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Autore: Kirathewolf    01/08/2014    2 recensioni
Quegli istanti potevano durare in eterno, e non erano donati né nell’epoca Sengoku né nel mondo odierno, ma in un eterno punto di contatto, in una congiunzione al di là del tempo e di qualsiasi barriera.
Era una congiunzione invisibile che solo loro due insieme potevano creare, guardandosi negli occhi, toccandosi, unendosi, non aveva importanza come. L’importante era che loro la sentivano e non c’era né la distanza né il tempo a separarli, rimanevano apparentemente solo due barriere umane che col tempo avrebbero abbattuto. Ma non oggi, non ancora.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sera era sempre stata la sua parte di giorno prediletto, sia in quel mondo che nel suo. Di sera poteva infatti guardare le stelle risplendere fulgide nel cielo; significava riposarsi dagli affanni e dai combattimenti giornalieri, significava smettere di avere paura e stare accanto a lui. A questo pensava Kagome mentre girovagava da sola per la sua casa. Non c’era nessuno quella sera, non c’erano compiti da fare nel suo mondo, né al momento demoni da sconfiggere dall’altra parte. Kagome osservava la sua casa e mai le era parsa meno familiare che in quel momento. Era una sensazione strana quella che provava, e più andava avanti e indietro nel tempo e più essa diventava oppressiva e pesante, come una voragine nel cuore. Non sapeva nemmeno lei quale era la sua casa, a che luogo apparteneva, l’unica certezza che aveva era di non essere più da tempo una ragazza normale. Nel suo mondo le preoccupazioni erano alquanto misere in confronto alle scelte che prendeva dall’altra parte. Lì dove era in quel momento,  poteva permettersi di occuparsi solamente della scuola, dell’abbigliamento, dell’uscita con le amiche e per questo le sembrava tutto così insopportabile, tutto così futile. Certe volte le pareva che lì niente avesse un senso o importanza, niente valeva qualcosa per lei. Ma a pensarci bene, il mondo dove viveva lui era lo stesso, non era un altro, ma soltanto il tempo li divideva. 
Kagome entrò nella stanza da bagno, accese una luce soffusa e preparò l’acqua della vasca desiderando solo di riposarsi. Nell’attesa si accostò alla finestra e alzò gli occhi verso il firmamento.
In questo momento anche tu starai guardando il cielo? Si chiese Kagome. Come potevano vivere sotto lo stesso spazio, ma in epoche diverse? Erano come due rotaie create dalla stessa materia: vivevano in parallelo. E così come in certi tratti le rotaie si incontrano per far curvare il treno, così loro potevano finalmente vedersi. Ma Kagome si domandava per quanto avrebbero continuato in questo modo, non per sempre di certo. Soprattutto perché lei era solo un’umana ed i per sempre non potevano esserci. Con questa consapevolezza, spalancò gli occhi sgomenta, poiché per un secondo ebbe veramente paura della sua vita fugace. Lei non voleva morire nel suo mondo, e desiderava ciò tanto quanto non voleva morire per mano di un demone. Voleva vivere in eterno e viaggiare nel tempo senza problemi, senza affanni. Da tempo aveva capito che per congiungere quei due mondi così distanti di cinquecento anni, serviva l’amore. L’amore le faceva pensare al passato quando era nel presente e al futuro quando si trovava nel passato.
Ma sia nel presente che nel passato e nel futuro, c’era sempre il volto di Inuyasha. Era un pensiero che mai avrebbe potuto abbandonarla e dovunque lei andasse,  la sua immagine era sempre viva e nitida nella sua mente, ed era più forte di qualsiasi altro ricordo.
Nel buio e nel silenzio della stanza, Kagome si sentì davvero sola in un posto in cui non doveva essere.
Si tolse lentamente i vestiti e si immerse nell’acqua bollente lasciandosi lambire in un abbraccio che le faceva venire i brividi. Muovendosi cautamente, l’acqua si spostava creando il consueto suono che le dava un senso di pace eterna. Tutto ciò che desiderava in quel momento era appartenere ad un posto, appartenere a qualcuno. Perché era bello vivere, ma era triste guardare il mondo senza la consapevolezza di essere qualcuno o qualcosa.
Lei aveva la certezza di essere, ma cosa? Nel suo mondo era una studentessa qualsiasi che lottava per avere una vita modesta e realizzare i propri piccoli sogni, nell’altra era la reincarnazione di una sacerdotessa, colei che riusciva a vedere e purificare i frammenti della Sfera dei Quattro Spiriti combattendo contro malvagità.
Ma chi sono io veramente? Questo si chiedeva Kagome. Nell’altro mondo non era quello, in questo non era l’altro. E lei voleva disperatamente essere qualcosa sempre uguale a se stesso, immutabile nel tempo, inscindibile. Forse iniziava a capire che tutto ciò di cui le importava era essere la donna di Inuyasha, per l’eternità. Si, voleva creare un legame oltre il limite, qualcosa che poteva sfondare le barriere. E lo voleva con tutta se stessa.
Chiusa ermeticamente nell’oblio di quell’atmosfera piacevole, si sentiva più viva che mai. Mai come in quel momento desiderava così tanto, mai si era sentita scorrere nel sangue un’energia così forte. E certamente si trattava di energia umana, ma Kagome si sentiva quasi una creatura ultraterrena. Chiuse gli occhi lasciando che l’acqua le bagnasse i capelli e affondando il volto sott’acqua. Il rumore percepito sembrava quello di un motore o di una galleria di una metropolitana sporca che odorava di sotterraneo e di segreto, ma in fondo a quella galleria non la aspettava un treno per portarla via, ma c’era ….
 Inuyasha.
Kagome spalancò subito gli occhi e si mise a sedere provocando un rumoroso sgocciolio. Aveva avuto la sensazione di sentirlo, ed infatti la finestra era stata aperta. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare a qualcosa di ragionevole che lui apparve con un balzo sul davanzale. Stavolta lui non si imbarazzò di vederla a quel modo, e nemmeno lei si mosse di un millimetro, lasciando solo che l’acqua la coprisse lievemente.
“Kagome …” disse lui.
Quella voce le sembrò la più bella e la più familiare in assoluto. Aveva un timbro caldo, era una voce che poteva dirle parole gentili e che allo stesso tempo poteva uscire dalla sua gola come un ringhio minaccioso, come una fiera feroce che vuole liberarsi da una prigione fatta di carni.  Kagome non poté fare a meno di rabbrividire al suono di essa. Nell’oscurità silenziosa riusciva a sentire il suo cuore battere mentre tentava di scrutare nel buio i lineamenti di Inuyasha che in fondo conosceva alla perfezione. E soprattutto sentiva il suo odore. Era un profumo strano, le ricordava l’odore del legno degli alberi e della natura, ma non dava una sensazione di selvatico, bensì di purezza, un odore mondato da tutte le sozzure del mondo. Era un odore che sapeva di verde gioventù, di vita. Kagome non ebbe tempo di dire nulla, perché lui le si avvicinò di colpo e l’abbracciò sporgendosi dalla vasca. Lei rispose sorpresa al suo abbraccio e con i capelli ed il corpo bagnato d’acqua gli inumidì la tunica rossa.  Quella tunica sapeva di vissuto, poiché molte battaglie l’avevano vista squarciata. A Kagome in quell’istante parve di essere dovunque, non solo tra le sue braccia che l’avevano protetta e difesa centinaia di volte. Infatti lei era tra le pieghe delle sue vesti e tra i suoi capelli di un bianco argentato e lunghissimi, tra le sue ossa, tra la sua pelle.
Le unghie di Inuyasha facevano pressione sulla sua carne morbida, ma le mani avevano un tocco così gentile che mai Kagome aveva sentito prima su di lei.
Alzò allora lo squardo e puntò i suoi occhi in quelli di lui, che nella notte erano di un giallo luminoso e intenso. Non parevano occhi prettamente umani poiché avevano un colore così vivido e le sue iridi erano attorniate da sottili trame più scure, come spire che si avvolgevano e si dilatavano.
“Inuyasha, perché sei qui?” chiese Kagome con un filo di voce.
“Volevo assolutamente dirtelo … sapere che esisti da qualche parte mi basta …” rispose allora lui mettendole una mano dietro alla nuca. Affondò  le dita nei capelli di lei, così fini e lisci che sembrava di sfiorare l’acqua o la seta. Erano così sfuggevoli al tatto quasi come la vita della proprietaria stessa.
“Ma non oggi, non ancora.” continuò Inuyasha stringendola a sé.
A quel punto a Kagome spuntarono le prime lacime. Per lei la gioia e il dolore accanto a lui si estremizzavano al massimo. Provava la gioia di averlo lì con lei e per lei, ma anche il dolore per la paura che i sentimenti di Inuyasha esistevano solo perché era la reincarnazione di Kikyo. E se lei fosse stata solamente Kagome? Senza nessun potere, solo Kagome e basta.
“Kagome, io non so come finiranno le cose, ma ti prometto che quando tutto sarà finito noi troveremo un posto, tu troverai un posto assieme a me. Avevo bisogno di dirtelo, non potevo rimandare ancora.”
Kagome allora si avvicinò e senza nemmeno accorgersene si ritrovarono a scambiarsi un bacio, che non era ancora stato dato prima di allora. Era un gesto che significava tante cose che non avevano il coraggio di uscire e la sua forza faceva vibrare l’aria. Kagome con quella promessa si sentì a casa, al suo posto con qualcuno. E non era quello un semplice qualcuno, era la persona prescelta, quella che sentiva nel vento e nei meandri della sua mente, era semplicemente la persona che sentiva. Con lui riusciva a respirare libera anche in mezzo a mille paure, riusciva ad essere viva e completa. Con Inuyasha vicino non c’era la possibilità di sentirsi vuoti, soli, inappagati. Il suo mondo era dove andava lui, dove voleva lui. E anche se non fosse stato per sempre, una vita era comunque tanto, era tutto.
Kagome voleva conoscere i suoi pensieri, voleva oltrepassare la barriera dei suoi occhi, voleva unirsi a lui come donna e legarsi alla sua mente, voleva che lui diventasse la sua naturale estensione. Voleva conoscere ogni centimetro del suo corpo. Voleva colmare i suoi vuoti, sbaragliare le sue paure, essere un centro di riferimento, voleva scoprire ciò che celava oltre, voleva aprire i suoi cancelli e voleva che fosse lui stesso a dargli la chiave.
Quegli istanti potevano durare in eterno, e non erano donati né nell’epoca Sengoku né nel mondo odierno, ma in un eterno punto di contatto, in una congiunzione al di là del tempo e di qualsiasi barriera.
Era una congiunzione invisibile che solo loro due insieme potevano creare, guardandosi negli occhi, toccandosi, unendosi, non aveva importanza come. L’importante era che loro la sentivano e non c’era né la distanza né il tempo a separarli, rimanevano apparentemente solo due barriere umane che col tempo avrebbero abbattuto. Ma non oggi, non ancora.
 
  
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