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Autore: SallyLannister    02/08/2014    0 recensioni
Un groppo in gola è ciò che mi rimane. Tra mille pensieri, fra mille lacrime, tra mille ricordi. Perché tutto si è dissolto così in fretta che non ho avuto nemmeno il tempo di parlare.
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Straccio di una lettera che non è arrivata mai al destinatario. La lettera ad un amore non corrisposto che mi ha distrutta.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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LE PAROLE NON DETTE.
 


Quel giorno era un giorno strano.
Mia madre mi aveva costretto a fare una delle solite cose, che io di mia volontà non avrei mai fatto. Docile come un cagnolino, con la coda fra le gambe mi apprestai a eseguire il suo volere.
Mai come quel giorno, con il senno di poi, avrei voluto intestardirmi al punto di far ciò che dicevo io, ancora per una volta.
Evidentemente il destino aveva già mosso la sua pedina. Aveva già stabilito che in quell’esatto luogo, in quell’esatto universo, in quell’esatta posizione geografica, il tempo si sarebbe fermato, mentre il mio cuore sarebbe accelerato di colpo.
 
 
Caro,
Un tempo iniziavo queste lettere con la tipica espressione “Caro Amore mio”, senza rendermi conto di quanto fosse stupido da parte mia farlo. Non sei mai stato il mio amore, anche le io avrei voluto tanto.
Avevo solo tredici anni, quando per la prima volta scorsi la tua figura. Se ripenso a te, appena diciasettenne, mi viene da sorridere. Eri così carino, con i capelli arruffati e degli orecchini che erano più grossi delle tue orecchie, le guance sempre rosa, spesso lo confesso mi divertivo a chiamarti Heidi.
Non sapevo perché mi avevi colpito tanto, ma lo avevi fatto. D’altronde ero una ragazzina, ancora inesperta, ancora priva di ogni esperienza. Nessuno mi aveva mai sorriso, ma tu lo avevi fatto.
Stranamente ogni tua parola “mi” faceva stare bene ed io stupidamente mi facevo star bene anche solo un “ciao” sussurrato di sfuggita. Eppure ero così piccola che non capivo che via via questa situazione mi avrebbe portato alla deriva.
I giorni si susseguirono ed io ero sempre più drogata di quelle emozioni che tu inconsciamente non sapevi nemmeno di darmi. Quelle carezze sfuggenti, quegli attimi che mi sembravano solo nostri, quei momenti in cui io mi perdevo nei tuoi occhi verdi e in quei momenti mi odiavo, sì che mi odiavo. Odiavo pensare che tu mi stessi guardando esattamente con ammirazione e dolcezza come io stessi guardando te.
Tristemente scoprì che non era possibile, un’altra donna guardavi in quel modo e di certo non ero io.
Ormai il guaio era fatto. Io ero persa, ero invaghita, ero fissata, ero innamorata.
Ero da sempre stata una credente dell’amore a prima vista, ma mai in questo modo. Non credevo possibile che solo con uno sguardo si potesse stabilire un rapporto tanto forte e indistruttibile.
Più i giorni trascorrevano ed io più stavo male. Più stavo male e più piangevo. Desideravo in tutti i modi di porre fine a quella tortura, di spezzare le catene che mi tenevano ancorata verso il basso. Ma tutto inutile.
Lentamente stavo morendo.
Le mie giornate si spensero, il sole divenne nero e l’aria era irrespirabile. Non riuscivo a vivere in una situazione del genere, non riuscivo a vivere in una vita, dove tu non potevi essere con me.
Mi addormentavo la notte piangendo, con le guance bagnate dai miei pensieri, pensieri tristi e pensieri cattivi. Mi addormentavo con la consapevolezza che io ero nel letto a pensarti, mentre tu nemmeno un pensiero dedicavi a quella ragazza che vedevi solo una volta alla settimana.
Il mio mondo si stava affievolendo ed io con lui.
Le risate che erano una parte fondamentale nella mia vita, piano piano divennero meno importanti, lasciando posto alle lacrime che erano sempre al primo posto.
Crollavo, sì, crollavo. Come una piramide di carta. Come un castello di sabbia sottoposto continuamente allo scrosciare delle onde.
Ormai quello era diventato un tunnel buio; quasi come quello della droga. Smettere mi faceva sentire morta, ma continuare mi faceva stare peggio. Ero bloccata nell’impasse e non sapevo, dove fare qualche passo, affinché non precipitassi ancora di più.
Ero spesso derisa, perché non si capisce fino in fondo il dolore di qualcuno se non lo provi. Nessuno mi ha mai compresa fino in fondo, non ha mai capito che sapere che non mi amavi, come io amavo te mi riempiva di tristezza tanto da desiderare la mia stessa morte.
Più cercavo di uscire da quell’oscurità che io stessa avevo creato, più ci ricadevo dentro, come se una qualche identità mi costringesse a pensare e ripensare quelle scene che più mi facevano del male.
Otto anni. Otto lunghi anni di prigionia.
Sono stata prigioniera nella mia stessa mente, che non mi lasciava in pace, che mi assillava che continuamente mi ripeteva di non lasciarti andare. Non mi permetteva di affievolire nemmeno un momento quei pensieri, poiché mi ripeteva che se avessi smesso di ricordare, non avrei più distinto la tua voce o il colore dei tuoi occhi. Era la cosa che più mi faceva paura al mondo. Non volevo abbandonare quei pezzettini di te che ormai mi erano rimasti.
Rimasta legata a ciò che ormai mi rimaneva, di un addio a cui non ero pronta, passai tutte le mie giornate a cercare di ricordare la dolce melodia della tua voce. Più ricordavo e più piangevo e più desideravo morire.
Chiudevo gli occhi e mi abbandonavo nella realtà che la mia mente aveva creato per me; una realtà dove tu non eri andato via senza dire nulla, dove non avevi avuto una figlia, dove io non ti dovevo vedere sposato con un’altra donna. Nella mia mente ti vedevo con me, ti vedevo sussurrarmi quelle parole che più di ogni altra cosa al mondo avrei voluto sentire. Potevo anche sentire come le pronunciavi, ed io come piangevo a sentirle.
La mente, che brutti scherzi che mi ha tirato!
Sono stata sua schiava, finché non ho avuto il coraggio di lasciare che quei ricordi piano piano sparissero.
Sono passati quattro anni da quando ho visto i tuoi occhi l’ultima volta, da quando ho sentito la tua voce. E ancora oggi come allora mi privo di ogni emozione, nella speranza di provarla magari un giorno con te.
Ancora sbaglio, ancora sono in errore. Ancora sento l’amaro in bocca quando vedo le foto di tua figlia.
M’immagino come sarebbe stata la nostra. Nella mia mente si era creata una figura così vivida, che mi sembrava vera. Una bellissima bambina con i tuoi occhi.
Quante parole avrei voluto dire, partendo da quella che poteva essere la più semplice e più stupida di tutte: “Mi piaci”, troppo codarda per affrontare una verità che non volevo, troppa paura per un tuo rifiuto, così preferì rimanere in silenzio e soffrire invece che perderti per sempre.
Alla fine ti ho perso.
Ho perso tutto di te. Ho perso le cose che abbiamo condiviso, i pomeriggi a scherzare, le tue carezze, i tuoi sorrisi a come mi facevi sentire e ho perfino dimenticato come batteva il mio cuore quando c’eri tu.
Ancora piango, quanto ti penso. Perché ancora non mi è del tutto passata. Ancora spero in qualcosa che alla fine non accadrà mai.
Resterai sempre il mio “se solo”.
 
 
 E’ la prima volta che scrivo così vividamente questa storia. Confesso che mi ha fatta stare davvero male scriverla. Ho pianto dall’inizio fino alla fine, perché è una storia che ancora mi fa male. E’ la storia della mia vita.
Spero almeno in parte di aver trasmesso ciò che sento.
 
   
 
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