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Autore: La figlia di Ade    31/07/2014    0 recensioni
"In ogni caso, io sono Nicolas e spero di esserlo per più tempo possibile."
Biografia toccante di un bambino che è sempre vissuto in strada e non si è cresciuto da solo, come un animale. Questa è la storia di Nicolas che ha capito cos'è la vita grazie all'amicizia di Joseph.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Non credo che la mia vita sia stata esattamente quella che tutti sognano.  Per esempio, non ho mai saputo il mio cognome e dei miei genitori ricordo solo delle immagini a casaccio un po’ contorte e sfocate; certe volte mi chiedo perfino se non siano una ricostruzione della mia mente per sentirmi un po’ meno bastardo e un po’ più umano. Non fraintendetemi, non ho vissuto come un cane tutta la vita, ho avuto anche momenti belli e, come mi ha sempre detto Joseph: “Non tutto il male vien per nuocere” e forse è vero, ma meglio essere sinceri e dire che adesso quel male è rimasto solo male; almeno ho capito che il passato è passato quindi deduco di avere un po’ vinto. In ogni caso, per quante salite io abbia dovuto percorrere(certe volte perfino zoppo) son riuscito sempre a cavarmela. Sì, è il massimo che posso ottenere. Joseph mi ha anche sempre detto di sorridere alla vita perché magari anche lei sorriderà a me, ma a dir la verità la bella non è mai stata così buona con me, senza però contare l’incontro con lo stesso Joseph, perché in tal caso devo proprio dire che la fortuna mi ha fatto assaggiare le sue dolci labbra, quella volta e perfino la bella si è un po’ addolcita con me. In ogni caso, io sono Nicolas e spero di esserlo per più tempo possibile.
  I ricordi più vecchi che riesco ad avere, oltre le immagini sfocate dei miei, sono quelli della strada. Fino ai dodici anni ho vissuto come un mendicante. Portavo i piedi scalzi e avevo(e ho)  gli occhi grandi e scuri e, a dir la verità, proprio questi occhi son riusciti a salvarmi la vita più di una volta.
Per quello che mi ricordo la strada è sempre stata la mia casa e il cielo mio padre. Nella mia testa ci credevo talmente tanto che certe volte pensavo che la pioggia fosse qualche sorta di punizione paterna per le mie malefatte, un po’ come uno scappellotto. Non so, credo di aver vissuto talmente tanto tempo come un animale  che credo di esserlo perfino diventato. Avevo il fiuto di un cane, mi arrampicavo come una lucertola, cacciavo ed ero furbo come una volpe e soffiavo perfino come un gatto. Credo che più di una volta le persone abbiano pensato che fossi davvero un animale e io di sicuro non lo negavo. Non sapevo parlare molto bene, diciamo che sapevo fare di più i versi degli uccelli, ma quando sentivo qualcuno dire qualcosa non nego che provavo a ripeterlo. Ero un selvaggio, uno spirito libero, un mendicante e un ladro. Mi sentivo un animale fuso con un uomo, e credo che non fosse esattamente un’accoppiata vincente. A sette anni ero come un cucciolo abbandonato che tentava di buttarsi nella vita senza però avere il paracadute. Per mangiare frugavo nelle pattumiere e chiedevo le elemosina(l’avevo visto fare da alcuni signori) nelle strade e quando non riuscivo ad ottenere niente, nemmeno sbattendo le ciglia, andavo nei parchi e cercavo di catturare qualcosa e proprio in uno di quei parchi incontrai la signora dai capelli rossi(non ricordo il nome) che fu la prima persona a tentare di “adottarmi”. Il giorno stavo nel parco, acquattato, fischiettando il verso di un usignolo sperando che questo si avvicinasse abbastanza da poterlo catturare, ma non appena questo fu attirato dai miei versi, una signora strana si avvicinò alle mie spalle facendo volare via il mio pranzo. Non fece in tempo a chiedermi che facessi che io mi voltai e inizia a soffiare e graffiare più che potevo. Quella corse via, urlando. Io, soddisfatto, andai alla ricerca di una nuova preda. Rimasi a lungo nel parco fischiando con tutta l’aria che avevo in corpo, ma senza risultati, fino a quando il mio sguardo non fu colpito da un bellissimo nido(sconosciuto) dove delle uova verdi ancora tiepide se ne stavano addormentate. In tutta fretta mi arrampicai come una scimmia sull'albero; non era tanto alto, ma mi dovetti sforzare lo stesso, fino a quando le mie dita non riuscirono a sfiorare i ramoscelli intrecciati che formavano quel nido e… una mano mi prese il piede, facendomi perdere l’equilibrio e cadere sull'erba. Quando riaprii gli occhi la signora dai capelli rossi stava lì, davanti a me, con le braccia incrociate e lo sguardo arruffato(non saprei come altro descriverlo). “Che fai bambino? Non lo sai che è pericoloso?” Io d’stinto mi misi a carponi e inizia ad abbaiare, ringhiare e graffiare l’aria. La signora non sembrava molto turbata, anzi, scoppiò in una grassa risata(quasi più grassa di lei, oserei dire) e mi prese per le ascelle, alzandomi da terra per esaminarmi. Io iniziai a scalciare e a dimenarmi, ma senza risultati. La signora storse le labbra e iniziò a fare commenti sulla puzza, la sporcizia e così via, finché non riuscì ad ottenere la mia attenzione con la domanda: “Dove sono i tuoi genitori, bambino?” allora io smisi di dimenarmi. E piegai la testa di lato, cercando di scandire nella mente quella parola
“G-genitori?” chiesi. “Sì, genitori.”
“Genitori”
“Vuoi ripeterlo un’altra volta?” non risposi. “Oh, cielo. Non sai cosa sono i genitori?” Mi posò a terra e io rimasi lì, senza scappare. Scossi la testa per dire no e subito il suo sguardo si accese. Passò dal “oh, povero tesoro” al “potrò salvarlo, sono una vera eroina” e poi al “oddio ma puzza” e poi di nuovo “ma potrò esser e un’eroina!”. Io non riuscivo davvero a capire quello di cui parlava la donna, ma non appena disse la parola “cibo” non esitai a seguirla. Ero così ingenuo al tempo.
  
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