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Autore: Amens Ophelia    01/08/2014    19 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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21. Un lieto fine è un inizio ancor più ameno

 
 
Era strano trovarsi a quel tavolo del ristornate più rinomato di Konoha, quella sera. Non era certamente la prima volta che vi aveva cenato, dal momento che il Getsumei era per gli Hyuga una tappa fissa, soprattutto durante le festività – allora ancora lontane –, eppure era comunque bizzarro, emozionante ma inconsueto, essere seduta fra suo padre e Sasuke. Se un tempo sosteneva correttamente di sentirsi come tra due fuochi, anche in quel momento, a distanza di due anni dalla fine del liceo, poteva avvertire il calore emanato da personalità forti e diverse fra loro come quelle di Hiashi e il giovane Uchiha.
            Hinata, di conseguenza, per allontanare la tensione, scambiava qualche chiacchiera con Mikoto.
            La donna, da quando Sasuke gliel’aveva presentata, aveva subito preso in simpatia la ragazza, ricoprendola di attenzioni, ogniqualvolta lei si trovasse a casa loro. Era profondamente lieta che il suo secondogenito avesse una fidanzata tanto bella quanto gentile e non poteva far altro che coccolarla, dedicarle tempo e gentilezze, quasi come se fosse stata la figlia mai avuta. Non che si potesse lamentare dei suoi eredi, naturalmente, ma la signora Uchiha – come quasi ogni madre – aveva spesso fantasticato di dare alla luce una bambina; una volta aveva confessato a Hinata che avrebbe volentieri messo in atto un tentativo per concepire una femmina, ma il solo pensiero che potesse arrivare un altro maschio – e per giunta più dispotico di Sasuke – l’aveva fermata. Mi andrà benissimo fare da nonna a una splendida nipotina dagli occhi color perla come i tuoi, le aveva detto, chiudendo così il discorso; inutile spiegare quanto quella rivelazione l’avesse subito messa in imbarazzo – e costretta a tossire per evitare di strozzarsi con la propria saliva.
 
Osservando la tavolata, se escludeva l’imperturbabilità di Fugaku e Hiashi, il più calmo pareva essere Itachi. Era incredibile come quel ragazzo riuscisse sempre a tenere a freno le proprie emozioni, anche mentre una bellissima giovane dai capelli fulvi gli stringeva saldamente la mano.
            «Vi starete chiedendo perché vi abbia invitati qui, stasera», esordì finalmente, regalando una rapida occhiata a ogni convitato.
            Solo suo padre sembrava essersi fatto un’idea sul motivo che l’avesse spinto a convocare tutti al ristorante, dall’alto del suo acume, ma il “Commissario di ghiaccio” sorrise al primogenito, annuendo: voleva sentirlo riferire dalla sua voce e magari, con un po’ di fortuna, vederlo pure arrossire come un qualsiasi ragazzo.
           «Basta solo che non ci propini il discorso che hai steso per domani sera!», esclamò Sasuke, incurante dell’occhiataccia del padre.
           La giovane seduta affianco a Itachi scosse la testa e rise. «Sarebbe più pesante di questo tiramisù, credetemi», bofonchiò, deglutendo a fatica l’ultimo boccone del dolce. Pessima scelta quella di sperimentare il dessert, dopo un pasto luculliano, così come fu una cattiva idea quella di lasciarsi scappare tale constatazione con un cameriere alle spalle.
           Non appena l’uomo si allontanò dal loro tavolo, il ragazzo dal lungo codino riprese il discorso interrotto: «Non sono qui per parlare di lavoro, ma solo per annunciarvi che...». Si bloccò, sentendo la propria mano essere riafferrata da quella della fanciulla. La guardò con intensità per qualche secondo, come se avesse dovuto trovare in fondo alle sue pupille la forza necessaria a parlare.
          «Coraggio», gli sussurrò, invitandolo a ripristinare il contatto visivo interrotto con gli altri commensali.
          Aveva sostenuto esami complicati, discusso una tesi unica nel suo genere, presentato progetti impegnativi e ben studiati, agguantato soddisfazioni enormi, eppure nulla di tutto ciò che aveva fino ad allora vissuto era lontanamente paragonabile alla gioia e al leggero imbarazzo che provava in quel momento. Si sarebbe voluto nascondere sotto il tavolo, come un bambino; al diavolo il suo sangue freddo e la pacatezza, la sicurezza nei propri mezzi e la ragione: in quell’istante percepiva a malapena il pavimento, sotto i piedi. Tuttavia non fece un solo passo, non deglutì un millilitro di saliva, non batté ciglio né ripensò alle parole da pronunciare; non si sarebbe tirato indietro, nonostante il disagio e l’emozione, perché era felice, assurdamente in estasi. La massima gratificazione non consisteva in un centodieci e lode, una stretta di mano e una pacca sulla spalla da parte del capo, ma in ciò che teneva stretto fra le dita: il cuore della persona che più amava al mondo. Si rese conto che quello era l’amore.
           «… Io e Yuki intendiamo sposarci, questo settembre», sorrise, guardando i suoi genitori. La deflagrazione nel petto era solo pura letizia. «E saremmo felici se Hinata e Sasuke volessero farci da testimoni».
          Gli sguardi passarono rapidamente dall’analisi di una coppia all’altra, più giovane e, improvvisamente, paralizzata. Ricevere notizie – e proposte – del genere non capitava certamente tutti i giorni, nonostante quell’annuncio fosse già nell’aria da mesi; Yuki e Itachi, in fondo, si erano mobilitati da qualche settimana per la ricerca di un appartamento dove poter convivere. Tuttavia, l’otouto non credeva ancora che il fratello avesse appena annunciato così, su due piedi, le proprie nozze e, soprattutto, che loro lo desiderassero, insieme con Hinata, quale garante dell’unione.
          Era pronto a separarsi dall’aniki? Non che fossero sempre stati in simbiosi, certo, ma negli ultimi anni Itachi era diventato un sostegno quasi quotidiano, una presenza confortante, un ottimo consigliere, un amico… un fratello. Strano come non se ne fosse mai accorto, prima dei diciotto anni – quando, di norma, si comincia invece a prendere le distanze dalla famiglia. Per lui era stato tutto diverso, un procedimento inverso rispetto a quello dei coetanei, probabilmente. Il merito della ripresa dei contatti e della riscoperta fratellanza andava solo a una persona – la stessa che, in quel momento, gli sfiorava un gomito.
          Sasuke si voltò lentamente verso Hinata, che lo guardava con aria serena, compiaciuta. Sembrava non esistessero più gli altri commensali, una volta che incontrò le pupille di quell’angelo dai capelli blu.
          Le sorrise di rimando, sollevando un angolo della bocca, e alzò il flûte ancora colmo di champagne in direzione dei promessi sposi. «Con vero piacere. Vi auguro il meglio», brindò. 
          La voce era uscita ferma e limpida, seppur emozionata, dalla sua gola, e anche stavolta sapeva benissimo perché gli occhi fossero sul punto di andargli in fiamme, sciogliendosi in lacrime.
           
***
 
La luce della luna, in tutta quell’oscurità, era la sola cosa capace di colpire le sue iridi nere e farle brillare. Hinata non si sarebbe mai abituata a guardarle senza perdervisi dentro; ora, dopo due anni e mezzo di relazione, lo sapeva per certo. Le aveva scrutate con calma, ma anche con desiderio, da mille prospettive diverse, eppure, ogni volta che le incrociava, le sensazioni che esse le provocavano erano le stesse della prima volta, se non ancora più forti.         
            La cosa per lei più inspiegabile e meravigliosa era che lo stesso provava lui, mentre si smarriva nei suoi chiari specchi di perla.
            «Non prosegui di qui?», domandò con un tono leggermente allarmato, vedendolo svoltare in un’altra strada.
            «Non ho detto che ti portavo subito a casa, Hyuga», dichiarò sibillino, continuando a fissare l’asfalto e l’orizzonte, davanti a sé.
            Lei lo scrutò per qualche secondo, a bocca aperta: perché diavolo era sempre così testardo? Più buio della mezzanotte ma, nelle sue intenzioni, brillante come nemmeno le stelle: ecco un altro motivo per cui lo amava.
            «E va bene», sospirò, intrecciando le dita.
            Avevano sempre tenuto un particolare tipo di conversazione, loro, caratterizzato da silenzi e sguardi, da parole ammutolite o, al massimo, sussurrate a fior di labbra, per poi essere messe a tacere da baci, da esplosioni di sentimenti che, per quanto intensi, i loro giovani cuori sapevano contenere e sacralizzare con una perizia degna di chi trascina con sé secoli di vita, e non vent’anni.
            Anche quella sera, Hinata lo osservava con aria rapita, incapace di capire se, al suo fianco, stesse davvero vivendo o camminando in una visione onirica. Quando lui le strinse la mano, arrestando l’auto, e le sorrise, si convinse che tutto corrispondesse a un semplice, perfetto, sogno ad occhi aperti.
            «Cosa ci facciamo qui?», gli domandò confusa, guardandosi attorno.
            Conosceva quel posto, ma non vi metteva piede da tempo; ogni volta che le capitava di passare da quelle parti, poi, evitava accuratamente di lanciare occhiate in sua direzione, oppure deviava volontariamente il proprio cammino, talvolta allungandolo, onde non rievocare una strana combinazione di ricordi lieti e di dolorosi.
            A dir la verità, nell’ultimo anno avrebbe potuto tranquillamente rivolgere il proprio sguardo a quel luogo o, addirittura, avvicinarvisi senza indugio, dal momento che era praticamente impossibile scorgere cosa ci fosse dietro tanti pannelli di legno, impalcature e altissime recinzioni, ma lei non ce l’aveva fatta. Il passato è una cicatrice, in fondo: rimarginata e ormai indolore, certo, ma pur sempre visibile, bianca e leggermente in rilievo, pronta a fare da monito per il futuro.
            Adesso, però, grazie alla presenza di Sasuke, tutto le appariva sicuro.
            «Domani hai un esame», gli ricordò, indicandogli anche l’orario segnalato dall’autoradio.
            Il moro le lanciò un’occhiata saccente. «Ho studiato, cosa credi?».
            «Ma sono le ventitré passate! Tuo padre ha detto che…».
            «Il tuo coprifuoco scade all’una, no?». Ancora ricordava le dure discussioni avute con Hiashi – non per ultima quella affrontata mezz’ora prima, fuori dal ristorante –, per permettere a Hinata di poter trascorrere almeno la mezzanotte insieme al suo ragazzo; con il tempo, l’uomo si era ammorbidito nei confronti di Sasuke, ma l’Uchiha era giunto alla conclusione che prima di poter vedere l’alba insieme alla fidanzata, di quel passo, i due sarebbero stati alla soglia dei quarant’anni.
            «Perché siamo qui, però? È tutto chiuso, assolutamente inaccessibile».
            Il ragazzo decise di trascurare quell'osservazione, avvicinandosi al recinto che l’indomani sarebbe definitivamente stato smantellato per permettere anche agli altri di poter vedere ciò che ancora celava meticolosamente. Sfilò una chiave dalla tasca e armeggiò per qualche secondo con il grosso lucchetto arrugginito, incurante delle proteste della ragazza.
            «Mi stai ascoltando? Non puoi entrare! È vietato… senza contare che è tutto un progetto di tuo fratello! Perché vuoi rovinarti la sorpresa? L’inaugurazione è domani», tentò di farlo desistere, raggiungendolo presso la rete metallica coperta da un telo frangisole verde scuro.
            «Tuo padre è avvocato, il mio commissario: di cosa ti preoccupi? E poi, ormai abbiamo già provato il brivido di un processo, no?», la prese in giro, aprendo il cancello.
            «Questa dev’essere la cattiva influenza di Naruto», commentò lei, sottovoce.
            «Ha smesso di essere un combina guai da un pezzo, lo sai. Inoltre, per tua informazione, è stato Itachi a passarmi la chiave», la rassicurò, prima di trascinarla dentro.
            Ogni ulteriore tentativo di protesta, ogni piccolo strattone per divincolarsi e indurre Sasuke a tornare indietro fu vano, quando i suoi occhi carpirono finalmente la meraviglia che il recinto aveva fino ad allora nascosto. Spalancò la bocca, trattenendo il fiato, ma non riuscì ad emettere alcun suono.
 
Di fronte a lei si stagliavano frondose querce, verdi ciliegi, aceri rossi, faggi sottili e rigogliosi, mentre i quattro sentieri coperti da ghiaia bianca che tagliavano il giardino urbano in altrettante porzioni erano costeggiati da bassi viburni dalle foglie lucide, piante di ibisco e cespugli di rose bianche e rosse – ancora in fiore, nonostante fosse un luglio particolarmente torrido.
            Guardandosi attorno, la ragazza non poté non notare con piacere che il progetto di ristrutturazione aveva incluso nei suoi piani delle attrazioni dedicate ai bambini, come una coppia di altalene, un grande scivolo in legno e plastica rossa, delle giostre a molla e svariate panchine con intarsi floreali; tutto sapeva di passato, spensieratezza e protezione.
            Mettere piede lì dentro, dopo più di due anni, però, le dava i brividi. Gli ultimi ricordi che collegava al luogo, poi, facevano a pugni con quelli della sua infanzia. Il cantiere dove aveva subìto l’aggressione e si era disperatamente lasciata sopraffare dall’abietta bestialità di Hidan aveva presto sostituito la carrellata di piacevoli rimembranze fanciullesche; era lì, proprio in quel punto – o forse qualche metro più a destra? – che aveva trovato conforto fra le braccia di sua madre, il giorno in cui Hiashi l’aveva sgridata per aver fatto cadere Hanabi dall’altalena, con una spinta fin troppo vigorosa per i suoi otto anni, ed era nei pressi di quella panchina, invece, che ricordava benissimo svettare il muro in via di costruzione contro cui Hidan l’aveva premuta, ferendola e umiliandola.
            La mano di Sasuke, nella sua, era quella straordinaria vernice, bianca e inodore, capace di coprire il nero, il bitume, il tanfo della peggior notte della sua vita. Avvertendo le cinque dita del ragazzo intrecciarsi alle sue, Hinata fu in grado di sbattere le palpebre e sorridere, permettendo al proprio sguardo di perdersi nell’orizzonte del presente. D’altronde, non gliel’aveva forse già detto, il ventisette dicembre di due anni prima? Sto davvero bene, quando sono con te. Il resto sparisce, che sia passato o futuro: vedo solo il presente. Ed era vero, perché da quel momento era stata in grado di costruire il suo avvenire quotidianamente, lastricando il cammino da percorrere di mano propria, gettando solide certezze ai propri piedi. Sasuke aveva destato in lei quella fiducia in sé che prima dei diciotto anni aveva a malapena percepito. Era stato lui, dopo la maturità, ad accompagnarla all’ateneo e a mostrarle fra quante alternative potesse scegliere; lui ad abbracciarla con entusiasmo quando la decisione era caduta su Lettere; lui a sostenerla di fronte allo scetticismo del padre, che avrebbe preferito vederla percorrere un cammino più concreto, per il proprio domani, magari seguendo ancora una volta le tracce di Neji, a quei tempi pronto ad iniziare Giurisprudenza.
            Doveva tanto a quel ragazzo, ma comprese che, più di ogni altra cosa, doveva la propria felicità soprattutto a se stessa, alla sua propensione a viverla, finalmente, e non solamente sognarla.
            Ed il parco, già illuminato da qualche lampione, quella sera, era una conferma in più di quanto fosse ormai cresciuta; nessun tormento, nel suo cuore, nemmeno quando lo sguardo si posò sull’enorme fontana che faceva da crocevia ai diversi selciati. Era totalmente diversa dalla vasca in cui si era gettata: la struttura circolare era di candido marmo e dalle acque limpide e illuminate sorgevano le pregevoli statue di quelle che avevano tutta l’aria di essere Creniadi, ninfe delle fonti.
           Gli zampilli creavano spettacolari giochi d'acqua, sotto la luce tenue dei pochi lumi accesi per quell’occasione tanto esclusiva e privata, e la luna illuminava quasi singolarmente ogni goccia che spezzava il velo scuro della notte.
            «È meraviglioso! Itachi ha progettato qualcosa di assolutamente inimmaginabile. Qui, fino a poco tempo fa, era tutto…».
            «Ha tentato di restituire all’area un aspetto il più simile possibile a quello originario. Senza la causa portata avanti da tuo padre, niente di tutto ciò sarebbe stato possibile», le sorrise, abbracciandola.
            La ragazza rise lievemente, al contatto con la sua camicia, per poi esplodere in un silenzioso pianto. Si sentiva stupidamente felice, incapace di trattenere le emozioni o di incanalarle verso un’unica, coerente via di manifestazione; c’erano letizia, riconoscenza, ma anche tristezza, malinconia, sulle sue labbra. Se solo quella bellezza paesaggistica appena restaurata fosse potuta essere una macchina del tempo! Avrebbe volentieri riabbracciato anche sua madre e, con gli anni, evitato certi sviluppi spiacevoli della propria adolescenza. Eppure, non era forse lieta di quel finale? Di quel finale che era solo un inizio ancor più ameno?
            «È solo nostra. Questa notte è solo nostra», sussurrò Sasuke, cadendo sulle ginocchia insieme con lei, abbandonandosi alla piacevolezza della gioia.
            Si stesero supini sul prato fresco, falciato da pochi giorni, a giudicare dai fili d’erba che si attaccavano con estrema facilità alla pelle delle braccia e s’infilavano fra i capelli; Sasuke ne districò qualcuno dalla chioma della ragazza, puntando un gomito al suolo e guardandola con il mento appoggiato al palmo. Avrebbe volentieri speso così tutta la vita.
 
«Metterei radici, qui», sussurrò, rubandole un bacio.
            «Ti ricordo che domani ti aspetta un meraviglioso esame di Filosofia Antica», sorrise, accarezzandogli il volto.
            La Hyuga era diventata un po’ la voce della sua coscienza, in quegli anni, quasi quanto Itachi: gli suggeriva quale fosse la miglior cosa da fare, l’atteggiamento da tenere di fronte alle sfide della vita, ai contrasti con qualche collega universitario indisponente o critico nei suoi confronti – Sasuke non le mandava certo a dire se qualcuno gli pestava i piedi, soprattutto in facoltà –, gli consigliava le parole da scegliere per riappacificarsi con suo padre, nel momento in cui qualche banalissimo contrasto con Fugaku guastava l’armonia familiare. Senza contare che lei, così discreta e apparentemente silenziosa, in sua presenza diventava quasi logorroica, lasciandosi alle spalle ogni traccia di timidezza e balbettio.
            «Se vuoi posso interrogarti, che ne dici? Ricordo ancora qualche nozione…».
            L’Uchiha le pose un indice sulle labbra, con delicatezza. «Voglio solo sapere cosa ne pensi del “Simposio” di Platone», bisbigliò, guardandola negli occhi.
            Hinata inspirò, chiuse gli occhi e cercò di rammentare una spiegazione scolastica vagamente decente riguardo l’opera; non capiva come mai Sasuke gliel’avesse chiesto, anche perché colui che doveva fornire delucidazioni filosofiche era lui, ma decise di non badarci.
            «Ricordo qualche mito, come quello di Amore nato da Povertà ed Espediente, narrato da Socrate, o la teoria di Aristofane sugli androgini». E diversi altri nomi e argomenti della cui esattezza non era del tutto certa.
            Il ragazzo parve incuriosito dalla sua risposta, tanto che poggiò le mani ai lati del suo capo, si spostò in sua direzione e la sovrastò. Avvicinò il volto al suo, fino a che i loro nasi non si sfiorarono, e quasi non la ipnotizzò quando riprese a guardarla con intensità. «Credi nella storia delle due metà separate, che si cercano in eterno per potersi completare?», le chiese con tono serio.
            La ragazza incespicò per un minuto, scrutando a fondo le reazioni che lo scorrere del tempo dipingeva sul volto del moro: interesse, autorevolezza, impazienza… e affetto, profondo affetto, dietro ogni sfumatura di emozione.
            «Non del tutto, in verità; diciamo che ho sviluppato una visione in parte diversa. Prima di amare, siamo già un blocco compatto, un’individualità integra; sembrerebbe perfetto, se non fosse che ci accontentiamo di vivacchiare in solitudine, consapevoli dei nostri limiti e senza alcuno stimolo che ci spinga a superarli. Voler bene, invece, insegna a scindersi in due, anzi, in centinaia di frammenti, per poter aderire completamente a un’altra persona, per fondersi con l’oggetto delle nostre attenzioni e creare una nuova entità che vada oltre il concetto di “unico”, di “completezza”, di “inseparabilità”. Sono dell’idea che quando due persone si amano non rinunciano alla propria personalità, annullandosi totalmente l’un per l’altro, bensì cercano di dar prova di sé, di battersi, di affermarsi contro le avversità, di far rifulgere la propria natura, di creare un contrasto portatore di vita, di nuove declinazioni capaci di vivere perfettamente in armonia con quelle dell’innamorato. Insomma, diversamente dal mito degli androgini, io credo che partiamo dall’essere una realtà completa, sterile e a malapena autosufficiente, che aspira solo a frammentarsi, a mettersi alla prova, a oltrepassare gli ostacoli che ci dividono dalla meta, per poter conoscere l’amore». Decisamente, era un concetto troppo arduo da spiegare e lei non possedeva quella capacità espressiva che invece Sasuke sfoggiava magistralmente, quando si trattava di filosofia. Non era razionale, Hinata, ma passionale, istintiva, violentemente succube dei moti d’animo, delle parole, dei pensieri. Ragionare le usciva anche bene, ma spiegarsi si rivelava sempre essere più difficile del previsto.
            «Ciò che intendo dire è che… una volta mi sarei volentieri annullata per la persona che ritenevo di amare. Sarei diventata ciò che desiderava, se solo avessi posseduto il coraggio necessario anche solo per salutarla. Avrei davvero fatto di tutto, per…».
            «Naruto?», sorrise lui, chiudendo gli occhi.
            Hinata annuì. «Ero consapevole dei miei limiti, eppure non sarei mai stata in grado di superarli perché dall’altra parte non proveniva alcun rinforzo positivo, nessuna reazione o interesse. Ero ferma a me stessa, nella mia triste interezza, e non riuscivo a schiodarmi da quella condizione. Non era amore, né il mio né, sicuramente, il suo», comprese.
            «Così hai capito che quello che Aristofane andava cianciando era solo lo sproloquio di un ubriacone che dava fiato alla bocca, durante un banchetto, giusto per non sfigurare al fianco di Socrate-sensei», sogghignò Sasuke.
             La Hyuga proruppe in una risata. «Qualcosa del genere», affermò, una volta che rincontrò gli occhi del suo innamorato. «Ho scoperto che le metà perfette non esistono, che l’anima gemella è solo una favoletta romantica, che nessuno, per quanto in sintonia con una persona, potrà mai dirsi completa, perché il segno evidente della saldatura rimane anche nei migliori mosaici. Ed è quella la cosa meravigliosa, Sasuke: quel sottile confine che ci distingue e che ci unisce, quella specie di colla che ci permette di essere un tutto, un nulla, un combaciamento di universi paralleli o distanti, ognuno con le proprie idee, forze e debolezze. Quella che gli altri chiamano "cicatrice", "crepa", "difetto" e che cercano sempre di livellare, di eliminare, è ciò che ci rende allo stesso tempo incondizionatamente liberi e stabilmente incatenati. Amare non è annullarsi, ma rispettarsi a vicenda, imparando ad apprezzare ogni lato di sé e dell’altro». Una lunga pausa, come per rimuginare su quel mare di sciocchezze che aveva appena pronunciato, ma di cui era profondamente convinta. «Tu mi hai permesso di crescere, di superare limiti che nemmeno conoscevo, di diventare forte, di accettarmi, di credere in me stessa… mi hai sostenuta, senza mai chiedermi di cambiare, insegnandomi che sono un essere umano perfettamente uguale agli altri. C’è voluto del tempo, lo so, ma sono giunta ad una conclusione».
             Il ragazzo sbatté le palpebre. «E sarebbe?».
             «Ti amo, Sasuke. Ed ogni volta che lo dico, ne comprendo più a fondo il significato».
             La vide arrossire, nonostante le luci soffuse, e non poté evitare di baciarle una guancia. «Solo su una cosa, ti sbagli. Non sei perfettamente uguale agli altri, non per me», ammise, stendendosi di nuovo al suo fianco.
             Hinata sorrise, accettando con umiltà quell’enorme complimento. «Adesso sai perché non studio Filosofia», si schernì, riconoscendo l’astrusità del proprio ragionamento.
             «Sì, molto meglio che tu rimanga fra i tuoi poeti e scrittori, lasciatelo dire. Ti caccerebbero subito fuori, in effetti. Soprattutto se osassi contraddire il vero e proprio pensiero delle massime autorità nel campo», confermò lui. «Ma sono d’accordo con te su tutta la linea».
            Finse di prendersela per quanto le aveva appena riferito, ma finì per osservarlo con aria ammirata, come sempre. «A cosa pensi?», gli chiese quando il silenzio si era fatto troppo opprimente persino per loro.
            «A nulla».
            Lui che non rifletteva su alcunché, con quello sguardo perso nelle stelle? «Impossibile».
            Sospirò, girandosi su un fianco per ammirarla di nuovo. «A quanto tu sia diventata chiacchierona… Fai quasi paura!».
            La ragazza si morse una guancia, imbarazzata e un po' infastidita. Eppure, bastò solamente un sorriso del suo innamorato per farla sentire meglio.
            «Non è vero», si smentì, «ho un chiodo fisso, in realtà».
            Hinata scosse la testa, contrariata, immaginando quale potesse essere. Forse non riusciva ancora a dire di conoscerlo come le proprie tasche, perché parte del fascino di Sasuke stava proprio nell’inafferrabilità dei suoi pensieri e nella capacità di sorprendere con azioni inconsuete, tuttavia era estremamente facile intendere a cosa stesse alludendo, con quel braccio ben avvinghiato alla sua vita.
             «Possibile che l’equitazione sia sempre in cima ai tuoi p-».
             «Ti amo, Hinata. È questa l’unica cosa cui ora io riesca a pensare. Credo che domani sarà lo stesso, e anche dopodomani, e il giorno dopo ancora… Ti amo e voglio davvero mettere radici, qui».
             Il suo cuore perse un battito quando l’Uchiha fece lentamente correre il proprio indice dal suo fianco al torace, picchiettandolo con delicatezza nel punto corrispondente al suo muscolo cardiaco.
            «Qui», ribadì, appoggiandole la mano sul petto.
            «Lo hai già fatto», lo rassicurò.
            Lui, invece, dichiarò nuovamente che l’amava e suggellò quell’affermazione con una lunga serie di baci, per poi concedere – dopo il trionfo dell’amore platonico – una piccola vittoria anche al più materiale Aristofane: seppur non credessero alla storia delle due metà della mela, delle anime gemelle, aspiravano comunque ad essere un variegato, caleidoscopico tutt’uno, in fondo.
           Sasuke si pose sopra di lei con più sicurezza, stringendo le ginocchia contro i suoi fianchi. Hinata sospirò ed annuì con serenità, intrecciando le mani dietro il suo collo e obbligandolo a baciarla.
          Le abbassò le spalline del vestito di leggero cotone blu e la delicatezza con cui compì quell’atto provocò un brivido di solletico alla giovane.
          La svestì con calma, quasi chiedendole il permesso, nonostante ormai entrambi avessero già conosciuto i rispettivi corpi; la verità era che provava rispetto per lei e temeva di poterla in qualche modo ferire. La loro prima volta era stata dolorosa per la ragazza e per quanto Sasuke fosse stato al corrente della normale sofferenza che le donne patiscono, per qualche minuto, durante il rapporto, quel fatto l’aveva sconvolto. Aveva carpito anche il fiore di Sakura, quando la fanciulla aveva compiuto sedici anni, ma ciò che provava per Hinata era amore. Vedere il suo volto assumere espressioni sofferenti e sentirla trattenere degli spasimi – quando lui, invece, avvertiva tutt’altre sensazioni – lo aveva turbato. Per questo, benché avesse già rapito la sua innocenza un anno prima, nella sua stanza dalle pareti blu, e avesse fatto l’amore con lei altre volte, non risparmiò delicatezza, attenzioni e preoccupazioni nemmeno su quel prato.
          Quando la Hyuga, però, gli sorrise di rimando e cominciò a sbottonargli la camicia, il ragazzo inspirò profondamente e nascose il proprio volto nell’incavo del suo collo. Aveva il suo permesso – e tutto il suo cuore.
          Più le dita scoprivano porzioni di pelle sensibile, più le sue labbra si premuravano di nasconderle all’occhio indiscreto degli astri, con languidi baci.
          Mani che cercavano altre mani, dita desiderose di tessuti non tessili, epidermidi esposte al chiaro di luna, in un crescendo di gemiti e battiti.
          Si ritrovarono nudi, senza alcun imbarazzo, avvinghiati in una morsa passionale e antica quanto il mondo.
          «Ti amo, Sasuke», sussurrò al suo orecchio, stringendo più forte le sue spalle, quando il ragazzo entrò in lei.
          I loro corpi si unirono, quella notte, sotto il cielo stellato, in totale armonia. Non era la prima volta e di certo non sarebbe stata nemmeno l’ultima.
          Le mani accarezzarono muscoli e capelli; le bocche assaporarono l’essenza di parole cariche d’amore, di vita, più che di filosofia; i petti impararono ancora una volta ad accordarsi allo stesso ritmo, sempre più sostenuto.

Vestiti solo di sudore, passione e qualche filo d’erba, ripresero fiato per diversi minuti, osservando i corpi celesti.
          «Questa notte è solo nostra», mormorò ancora Sasuke, accogliendo il capo della ragazza sul proprio torace. Le accarezzò la chioma, liberandole la fronte dai ciuffi incollati alla pelle, e le baciò la sommità del capo. «Nella stessa misura in cui ti appartengo, tu sei mia».
           Quelle parole, ascoltate con un orecchio perfettamente sovrapposto al suo cuore, riecheggiarono diverse volte nella mente di Hinata. Averle udite con una guancia appoggiata alla cassa toracica del suo ragazzo, poi, gliele impresse quasi sotto la pelle; le sentiva vibrare nel sangue, pungerle la lingua e inondarle gli occhi.
           «Voglio essere solo tua», giurò a se stessa e alla persona che più amava al mondo, mentre lui la strinse con tutte le proprie forze a sé.
            L’Uchiha avrebbe volentieri smarrito il senno piuttosto che rischiare ancora di perderla.
 
La luna si era già rintanata dietro la folta chioma di una quercia ma, di nuovo, dopo la laurea di Itachi, era stata testimone del loro amore.
           Stavolta, però, anche se lei avesse parlato, loro non avrebbero cercato di negare il suo racconto o di nascondersi dagli sguardi altrui, nei giorni seguenti. Non c’era nulla da occultare, nessuna vergogna o grave crimine da cui difendersi, se avevano deciso di assecondare il cuore. Non v’era alcunché di sbagliato nell’amare e loro avrebbero continuato a consacrare i propri corpi, labbra e pensieri alla forza che li univa – e separava.
 
Quando si rialzarono, rivestiti, e chiusero il lucchetto del cancello, Sasuke era ben consapevole che aveva i minuti contati: Hiashi lo avrebbe davvero infilzato con una di quelle katana che ornavano il camino di casa Hyuga.
            Avevano sicuramente sforato il coprifuoco, ma scrollò le spalle, stringendo la mano di Hinata; in fondo, era morto infinite volte, prima di incontrarla, e solo con quel numero di decessi alle spalle poteva affermare con assoluta certezza che mai, prima di allora, lui era stato vivo.

 
 
 
Ragazzi, non credevo che questo momento sarebbe giunto! Voglio dire, ogni volta che aprivo il pc, correvo immediatamente al documento di “Non andare dove ti porta il cuore” per aggiornarlo – a volte per cancellare qualche scempiaggine, altre per aggiungere un mare di parole. Davvero, mi sento… strana! Di solito non mi mancano aggettivi per descrivere sensazioni – credo che ormai lo abbiate notato pure voi, quanto sono prolissa! –, eppure oggi è incredibilmente difficile parlare di ciò che mi esplode dentro; gioia, tristezza, malinconia, appagamento…
Se c’è un sentimento che prevale, però, quello è la gratitudine! Vi voglio dedicare centinaia di ringraziamenti per essere arrivati fino a qui, per avermi sostenuta in questi mesi, per aver pazientato tanto a lungo, attendendo fiduciosi i miei aggiornamenti (spesso lenti!). Grazie perché siete stati un carburante senza precedenti, per me! Grazie a chi è stato al mio fianco dall’inizio, a chi si è fatto vivo a cammino inoltrato, a chi arriverà più tardi: siamo giunti alla meta! :D 

I numeri delle recensioni, dei preferiti/ricordati/seguiti sono stati davvero inimmaginabili, per me, dal momento che questa coppia è un crack pairing e che tutto è nato un po’ per caso, una sera di settembre dell’anno scorso. Se penso anche alle segnalazioni per le scelte... svengo. *-* Non credevo davvero di poter essere tanto fortunata – e ancora non me ne capacito, oggi! Siete stati esageratamente adorabili! ❤
Spero che questa storia sia riuscita ad emozionarvi almeno la metà di quanto l’abbia fatto con me – e voi con le vostre parole! –, che vi abbia fatto compagnia. Per questo, mi piacerebbe che ora che è tutto finito siano ancora una volta – l’ultima, e poi non vi tedierò oltre – le vostre riflessioni a fare compagnia a me, per qualche minuto, se vi va. Non so pregare, ma mi farebbe infinito piacere potervi sentire; dopotutto, questa è l’ultima occasione ç_ç
Se scriverò altre SasuHina? Mi piacerebbe e non escludo di tornare su una ship che personalmente adoro, ma non accadrà subito: prima intendo concludere altre storie che ho già intrapreso. Se vi va, possiamo incontrarci ancora lì – o altrove!
Un caloroso abbraccio! E che questo lieto fine sia un inizio ancor più ameno per tutti noi! 

 
La vostra Ophelia

PS. Eh sì, Itachi ha cambiato genere: non più ragazze dai capelli blu XD Inoltre, in questo capitolo, ho fatto riferimento al "Simposio" di Platone: per chi fosse interessato a rileggerne la trama – in modo molto veloce – lascio qui il link (preso spudoratamente dalla cara/diffidata Wikipedia). Sì, ammetto di ritrovarmi molto in ciò che dice Hinata: non credo nell’anima gemella (sai che noia!). 
Oh, la Hyuga e l'Uchiha sono diventati una coppia ufficiale, ormai! *-* 
Ah, vi aspettavate che i nostri protagonisti avrebbero scelto queste strade? Neji ha calcato le orme dello zio, Hinata ha intrapreso lo studio di ciò che più le piaceva (ricordate la sua passione per i temi e la letteratura, al capitolo 2?) e Sasuke ha optato per Filosofia (quel Nietzsche del capitolo 9 l’ha proprio stregato!). 


 
   
 
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