebbe solo l’amore
incondizionato che
nutro per lui e che mi sta uccidendo.
Lui ha mantenuto la sua promessa; ricordo così bene quel
giorno in cui pioveva
a dirotto, più forte del solito, e insieme – insieme
– ci siamo tenuti per mano e insieme ci siamo
scambiati
parole e le due fedi che in questo momento ci legano. Oltre alle promesse.
E poi, alla fine di tutto, alla fine di quella giornata, mi ha preso in
braccio
e mi ha adagiato sulle lenzuola di seta, e ha mantenuto la sua
promessa, ancora
una volta.
E’ stata una delle notti più belle della mia vita
da mortale, perché nei
sospiri e nei tocchi e negli abbracci ci siamo detti cose che abbiamo
tenuto
nascoste. E ho sofferto, guardandolo negli occhi perché
nelle sue iridi topazio
c’era sofferenza, piacere e lo sforzo di resistere ad un
aroma che lo attira
più di ogni altra cosa al mondo.
Sospiro. Ecco, quello che vorrei, adesso, è che lui scenda
da quella scalinata
di marmo, si sieda accanto a me e mi suoni la mia ninna nanna. Che mi
avvolga
tra le braccia e mi dica che va tutto bene.
Però stavolta non lo fa. So che non può sentire
i miei pensieri. Però so che può avvertire
la mia tensione e la paura che mi sta logorando, dal piano di sopra.
E lui non scende. Non so se lo faccia per delicatezza, o forse per
paura,
oppure perché mi ha capito meglio di chiunque altro, perfino
più di me stessa.
Che idiota che sono. Ho tenuto fede
al mio patto, e gli ho chiesto una cosa che in seguito, ho scoperto, mi
costerà
molta sofferenza. E lui aveva già capito tutto prima di me.
Non posso indugiare più a lungo. Il sole sta tramontando e
dalle bellissime
vetrate uno scintillio color miele irradia l’atrio come se
fosse fatto di luce.
E’ per questa notte. Non posso indugiare oltre.
Esitante,
mi
allontano dal pianoforte a coda e mi dirigo verso le scale. Le
salgo, ad una ad una, con una lentezza esasperante.
Attraverso il corridoio, finché non raggiungo la porta della
sua camera. Della nostra camera.
La tensione dentro di me è palpabile, e la cosa peggiore
è che avverto la
stessa sofferenza dall’altro lato della porta. Posso solo
immaginare quanto
stia soffrendo, forse perfino… forse perfino più
di me.
Busso piano, e senza aspettare risposta, apro.
Lui è lì, davanti alla vetrata. Sta osservando i
colori che il sole dipinge
sugli alberi della foresta, alla base dei Monti Olimpici.
Mi stupisco sempre della veduta che si gode dalla nostra camera: toglie
il
fiato, con i colori neutri del fiume Sol Duc circondati dal verde
smorto e
pallido delle piante limitrofe.
Quando sente la porta chiudersi dietro di me, si volta.
I suoi occhi sono talmente pieni di quel topazio luminoso che risaltano
nel
semibuio della camera. E sono tanto velati di un’antica
tristezza da farmi
male.
Edward sorride, finalmente, e mi si avvicina, fino a posare molto
delicatamente
le sue labbra sulle mie.
“Bella”, sussurra.
“Mmm?”.
Mi prende le mani e mi guarda in viso, con un’espressione
estremamente
preoccupata.
“Hai salutato Charlie?”.
Annuisco. “E’ stato sinceramente sorpreso di
vedermi. Forse credeva che sarei
morta di freddo. Sai com’è, in
Alaska…”, agito la mano in un gesto di noncuranza.
Stavolta non ride, non sorride nemmeno al mio gioco.
Col senno di poi, credo di non averlo ingannato nemmeno una volta.
Diceva di
non poter avvertire i miei pensieri, ma io so che avvertiva qualcosa di
diverso, di ancora più profondo. Avvertiva le mie paure, le
angosce, e cercava
di salvarmi da esse con i suoi abbracci, e le sue parole.
Finalmente fa quello che avrei voluto facesse da quando sono arrivata:
mi
abbraccia.
Non posso fare altro che inspirare il dolcissimo aroma di menta sulla
sua
camicia, e cercare di calmarmi.
“Bella… non dobbiamo farlo per
forz…”.
“Invece sì”. Lo allontano delicatamente
con le mani. Lui fa finta di non
accorgersi del fatto che sto vacillando, che mi sto arrampicando sugli
specchi,
che no, non devo farlo per forza e forse non lo voglio nemmeno.
Del resto, sono sempre stata consapevole di ciò che avrei
dovuto affrontare. Il
difficile si presenta quando dentro di te tutte le parti sono in
conflitto tra
loro, e sei consapevole del fatto che sei vuoi farne prevalere una,
devi far
soccombere l’altra. E’ una sorta di suicidio,
suppongo.
Comunque, con grande tatto, Edward si allontana per darmi il tempo di
ricompormi.
Si avvicina alla grande cassettiera di mogano accanto al letto e apre
il primo
cassetto.
Sospiro e mi siedo sul bordo del letto, sfiorando con i polpastrelli le
lenzuola di seta tra le quali abbiamo dato voce ai nostri vizi e alle
nostre
voglie.
Quando alzo lo sguardo, Edward è inginocchiato di fronte a
me, e mi porge una
scatoletta di velluto.
Evita volutamente la mia espressione stupita, e mi incita:
“Aprila”.
Con grande cautela, forzo il coperchietto per aprirla.
Su un cuscinetto di seta bianca è appoggiato –
solo appoggiato – un anello.
Sembra fatto di argento. E’ una fascia sottilissima, con in
cima una pietra
delle più belle che abbia mai visto. E’ di un blu
notte, oscura e luminosa,
circondata da scaglie di diamanti che formano una corona attorno a
quella gemma.
Lo guardo spiazzata, e non so davvero cosa dire.
Senza proferir parola, prende l’anello con una mano e la mia
mano sinistra con
l’altra. Nel silenzio più assoluto fa scivolare
delicatamente quel piccolo
pezzo di cielo e stelle sul mio anulare sinistro, sopra la fede.
E’ così leggero, mi accorgo affascinata.
“Questo”, mi sussurra all’orecchio,
“è uno zaffiro blu”.
Mi fa alzare delicatamente dal letto, sorridendo tristemente, come un
dio.
“Bella, io… ci tenevo che tu l’avessi.
L’ho visto e mi ha ricordato te. Ti
ricordi quando ti ho detto che senza di te la mia vita era una notte
senza
luna?”.
Annuii, cosa superflua, perché lui sapeva bene che io lo
ricordavo, e che avevo
conservato il ricordo di quelle parole come una delle cose
più preziose.
“Be’… tu sei la mia meteora, come questo
zaffiro; e sei stata capace di
illuminare tutto il mio cielo permettendomi di vedere anche le
stelle”. Sfiora
le scaglie di diamanti con l’indice.
Sono proprio senza parole, stavolta.
Sono imbarazzata, perché dentro di me continuo a covare
paure senza nome mentre
lui cerca di sostenere il peso di queste paure per tutti e due.
“Edward, è… stupendo”.
La mia voce però è esitante quando sussurro:
“Servirà a ricordarci la promessa
di questa notte”.
Il sorriso dolce scompare dal suo volto per lasciare posto a una
malinconia
nascosta.
Il sole è tramontato del tutto, e la penombra della stanza
si fa a mano a mano
sempre più piena di ombre.
Oramai non possiamo più rimandare, e lo sa anche lui.
“Sappi che qualunque cosa accada ti sarò vicino
sempre, anche quando non mi
vorrai”.
Chiudo gli occhi, sorridendo. Come se
fosse possibile.
Sento che con le dita fredde mi sposta i
capelli dal collo.
Quello che stiamo per fare non ha più importanza,
perché oramai non possiamo
più tornare indietro.
Non so cosa mi trattenga. Il rimpianto per la mia vita da umana, per le
esperienze che avrei potuto vivere, o semplicemente perché
sento che fra non
molto sarò solo questo: un corpo morto, animato solo dagli
istinti.
Ma so che c’è ben altro. So che
c’è molto, molto di più.
Il fatto è che sono un essere umano, e come tale non posso
fare altro che
assecondare i miei desideri e, più di tutto, le mie paure.
Francamente, non sto facendo tutto questo solo per amore.
Sì, io amo Edward;
senza di lui io non vivo.
Ma so che quest’azione disperata è in parte
dettata dalla paura.
E’ inutile girarci intorno. E la cosa che più mi
fa odiare me stessa, è che
mentre tenevo tutto questo nascosto ad Edward, lui sapeva
già tutto. Non ho
condiviso niente di tutto questo con lui, ma da sciocca non mi sono
resa conto
che lui conosce me, e conosce l’essere
umano meglio di chiunque altro.
E forse ora sta soffrendo anche più di me.
Prima di mordermi, mi bacia delicatamente la base del collo.
Quasi non sento i canini che affondano nella carne.
Sento invece ancora di più il peso di quello zaffiro, che da
leggero è
diventato un peso soffocante. Mentre accetto e
a mia volta vengo accettata nel regno degli sconfitti, penso
che quello zaffiro rappresenta questa promessa; e
rappresenta, allo stesso tempo, il suo amore, la mia paura e questo
gesto che
diventerà la mia prigione.
Perché quest’amore non può essere
dissimile: sto pagando l’eguale prezzo del
mio amore, che è tanto bello quanto terribile; le lacrime
prendono a solcarmi
il volto mentre l’altra parte, la parte di me che
più amo, quella che avverte e
sente la terra, che ama il sole e che ama se stessa, soccombe
al prezzo da pagare per un amore che ha pari
valore alla vita.
E’ il prezzo che sto pagando per il mio peccato: la mia vita.
Dopo un bel
po’ di tempo, torno a scrivere.
Quando ho riflettuto sulla situazione di Bella, nella mia mente si sono
rintanate parole e situazioni
che chiedevano di essere narrate, finché si sono unite a
formare questa.
Ho cercato di rendere il flusso dei pensieri di Bella
coerente, sebbene nella mia mente non lo fossero… Ma
ciò che più mi premeva
rappresentare era il dramma che c’è dietro a un
gesto simile; mi interessava
rappresentare la parte più umana e sincera di Bella.
Premetto che sono totalmente contraria alla vampirizzazione xD
Ma comunque… sebbene sia contraria, ho almeno provato a
scavare un po’ più a
fondo nell’introspezione di Bella, perché dietro
alcune scelte e promesse ci
sono sempre parole non dette. Non so se ci sono riuscita.
Giudicate voi.
Vostra, SunsetMoon.