Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: PapySanzo89    31/07/2014    5 recensioni
John Watson è sempre stato un ragazzo votato all'avventura e all'adrenalina, un ragazzo non di certo litigioso che però quando c'era bisogno di menar le mani (soprattutto in aiuto della sorella) non si tirava indietro, un ragazzo curioso del mondo e voglioso di conoscere nuovi posti, nuovi Paesi, nuove culture e di aiutare gli altri per quanto gli fosse possibile. Un ragazzo comunque non irreprensibile (le sue cazzate le aveva fatte, come ogni buon adolescente convinto di avere il mondo in pugno e di passarla liscia per il resto della vita) e che tentava di godersi il momento il più possibile, gestendosi tra studio e uscite al pub con gli amici il sabato sera.
Questo era stato John Watson in gioventù e con questa carica John Watson era diventato un uomo partendo per la guerra.
La fortuna gli aveva arriso.
NOTE: Fanfic composta da tre capitoli già scritti
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 
Capitolo Terzo:
Conclusione
 
 
 
Sherlock non può far altro che paragonare quella situazione a una sorta di deja-vù. Il braccio di John è nuovamente stretto attorno al suo fianco e lui è nuovamente e completamente nudo pigiato contro di lui e la cosa, per la seconda volta in due giorni, pare anche non dispiacergli.
Si guarda attorno e con un'occhiata capisce di essere nell'appartamento di John (soprattutto perché tutto quell'ordine non può essere attribuito a se stesso) e che ci dev'essere salito di sua spontanea volontà. Ricorda di aver praticamente sbattuto John fuori di casa prima di sentire il solito formicolio salirgli lungo tutta la colonna vertebrale e poi basta, non ricorda altro, quindi non ci sono dubbi su chi abbia raggiunto chi. Ma il suo pensiero va al perché?
Non capisce (e questa cosa lo disturba in maniera inimmaginabile già di prima mattina) perché quella bestia dovrebbe volere la compagnia di John. Si volta nell'abbraccio costrittivo del dottore e si ritrova a fissarlo nel sonno. Le sopracciglia sono leggermente aggrottate e il respiro un pochino troppo accelerato (probabilmente sta facendo un brutto sogno), i capelli sono un ammasso informe (così diverso da quando si fa vedere al mattino), entrambe le braccia sono rivolte a lui (un braccio lo stringe e uno gli fa da cuscino) e ora inizia a muoversi leggermente (segno che forse sta per svegliarsi). Sherlock tenta di sciogliere quell'abbraccio per andare a trovare qualcosa con cui coprirsi (per quanto non gli importi di rimanere nudo davanti agli altri ha notato lo sguardo di John, e quello sguardo lo mette in soggezione) ma non appena si muove il braccio attorno al fianco rafforza la sua presa e trae Sherlock a sé, facendo ora aderire il consulente e il dottore petto contro petto. Sherlock, per la prima volta in vita sua, si sente quasi veramente in imbarazzo.
John allunga le gambe e va ad intrecciarle con quelle dell'altro, obbligando Sherlock ad aprirle e a farsi passare una coscia di John pericolosamente vicino al proprio inguine e se da un parte Sherlock trova quella situazione incredibilmente confusionaria per il suo cervello che sta andando in tilt, dall'altra vorrebbe solo svegliare John e ribaltarlo sulla schiena per...
«'lock?» John mormora senza aprire gli occhi e Sherlock si sforza di fermare la propria fantasia, stupendosi oltretutto di averla appena avuta e vergognandosene, per cercare di capire se l'altro sia sveglio o parli nel sonno.
«Sei di nuovo nudo, vero?»
Decisamente sveglio.
«Non lo so, prova ad alzare ancora un po' la coscia che tieni tra le mie gambe e vediamo se riesci a dedurlo da solo.»
Non voleva dirlo, che razza di risposta era? Ma nota le labbra di John distendersi in un sorriso e una mano del dottore gli scivola giù, lungo tutto il fianco per poi risalire all'altezza delle spalle.
«Nudo.» proclama, come se gli fosse davvero servito quel gesto per riuscire a capirlo.
Cerca poi di togliere la gamba tra quelle di Sherlock ma il consulente la ferma, stringendo i muscoli delle cosce.
«Volevo darti l'opportunità di andare a vestirti.» fa il dottore, aprendo ora gli occhi e puntandoli in quelli di Sherlock, incredibilmente sveglio.
«La nudità non è di certo un mio problema e ormai credo che tu abbia visto tutto ciò che c'era da vedere, quindi niente di nuovo.»
John ride divertito ma non abbassa mai gli occhi al di sotto del collo di Sherlock e Sherlock, che non sa esattamente dove mettere le mani, le appoggia sulle spalle dell'altro, cingendolo un pochino a sé.
A quel punto John chiude nuovamente gli occhi e rimane ad ascoltare il respiro tranquillo di Sherlock.
«Hai avuto un incubo.»
John annuisce anche se quella non è a tutti gli effetti una domanda.
«Ogni tanto succede, il subconscio sembra prendermi per il culo quando non posso controllarlo.»
Sherlock sorride mestamente, in quello sono molto simili.
«Posso sapere cosa riguardava?» in realtà sa benissimo cosa John ha sognato, ma vuole vedere se l'altro abbia o meno voglia di parlarne.
John fa un sorriso un po' più tirato ma non vede motivo di negargli una richiesta simile.
«Guerra.» si limita per un attimo a dire «Guerra, deserto, caldo e vecchi amici. Difficile sognare altro.»
Sherlock non replica per qualche istante.
«Ti hanno mandato in congedo e posso solo dire che hanno fatto l'errore più grande della loro carriera, anche se a mio beneficio, sia chiaro.»
John riporta il blu mare dei suoi occhi in quello azzurro cielo dell'altro e sorride.
«Quello che ho appena sentito era davvero un complimento?»
Il consulente scuote la testa. «Assolutamente no, io non faccio complimenti, dico solo la verità.» e detto ciò si scioglie dall'abbraccio caldo di John e si alza, vagando per la stanza sotto il controllo vigile dell'altro che adesso non si fa alcun problema a fissargli i muscoli delle spalle, della schiena, dei glutei e delle gambe che si contraggono ad ogni passo, lasciandolo a fantasie che non è riuscito a portare a termine quella notte.
«Cosa cerchi?» chiede solo per cortesia, voltandosi a pancia in giù e poggiando il mento sulle braccia incrociate, godendosi la visuale.
Sherlock è davvero un bell'uomo. Anche se è sempre stato circondato da uomini ne ha visti decisamente pochi essere così perfetti in tutto. Altezza, muscolatura, proporzionato in tutta la struttura fisica.
E John è sempre stato più attratto dalle donne rispetto agli uomini e le sue esperienze se le è fatte ma, stranamente, non è mai stato attratto da nessuno quanto lo è da Sherlock. Perché è inutile che menta a se stesso, se ha insistito così tanto a conoscere Sherlock non è stato di certo per cortesia tra vicini di casa. In qualunque altro caso avrebbe lasciato perdere.
Ha anche notato una cosa che da medico qual è non gli va particolarmente a genio, ma penserà più tardi a come iniziare la conversazione.
Sherlock si volta di tre quarti e John ha la decenza di distogliere lo sguardo, fissando il pavimento.
«La tua attrezzatura da pesca, non volevi andare a pescare oggi?»
John alza nuovamente lo sguardo e inarca le sopracciglia.
«Vieni con me?» chiede, decisamente dubbioso.
«Mi pare ovvio, John.»
Il dottore nasconde un sorriso dietro le braccia incrociate.
«Non ti facevo tipo da pesca. Non lo trovi noioso? Rimanere fermo lì, aspettare...»
Il consulente sorride mostrando la dentatura perfetta.
«La pesca è pazienza, astuzia e strategia, se non sei abbastanza accorto non catturerai mai la tua preda, ergo: non è una cosa noiosa, John. Tutt'altro.»
E detto questo si dirige nell'unico punto in cui gli sembra più logico (da parte di John) lasciare una canna da pesca assieme alle esche e gli ami e John continua a fissarlo, almeno finché non sente un formicolio familiare nello stomaco e il sangue defluire tutto verso il basso, iniziando a farlo indurire contro il pavimento freddo.
«Credo che da domani sarà meglio lasciarti dei vestiti, o perlomeno un pigiama, anche qui. E possibilmente preferirei dormire sul mio letto e non per terra, credi di riuscire a trovare una soluzione?»
Sherlock scuote la testa mentre si avvicina verso il dottore e John è costretto a chiudere nuovamente gli occhi e poggiare la fronte al pavimento per cercare un po' di refrigerio e pensare a qualcosa che non sia l'uomo che ha nudo davanti a sé. Perché la situazione gli sembra così normale e così anormale allo stesso tempo?
Dà la colpa a Sherlock, perché non può fare altro.
«Parli del trovarmi qui nudo in casa tua la mattina?» ed è dal tono di voce che John capisce che Sherlock ci sta godendo un mondo a ribadire il concetto. «Tranquillo, non credo che la cosa si ripeterà.»
E Sherlock, anche se ancora non può saperlo, non è mai stato più in errore di così.
 
Vanno a pesca e John scopre che Sherlock oltre ad un ottimo chimico è anche un ottimo pescatore, che conosce più lingue - ma questo lo ha scoperto sentendolo imprecare in qualcosa di molto simile al francese -, che suona il violino ad orari improponibili (e lui gli ha chiesto di suonare qualcosa quando torneranno allo chalet perché è curioso, perché vuole sapere com'è il suono del violino di Sherlock dal vivo e non da dietro una porta e che suono produce, perché vuole sapere che musica preferisce Sherlock, perché improvvisamente gli interessa tutto di Sherlock e Sherlock ha acconsentito) e che fa preoccupare più e più volte la signora Hudson (“Ma la signora Hudson non è la donna che ci ha affittato lo chalet?” “Sì, è la sorella della mia padrona di casa, infatti se hai notato il suo accento inglese si è andato a perdere negli anni a causa di un trasferimento in America per diversi anni e...” “Sherlock...” “Sì?” “No, non l'ho notato.”), che non ha molti amici - o qualcuno di anche lontanamente simile ad un amico - a Londra perché data la mia situazione lo troverei scomodo ed insicuro e comunque non mi sento solo. John gli ha chiesto come fa ad essere sicuro di non sentirsi solo e a quello Sherlock non ha saputo rispondere. Ha saputo che va molto spesso a teatro da solo, che rincorre i criminali da solo, che vive da solo, e ad un certo punto c'è talmente tanta solitudine in quel discorso che John sente la strana ed irritante voglia di andare lì ad abbracciarlo ma non lo fa perché immagina che all'altro darebbe solo fastidio.
Questa volta John si sbaglia.
 
Ora che ci pensa non sa come porre la domanda quindi cerca di girarci intorno il più possibile mentre la corrente gelida alle caviglie gli fa salire la pelle d'oca su tutte le gambe.
«Ho notato che tendi ad annoiarti molto in fretta. Che cosa fai tutti questi mesi qui da solo? Come passi il tempo?» non alza gli occhi dall'acqua trasparente ma riesce comunque a notare la sagoma di Sherlock irrigidirsi.
«Non ho toccato un solo grammo di cocaina da quando sei qui.»
John sorride mestamente. Ormai può dire che sia una cosa tipica di Sherlock capire a fondo le domande, saltare tutti i preamboli e arrivare alla conclusione di una discussione che sarebbe potuta durare ore.
«Posso prendere questa notizia come una cosa buona?»
Sherlock tira un po' la lenza e fissa qualcosa in lontananza, come se si fosse appena ricordato qualcosa d'importante.
«Chi lo sa.» Sherlock guarda ancora l'orizzonte e vede John avvicinarglisi. «Mio fratello avrebbe detto che potresti addirittura essere la mia rovina o la mia salvezza.» mormora e John non riesce a sentirlo a causa dei propri passi che smuovono l'acqua e il tono troppo sottile dell'altro.
«Cosa?»
«Ho detto che ha abboccato.» dice tirando su la canna da pesca e mostrando a John il loro pranzo.
 
Quando tornano allo chalet John va a pulire il pesce e Sherlock sparisce nel soggiorno per poi ritornare con in mano il violino e, per la prima volta in vita sua, John rimane affascinato da uno strumento che considerava così freddo ed austero e dal viso assorto di Sherlock che, incredibilmente, pare davvero totalmente rilassato e preso da qualcosa.
 
John, a differenza di quello che aveva detto Sherlock, si abitua a trovare la presenza del lupo a qualsiasi ora del giorno (molto più raro) e della notte in casa e ha deciso di lasciare la porta aperta, una coperta morbida a terra accanto al proprio letto e un pigiama poggiato su una sedia vicino la scrivania, cosicché il giorno dopo Sherlock possa vestirsi tranquillamente e lasciare lui molto più sereno e molto meno frustrato. La cosa non capita ogni giorno comunque, Sherlock riesce a stare anche giorni senza cambiare, ma nota che con ogni giorno in cui si sforza di rimanere nella forma umana diventa sempre più intrattabile e violento nei modi di rispondere (anche se poi si scusa a modo suo) e la cosa diventa evidente anche dal brillio dorato degli occhi chiari. A John il luccichio non sfugge e un'idea gli frulla in testa, ma non sa ancora come metterla in pratica e preferisce evitare, per ora.
Inutile dire che quando il lupo entra in casa non lascia dormire John, lo sveglia poggiando le zampe anteriori sul letto e leccandogli la faccia o poggiandogli il muso sotto il mento, cercando di spostarlo. La prima volta John si è svegliato di soprassalto, la seconda ha preso solo un attimo di paura e la terza già alza una mano per andare ad accarezzare quel muso che non lo lascia mai in pace. Allora si alza dal letto, perché anche se non capisce il motivo Sherlock non sale mai totalmente lì sopra, e si distende sulla coperta a terra, aspettando che il lupo gli si stenda accanto.
Ha notato anche che il lupo si fida sempre più di lui e, se una volta arrivava appena alle primi luci dell'alba, ora se lo ritrova in casa anche per tutta la notte e il comportamento del lupo cambia e cambia repentinamente. Ora molto spesso se lo ritrova addosso mentre gli si struscia contro con il muso e lui deve quasi allontanarlo a forza, finché alla fine cede per primo come al solito e Sherlock è libero di continuare quello sfregamento contro il proprio petto o il proprio viso. A quel punto di solito sospira e inizia a grattarlo alla base del collo, cosa che fa fare uno strano verso all'animale e lo fa adagiare sopra di sé.
Alla mattina si svegliano sempre allo stesso identico modo: John che abbraccia Sherlock e Sherlock che si sistema un po' meglio quando l'altro si sveglia.
Non c'è più nemmeno una briciola d'imbarazzo, Sherlock prende le sue cose appoggiate alla sedia e le indossa e poi torna a sdraiarsi per terra, borbottando di aver dormito troppo mentre John gli fa notare che, in effetti, se ha dormito in totale tre ore sono già tante. Allora Sherlock sbuffa e si lamenta di volere una sigaretta e John gli assicura che finché lui sarà lì di sigarette ne vedrà ben poche.
Non fanno nulla di particolare, insieme, ma John nota che Sherlock invade sempre di più i suoi spazi privati e tende a stargli più vicino, non importa come, che sia semplicemente sederglisi accanto senza lasciare nemmeno un centimetro di spazio libero o che sia parlargli a una distanza quasi ridicola per com'è ravvicinata. Ma questo non dà fastidio a John in nessun modo, anzi, gli piace quando Sherlock lo sfiora (per sbaglio o con intenzione), gli si fa accanto quando sta preparando il pranzo e si addormenta per qualche istante sulla sua spalla, e John inizia anche a trovare l'atteggiamento di Sherlock quasi protettivo nei propri confronti (lo ha notato scendendo in città, dagli sguardi che lanciava Sherlock alle altre persone) e ne rimane piacevolmente sorpreso mentre Sherlock gira semplicemente con un lenzuolo addosso perché non riesco a trovare dove hai messo la roba, John.
John, molto spesso, resta chiuso al piano di sotto con Sherlock per seguire passo a passo gli esperimenti che fa, cercando di capire a cosa possano servirgli, mentre Sherlock gli spiega che ha un blog e che lì sopra ci scrive tutte le sue conclusioni e annotazioni che potrebbero essere utili per il risolvimento di un caso. John si fa dire il nome del blog e se lo annota su un post-it che poi mette nel portafoglio - anche se dubita che un nome del genere potrebbe dimenticarselo - perché i cellulari lassù hanno poco campo ed è anche inutile provare ad andare su internet.
Parlano anche di Lestrade. John gli ha chiesto chi sia questa persona e Sherlock gli ha risposto che è l'unica persona - oltre a suo fratello - che sa. John vuole improvvisamente conoscerlo.
Altre volte scendono in città, quando Sherlock se la sente, e restano a mangiare fuori (in realtà John mangia e Sherlock al massimo gli ruba due forchettate dal piatto se tutto va bene e solo se John insiste) o vanno a fare compere che possono servire (e la signora Hudson resta sorpresa nel vedere Sherlock così spesso perché la cosa non è mai accaduta e pare che tutto il resto della cittadina la pensi come lei).
Altre volte vanno ad esplorare il bosco e Sherlock dimostra di conoscerlo a memoria e di poter ritrovare la strada di casa da qualsiasi punto in cui si trovano e John si meraviglia di lui ogni volta di più, e gli fa presente che gente come lui gli farebbe davvero comodo al proprio fianco nell'esercito. Sherlock a quel punto non ribatte in alcuna maniera ma chiude convulsamente le dita a pugno per qualche secondo.
 
È una mattina come un'altra quando Sherlock si avvicina a lui mentre sta preparando la colazione e lo annusa. John rimane qualche secondo immobile, ghiacciato sul posto mentre il suo battito cardiaco accelera sensibilmente.
«Hai un buon odore.» gli dice Sherlock, incredibilmente tranquillo. «Hai cambiato dopobarba?» e John non sa perché ma crede che quella domanda sia piuttosto strana da fare perché Sherlock sta attento al suo odore.
Tossisce, prima di rispondere «No, è il solito.»
Sherlock non ne sembra convinto.
«Eppure qualcosa di diverso c'è.» ribatte, convinto della sua affermazione e si avvicina di più al collo di John da dove inspira a pieni polmoni e John è convinto che se continuerà così non risponderà più delle proprie azioni, mentre i brividi gli scendono lungo la schiena.
Sherlock non si allontana ed inspira nuovamente, sentendo qualcosa di leggermente diverso nell'odore di John. Ne è sicuro. Ne è assolutamente convinto. Non è più quello di mesi addietro, ha una sfumatura che gli ricorda dannatamente il proprio odore, e il solo pensiero del profumo di John mescolato al suo...
Vuole appoggiare le labbra al collo di John. È così vicino. E John non è indifferente alla sua presenza, può vederlo da come ha irrigidito le spalle quando si è avvicinato e dal fatto che è leggermente sporto verso di lui e se adesso si appoggiasse a John e premesse le sue labbra su quella pelle così abbronzata e che sembra dannatamente buona da assaggiare e se appoggiasse le mani sull'addome di John per sentirne la pelle tesa e i muscoli sotto e...
«Signor Holmes!»
Sherlock si è completamente appoggiato senza essersene nemmeno accorto alla schiena di John e il respiro del medico si è fatto accelerato e trepidante di attesa. Un'attesa che non viene ricompensata perché da fuori l'appartamento la voce di Beth lo chiama di nuovo.
Sherlock riprende possesso del proprio autocontrollo (quasi schifato di averlo perso in quella maniera) e si stacca a malincuore da John, sentendo improvvisamente freddo sul proprio petto dove il dottore lo stava riscaldando con la propria presenza ed esce dalla stanza, raggiungendo la porta d'ingresso stringendo i denti.
Quando esce dall'abitazione Beth lo guarda sorridendo e mostrandogli le borse della spesa.
«Non ho ricevuto messaggi questa volta, ma sono più di due settimane ed iniziavo a preoccuparmi. Sono guarita completamente comunque. Era una brutta polmonite, ma con questi tempi non è difficile.» spiega velocissima anche se consapevole che a Sherlock non importi assolutamente nulla.
Poi gli occhi della donna vengono ancorati da una figura dietro il consulente e Sherlock sa perfettamente chi ha visto.
«Buongiorno, John!» dice lei infatti, civettuola come l'ha vista poche volte.
John la saluta con un sorriso e cerca di sorpassare Sherlock per andarla a salutare come si deve, ma Sherlock si mette in mezzo alla porta e non lo fa passare, tenendolo dietro di sé, come se il solo vederlo fosse un onore troppo grande per le altre persone.
John lo osserva per qualche istante e vede la mascella di Sherlock irrigidirsi quando tenta di nuovo di sorpassarlo.
«Ciao Beth, sono contento che stai meglio» le dice allora, un passo dietro a Sherlock.
Lei si avvicina e porge le borse a Sherlock mentre quest'ultimo non pare intenzionato a prenderle.
«Non ti ho scritto, Elizabeth, perché non mi serve più nulla. Scenderò in città con John, non serve più che tu venga fin quassù. John, vai a prendermi il portafogli nei pantaloni. Errore mio comunque il non averti avvisata per tempo, ti prenderò tutto ciò che mi hai portato.»
Il sorriso di Beth scema un po' quando John si allontana e lo vede tornare con il portafogli di Sherlock in mano.
«Oh, non lo sapevo. Io...»
«Nessun problema, eviteremo di scendere giù domani, in realtà è stato alquanto utile.» le porge i soldi e le lascia una lauta mancia, probabilmente come grazie per il lavoro fatto fino ad adesso e come addio.
Beth non dice nulla, aspetta solo un qualsiasi segno di John per capire se le interessi ancora o meno vederla, ma quando nessun gesto arriva in sua direzione semplicemente saluta e se ne va, rimontando sul mini van senza voltarsi.
John non sa bene che cosa sia appena successo, ma prende le borse che Sherlock sembra aver intenzione di lasciare fuori e lo segue in casa.
Sherlock non si allontana da lui per tutta la giornata.
 
John è assolutamente certo di una cosa riguardo a Sherlock: deve accettare la propria condizione e solo quando lo farà riuscirà ad essere più sereno e consapevole di sé.
Ne è convinto per il semplice fatto che quando Sherlock si incazza (e spara ai muri del povero soggiorno) un bagliore dorato fa capolino tra i suoi occhi azzurri, ed è dannatamente convinto che può succedere anche il contrario, che anche da forma animale Sherlock riuscirebbe a controllare se stesso se solo ci si impegnasse e non detestasse quello che semplicemente è. Lo ha sentito più volte sputare sulla sua condizione, non accettare quello che gli succede. Ed è sicuramente la cosa più naturale al mondo da fare. Ma se solo ci provasse...
E quindi è con questa consapevolezza che John vuole tentare una cosa, con il muso di Sherlock stretto tra le sue mani mentre si fa coccolare.
Sherlock deve solo accettare i fatti.
«Sherlock?» chiede, e il lupo non fa nulla, continuando a tenere gli occhi chiusi e muovendo le orecchie captando i più piccoli rumori.
«Sherlock?» ritenta John, questa volta facendogli alzare il muso e puntando gli occhi in quelli dorati nell'animale, che ora li ha aperti.
«Davvero non mi senti?» il lupo pare non capire e continua a fissarlo piegando la testa di lato e leccandogli il mento. John ride ma tenta ancora.
«Davvero non sei lì da qualche parte a sentirmi?» il lupo sposta ancora un po' il muso e va ad incontrare la mano di John sulla quale struscia il lato del muso.
John sospira ma è convinto di ritentare, almeno finché le orecchie di Sherlock non si iniziano a muovere freneticamente e il lupo si alza, scattando fuori dalla porta, lasciando John con le braccia ancora alzate nel tentativo di fermarlo.
Questa volta John sbuffa ma si ripromette di riprovarci. Deve pensare ad un modo per far concentrare Sherlock e tirarlo fuori da lì. Ne è convinto. Ne è sicuro. Deve funzionare.
Si va a sistemare sul letto sotto le coperte e si addormenta, convinto che sarà lo stesso Sherlock a svegliarlo quando tornerà.
La cosa non succede perché Sherlock questa volta fa attenzione quando mette piede in casa, si avvicina al letto di John e sposta le coperte con una mano, infilandosi vicino a John e poggiandosi addosso al dottore che nel sonno si volta a circondarlo con le braccia come se fosse una cosa normale.
È la prima volta che Sherlock fa una cosa simile. È la prima volta che si intrufola di nascosto in casa di John non in forma animale. Forse avrebbe dovuto evitare, ma sinceramente, quando le braccia di John lo stringono ancora un po' più forte, se ne frega di quello che sarebbe stato più giusto fare.
 
John è intenzionato a provare e riprovare e non vuole assolutamente demordere perché è sicuro di quel che fa.
Ma ogni notte la cosa sembra fallire e lui si demoralizza sempre un po' di più. Non sa come richiamare l'attenzione della mente di Sherlock per vedere quelli occhi dorati diventare - almeno per qualche secondo - di un azzurro intenso che gli dica ehi, hai dannatamente ragione!
Ha provato con tutto, ha provato anche a parlargli di un caso che Lestrade gli aveva proposto quella stessa mattina e che non era riuscito a concludere prima di sentirsi male. Ma niente, non aveva avuto alcun risultato.
John sbuffa risentito, mentre accarezza il fianco di Sherlock e il lupo struscia il muso contro il suo petto.
John lo guarda e sente un moto di tenerezza, e si dà anche del deficiente per questo.
«Io in questo momento potrei dirti che sei l'uomo più straordinario, affascinante, matto e bello che  abbia mai conosciuto in vita mia, e tu non ti ricorderesti nulla?»
Il lupo muove un orecchio e resta immobile per qualche istante e John è quasi convinto che lo abbia capito del tutto e ferma per un attimo la mano, speranzoso.
«Mi hai sentito?» il lupo sembra man mano perdere interesse e John pensa di sapere come riconquistarla ora.
«Bello, intelligente, fantastico e straordinario.»
E il lupo lo fissa di nuovo.
«Solo i complimenti ascolti eh?» immerge la mano nel pelo della schiena e gratta. «Vanitoso.» scherza e poi, senza nemmeno pensarci, va a baciare il naso del lupo che si immobilizza del tutto e John, che lo sta guardando pieno di aspettativa, vede un bagliore azzurro solcare gli occhi dorati dell'animale.
Sorride e stringe un po' più forte il lupo a sé.
«Sapevo che dovevi esserci là dentro da qualche parte.»
Il lupo si lecca il naso e poi si accuccia.
 
«Ti sto dicendo che secondo me dovresti solo imparare ad accettare la cosa. Non sono di certo un genio ma lo vedo che rifiuti in ogni modo il fatto che...»
«Che non posso organizzare la mia vita? Che devo stare attendo ad ogni cosa che faccio e quando la faccio? Che devo ritirarmi in questo posto sperduto e dimenticato da Dio perché...»
«Perché non riesci a controllarti. Ma ce la potresti fare. Se solo tu cercassi di non negare ciò che sei...»
«Un mostro? Un abominio? Fammi pure l'esempio migliore, credo che mio fratello abbia già trovato tutti i sinonimi in questi trent'anni per definirci.»
Silenzio.
«Ma anche lui è...?»
«Non ne parleremo.»
John sospira e si siede pesantemente sulla sedia del suo soggiorno e guarda Sherlock camminare agitato avanti e indietro con indosso una maglia e dei pantaloni suoi (tutta la roba di Sherlock è a lavare) e si chiede perché l'altro sia così testardo.
«Smettila di autocommiserati, sai perfettamente che non ti avrei mai chiamato così.» Sherlock si volta a guardarlo ed è evidente che abbia qualcosa da dire perché la sua espressione si è fatta improvvisamente cupa, ma John alza gli occhi verso di lui e Sherlock non trova nulla da dire, così torna a camminare avanti e indietro. «Ma davvero, Sherlock, potresti davvero giurarmi che non ricordi nulla di ieri? Un singolo stralcio di conversazione? Una parola? Nulla?»
«No.» gli risponde con semplicità, ma John non riesce a capire se intenda che non si ricorda nulla della notte appena trascorsa o che non potrebbe giurarglielo.
«Quello che sto cercando di dire...»
Ma Sherlock questa volta lo interrompe.
«So benissimo cosa stai cercando di dirmi e quello che mi fa ridere è che tu pensi di arrivare qui dall'oggi al domani e sapere esattamente cosa fare. Pensi che io abbia accettato la situazione rimanendo con le mani in mano o che abbia tentato di fare qualcosa? Niente funziona. Niente. E non sarà di certo uno stralcio di ricordo che...»
«Allora ti ricordi qualcosa eccome!»
John si alza dalla sedia e gli va incontro a passo di marcia, ma Sherlock questa volta si tira indietro, retrocedendo fino ad arrivare alla porta e aprirla.
«Non farlo, John. Non ci provare. Non ci sono riuscito io assieme a mio fratello a fare qualcosa, non ce la farai sicuramente tu che non ne sai nulla.» e detto questo scende le scale senza lasciare a John la possibilità di dire niente.
John sa perfettamente che corrergli dietro sarebbe totalmente inutile e controproducente. Sbatte un pugno contro il tavolo di legno e inizia a spogliarsi, dirigendosi in bagno per farsi una doccia e mandare mentalmente a 'fanculo Sherlock e la sua cocciutaggine.
 
«Ridicolo! È assolutamente ridicolo!» Sherlock sbatte la porta del suo appartamento e si va a gettare malamente sul divano, poggiandosi poi su un fianco e portandosi le ginocchia al petto, continuando a mormorare cose su quanto John sia stupido ed irritante.
Frasi che man mano cessano quando le parole della notte prima gli tornarono alla mente. Stralci di frasi, nulla di concreto, solo la voce di John che mormora qualcosa che lui non riesce a capire a causa della mente annebbiata e poi il viso di John - e ooh, quello lo ricorda bene - che gli si fa vicino e che lo bacia, poi di nuovo subito il buio.
Ma John non ha ragione. Semplicemente no.
 
John esce dalla doccia e si asciuga sommariamente con l'accappatoio, salvo poi toglierselo per il troppo caldo formatosi nel bagno a causa del vapore, e si allaccia un asciugamano in vita, prendendo poi rasoio e schiuma da barba e togliendo la condensa dallo specchio con un braccio.
Ovviamente non si è calmato. Non si è calmato proprio per niente e le varie imprecazioni contro l'altro non hanno portato a nulla tranne che a farlo innervosire ancora di più.
«Stupido imbecille!» impreca nuovamente guardando lo specchio e non sapendo se adesso si stia riferendo a se stesso o all'altro.
Se solo lo ascoltasse. Magari potrebbe cambiare qualcosa o magari no, ma almeno non...
«John!»
La porta del bagno sbatte con così tanta forza che a John cade la schiuma da barba e il rasoio scivola nel lavandino e John è costretto a contare fino a dieci per calmarsi prima di voltarsi e saltare al collo di Sherlock per tentare di ucciderlo.
Sherlock entra adagio in bagno e lo guarda mentre si riprende dal momentaneo spavento.
«Ho sbagliato?»
John si appoggia con le mani sul lavandino e stringe la ceramica con così tanta forza che le nocche gli sbiancano.
«Mi sa di sì.»
John scuote la testa e si volta a guardarlo.
«Dimmi la verità, Sherlock: tu vuoi farmi morire d'infarto. Almeno ammettilo, così so che la prossima volta che ti vedo posso seccarti con una spranga di ferro.»
Il consulente alza gli occhi al cielo. «Come siamo melodrammatici.»
John è sicuro di poter sollevare il lavandino e lanciarglielo addosso, ne è quasi certamente convinto.
«Sei venuto a dirmi qualcosa o pensi che possa sbarbarmi e vestirmi? Sai, sarei nel mio bagno.»
E Sherlock, dopo molto tempo, sembra quasi imbarazzato.
«Io... Beh no, posso anche aspettare... Solo che... John.» gli occhi del consulente, che fino in quel momento avevano vagato sia sul corpo del dottore che nel bagno, evidentemente non sapendo dove andare a posarsi, si fermano in un determinato punto sul corpo dell'altro e John si chiede che diavolo abbia visto.
Salvo poi ricordarsi la sua ferita al braccio.
Si è tolto i punti pochi giorni addietro e la ferita è completamente guarita, ma la pelle è ancora arrossata e la cicatrice ben visibile.
«Avevi detto di essere scivolato.» dice e fa un passo indietro con il respiro che si fa via via più rapido. E John sa che un attacco di panico non è il modo migliore per portare avanti una conversazione.
«Non è niente, Sherlock. È stato un incidente.»
Sherlock scuote la testa e si appoggia con la schiena contro il muro.
«Almeno a te...» un rantolo «Almeno a te non volevo fare del male.»
E John non sa a cosa si stia riferendo ma non gli importa al momento, tenta di avvicinarsi, ma come fa per toccarlo Sherlock si scosta ed inizia a tremare visibilmente, e John ha già visto quella situazione e non gli piace per niente.
Gli prende il viso tra le mani e lo forza a sollevarlo, guardandolo dritto negli occhi.
«Sherlock sto bene, è stato un incidente. Nulla di grave ed è stata colpa mia.»
Sherlock scuote la testa e si agita ulteriormente, cercando di fuggire dalla presa dell'altro che però non desiste.
«Calmati!» gli ordina con il suo tono da capitano e stranamente Sherlock pare fermarsi solo per iniziare a respirare affannosamente e portarsi le mani alla testa, stringendo i capelli.
John gli si fa più vicino e gli si preme addosso, poggiando la propria fronte su quella dell'altro e chiudendo gli occhi, evitando di guardare quel bagliore dorato che gli restituisce lo sguardo e continuando a mormorargli che non è successo nulla, che è stato solo uno sfortunato ed imprevisto incidente, che non gli avrebbe mai fatto del male e lo sapevano benissimo entrambi anche se Sherlock diceva di no.
Sherlock pare non riuscire a calmarsi e si appoggia di tutto peso contro il muro, rischiando di scivolare a terra, così John è costretto a lasciargli andare il viso e sorreggerlo in una sottospecie di abbraccio dal quale però Sherlock vuole scostarsi.
«Fermo.» gli dice John «Resta con me, Sherlock.» e con un braccio fa in modo che il consulente non scivoli a terra mentre con la mano libera va ad accarezzargli i capelli, continuando a premere la fronte contro la sua e mormorando piano ma distintamente che non è successo nulla di male.
«Guardami.»
Sherlock nega con la testa.
«Guardami!» ribadisce John, non volendo assolutamente demordere in quella situazione.
Sherlock apre gli occhi e si ritrova davanti il viso del dottore.
«Sono qui.» un respiro profondo causato dalla bellezza che vede negli occhi inchiodati ai suoi, «Sono qui e sto bene. Ti sembra che io stia male? Ti sembra che in questi ultimi tempi io non abbia fatto le cose come al solito? È una ferita vecchia, Sherlock.» e ripete il suo nome il più possibile per farlo rimanere lì con lui, non vuole che se ne vada.
«Avevi detto che non ti avevo fatto nulla.» finalmente Sherlock parla.
«Non potevo di certo...»
«Potevo ucciderti.»
John sbuffa e preme con più forza la fronte contro quella dell'altro, i volti così vicini che sente il respiro di Sherlock sulle proprie labbra.
«Potresti uccidermi anche ora per quel che vale. Non l'hai fatto con intenzione e - santo Dio - spiegami perché quando succede qualcosa di male dai sempre la colpa a te stesso anche se non eri in te, ma quando si parla di ragionare parli di lui come se fosse un qualcosa di lontano e di inconcepibile!»
Sherlock non risponde e John rimane in un silenzio contemplativo.
Guarda le ciglia lunghe e nere di Sherlock che tremano leggermente, le palpebre abbassate, le sopracciglia folte, gli zigomi pronunciati e la pelle bianca che adesso ha assunto una leggera tonalità di rosa, mentre si ferma sulla bocca a cuore molto più di quanto sarebbe lecito. E si vergogna da morire dei pensieri che sta avendo nonostante le condizioni di Sherlock.
Dopo qualche istante non sopporta più quel mutismo.
«Va un po' meglio?»
Sherlock annuisce e John sente che non trema effettivamente più e che forse, per questa volta, l'hanno scampata.
«Ti avevo avvertito che era meglio starmi alla larga, ma non mi hai voluto ascoltare.»
John alza gli occhi verso quelli tersi di Sherlock e sorride.
«È che io non ho alcuna intenzione di stare lontano da te.»
Sherlock si abbassa e lo abbraccia.
 
«Hai fatto un buon lavoro nel ricucirti nonostante tu non sia ambidestro. Ma avresti dovuto chiedere a me.»
John alza gli occhi al soffitto e lascia il braccio nelle mani di Sherlock ancora per un po', giusto il tempo di farglielo studiare per bene e fargli notare che non c'è effettivamente nulla di cui preoccuparsi.
«Sai com'è, non credo saresti riuscito a fare molto, e dato il tuo comportamento di prima mi congratulo con me stesso per non aver avuto la brillante idea di farlo.»
Sherlock rimane in silenzio per qualche istante e passa i polpastrelli sulle cicatrici scure del braccio di John. Il dottore ha un brivido lungo tutta la schiena ma lo attribuisce al fatto di essere ancora vestito di un solo asciugamano striminzito.
«Per cos'eri venuto a parlarmi comunque?»
Sherlock ferma qualche secondo le dita e poi ricomincia, studiando affondo la cicatrizzazione.
Si schiarisce la gola.
«Volevo dirti che ciò che mi hai detto prima è stato... uuhm... carino. Nel senso, il preoccuparti. L'andare addirittura a cercare qualcosa che mi possa far stare... meglio, ecco.»
John adesso sorride talmente tanto che Sherlock gli lascia andare il braccio e si allontana, imbarazzato.
«Mi stai forse chiedendo scusa?»
«Andiamo in città. Ho delle commissioni da fare.»
Il dottore lascia perdere il fatto che Sherlock cerchi di cambiare discorso e si alza, andandosi a cambiare e notando lo sguardo di Sherlock che lo segue fin dentro la camera. Questa volta non può imputare i brividi al freddo.
 
Sherlock cammina talmente tanto vicino a John che il dottore si sta iniziando a domandare se per caso voglia che lo porti in braccio. Poi gli viene da ridere per il solo pensiero e Sherlock si discosta, guardandolo mesto e chiedendogli cosa abbia da ridere. John non risponde, ma gli fa una lieve carezza sul braccio e va poi a stringergli il gomito, lasciandolo andare dopo diversi secondi, quasi imbarazzato. Ha tanto pensato a quanto Sherlock sia diventato fisico con lui, ma non ha mai ammesso di essere diventato altrettanto fisico nei suoi confronti, nonostante la palese attrazione nei suoi riguardi.
John si fruga in tasca e capisce che sta per fare la cosa giusta, che non se ne pentirà in alcun modo.
«Sherlock, torno...» ma quando si volta vede che il consulente non è più al suo fianco ma è rimasto incantato da una vetrina, probabilmente qualcosa di altamente tossico o pericoloso aveva attirato la sua attenzione.
Poco male, si dice, mentre s'incammina alle poste e spedisce l'unica lettera che lo riconduce al contatto con la realtà.
«Mi scusi, potrebbe darmi una mano?»
John si volta e una donna bionda sulla trentina gli sta sorridendo.
 
A Sherlock viene la pelle d'oca sulle braccia e un brivido lo fa scuotere nel profondo. C'è qualcosa che non va ed è l'istinto che glielo dice.
«John, hai visto...?» la sua domanda viene interrotta da ciò che il suo olfatto gli aveva fatto capire prima della sua vista. L'odore di John si era via via fatto più tenue ma non ci aveva fatto caso finché non si era mescolato a quello di qualcun altro, qualcuno con un odore troppo dolce e decisamente di sesso femminile.
John sta parlando con una donna. La donna sta palesemente flirtando con lui. Quella donna deve sparire.
E, stranamente, qualcosa nel petto gli fa capire che il lupo è d'accordo con lui.
 
Quando John si sente strattonare è quasi pronto a girarsi e colpire in pieno petto l'uomo che sta provando a fargli del male, ma quando scopre che quell'uomo altri non è che Sherlock, riabbassa le braccia e tenta semplicemente di divincolarsi.
«Ma cosa stai facendo?!» gli chiede mentre i passanti li guardano con aria tra lo sconvolto e il preoccupato ma non fanno nulla per fermare il consulente.
«Andiamo a casa.» risponde in tono freddo Sherlock e John finalmente riesce a districarsi e camminare in maniera quasi decente senza Sherlock che lo tira per il giubbotto e il braccio.
«Sherlock, stavo parlando!»
Sherlock si volta a guardarlo e per una volta John non ha il coraggio di aprir più bocca. Degli occhi totalmente dorati lo stanno fissando.
«Andiamo a casa.» ripete Sherlock, e John lo segue, mollando senza troppe cerimonie la donna davanti la posta.
 
In auto c'è un silenzio teso per quasi tutto il viaggio, interrotto solo dalle ruote che solcano il terreno friabile. John, a braccia incrociate, osserva il profilo severo di Sherlock e nota le labbra piegate verso il basso, le sopracciglia corrugate e l'aria assorta, ma perlomeno lo sguardo sembra essere tornato quello di sempre.
Non sa se prenderla come una cosa buona o meno.
 
«Che diavolo ti è preso?»
Sherlock non lo ascolta e rimane in silenzio mentre entra in casa e sta per chiudere fuori anche John, ma il soldato non permette che gli si venga sbattuta la porta in faccia e così si spinge contro di essa, evitando a Sherlock di farla chiudere.
«Non ci provare nemmeno. Non faremo finta che questa cosa non sia mai accaduta, si può sapere cos'è successo? Se stavi male potevi semplicemente dirmelo, non serviva strattonarmi in quella maniera. E poi stavo parlando.»
Sherlock si blocca in mezzo alla stanza e John nota il cambio di postura, il petto e le spalle in fuori e la schiena incredibilmente dritta: tutto in lui sembra teso.
Ma alla fine non si volta verso di lui, continua a dargli le spalle, picchiettando le nocche della mano contro il tavolo.
«Vatti a fare una doccia.» è l'unica cosa che dice e John è quasi sicuro di aver sentito male.
«Scusa?» ripete incredulo, perché davvero non può aver detto quello che ha sentito.
«Vatti a fare una doccia. Hai un odore tremendo.»
John apre e chiude la bocca un paio di volte, incapace di decidere se mandarlo al diavolo o prenderlo a pugni.
«Ho fatto la doccia stamattina e questo è il mio solito dopobarba di cui, ti informo, non ti sei mai lamentato, quindi...»
«Hai il suo orrendo odore addosso. Vatti a lavare.»
John rimane nuovamente spiazzato e si chiede per un infinitesimale secondo se riuscirà mai a capire i ragionamenti del suo amico.
«Ma di che stai parlando?»
Sherlock questa volta batte le nocche sul tavolo talmente forte che John ha quasi paura che se le sia rotte ed è quasi tentato di andare a vedere, ma Sherlock lo ferma con le parole e voltandosi nella sua direzione.
«Aveva un odore incredibilmente forte, probabilmente si era messa troppo deodorante assieme al profumo perché è una donna dalla sudorazione facile e già questo clima primaverile per le sue ghiandole sudorifere dev'essere un inferno. Non ho intenzione di ripetermi, John: Vai. A. Farti. Una. Doccia.»
John capisce di chi Sherlock stia parlando ma non può credere che intenda sul serio, ma anche se fosse così…
«Obbligami.» dice, alzando il mento in segno di sfida e avvicinandoglisi di qualche passo, fermandosi a nemmeno mezzo metro da lui.
«John.» Sherlock si volta a guardarlo e il dottore può vedere dal suo viso che sta tentando di non perdere la calma con tutto il suo essere.
«Non vedo che fastidio possa darti l’odore di un’altra persona addosso a me.» rincara la dose e si fa più vicino, portandoglisi quasi addosso e sfiorandolo con la propria camicia mentre sente Sherlock inspirare bruscamente e lo vede arricciare le labbra con fare disgustato.
«C’è che non è più il mio.»
E a John tremano le gambe. E probabilmente gli tremerebbe anche la voce se non aspettasse qualche secondo per parlare.
«Non ricordo di aver mai avuto il tuo odore o quello di nessun altro addosso, e comunque mi sembra che tu non mi abbia marchiato in alcun modo. O sbaglio?»
La sua voce è uscita molto più bassa e roca di quanto desiderasse, ma va bene così perché nasconde il tremore insito in essa.
Sherlock sorride e mostra i denti.
«È questo il problema?» Sherlock fa quel mezzo passo che serve a colmare la distanza e adesso si scontrano petto contro petto. «Perché posso rimediare subito.»
«Cazzo, sì!» e prima ancora che Sherlock possa avere il tempo di dire qualcosa, John lo prende per la camicia e lo strattona facendolo abbassare al suo livello e poi è tutto caldo, labbra, mani che muovono, spostano e strappano stoffa e spogliano, gemiti, colpi presi sbattendo da qualche parte mentre si spostano a cui nessuno dei due fa caso, brividi, ringhi e basse risate finché John non viene spinto sul letto e Sherlock gli è sopra, addosso, ovunque, e John si spinge contro di lui, lo cerca, lo stringe a sé e Sherlock inizia a mordere la carne del collo mentre John geme e si alza con il corpo a sfiorarlo e Sherlock caccia indietro un ansimo, poi ci sono nuovamente mani e loro che finiscono di spogliarsi del tutto e Sherlock che arpiona le gambe di John e lo tira a sé scompigliando le coperte finché non è soddisfatto della posizione, con le cosce del dottore che gli stringono i fianchi e il suo viso accaldato che lo guarda respirando a pieni polmoni.
È bello, John. Con quel suo sorriso strafottente e gli occhi blu scuro che continuano a guardarlo, con i capelli arruffati, con le guance colorate di rosso e con lo sguardo di uno che ha appena vinto alla lotteria.
Il suo corpo poi è un territorio sconfinato tutto da esplorare e marchiare e lui non aspettava altro.
Solo allora si china completamente sopra di lui, facendo aderire pelle calda contro altra pelle calda e sente John mugugnare frustrato e aprire la bocca alla ricerca d'aria per il contatto delle erezioni che si sfiorano.
«Sappi che dopo questo non ti lascerò più andare, sarai mio e mio soltanto.» Sherlock gli sussurra all'orecchio e poi gli morde il lobo. «Quindi, per qualsiasi ripensamento…» John vorrebbe parlare e dirgli che no, assolutamente no, non ha - e di certo mai avrà - alcun intenzione di farsi indietro, ma Sherlock finisce per lui. «Ormai è tardi.»
E John ride mentre lo abbraccia e Sherlock torna a baciarlo.
 
John è ricettivo quando Sherlock si spinge dentro di lui. Non sa – e non vuole nemmeno sapere - se  l’abbia mai fatto prima, tutto ciò che gli interessa sono le mani di John ancorate alle sue spalle, le gambe quasi tremanti per lo sforzo di rimanere aggrappate ai suoi fianchi, i mormorii sommessi e quelli più forti e a voce più alta quando si spinge in lui con più foga e lecca, morde, succhia.
John comunque non resta passivo a subire (come potrebbe? Non si aspettava certo un comportamento del genere da lui) e ricambia come può facendolo patire, sottraendosi a lui e alla sua bocca e ridendo delle espressioni oltraggiate di Sherlock che alla fine ride con lui e riesce a baciarlo a dovere, rallentando il ritmo frenetico per dare spinte più morbide e carezzevoli alle quali John risponde spingendosi contro di lui, affondandogli le unghie corte nei fianchi e mordendogli le labbra in un tentativo quasi vano di imporre il ritmo di prima.
Anche allora Sherlock ride e poggia la fronte sudata sulla sua, respirandogli sul viso mentre John cerca di baciargli le guance e il mento e tutto ciò che gli è raggiungibile.
«Sherlock...» mugugna John per la frustrazione di sentire che l'altro si è totalmente fermato e Sherlock ride a bocca chiusa stringendolo a sé in un abbraccio possessivo.
«Abbiamo tutto il tempo del mondo, John.» scende a baciargli l’orecchio, la mandibola e ricomincia a muovere sinuoso i fianchi. «Fidati di me, non avere fretta, ci sono parecchie cose che voglio provare.»
John ride, teso come una corda di violino, e gli passa una mano tra i capelli sudati tirandoglieli indietro.
«Detto da uno che poco tempo fa ha ammesso di non averci nemmeno pensato a queste cose fa un po' strano, sai?»
Sherlock inclina la testa e la poggia sulla mano di John, che ora gli sfiora il viso, e ne bacia il palmo socchiudendo gli occhi.
«Credimi, da quando ti ho incontrato ho avuto parecchio tempo di fantasticare su di te e su cosa avrei voluto provare a fare.» si china su di lui e gli bacia la mascella, il mento, la clavicola e poi insinua la testa nell'incavo del collo di John e ne annusa l'odore acre e salato, leccandolo dalla clavicola all'orecchio. «Chiaramente non ci basterà una notte per provarle tutte, ma possiamo comunque avvantaggiarci.»
«Chiaramente.» grugnisce in risposta il dottore quando sente Sherlock tornare a muoversi, e appoggia la testa indietro sul cuscino liberando un sospiro di piacere trattenuto tutto il tempo.
«Muoviti Sherlock, o giuro che ti ribalto sulla schiena e mi prendo ciò che voglio.»
«Mi piacerebbe vederti provare.» lo schernisce Sherlock, prima di dare un ulteriore spinta ed evitare così a John di rispondere se non con un sonoro Ah! «Ma per ora... agli ordini capitano.»
 
John è stremato. Si fa cadere a panciata sulla propria parte del letto e respira pesantemente contro la federa del cuscino.
«Cazzo…» fa un altro lungo respiro e poi uno ancora finché si sente ridere, euforico, senza nessun motivo apparente.
«John…» Sherlock gli si fa vicino e gli sfiora la schiena e John è ancora così sensibile da tremare tutto «Ancora.» e John non riesce a credere alle proprie orecchie. Lui è lì semi distrutto e Sherlock invece…
«Ancora, John. Ancora, ancora, ancora.»
…invece no.
E John non può certamente rifiutare, non quando le braccia di Sherlock lo stringono e lo portano a sé.
 
Per la prima volta da quando dormono insieme John si sveglia prima di Sherlock e si ritrova lui ad essere circondato dalle braccia di Sherlock e non il contrario come accade di solito. Sorride nel vedere la faccia totalmente rilassata dell'altro e nel leggero russare che emette - non aveva mai potuto notare che russasse - mentre lo circonda sia con braccia che con gambe. Solleva una mano e la porta a toccare in punta di dita gli zigomi alti di Sherlock e le borse scure che ne delineavano gli occhi fino a qualche ora fa, scendendo poi ad accarezzargli la spalla nuda e ad osservare l'interezza del suo corpo.
La posizione non è delle più comode e lui si sente piuttosto indolenzito, ma evita di muovere anche un solo muscolo così da non svegliarlo.
Rimane così per diversi minuti, a contemplare il viso di Sherlock, finché il suo stomaco brontola per la fame e gli urge una visita al bagno, così si gira il più lentamente possibile e fa per scostarsi il braccio di Sherlock da dosso, quando sente l'altro stringere la presa.
«Dove credi di andare?» uno sbadiglio da dietro la schiena di John e Sherlock lo trascina di nuovo verso di lui, premendoselo addosso e poggiando le labbra sui suoi capelli.
John a quel punto ne approfitta per stiracchiarsi e Sherlock lo lascia fare, tornando subito dopo a stringerselo possessivamente contro.
«Dovrei andare in bagno.»
«No.»
«No, guarda, ti assicuro che ci devo andare.»
Sherlock sorride sui capelli di John e il dottore passa la mano sul braccio dell'altro in una lieve carezza.
«Mi lasci andare, per favore?»
Alla fine il consulente sbuffa.
«Noioso.»
«Noioso quanto vuoi, ma ti assicuro che ne ho necessità.»
Sherlock sbuffa di nuovo con aria teatrale e alza il braccio liberando John, voltandosi poi per dare la schiena al dottore che ne approfitta subito per andare in bagno.
Sente urlare Sherlock prima di chiudersi la porta alle spalle. «Non farti la doccia!»
E forse è un po' preoccupato del perché non dovrebbe farsela.
 
Quando si asciuga le mani davanti allo specchio rimane per qualche secondo a rimirare lo spettacolo indecente che Sherlock ha fatto sulla sua pelle. Ovunque ha segni di morsi, qualche linea rossa che assomiglia pericolosamente a un graffio gli solca la clavicola e fa difficoltà a ricordarsi il quando e il come in quella nottata, ma poi fa spallucce, si lava i denti e torna verso la camera da letto, superando i vestiti lanciati a terra la sera precedente.
Trova Sherlock dalla propria parte di letto mentre ancora gli dà la schiena e sorride, mentre gli si avvicina e gli salta addosso, facendolo voltare sulla schiena e accomodandoglisi per bene sopra.
«Stavo dormendo io qui.» gli fa presente, sollevandosi per poterlo baciare mentre Sherlock gli afferra la nuca con una mano e lo porta prepotentemente a sé, salutandolo come si deve.
«Infatti qui si sente di più il tuo odore.» dice dopo essersi staccato da lui ed iniziando a far scorrere le mani avanti ed indietro sulla schiena di John, che si solleva inconsciamente col bacino ogni qual volta Sherlock passa vicino al suo fondo schiena.
«Lo sentiresti meglio dalla sua fonte, credo.»
«Se questo è un invito...»
«Certo. Speciale. Riservato solo a Sherlock Holmes.»
«Come potrei rifiutarlo allora?»
«Infatti non puoi.»
E questa volta è John a zittire Sherlock con i suoi movimenti.
 
«Sai che cosa mi fa davvero ridere?»
Sherlock ferma per un attimo la mano sui capelli di John e resta in ascolto.
«Che ti bastava solo fare del buon, sano sesso per calmare i nervi.»
E John ride a perdifiato lo stesso anche se Sherlock l'ha appena colpito con un libro preso dal comodino.
 
Rimangono gran parte della mattinata stesi a poltrire a letto (e John si stupisce della cosa, non riuscendo a credere alla tranquillità dell’altro) mentre Sherlock scandaglia il corpo del dottore centimetro dopo centimetro imprimendosi bene nella mente cicatrici, imperfezioni, elasticità della pelle e la tonalità più scura rispetto alla propria e John che se ne rimane fermo quasi tutto il tempo a farsi studiare senza alcun pudore, mentre Sherlock lo usa a suo piacimento, aprendogli le gambe, spostandogli le braccia, toccando, baciando, massaggiando fin quando John ad un certo punto non ne può più e semplicemente lo stringe a sé con le gambe e richiama la sua totale attenzione baciandolo.
 
Accade dopo diverse ore da ché sono svegli che John nota una piccola differenza in Sherlock. Niente di che, un qualcosa di infinitesimale in quelle pozze chiare che sono i suoi occhi.
Sherlock pare notarlo, perché sorride in sua direzione e gli si avvicina sfregando la fronte contro la sua.
«Adesso sto bene.»
E John è convinto che l’oro che adesso ha intorno alla pupilla sia la conferma a ciò che sta dicendo.
 
John è felice perché Sherlock non è cambiato, non troppo almeno. Continua a fare scene da regina del dramma sulla noia impellente, sul fatto che non ci sia niente da fare (e in quel caso Sherlock sfoga la propria frustrazione portando a letto un molto più che disponibile John), e inizia anche ad avere attacchi di Voglio tornare a Londra ma John lo vede più felice (e non dà il merito di ciò a sé, ma al fatto che sembra che lo stesso Sherlock abbia fatto pace con se stesso), meno ombroso di quando lo ha conosciuto all’inizio e di conseguenza si sente più felice anche lui e ogni tanto si domanda come ha fatto a vivere senza quest’uomo e come potrebbe andare avanti senza dopo averlo conosciuto.
 
L’unica cosa che si può dire essere cambiata davvero è il quanto stiano vicini adesso. Se già prima non c’era una distanza personale, ora quella non esiste nemmeno nel loro vocabolario. Sherlock gli è addosso sempre, e se così non è, è John che va a cercarlo e richiede le sue attenzioni o semplicemente gli si siede abbastanza vicino da poter leggere un libro e lasciargli fare gli esperimenti a lui necessari. E John trova tutto assolutamente perfetto.
 
Litigano. Perché non c’è assolutamente alcun dubbio sul fatto che una testa calda come John e una lingua lunga come Sherlock possano andare avanti a non insultarsi e litigare per molto tempo (soprattutto perché Sherlock molte volte esagera con i suoi esperimenti, e il fatto che la cucina è quasi andata a fuoco – nel fitto di un bosco - ne è la prova ) ma se prima riuscivano a non parlarsi per quasi due giorni ora è quasi impossibile riuscire a passare un’intera giornata senza aprire bocca. Così si ritrovano sempre a scusarsi vicendevolmente (chi chiedendo qualche sonata al violino, chi porgendo una tazza di caffè) e in poche ore entrambi riescono a sbollire l’intera faccenda e si ritrovano a guardare la Tv, a leggere un libro o una rivista o a fare l’amore sul primo posto a portata di mano non troppo scomodo.
 
Sherlock rimane molti più giorni senza cambiare sembianze e John si chiede se sia per il fatto che Sherlock riesca a dominarsi di più siccome mancano pochi mesi al rientro a Londra - e quindi deve essersi scaricato parecchio - ma Sherlock gli risponde che non è mai stato così semplice, che doveva arrivare fin quasi al giorno del ritorno a casa per poter star tranquillo per i restanti mesi a Londra, che ora si sente semplicemente meglio e più a suo agio, e questa volta John un po’ di merito se lo prende e Sherlock gli dice di non montarsi la testa, ma in compenso lo bacia.
 
Scendono in città molto più spesso e le labbra di Sherlock si stirano in un sorriso molte più volte di quelle che John si aspetterebbe.
Incontrano per caso la signora Hudson e la donna guarda Sherlock sorridendo, complimentandosi del suo aspetto decisamente più sano e insinuando che il merito sia tutto di John. Quando nessuno dei due le dice che non è vero la donna se ne va con un sorriso ampio e borbottando che se lo aspettava.
 
Sherlock inizia ad essere strano solo verso la fine dei mesi che gli rimangono da stare lì. È inquieto, dorme molto meno di quanto già facesse prima (il che implica che dorme due ore a notte o non dorme affatto) e John non sa cosa fare. Gli chiede cosa ci sia che non va ma Sherlock scuote la testa e risponde che va tutto bene, ma John lo sente distante anche quando gli si avvicina e lo abbraccia e Sherlock lo circonda con una mano.
John si chiede che cosa non va e si ripromette di insistere.
 
Nel frattempo l’estate è arrivata e fortunatamente gli alberi danno un po’ di riparo dal sole e dal caldo afoso, regalando loro un po’ di aria fresca e ombra. John è abituato al caldo, è abituato al sole, ma ammette che per ora ne ha fatto il pieno in Afghanistan e gli piacerebbe rimanere un po’ di più al fresco.
E quindi è per questo che quando se ne sta a letto a pancia sotto e scalcia via le coperte, si ritrova a borbottare per il corpo di Sherlock che gli si poggia addosso, circondandolo, ed è sempre per questo che John si lamenta ad alta voce ma Sherlock gli risponde semplicemente che non è un problema il caldo, che lo ha fatto sudare per ben altri motivi e che quindi non gli dà fastidio. John sbuffa spazientito e si gira nell’abbraccio, finendo col far aderire la guancia di Sherlock al suo petto.
«Ti sento il cuore.» gli dice Sherlock dopo minuti di silenzio e il cuore del dottore – senza alcun motivo - salta un battito facendo sorridere il consulente.
John gli passa le mani tra i capelli e sospira, baciandogli poi la fronte, notando che la pelle sotto le proprie labbra è leggermente aggrottata.
«Sherlock, perché non mi vuoi dire cosa c’è?» sospira, riappoggiando la nuca sul cuscino e guardando il soffitto bianco e certe macchie d’umidità che si stanno pian piano espandendo (per cui dovrà fare qualcosa).
Sherlock gli accarezza un fianco e John sente i brividi scorrergli lungo la schiena: gli fa il solletico.
«Vieni a stare da me.» e il silenzio si fa incredibilmente più pesante. «Io devo tornare a casa il prossimo mese, non ne posso più di tutta questa tranquillità e questa noia e…»
«Grazie.»
Sherlock sbuffa e stringe la presa sul fianco di John. «Sai benissimo cosa intendo dire. E risolvere casi insieme sarebbe decisamente più appagante che farlo da solo, e mi serve l’opinione di un professionista. Quelli di Scotland Yard sono un ammasso di idioti e chi gestisce la scientifica è un caso talmente disperato che non so nemmeno se abbia conseguito il diploma di scuola superiore e come abbiano potuto pensare di prenderlo a lavorare e…» Sherlock si ferma un attimo dal suo parlare a raffica e John solleva la testa per guardarlo. «Sappiamo benissimo che preferiresti passare gli ultimi tre mesi in Patria in questa maniera, piuttosto che qui, in questo posto dimenticato da Dio.»
John si alza sui gomiti e fa spostare Sherlock dalla posizione accucciata sopra di lui, spostandolo di lato.
Sherlock lo guarda sgomento e per la prima volta in vita sua non sa cosa aspettarsi. Ha detto qualcosa di male? Qualcosa non va?
«E dopo?»
Il consulente si acciglia.
Dopo?
John lo guarda e vede l’espressione spaesata di Sherlock che evidentemente non capisce la domanda e si incupisce appena. Non gli è mai passata per la testa l’idea che finiti quei mesi si sarebbero semplicemente salutati e addio, è stato bello conoscerti, anche perché non lo avrebbe mai permesso, ma allora non riesce davvero a capire perché Sherlock faccia quella faccia. Cosa si aspettava? Una stretta di mano e  un per il miglior tempo passato insieme? [1]
E Sherlock deve sicuramente fraintendere la sua domanda perché ora è lui che si sposta un po’ più in là e la sua faccia muta in un’espressione dispiaciuta per poi passare ad una offesa e risentita.
«Hai letto i miei messaggi?»
John alza un sopracciglio. E adesso che c’entra?
«I tuoi messaggi? No, perché avrei dovuto?»
Sherlock si alza dal letto di scatto e John ne osserva i movimenti, rapito come sempre quando il corpo nudo del consulente si muove, ma alla fine cerca di recuperare un minimo di ragione e alza i suoi occhi ad un’altezza socialmente accettabile mentre Sherlock va a prendere il cellulare poggiato sul tavolino nella stanza accanto.
Quando fa ritorno nella stanza tenendo il telefono in mano e leggendo qualcosa sullo schermo, John nota che il suo viso è ancora più accigliato e lui non riesce proprio a capire cosa stia succedendo (come qualsiasi volta in cui ha a che fare con i ragionamenti di Sherlock Holmes).
«C’era qualcosa che non andava ultimamente, eri sempre pensieroso e triste e non ne capivo il motivo.» John continua a fissarlo e ripensa al suo modo di fare nelle ultime settimane. È vero: era decisamente più nervoso del solito, ma solo perché non sapeva dove diavolo stessero andando a parare loro due a così poco tempo dal ritorno di Sherlock a Londra e, comunque, il caldo non aiutava. «Ammetto che lo sbaglio è stato mio, avrei dovuto cancellarli. Ma speravo in un po’ di privacy.»
John non sta davvero afferrando ciò che Sherlock sta tentando di dirgli, ma quando sente la parola privacy crede di avere le allucinazioni uditive.
«Privacy? Perché, sai cosa significa?» il tono gli esce molto più sarcastico di quanto vorrebbe e pare far agitare ancora di più Sherlock, che blocca lo schermo del telefono e lo sbatte malamente sul comodino.
Ci sono diversi secondi di silenzio teso e John non sa proprio cosa stia succedendo. La sua era una semplice domanda alla quale credeva di saper già la risposta.
«Non…» inizia Sherlock, ma poi finisce col chiudere gli occhi e roteare la mano in aria «Non avrei dovuto farlo ma non vedevo altra soluzione.»
John adesso sbotta perché davvero non sa di che cosa Sherlock stia parlando e la cosa lo infastidisce.
«Ma si può sapere cosa...?!»
«Mycroft però non è riuscito a fare nulla, quindi tranquillizzati.»
Mycroft?
John ricorda il nome - e come dimenticare un nome del genere? - perché Sherlock gli ha parlato del fratello un paio di volte, ma proprio non capisce cosa c'entri Mycroft in tutta quella situazione.
Sherlock lo fissa e probabilmente sbaglia di nuovo a leggere le sue emozioni perché l'espressione di John è assolutamente sbigottita ma Sherlock passa a spiegarsi quindi deve prenderla per un'espressione furiosa od esasperata (le uniche due espressioni di John che gli fanno ammettere qualcosa).
«Sì, gli ho chiesto di farti congedare così ché tu potessi trasferirti a Londra con me. E non mi pento assolutamente di averlo fatto, quindi è inutile che mi guardi così. Ma è evidentemente impossibile e io non capisco perché. E ha pure riso, il bastardo, quando mi ha detto che non era una cosa possibile da mettere in pratica per un motivo che non mi era permesso di sapere.» Sherlock digrigna i denti e si siede pesantemente sul letto, dando le spalle a John che se n'è rimasto con la bocca semi aperta ad ascoltare il discorso - apparentemente sconclusionato - del suo compagno.
«Quindi, fammi capire, stavi per farmi congedare senza il mio permesso?»
John non sa nemmeno come sentirsi a quell'affermazione, da una parte vorrebbe prenderlo a calci e pugni perché - diavolo! - non può decidere della sua vita così, soprattutto quando si parla della sua carriera che sta portando avanti con fatica e sudore da anni, e dall'altra vorrebbe solo abbracciarlo e stringerlo per essere ritenuto una persona così importante da non essere nemmeno contemplato nei piani il fatto di essere lasciato indietro.
Sherlock si volta a guardarlo e la sua espressione cambia repentinamente e questa volta è John a dedurre perfettamente cosa passa per il cervello di Sherlock.
«Sì, Sherlock, non avevo la benché minima idea di che cosa tu stessi parlando perché io la privacy la rispetto, a differenza tua e, in secondo luogo, volevo sapere del dopo perché non vorrei ritrovarmi in mezzo ad una strada dopo qualche mese, siccome il congedo l'ho già chiesto e suppongo tuo fratello ridesse per questo, giusto per tenerti sulle spine, se ho capito bene il tipo.»
John incrocia le braccia e alza un sopracciglio mentre Sherlock resta per qualche secondo in silenzio a contemplarlo e a processare l'informazione.
«Hai chiesto il congedo?» è la sua prima domanda e John vorrebbe nuovamente tirargli un pugno ed affrontare poi come prima cosa il fatto che Sherlock abbia tentato di tirarlo fuori dalla sua carriera a forza, tenendolo all'oscuro di tutto. Ma John si sente già in aria di Santità, così rotea gli occhi, prende un profondo respiro e mormora un semplice sì.
«E quando è successo? Perché non me ne sono accorto? Io non me ne sono accorto? Siamo stati sempre insieme! Noi...» e Sherlock si ferma quando vede il sorrisino di John allargarsi.
«Eri troppo impegnato ad essere geloso del nulla, Sherlock. Ho spedito la lettera mesi e mesi fa.»
E John riderebbe di cuore della faccia sconvolta di Sherlock (soprattutto quando lo vede borbottare che la cosa è assolutamente impossibile) se non fosse ancora vagamente agitato da ciò che ha fatto Sherlock.
«Non mi piacciono le bugie, Sherlock. E ben che meno i segreti. E su questa cosa qui dovremmo discutere perché non esiste al mondo che tu chieda a tuo fratello un aiuto in qualcosa che riguarda la mia persona, mi sono spiegato?»
Sherlock si volta del tutto e alza le gambe per mettersi a sedere sul letto e lo guarda, anche lui serio in volto.
«Non ti avrei mai permesso di tornare indietro. Mai. Ti avrei convinto a rimanere negli ultimi mesi di convivenza a Londra o avrei fatto in modo che ti arrivasse la lettera di congedo direttamente da me a Baker Street. E lo farei di nuovo, perché la scelta era questa o partire con te per l'Afghanistan, perché lo avrei fatto se tu non avessi desistito, sarei venuto con te e ti avrei seguito in capo al mondo ma sai, la carriera militare non è mai stata tra le mie vocazioni e preferisco di gran lunga il clima londinese al torrido clima afgano. Quindi metto subito in chiaro che non ci sarà nulla a separarmi da te. Né la morale, né l'opinione della gente, né il tuo immenso desiderio di andare a farti probabilmente uccidere dall'altra parte del mondo, e nemmeno il tuo desiderio di separati da me se un giorno lo vorrai. E ti avevo avvisato di questo. Quindi, John, non esiste più la tua persona, ma esisto io che farò di tutto per tenerti al sicuro.» e Sherlock è talmente serio, i suoi occhi sono talmente brillanti anche nella penombra, che John si ritrova con la pelle d'oca su tutto il corpo e  non sa nemmeno il perché.
Sherlock abbassa la testa e guarda le coperte sfatte, chiude le dita a pugno sul tessuto e rimane lì in silenzio, consapevole di aver esagerato e di aver solo rovinato ulteriormente la situazione.
John si è congedato. Si è congedato per lui e nemmeno lo sapeva. Come gli era potuta sfuggire una cosa simile? Stupido. Era un enorme stupido.
«Voglio che me ne parli, Sherlock.»
il consulente alza gli occhi dalle lenzuola e li posa sul dottore.
«Voglio solo che me ne parli la prossima volta. Le decisioni vanno prese insieme quando si è una coppia, cosa che noi siamo, giusto per renderti partecipe della cosa, quindi mi dispiace ma lo ripeto: non esiste al mondo che tu mi tenga all’oscuro di cose simili e manovri la mia vita con sotterfugi del genere e, come vedi, avrei preso la decisione giusta anche senza determinati aiuti, se solo me ne avessi parlato.»
Ma Sherlock non ne sembra convinto, così l’unica cosa che John si sente di fare e sospirare a pieni polmoni e scuotere la testa.
«Pensavi davvero che me ne sarei andato lasciandoti solo?»
Il consulente lo guarda per qualche istante, girandosi poi a guardare la camera e ricomponendo la maschera di finta indifferenza che usa di solito.
«Non facevi altro che parlare di quanto andare in guerra ti avesse in qualche modo aiutato e delle vite che hai salvato e di quelle che vorresti salvare ancora e che ti senti in debito lo stesso verso i tuoi compagni e altre sciocchezze simili. Cosa avrei dovuto pensare? Che avresti rinunciato alla tua carriera che tanto ti soddisfa per venire a stare a Londra con me?»
«Tu hai appena ammesso che avresti rinunciato alla tua, per me.»
Sherlock per un attimo resta bloccato. Evidentemente il suo meccanismo interno deve essersi momentaneamente incrinato perché rimane semplicemente a fissarlo.
John gli sorride benevolo.
«Voglio conoscere tutto di te, Sherlock. Oltre queste quattro mura voglio vedere come risolvi i casi che Scotland Yard ti propone, voglio conoscere questo Lestrade e tuo fratello Mycroft e la sorella della signora Hudson. Voglio vedere come tieni in disordine la casa, perché questo è assolutamente ovvio da come tieni questo povero appartamento, dove tieni gli esperimenti e che esperimenti fai. Voglio vedere la carta da parati sui muri e aggiungere dei miei vestiti al tuo armadio, portando le mie cose a Baker Street per rendere il tutto anche casa mia. Voglio esserci quando non riuscirai più a controllarti e avrai una crisi e il lupo si mostrerà e allora dovremo rimanere chiusi in casa siccome non potrai uscire e allora saremo di nuovo solo io e te senza tutta Londra intorno, chiusi nell’appartamento con il lupo che non fa altro che starmi addosso e io che non riesco a fare a meno di coccolarlo. E voglio seguire i casi con te, perché sicuramente non avrai pensato di mollarmi a casa tutto il giorno o potrebbe essere la volta giusta che ti prendo a pugni e poi ti medichi da solo.»
John si tira su a sedere e gli si avvicina gattonando sul letto, Sherlock lo guarda ammaliato e aspetta.
Aspetta che John gli si avvicini del tutto e gli prenda la testa con la mano sinistra. Aspetta di vedere un sorrisino furbo nascere sulle labbra fini. Aspetta che gli occhi di John lo guardino in quel modo malizioso con cui guarda solo lui. Aspetta che John lo baci.
E John lo fa.
Sherlock allunga le braccia e lo stringe a sé, restituendogli il bacio con tutta la forza di cui è a disposizione e si lascia muovere da John, che lo fa poggiare con la schiena sul materasso e continua a baciarlo, sollevandosi solo per baciargli il collo, le clavicole, il petto.
«Resterò con te. E per ora credo che questa sia l’unica certezza che ho nella vita, Sherlock. Quindi permettimi pure di non tornare in Afghanistan o di non allontanarmi da te ma…» alza gli occhi sul viso arrossato di Sherlock «Niente. Bugie.»
Il consulente guarda gli occhi seri di John e sa che non ha mentito su nulla. Sa che lo vuole davvero e che non ha alcuna intenzione di lasciarlo. Non adesso perlomeno.
Allora annuisce. Annuisce e sorride perché John si è congedato per lui e andrà a vivere con lui a Baker Street e seguirà i suoi stessi casi e allora nulla ha più importanza.
«Piccole bugie vanno bene?»
John rotea gli occhi e gli si poggia addosso, di nuovo incurante del caldo.
«Con piccole bugie cosa intendi?»
E sorride nel sentire la risposta di Sherlock.
«“Sherlock l’hai messa tu quella testa mozzata nel frigo?” Assolutamente no, John.»
E John ride perché dopo mesi e mesi di convivenza con quell’uomo riesce ad immaginarsi benissimo un’eventualità simile.
«“Sherlock, ho trovato un mozzicone di sigaretta nascosto nel bagno, è tuo?”» imita allora John (anche se Sherlock a questo punto sa che John l’ha trovato davvero e che ne pagherà le conseguenze dopo).
«“Assolutamente no, è stato un cliente.”»
John ride e si tira sui gomiti per arrivare alle labbra invitanti del consulente.
«“Ma Sherlock, non abbiamo clienti da settimane ormai.”»
Sherlock ghigna e solleva la testa.
«“Allora vedi perché sono annoiato e mi tocca fumare?”»
«“Allora bisognerà trovare un nuovo metodo per impegnare il tuo tempo.”»
Si guardano, si sorridono e si incontrano.
 
«Quello è davvero un teschio?»
«Un mio vecchio amico. E con amico intendo…»
«Non lo voglio nemmeno sapere, dove posso mettere la mia roba?»
«Cari, se vi servisse, c’è una stanza in più al piano di sopra.»
«Grazie signora Hudson, almeno saprò dove mettere tutta la roba inutile di Sherlock.»
 
Sherlock e il lupo hanno trovato John e sono d'accordo sul non perderlo.
Sherlock e il lupo stringono un patto.
Sherlock e il lupo riescono finalmente ad andare d’accordo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
[1] Lo so, sono una persona orribile. 3X03 battuta finale di Sherlock quando stringe la mano a John.
 
Ed eccoci all’ultimo capitolo. Spero davvero che la storia vi sia piaciuta e che non l’abbiate trovata troppo una castronata XD un po’ mi fa strano che sia già finita. D:
Ora mi trovate anche su AO3 http://archiveofourown.org/users/Papysanzo89/works per chi fosse interessato :)
Come vi avevo anticipato nel primo capitolo questa è nata come una one-shot tranquilla, per rilassarsi. Quando ho pensato alla trama stavo lavorando (come al solito, quando non si ha in mano uno stralcio di foglio e una penna e il cellulare è comodamente riposto nella tua borsa mentre stai guidando) e c’era la luna piena (e figuriamoci!) e l’atmosfera mi ha fatto immaginare un paio di scene, ovvero: Sherlock da lupo che gli entra in casa e John che se lo coccola, Sherlock che nota la ferita di John e John che gli dice che è lì per lui (e ancora una scena ma al momento non mi sovviene), al contrario invece ho dovuto eliminarne una che mi piaceva ma non avevo proprio idea di dove metterla perché si svolgeva durante la loro prima volta ma aggiungendola mi sembrava di rompere il ritmo (hai rotto il ritmo dell’Imperatore [cit]) quindi l’ho lasciata perdere : / non era nulla di tale, era solo Sherlock che leccava il naso di John e John lo riconosceva come un atto che faceva il lupo, infatti Sherlock si bloccava un attimo e lo guardava quasi spaventato. Insomma, un casino, anche se un po’ mi spiace u.u
ermete una volta mi ha chiesto di scriverle qualcosa su John licantropo e come avete potuto vedere da voi non ho fatto né John licantropo né ho usato effettivi licantropi nella storia, ma spero possa esserle andato bene comunque. XD
Grazie per essere arrivati fin qui e aver commentato/aggiunto alle liste di EFP.
I ringraziamenti più che doverosi vanno alle persone che mi hanno dato consigli e/o sostenuto. Quiiindi, ringrazio immensamente Macaron, Ellipse, Hotaru_Tomoe, ermete, N o r a e chiaramente Yoko Hogawa . Spero di non aver dimenticato nessuno. D:
Alla prossima!
 
-Papy <3
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: PapySanzo89