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Autore: EmoNeko    01/08/2014    0 recensioni
La storia di May, una ragazza ''diversa''. Dopo essersi trasferita in una nuova città,inizia per lei una vita difficile segnata dai pregiudizi. Sarà un corvo a riportarla sulla sua strada,donandole ciò che può. Un oggetto dal significato ignoto alla ragazza, almeno fin quando non avrà davvero bisogno d'aiuto, e dovrà aiutarsi da sola, basandosi su se stessa e seguendo la strada su cui il corvo la condurrà. L'amore,sentimento ancora sconosciuto, e varie perdite in famiglia porteranno la ragazza a chiudersi in se stessa, per poi tornare al mondo reale sotto un altro nome,un nome che sarà poi rivelato. ''Piume, inchiostro,carta. Sarete voi a salvarmi,non conto su nessun altro.''
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
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‘’Sei perfetta’’, dicevano.
Quella frase mi era stata detta da tanti, ma chi dei tanti lo pensava davvero?
La sveglia suona, sono le sei e mezza. Non ho nessuna voglia di alzarmi. Sento già le urla di mia madre in sottofondo, non ho altra scelta.
Spengo la sveglia con un pugno, mi alzo, come al solito non faccio colazione. La mia mente è occupata da sogni e pensieri, non ho tempo di mangiare.
Metto le mie pantofole maculate, saluto mio fratello in cucina. E’ impegnato a guardare il suo programma preferito, probabilmente non mi ha nemmeno notata.
‘’May, muoviti!’’ la voce di mia madre risuona come al solito in ogni stanza, tiro un sospiro cercando la pazienza che scivolava via giorno dopo giorno e mi avvio verso il bagno, piccolo, freddo.
La mia stanza preferita della casa. Mi guardo allo specchio, non sapendo se ridere o spaventarmi. I capelli non hanno più una forma, il bianco sta lasciando posto al mio colore naturale, il nero.
Ricordo ancora le storie che faceva mia madre, dopo avermi vista tornare a casa con i capelli totalmente bianchi e gli snakebites.
Cerco di sistemarmi al meglio, impiegandoci, come mio solito, poco meno di un’ora.
Esco dal bagno con la mia felpa preferita a maniche lunghe, i pantaloni strappati, creepers e il finto sorriso stampato sulle labbra, lo stesso sorriso che porto avanti da tempo.
E’ il primo giorno di quarto superiore, il calendario lo riporta in grassetto. Mia madre e la sua mania per la precisione… La voglia di andare a scuola cala sempre di più a ogni minuto che passa.
''Volti nuovi, persone nuove. Cosa diranno? Cosa penseranno di me? Rideranno, si prenderanno gioco di me?’’
Tutto questo ronza nella mia testa, impedendomi di formulare qualsiasi pensiero che potrebbe farmi stare meglio. Sono pronta.
Zaino sulle spalle, chiavi in mano, cellulare nella tasca destra dei pantaloni. Saluto, esco di casa. L’ autobus è già lì, fermo a pochi metri dalla mia porta, aspetta me.
Tiro un sospiro, salgo. Nessun posto libero, non mi rimangono che le scale. Mi guardo intorno, non conoscevo nessuno.
Leggo negli occhi di chi mi guarda che ‘’qui’’ non sono la benvenuta. Cerco di ignorare gli sguardi, e mi siedo sulla scalinata davanti alla porta, da sola.
Dallo zaino tiro fuori il mio fedele MP3, sia lodato il rock. Passano i minuti, la gente nell’autobus aumenta. Altri occhi puntati addosso, altro disagio. Spengo la musica a malincuore.
Siamo arrivati, il gregge di persone scende. Guardo la scuola, proprio davanti a me. Completamente diversa da quella nella città da cui mi sono appena trasferita.
Centinaia di ragazzi mi passano davanti, alcuni mi guardano, altri ridono. Decido di ignorare, tiro un sospiro e mi avvio verso l’entrata. I corridoi sono pieni di ragazzi, la campanella risuona tra le classi. La mia è quella in fondo al corridoio del terzo piano, vicino ai bagni e i laboratori. Rimango per un attimo un po’ distante a guardarmi intorno. E’ tutto troppo nuovo per me.
Vedo un gruppo di ragazzi separarsi dalla massa e avviarsi verso la classe.
Eccoli, i miei nuovi compagni. Sono tanti rispetto alla mia vecchia classe, la classe che ho dovuto abbandonare per motivi vari, e che forse adesso rimpiango.
Faccio un passo verso la porta, mi blocco. Forse non è stata una buona idea trasferirsi. Sento un brivido che mi percorre la schiena, e ad un tratto una mano si posa sulla mia spalla.
Mi giro subito, è un professore. Mi sorride. E’ alto, non alto quanto me. Vecchiotto, occhiali rotondi, tipo Harry Potter.
Qualcosa in lui mi da coraggio, il suo sguardo, forse l’unico sguardo ‘’normale’’ che abbia mai avuto puntato contro. Mi fa cenno di entrare in classe, e al mio rifiuto, sorride ancora ed entra.
I ragazzi si alzano, mi notano dalla porta semi aperta. Il professore inizia a parlare, la sua voce era tranquilla e moderata.
‘’Ragazzi, avete una nuova compagna.’’ Mi fa cenno ancora una volta di entrare, sempre con il sorriso stampato sul viso. Questa volta mi faccio coraggio, metto piede nella classe.
Sento già gli sguardi su di me. ‘’Avanti, dicci il tuo nome e da dove vieni.’’ Dette queste parole, cala il silenzio. Il fiato mi si blocca, mentre cerco le parole per mandare avanti quella conversazione.
Faccio un passo verso i compagni, alzo lo sguardo incrociandolo ai loro. Qualcuno è sorpreso, lo vedo fissare i miei piercing con aria sconvolta, altri guardano i miei capelli.
Faccio un lungo respiro, e inizio a parlare. ‘’Il mio nome è May Bunker. Vengo da Oakland, e mi sono trasferita qui per… motivi di lavoro e famiglia.’’
Mentre parlo, mi guardo attorno, osservando le reazioni altrui.
Poi abbasso lo sguardo, e torno vicino alla cattedra dove ero prima. Il professore mi indica un banco libero in fondo alla classe, vicino alla piccola finestra che da sul davanzale del piano.
Mi siedo e guardo fuori, il tempo non promette bene. Con la coda dell’occhio vedo ancora gente che mi fissa, cerco di ignorare il tutto soffocando la mia mente di pensieri.
La vecchia casa, la vecchia città, la vecchia me. Sento le voci in sottofondo, forse una lite è in corso. I pensieri superano il volume delle voci, ma posso distinguere le diverse frasi.
Questa giornata non sembra iniziata male, rispetto a tutti gli altri giorni che ho dovuto affrontare nell’anno precedente. Questa città è… tranquilla.
A parte la confusione in autobus di prima mattina e i corridoi affollati, nulla sembra mettersi in mezzo tra me e questo mondo. Un mondo normale per tutti, un inferno per me.
Qualcosa cattura la mia attenzione passando veloce davanti ai miei occhi. Un corvo. Già, un corvo. Appollaiato sul piccolo davanzale, mi fissa con i suoi piccoli occhi neri, come se volesse parlarmi.
Non sposta lo sguardo da me, nemmeno se io lo ignoro. E’ settembre, non fa molto freddo. La finestra è leggermente aperta, metto fuori la mano. Il corvo sale sulla mia mano, inizia a beccare.
E’ grande, più grande della mia mano. Un urlo improvviso del professore lo spaventa, e lo fa volare via. Tiro dentro la mano, ha lasciato una piuma. Una grande piuma nera.
La osservo bene, ripensandoci, le piume di corvo non sono così grandi. Cerco qualcosa nella tasca interna del mio zaino, un filo elastico.
Faccio un buco nel calamo della piuma con la matita appuntita e ci metto il filo. Una collana a dir poco strana, ma bella. La metto al collo e continuo ad osservarla.
Passo così questa prima ora di questo primo giorno, con le voci offuscate dei miei compagni in sottofondo, e a volte alcuni loro sguardi puntati contro, che svaniscono ogni volta che incrociano il mio.
Il tempo scorre veloce, arriva la seconda ora. Il trillo della campanella fa esultare tutti. Tutti, tranne me. Vedo il professore che mi aveva accolta, salutare con la mano.
Il suo sorriso, come al solito, accompagna le sue parole mentre esce dalla classe. Il silenzio si interrompe per poco, le voci si accavallano, qualcuno addirittura canta... stonando di brutto.
Ma in pochi istanti tutto finisce. Entra una professoressa bionda, bassina. Gli occhiali piccoli le arrivano fin sotto il naso, le borse che trasporta sono più grandi di lei.
Per la prima volta, la mia espressione è uguale a quella degli altri. La tipica espressione da ‘’Ma chi è questa qui?’’. Ci guarda tutti con uno sguardo serio, poi all’improvviso, un sorriso. Piccolo, ma c’è. ‘’Allora, ragazzi. Sono la vostra nuova professoressa di inglese, per adesso.’’ Tutti si guardano, leggo il terrore nei loro occhi. Non riesco a trattenere una risatina, molti si girano a guardarmi. Anche lei.
Mi sorride, forse perché sono l’unica ad aver preso bene la cosa. Di certo lei non può essere peggiore di certi professori che dovevo sopportare prima. Torna alla cattedra, e tira fuori il libro.
E’ un libro enorme, rosso e blu. Si inizia bene… Inizia a sfogliare il libro, gli occhi fissi su quelle pagine. Sento nell’aria l’agitazione dei miei compagni. Prende il registro, da una rapida occhiata ai nomi. Poi alza lo sguardo. ‘’Bunker.’’ E’ il mio cognome. Non sono sorpresa, la maggior parte dei professori che ho avuto tendevano a chiamare sempre me. Ma perché?
Non ho mai avuto molto interesse o risposte verso questa domanda, so solo che se chiamano me un motivo forse ci deve essere. Mi alzo e vado verso la cattedra.
Molti tirano un sospiro di sollievo per essere scampati a quel richiamo. Guardo la prof, attendo la domanda. ‘’May, scegli un compagno che dovrà essere interrogato.’’ Cosa? Seriamente?
Non mi aspettavo di certo questa proposta. Guardo i miei compagni, uno piu’ pallido dell’altro. Mi implorano con gli occhi, ‘’non indicare me!’’. Scelta difficile, davvero.
Sono tutti nel panico, tutti a parte LEI. La ragazza della seconda fila, ultimo banco. Lei sorride. Non è preoccupata, sembra voler dire ‘’dai, scegli me’’. Le faccio un cenno per accertarmene. Lei annuisce. Sorrido e la indico con un dito. ‘’Lucrezia, tocca a te. May, vai pure a sederti.’’ Torno al mio posto, torno ad annegare nei miei pensieri. Fino alla fine dell’ora, i miei occhi restano fissi sul vetro. Trasparente, freddo, come me ormai. La campanella suona, come al solito non mi accorgo di niente. E’ intervallo. Faccio uno dei miei soliti scarabocchi su carta, usando la penna che mi ha accompagnata negli anni. Disegno una piuma. Una piuma nera, come quella che ho al collo. Dalla piuma nel disegno scende un liquido nero.
La mia mano prosegue da sola, guidata dai pensieri nella mia testa. Poi, ad un tratto, qualcosa mi tira fuori da quei viaggi mentali. Una mano sulla mia spalla.
E’ Lucrezia, quella ragazza che si era offerta volontaria per inglese. Guardandola bene, non so quando, non so dove, ho l’impressione di averla già vista.
Ha dei lunghi capelli castani, ricci, come ero solita averli io alle elementari. Grandi occhi, anche essi castani, segnati dalla matita che li rendeva ancora più grandi. E un sorriso, un sorriso contagioso. Guarda con curiosità il mio disegno, poi da una rapida occhiata alla classe e mi fa, con una voce tranquilla e gentile: ‘’May, giusto? Perché non esci?’’
Vorrei avere la risposta a questa domanda, ma non è così. Anzi, al contrario, ne ho troppe. E nessuna di queste è quella giusta. Mi limito a spostare lo sguardo verso il pavimento.
Sento una leggera pacca arrivarmi sulla spalla, e riesco a scorgere il suo sguardo preoccupato.
Ha notato i miei occhi spenti, chiari e freddi come il ghiaccio, contornati di eyeliner nero e un’espressione vuota. Lei invece, riprende il suo sorriso, e mi fa cenno di uscire fuori. Guardo la porta.
Riesco a scorgere le ombre degli altri studenti. Mancano circa 7 minuti alla fine dell'intervallo. ‘’Vado? Non vado?’’ Le stesse domande ripetute in loop nella mia testa.
Faccio un sospiro, mi alzo dalla sedia e guardo lei. Sono più alta di lei, mi arriva alle spalle. Noto la sua espressione strana, quasi per dirmi ‘’Sicura di avere solo 17 anni?’’.
Riesce a contagiarmi con il suo sorriso. Il primo, dopo anni, apparso sul mio volto. Mi fermo sulla soglia della porta. Non conosco per niente questa scuola.
Nessun corridoio, nessuna classe, solo la mia, a malapena. Bagni, laboratori, niente. Forse ricordo dov’è l’uscita. Mi guardo attorno, confusa.
Lucrezia mi mette di nuovo una mano sulla spalla, invitandomi a fare un giro per i corridoi con lei. Ma si, che ho da perdere? Un altro paio di risate contro di me non cambiano nulla.
Accetto, e inizio a seguirla, sempre con lo sguardo che girava in tondo captando ogni minima cosa. Poca gente è ancora in classe, alcuni interrogati, altri si fanno semplicemente i fatti loro.
Nessun professore in giro, a quanto pare. Qualcuno, ad un tratto, ci prende per un braccio, fermandoci. Come non detto. Il prof di italiano, con in mano registri e documenti.
Da a me i documenti, a lei i registri. Poi dice: ‘’Lucrezia, i registri in sala docenti. May, i documenti in presidenza. Ne siete capaci?’’ Mi limito a fissare i documenti. Presidenza? Dove? Che piano?
Lei annuisce. ‘’Piano terra, corridoio, terza porta a sinistra.’’. Mi sorride e si precipita giù per le scale, indicandomi con lo sguardo una tabella attaccata al muro. Mi avvicino a dare un’occhiata.
E’ la piantina dei piani della scuola. Perfetto. Scendo fino al piano terra, tenendo stretti i documenti tra le mani, per evitare disastri. Il piano è quasi vuoto.
Solo docenti che fanno avanti e indietro con fogli e circolari, lamentandosi. Corridoio, porte. Mi fermo davanti alla terza. Alla mia sinistra, una grande scritta. ‘’PRESIDENZA’’.
Sento le mani che iniziano a tremare. Metto una mano sulla maniglia, e dopo un po’ di esitazione, entro. Non sono sola, a quanto pare. Davanti alla scrivania c’è un ragazzo, seduto su una sedia.
Mi guarda con la tipica e famosa espressione da ‘’Ma chi è sta qui?’’. Rimango a fissarlo attentamente, mi accorgo che non è tanto diverso da me. Capelli neri, spettinati, con le punte rosse scuro.
Occhi color ghiaccio, simili ai miei, puntati su di me. La maglietta dei Nirvana, i bracciali con le borchie, una collana formata da una catena.
Ha le mani e la fronte fasciata, un grande cerotto sulla guancia e un occhio nero. Non riesco a trattenere un’espressione preoccupata.
Lui deve averlo notato, dato che lui mi sorride e mi dice, con una voce calma e una nota di simpatia: ‘’Brutta gente si trova in giro.’’ La mia mente si annebbia per qualche secondo.
Annuisco, mi avvicino alla scrivania e lascio i documenti, senza dire una parola. Prima di andarmene, do un ultimo sguardo al suo viso. Mi sorride ancora.
Sento le mie guance andare lentamente a fuoco, ricambio il sorriso, e mi fiondo fuori dalla porta.
Spalle contro il muro del corridoio. Sguardo fisso nel vuoto. Le mani e tutto il mio corpo trema. Perché? Sento un qualcosa partire dal petto e pervadere il mio corpo in pochi istanti. Calore.
Cosa? Perché? Che sia davvero quel sentimento di cui mi parlavano spesso…ma che non ho mai avuto la possibilità di provarlo io stessa?
   
 
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