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Autore: Rain_Flames    01/08/2014    9 recensioni
Questa storia partecipa al contest "Giallo a scena multipla" di Faejer.
Una giovane ragazza torna a casa dopo 5 anni di assenza.
Chi ci sarà ad aspettarla?
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Questa storia, partecipa al contest "Giallo a scena multipla" di Faejer.

Pacchetto Bianco
1° Turno


 

– La fanciulla delle nevi

 

 

 

«La prego di allacciare la cintura, stiamo per iniziare il decollo» - mi informò una hostess sulla quarantina.

Accennai un sì con il capo e l'allacciai. Non amavo particolarmente volare in aeroplano, ma questo viaggio avrebbe dovuto cambiare la mia vita. Esattamente come aveva fatto quello precedente.

Me ne sono andata da Mosca cinque anni fa, nei primi giorni di ottobre. Non che i paesaggi siano mai stati particolarmente allegri in città, ma vedere le foglie cadere dagli alberi e i colori diventare un'accozzaglia di marroni e verdi marci, non faceva bene al mio umore.

 

L'aereo iniziò a rollare sulla pista distraendomi dai miei pensieri, strinsi forte i braccioli con le mani fino a farmi sbiancare le nocche, e poi deglutii cercando di regolarizzare il respiro, così pochi secondi dopo mi sentii meglio. Lasciai andare la presa e intrecciando le mani in grembo mi rilassai contro il sedile.

 

Ero decisamente cambiata rispetto al viaggio dell'andata. Volevo scappare, è questa la verità, e credo di esserci riuscita visto che per tutto questo tempo non ho più avuto problemi.

Non che fossero molti, per la verità era uno solo: Foma. Foma Morozov. Fatico a definirlo uomo... credo che nemmeno essere umano gli si addica. La parola più carina che potrei usare per definirlo è bastardo.

Avevo solo diciotto anni quando l'ho dovuto sposare, sebbene non fosse lui l'amore della mia vita. Dico dovuto, perché il nostro era una matrimonio d'interesse. Mio padre mi ha praticamente obbligata, per unire la sua industria siderurgica con quella del padre di Foma, in modo da diventare una delle aziende più potenti del settore.

Ma non poteva sapere che mi stava consegnato nelle mani del mio aguzzino. E non lo seppi nemmeno io per i primi mesi. Era... sembrava un ragazzo normale.

Ci siamo ritrovati a dover condividere una casa ma, eravamo due perfetti estranei. Mi sono sforzata di provare a conoscerlo e lui sembrava fare altrettanto, nonostante questo, i nostri caratteri erano inconciliabili.

Gusti e passioni diverse e poi, io amavo un altro. Avevo cercato di chiudere la mia precedente relazione ma non ci riuscivo... sinceramente non ci avevo nemmeno provato con troppa convinzione.

Il problema è che Foma iniziò ad essere sempre più possessivo, fino a quando una sera, tornò a casa ubriaco e decise di prendersi ciò che considerava “suo di diritto” con la forza.

 

Ero distrutta.

Mi aveva annientata.

Letteralmente.

 

Avrei dovuto fermalo subito. Invece la vergogna che provavo mi aveva fatta diventare una preda ancora più spaventata ed inerme.

Diventò sempre più violento, arrivando persino a minacciarmi di morte. Inoltre, iniziò a picchiarmi come se quella fosse ormai una routine. Ed io mi odio per non averlo fermato prima.

Per essere stata debole.

Per non essere riuscita a dire no.

Basta.

 

Quando scoprii di aspettare un bambino non sapevo più dove sbattere la testa.

Non volevo farlo crescere in un ambiente malato, pieno di odio e violenza. Dovevo salvarlo... dovevo provarci.

Il pensiero di diventare madre aveva risvegliato in me un coraggio e una forza che non pensavo di avere, così finalmente mi decisi a denunciarlo.

Andai alla polizia e, con un po' di difficoltà, raccontai il mio calvario personale, chiamai un avvocato e chiesi la separazione.

Quella notte naturalmente non tornai a casa, andai dai miei genitori e decisi di raccontare anche a loro come stavano le cose.

Mio padre non riuscì nemmeno a finire di ascoltare la storia, se ne andò sbattendo la porta prima ancora che potessi dirgli che sarebbe diventato nonno.

Capivo che la cosa non fosse facile da accettare per lui, non lo era per me, figuriamoci per l'uomo che mi aveva venduto a quel mostro.

Quello che non riuscii ad immaginare però, fu la reazione di mia madre. Non solo mi diede uno schiaffo ma ringhiò che fosse un mio dovere, procreare, e amare l'uomo che avevo sposato.

 

«Nemmeno io ho avuto scelta. Ma ho amato tuo padre ed ho amato te. Smettila di fare i capricci e cresci!».

 

Le sue parole mi feriscono ancora quando ci penso.

Ma dopo questa “adorabile” discussione, presi la porta e me ne andai.

Tornando da Lui...

 

Lui che mi ha sempre amata.

Lui che mi ha sempre accettata.

Lui... che riusciva a cancellare il mio dolore con la sua sola presenza.

 

Quando arrivai davanti a quello che sarebbe dovuto diventare il nostro rifugio però, trovai Foma ad aspettarmi.

Quella notte non persi solo me stessa.

 

 

«Informiamo i gentili passeggeri che stiamo per incontrare una leggera turbolenza, siete pregati di allacciare le cinture».

 

Mi ridestai dai miei pensieri e feci per eseguire il comando, quando mi accorsi che non l'avevo ancora slacciata.

Ravvivai leggermente i corti capelli biondi e decisi di ascoltare un po' di musica.

La lirica mi aveva salvata dal baratro in qualche modo, infatti dopo essere scappata in Italia, l'unica cosa che riuscì a darmi un po' di sollievo fu il teatro.

Non era una cosa campata per aria, il mio psicanalista mi aveva consigliato di trovare un'attività in cui sfogare le mie emozioni, così sono entrata nel mondo del teatro.

 

I primi mesi erano stati davvero difficili e complicati. In generale intendo. Avevo trovato un piccolo appartamentino nella periferia di Milano, in una zona dove c'erano altri miei connazionali.

Mi hanno aiutato molto soprattutto con la lingua, visto che non sapevo una parola.

Iniziai a fare qualche lavoretto – spesso sottopagato – e cercai di tirare avanti come potevo.

Avevo qualche risparmio messo da parte, ma non volevo sperperare tutto in pochi mesi. Senza contare che la vita in quella penisola era davvero dispendiosa.

Nel frattempo avevo avviato le pratiche per il divorzio. Quando il mio avvocato riuscì ad ottenere un accordo per la separazione, il bastardo iniziò a versarmi 38200 rubli per il mantenimento, ovvero circa 800€.

Con quelli le cose iniziarono ad andare un po' meglio, anche se l'idea di usare soldi che arrivassero da Foma mi repelleva.

Ero intenzionata a cambiare vita e piano piano, raccolti i cocci della mia esistenza, mi immersi anima e corpo nel teatro, scoprendo di avere una cerca dote per il canto e la lirica.

Avevo urlato così tanto per colpa di quel mostro, che avevo acquisito un'ottima capacità polmonare.

Piuttosto inquietante...

 

Così dopo anni di duro lavoro, mi ero decisa per fare un nuovo provino. Era una decisione molto importante per me, perché per farlo sarei dovuta tornare in Russia e affrontare i miei demoni.

Se sono su questo aereo naturalmente, non è per inseguire un sogno... conosco il produttore, ho lavorato per altri suoi spettacoli in Italia e mi ha praticamente detto, che il mio provino è una pura formalità, perciò diventerò “La fanciulla delle nevi” dall'omonima opera teatrale scritta da Nikolaj Rimskij-Korsakov e tratta dal dramma di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij.

Ci esibiremo al prestigioso Teatro Bolshoi a Mosca, per l'intera stagione. Dopo quest'opera avrò l'opportunità di entrare a tutti gli effetti nella compagnia, e io, più di ogni altra cosa ho bisogno di stabilità.

Naturalmente non è solo questo il motivo del mio ritorno.

Il mio avvocato è riuscito ad ottenere il divorzio, così firmate le ultime scartoffie non sarò più la Signora Morozov, ma di nuovo io: Kira Ivanova.

Certo, non tutte le ferite si sono rimarginate – alcune non lo faranno mai – ma sono decisa, sono sicura e non permetterò più a nessuno di piegarmi al suo volere.

 

 

«Informiamo i passeggeri che stiamo per iniziare la discesa».

 

 

Mancava poco...

Tolsi le cuffie riponendole nella borsa, aspettai che l'aereo atterrasse e mi diressi subito a prendere le valige. Avevo bisogno di un carrello per trasportare tutto quanto, mi ero portata solo ciò che sentivo di non poter proprio abbandonare, ovvero un set completo di valigie. Il resto lo avevo venduto o regalato prima di partire. Di certo i bagagli che stavo trasportando adesso, erano molto più ingombranti del misero trolley che mi ero portata all'andata. Ma infondo ero tornata “arricchita”, dalla mia permanenza in Italia, e non solo a livello materiale.

 

Accesi il telefono e scrissi velocemente un messaggio a Lui - «Sono tornata».

Sapeva già tutto, avevamo parlato così tanto di questo viaggio che non serviva aggiungere altro.

 

Noleggiai un'auto e il ragazzo che mi consegnò le chiavi, fu così gentile da aiutarmi persino a caricare le valige sulla berlina grigia. Imboccai la super strada, in modo da arrivare al mio appartamento in un'ora e mezzo, forse due.

Tamburellai con le dita sul volante, facendo picchiettare la mandorla dell'unghia a ritmo di musica.

Era strano tornare dopo cinque anni, anche se i paesaggi erano esattamente come li ricordavo. Distese di neve si perdevano all'orizzonte, infondo era l'inizio di gennaio e non ci si poteva aspettare niente di diverso dall'inverno russo. Ciò che mi metteva una leggera ansia però, era il cielo plumbeo.

Le nubi nere e la fitta neve non incoraggiavano di certo i buoni sentimenti. Speravo un po' più di accoglienza dalla mia madre patria, ma infondo non si ha controllo sul tempo atmosferico.

Dopo circa mezz'ora fui costretta a fermarmi in una piazzola a destra della strada. Faticavo a vedere oltre i tergicristalli, così preferii fermarmi piuttosto che rischiare di farmi male. Anche se le catene erano già montate sulla macchina, non ero abituata a guidare in quelle condizioni perché, la patente l'avevo presa in Italia, e a Milano non nevicava poi così spesso.

 

Speravo sinceramente che le condizioni climatiche si attenuassero, volevo tornare a casa al più presto e bermi una tisana calda. Infatti nonostante la giacca pesante, il freddo nella macchina penetrava fin dentro alle ossa.

Presi il copione dell'opera e iniziai a ripassare, dovevo tenermi impegnata in qualche modo. Pensare alla storia della fanciulla delle nevi, mi aiutava a rilassarmi e a non pensare a cosa avrei dovuto affrontare nei giorni seguenti.

Infondo anche alla protagonista che dovevo interpretare non è sempre andata bene. Chi sono io per pretendere una vita migliore?

Dovevo entrare nei panni di una ragazza preistorica, era una sfida piuttosto avvincente.

La storia trattava le opposizioni eterne della natura, facendo interagire personaggi reali con quelli fantastici e quelli semileggendari. Ognuno di loro era caratterizzato e distinto musicalmente, ed io ero una soprano lirico.

Una soprano lirico-drammatico per l'esattezza.

Sì, quello era decisamente un aggettivo ricorrente nella mia vita.

Con il tempo avevo affinato il calore timbrico, la pienezza, la ricchezza e la dolcezza della voce. Il mio vocal-coach era piuttosto severo ed esigente, ma non avrei potuto chiedere di meglio: ottenemmo entrambi parecchie soddisfazioni dal lavoro fatto insieme.

Con il tempo mi aveva lanciato sfide sempre maggiori, così riuscii a migliorare anche nell'intensificare il volume e nell'avere una buona tenuta nel registro grave.

«Con questa voce» - mi aveva detto - «Ora non ti fermerà nessuno».

E infatti aveva ragione: tra i tanti ruoli che avevo interpretato negli anni c'erano Floria Tosca, Suor Angelica e Manon Lescaut, nelle opere di Puccini, e persino l'Aida di Verdi.

Ero davvero soddisfatta, sentivo di aver finalmente trovato il mio posto nel mondo.

 

Quando alzai gli occhi dal copione era già passata un'ora, e per fortuna la bufera si era leggermente calmata.

«Meglio avviarsi» - pensai, così sistemai i fogli nella borsetta e ripresi la guida.

Un brivido mi percorse l'intera spina dorsale, avevo decisamente bisogno di una doccia calda, un infuso e una coperta in cui potermi raggomitolare per il resto della serata.

  
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