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Autore: zeleny_    31/07/2014    1 recensioni
Lara è una ragazza semplice, vive di libri e volontariato, è calma, pacata, spaventata dalla vita come dalla morte, razionale ma pur sempre sognatrice. Adam è forte, determinato, senza limiti, circondato dai propri demoni, cerca a tutti i costi una solitudine che lo porta pian piano ad annientarsi da solo, a perdere i veri valori della vita. Si incontreranno e qualcosa pian piano cambierà in entrambi. Può una ragazza timida, introversa e limpida provare alcune ebbrezze della vita? Può, invece, Adam, lasciare via i propri demoni ed abbandonarsi ai sogni, alle fantasie, rendendoli realtà?
Due anime solitarie. Due anime diverse, due anime che si oppongono. La ragione e l'irrazionalità, la calma e l'adrenalina. Il sogno e la realtà. Possono scoprire di non poter far a meno l'uno dell'altra?
È la mia prima fanfiction originale, spero vi piaccia.
*Storia interrotta fino a dicembre*
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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One day.

Introduzione.
L’Inghilterra gli era sempre piaciuta, sempre, ma l'Italia era tutt'altra cosa. Era lì che lui, Adam, aveva conosciuto le persone che gli riempivano la vita ora.
Quella sera si ritrovò a pensare di fronte ad un drink super alcolico a quanto fosse fortunato, aveva dei buoni amici, donne in quantità, eppure quel vuoto da colmare era sempre lì, pronto a ucciderlo, pronto a sfinirlo. La testa gli pesava, poggiata sul poggiatesta di un divanetto, la ragazza accanto si strusciava su di lui come una gatta, ma, come spesso capitava, Adam aveva voglia di stare solo.
Lo sguardo scivolò veloce su quella folla, la discoteca era piena, la musica rimbombava. Adam voleva silenzio, Adam si sentiva solo, non sapeva dove fossero i suoi amici, Adam stava per morire: il cuore implorava sangue, i polmoni ossigeno. Si alzò, la testa in un pallone, e quando riuscì a scorgere la porta e a liberarsi della gatta morta uscì fuori. Lo stomaco gli si strinse, tanto forte da far male, il naso incominciò a sanguinare.
"La vita è brave" quella voce gli rimbombò nella testa e lui con una mano si pulì il naso sanguinate. Non sapeva neanche perché era ferito, né perché si trovava lì. La morte era vicina. A passi veloci si avvicinò all'auto e dopo essere salito stancamente riuscì a chiudersi lo sportello alle spalle, abbassare la frizione e far scivolare le ruote sull'asfalto.
Era capitato tutto velocemente: le immagini gli erano sfocate, lo sguardo si spostava da una parte all'altra, la luce arancione gli segnalava uno sportello aperto, ma lui non ci badò molto. La strada scorreva veloce, o era lui che accelerava? Sembrava vuota la strada, neanche un'auto c'era a quell'ora di notte. Il sangue sgorgava dal suo naso e una fitta lo colpì, forte, atroce.
Il cuore si fermò. Egli morì per un secondo, poi il buio.


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Capitolo 1.
“È morto” diceva qualcuno sottovoce, “È morto di overdose, quel drogato” sentivo alle mie spalle, “Un incidente” urlava una biondina piangente, appoggiata al muro. Intorno a me c’era caos. La notizia si era diffusa velocemente a scuola. Adam Olsen era morto. Deceduto a soli diciannove anni.
Camminavo a passo svelto, attraversando il corridoio quasi vuoto. Le poche persone che c’erano avevano tutte lo sguardo assonnato, vuoto. Sorrisi, avevo fatto bene a non partecipare alla festa di Carolina la sera precedente. Lei, la rappresentante di istituto nonché la ragazza più ricca di esso, aveva invitato tutti, ma proprio tutti, alla sua festa, era finalmente diciottenne ed aveva organizzato un party in stile americano con musica, alcol e divertimenti vari. Mi ero rifiutata sin dall’inizio, non ero per quel genere di cose e la festeggiata non si era preoccupata più di tanto quando le avevo comunicato che non avrei partecipato per motivi familiari, una scusa qualunque.
Una voce mi risvegliò dai miei pensieri: «Tu devi sapere.» Disse Eleonora con tono minaccioso, se ne stava accanto a me e camminava con le braccia a penzoloni. Ridacchiai istericamente, con quella faccia pallida, gli occhi violacei e i capelli scompigliati dalla confusione post “serata passata a ballare con dei deficienti ubriachi” era davvero poco credibile, quasi quasi mi metteva tenerezza. Mi lanciò un’occhiata arrabbiata e proseguì: «Dovevi venire»
«Non ci ho pensato nemmeno!»
«Guarda che è stato divertente» mi lanciò una pacca sulla spalla. «Finché quello stronzo non ha deciso di morire e sono arrivati i carabinieri» Storsi il naso. «Merda!» terminò.
«Ele, non esagerare, è morta una persona» la rimproverai stringendomi nelle spalle. Eleonora era una brava ragazza, l’unica con la quale avevo legato di tutto l’istituto. Era vivace, sveglia e spontanea, insomma tutto il contrario di me, ma andavamo d’accordo.
«Stronzo, bastardo, e pure drogato.»
«Solo perché ci hai provato e non ti ha assecondata» mormorai, avvicinandomi agli armadietti ed aprendo il mio. Mi lanciò un’occhiataccia, stringendo le labbra. Infilai velocemente due libri, un paio di quaderni e le panne nello zainetto appeso alla spalla e chiusi con forza l’armadietto mezzo arrugginito.
«Allora vuoi sapere com’è andata?» mi chiese, sorvolando il discorso precedente.
Annuii e ci incamminammo verso il bar dove tutte le mattine facevamo colazione.
«Allora, tutto immensamente bello, lei una principessa, davvero bellissima, sembrava una sposa» iniziò sognante aggrappandosi al mio braccio. «È iniziato tutto tranquillamente, poi abbiamo incominciato a ballare, a bere, a divertirci. Dio, sono stata benissimo!» esultò squittendo. Ridacchiai. «Poi è degenerata la situazione, il DJ ha alzato in volume della musica talmente tanto da stordirci anche senza alcol, ma il problema sono stati proprio quelli, c’erano alcolici in quantità, davvero, sembrava uno di quei film americani, dove tutti si baciano e urlano» Si guardò intorno «Mi sono sentita fuori luogo» sussurrò mentre si assicurava che nessuno la sentisse.
«Cosa è successo a..»
Non mi fece terminare che scoppiò istericamente «Adam! Adam Olsen! Non l’ho visto per tutta la serata, sarà stato con una delle sue solite puttanelle. Ma rendiamoci conto proprio sul più bello doveva morire? Proprio sul più bello?» stillava ora. Strabuzzai gli occhi, ne parlava con così poca delicatezza che quasi mi faceva accapponare la pelle. Io avevo il terrore della morte e lei ne parlava così facilmente, come faceva?
«Calma» fermai di colpo i piedi sul pavimento. «Calma» ripetei.
«Mi ha baciata, mi stava baciando e all’improvviso tutti hanno incominciato a fuggire e lui, lui lo sai che ha fatto Lara? Mi ha spinta e se n’è andato, hai capito?» sbottò mentre incominciava a tremare. Stava per piangere, le si leggevano negli occhi delusione e tristezza. «Ele» sussurrai.
«Non ho voglia di parlare, non qui.» mi rispose, mentre si asciugava con l’avambraccio il volto umido di lacrime.
La trascinai fino al bar, la feci sedere nell’angolino più nascosto e isolato del cortile e corsi a prendere i soliti due cappuccini caldi. Era febbraio e con quel freddo erano davvero spettacolari.
Ne poggiai uno di fronte a lei e uno di fronte a me. Incominciai a sorseggiare e mi lasciai cullare da quel calore artificiale, la schiuma scivolò nella gola e rabbrividii di freddo. Il cielo quella mattina era limpido e chiaro, il sole splendente. Tutto il contrario di Eleonora. «Ele, cos’hai?» domandai preoccupata.
«Daniele.» rispose solo. Collegai le varie cose, Eleonora e Daniele si piacevano da un po’, ma lui la usava semplicemente. A Ele piacevano i ragazzi popolari e belli, quindi avrebbe dovuto sapere a cosa andava incontro, invece ci soffriva ogni volta.
«Non ce la faccio» mormorò tra le lacrime. «Non me ne va una bene»
Allungai una mano, accarezzando la sua «Dai, è solo un cretino.»
«Un cretino bello» e rise tra le lacrime. Sembrava una matta, stava soffrendo, era palese. Mi alzai e andai ad abbracciarla.
Mi strinse a sé forte, fortissimo.
Restammo lì fin quando non suonò la campanella e tutti incominciarono ad entrare.
Io ed Eleonora stavamo nella stessa classe: 4°D del Liceo Scientifico Romano, di Roma. Non eravamo compagne di banco, lei era seduta accanto a Daniele, che quella mattina non era venuto, ed io accanto ad un ragazzo minuto e strano, che faceva sempre le stesse domande ed aveva anche una strana puzza addosso. Appena entrata, dopo aver dato sottovoce il buongiorno alla professoressa mi andai a sedere poggiando la cartella sul banco. «Ciao Luca» lo salutai, e lui mi squadrò come sempre, gli occhioni rotondi che mi guardavano da capo a piedi. Scossi la testa, come a chiedergli se ci fosse qualcosa che non andasse bene, e lui distolse immediatamente lo sguardo. «No, no, volevo solo chiederti, come mai non sei venuta ieri alla festa?»
Sorrisi rispondendogli: «Non fa per me.» Chiuso il discorso, la professoressa fece l’appello e le lezioni continuarono spensierate.
Dopo sei lunghissime ore ritornai a casa.
Ero stanca, aprii velocemente la porta e mi tuffai nel calore accogliente del piccolo salotto.
La casa era vuota, mamma aveva lasciato un post-it in cui mi diceva cosa mangiare e mi raccomandava di finire tutto. Sbuffai, volevo solo dormire in quel momento. Infatti, dopo aver pranzato, mi buttai sul divano-letto in camera mia e mi addormentai. Mi svegliai solo quando la sveglia del mio cellulare incominciò a squillare con insistenza, allungai il braccio sul comodino e lo afferrai. Un’enorme scritta rossa trillava a suon di musica, “Volontariato” diceva. Sbarrai gli occhi. «Cavolo!» esclamai, saltando di colpo in piedi.
Corsi in bagno a darmi una sistemata, truccai gli occhi con un po’ di mascara, per marcarne il colore verde, un po’ di labello sulle labbra e pettinai i capelli che ancora arruffati e disordinati cadevano sulle mie spalle. Li tirai indietro con una mano, ficcai le scarpe e mi precipitai fuori. Corsi col mio scooter per le strade di Roma, erano le cinque di pomeriggio e il sole stava quasi per calare, il vento mi sconvolse ancor di più i capelli, fermi sotto al casco. Sfrecciai senza dar conto alle troppe auto in circolazione, fino ad arrivare all’ospedale. Era lì che facevo volontariato, il mio sogno era diventare un medico e quello era un modo per incominciare e per imparare qualcosina. Mi sentivo meglio a stare lì, mi divertivo con i bambini e, grazie a quel piccolo mestiere, ero cresciuta molto, lì si rinchiudevano tutti i dolori della vita, tutte le cose realmente gravi, lì avevo imparato ad apprezzare ciò che avevo, lì ero diventata grande.
Parcheggiai con calma di fianco alla struttura bianca e, con il casco alla mano, entrai. Il solito odore un po’ acre mi accolse, mi guardai intorno, c’erano persone un po’ ovunque. Attraversai un lungo corridoio che mi condusse all’ascensore e salii al terzo piano: reparto pediatria. Nonostante fossi in perfetto orario mi sentivo agitata, la testa in un pallone per essermi svegliata troppo in fretta. Mi avviai all’ufficio del primario e, dopo aver bussato, entrai sorridente. Lui, Franco, era seduto alla sua scrivania, parlava a telefono, un cappello in testa a coprirgli i capelli biancastri. Quando mi vide mi salutò, inarcando le labbra e di conseguenza i lunghi baffi. Quell’uomo mi ispirava tanta tranquillità. «Buonasera» esclamai sottovoce, andando a prendere il mio camice appeso all’attaccapanni.
Franco agganciò la telefonata tirandosi in piedi e frettolosamente si alzò la mascherina verde, avvicinandosi alla porta, pronto ad uscire.
«Oggi con chi sei?» mi chiese, sul ciglio. Sollevai le spalle, di solito era lui a dirmi di chi dovevo occuparmi. Lui ridacchiò, grattandosi una guancia. «Dai che stasera facciamo qualcosa di nuovo!» esclamò, lo guardai, un sopracciglio alzato ed un sorriso stupito. Poggiai a terra le mie cose e ficcai il camice, mentre attendevo che parlasse. «Niente di speciale» spiegò «Vai in ortopedia, stanza 20. C’è un ragazzo, ha fatto un incidente, un po’ di fratture. Stanotte l’abbiamo operato.» mi raccontò. Annuii portandomi un dito sul mento. «Cosa c’è da fare?» domandai.
«Nulla» E scoppiò a ridere, la risata risultò roca poiché frenata dalla mascherina. «Devi fargli compagnia, credo, non so niente, mi hanno solo chiesto di mandarti lì, bisogna assistere comunque, è un tipo tosto!» continuò «Lara, vado di fretta» disse. Annuii e lui con un cenno di mano uscì. Legai i capelli con un elastico, coprendomi il capo con il solito capello bianco.
Sospirai, il mal di testa stava passando.
 
 
Ciao a tutti ragazzi, mi presento, sono zeleny. Questa è la mia prima fanfiction, spero vi piaccia. Aspetto vostri pareri. Un abbraccio <3
  
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