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Autore: shane_lilith_riddle    02/08/2014    8 recensioni
Il mito di Ade e Persefone, rivisitato. attenzione: I personaggi non si attengono molto alla storia originale.
Qui troviamo un Ades molto Noir, attratto fatalmente da una Persefone ancora troppo attaccata alla madre, che si attireranno però reciprocamente, come il bianco e il nero, il giorno e la notte, simili ed opposti, fino all'epilogo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Correva, la piccola Kore. Nei lunghissimi capelli, i colori del tramonto. Tonalità che spaziavano dal pesca, al cremisi, all’oro. Il corpo appena fiorito di fanciulla. I piccoli seni due mele succose, le labbra stesse morbidi petali schiusi. Rideva, la Kore, come può ridere la primavera. Di una risata cristallina e pura, tintinnante come rugiada che cade da un fiore. Il vento giocava col morbido manto che erano i suoi capelli, le ninfe gioivano con lei, tirandole l’acqua del fiume. La Kore era amata, come si ama la sera, l’estate, un profumo.. Era impossibile non innamorarsi degli occhi d’ambra ancora innocenti, della figura esile e indifesa, delle efelidi che ricoprivano il suo corpo come una sconosciuta costellazione.
Fu un momento, mentre le ninfe giocavano tra loro, e Persefone lo sentì. Come un richiamo, una dolce ma pericolosa nenia, che cullandola la invitava a voltarsi, attirando la sua attenzione. Lì, sulla sponda del fiume, un grosso Narciso nero. La fanciulla si avvicinò, incuriosita, incapace di sottrarsi al richiamo del fiore, che pareva invitarla a toccarlo.
Fu un istante, il tempo che quelle mani delicate si poggiassero sui petali.
Il tempo che la pelle nivea si sporcasse con il nero cupo.
Il tempo di un respiro.
E la Kore svanì.
Le ninfe, girandosi a cercarla non la videro. Allarmate, cominciarono a guardarsi attorno, fino a notare l’oscura presenza del fiore.
Sapevano tutti cosa significava.
Ades.
 
 
Rivoglio la mia Kore.
Rivoglio la mia bambina.

Demetra era furente. Il dio più pericoloso tra tutti si era preso sua figlia, la sua diletta, e Zeus sapeva, sapeva tutto, e non aveva fatto nulla. Quel vigliacco.
Il Re  degli dei era, paradossalmente, il peggiore tra loro. Perpetrava i suoi vizi sotto lo sguardo accondiscendente della moglie Era, sempre pronto a giudicare tutto e tutti dal suo monte incantato. Come poteva aver accettato le sue avances, Demetra ancora se lo domandava, ma non importava poi molto, in fondo alla fine aveva ottenuto la sola cosa che per lei contasse nella vita, la sua Kore. Che quel codardo aveva lasciato in pasto ad Ades, solo per timore di contraddirlo. Perché chiunque aveva il terrore del dio degli Inferi e di quel suo regno di morte. Tra gli altri vizi di Zeus c’erano, ovviamente, l’infedeltà smisurata, e il bisogno sviscerale di essere adorato. Perché sì, L’Olimpo non era nulla senza le preghiere e le invocazioni dei mortali. Zeus stesso non esisteva che per essere adorato.
E fu così che finalmente le venne L’illuminazione.
Se dall’alba dei tempi erano sempre esistite stagioni miti, temperature dolci, e la terra aveva sempre germogliato in abbondanza, era solo grazie a lei, dea delle messi, e alla sua Kore, che in sé portava metà del suo dono.
Ma finchè Persefone non le fosse stata restituita, L’uomo avrebbe conosciuto solo buio, venti gelidi, freddo agghiacciante, la terra sarebbe divenuta sterile e così il suo frutto: questa era la maledizione di Demetra.
E l’uomo non avrebbe più adorato Zeus, ma l’avrebbe rinnegato, poiché il freddo glaciale avrebbe mietuto molte vittime, i mortali sarebbero caduti come mosche, giungendo dritti dritti ad Ades, come messaggio per lui, E come messaggio verso il Re degli dei.
Sorrise, Demetra, mentre piccoli fiocchi bianchi cominciavano a cadere. Presto avrebbero ricoperto l’intero suolo. Il vento mutò, le temperature si abbassarono improvvisamente, finchè i respiri degli uomini non si condensarono in aloni di fumo.
Eccola, la sua maledizione.
Si chiamava Inverno.
 
 
Persefone si risvegliò in un luogo buio, spettrale.
Sentiva in lontananza il suono ovattato delle acque dello Stige, Le grida delle anime dannate, condannate a non trovare mai la pace, per l’eternità.
Sapeva benissimo dov’era, conosceva quel buio, quei lamenti. Gliene avevano parlato molte volte come di un luogo da cui stare lontani, cercando di instillarle timore per un luogo nefasto e proibito.
Ma Persefone era sempre stata affascinata da quei racconti, così come in quel momento era affascinata da quel luogo oscuro e misterioso.
-Benvenuta nella mia umile dimora, piccola Kore- una voce sarcastica spezzò il silenzio, un immenso trono nero parve affiorare dal buio, illuminato da un aura spettrale. Sullo scranno sedeva un giovane uomo, vestito di scuro, che pareva addobbato per la guerra. I capelli lucidi come ali di corvo scendevano lisci e lunghi sul suo corpo, come una lunga coperta di buio, di una notte senza stelle.
I tratti del volto erano decisi, eleganti. Gli zigomi altissimi e le sopracciglia come ali di rondini tristi.
Ma gli occhi, gli occhi, sembravano poter inghiottire il cielo. Il blu intenso dell’iride si sfumava in cerchi di fumo grigio, come le torbide acque dello Stige. In quegli occhi c’erano tutte le profondità dell’oltretomba, era un viaggio senza ritorno.
Distolse in fretta i suoi, di occhi, che invece erano color del tramonto, del grano, dell’oro, giusto in tempo per non perdersi in quell’abisso ammaliante.
-Che succede, piccola Kore, hai perso il dono della parola?- la stuzzicò lui, stringendo gli occhi come un gatto famelico.
Un topolino, così si sentì Persefone. Come un topo indifeso di fronte al suo cacciatore.
Preda.
 
Sarebbero morti, sarebbero morti tutti. Zeus non potè far a meno di pensare che la colpa era anche un po’ sua. Avrebbe dovuto agire prima. Ma scacciò in fretta questo pensiero sgradevole, preferendo concentrarsi su ciò che ora si poteva fare.  
Aveva tentato di far ragionare Demetra, sapeva che Persefone sapeva cavarsela da sola, ma la donna non aveva voluto sentire neppure una parola. Si ostinava a chiamare ancora la ragazza Kore, l’idea che fosse ormai maturata non la sfiorava neppure. Femmine.
Ciò che Demetra gli aveva detto era che finchè la sua piccola fosse rimasta nelle luride mani del dio della morte, l’inverno sarebbe caduto assassino sulla terra, finchè non ci sarebbe stato più nemmeno un uomo.
Non  poteva permetterlo. Aveva bisogno di quegli sguardi adoranti, aveva bisogno delle loro preghiere.
-Mandate a chiamare Ermes- ordinò alle ancelle. -Deve consegnare un messaggio per me.-
 
I giorni trascorrevano rapidamente, ma Persefone, nell’oltretomba, non sentiva lo scorrere del tempo. Passava i suoi giorni con il suo oscuro accompagnatore, che le mostrava ogni angolo del suo personale “paradiso” . Stranamente, la ragazza lo trovava rassicurante. C’erano sì anime dannate, ma anche anime in pace. C’era una luce soffusa e pacifica, e in molti angoli regnava il silenzio. L’oltretomba pareva una versione più tranquilla ed ordinata del mondo di fuori, un angolo di alienazione dal caos e dalle guerre, dalla fame, dai problemi, dalle cose materiali. E il suo oscuro Re solitario, che portava tutto il peso del dolore del mondo sulle sue spalle, aveva smosso in lei pensieri e desideri che non avevano più nulla di infantile, se non forse la speranza vana di poterli realizzare.
Sapeva benissimo che sua madre la stava cercando, non si separava mai da lei, controllandola a vista. Ma in quel luogo, Persefone era padrona di sé stessa. Se non quando il suo oscuro padrone esercitava il suo possesso su di lei.
-Non hai paura del buio, piccola Kore?- Le aveva sussurrato suadente e sarcastico all’orecchio, una volta.
-Ci sono piante che germogliano anche al buio.- aveva risposto lei con un lieve sorriso a fior di labbra, voltandosi a guardarlo.
Da quel giorno, l’aveva sempre chiamata per nome. Lei non era più una Kore per lui. E questo la riempiva di intima soddisfazione. E quando Persefone era felice, la sua luce illuminava l’oscurità, e dalle impronte che calcava nascevano germogli di speranza, di vita nuova.
Persefone aveva fatto fiorire in lui la primavera. Risvegliato sensazioni che giacevano sepolte nel dolore, nel peso insistente della solitudine.
Sin dalla prima volta che aveva posato il suo sguardo da predatore su di lei, la ragazza lo aveva ammaliato con la sua vitalità, tanto che aveva desiderato averla solo per sé. Ma come poteva un dio dannato amare un angelo della luce? Non la sfiorava mai, per paura di sporcarla con il nero infetto che contaminava la sua anima. Aveva visto così tante cose, commesso così tanti peccati.. eppure la ragazza era il suo spiraglio di luce, la sua ventata d’aria fresca. Forse aveva ragione Demetra. Lui l’avrebbe solo insozzata con la sua oscurità. Forse doveva semplicemente riportarla indietro.
Appuntò i suoi occhi in quelli di lei. C’era il calore del sole dentro, l’odore del miele. Fissò le sue labbra rosee come fragole da cogliere, da succhiare. Le avrebbe levato la veste candida di vergine, avrebbe voluto sentirla sotto di lui, aprirsi come un fiore al mattino. Ma sarebbe stato contaminarle l’anima.
Luna e Sole, Bianco e Nero. Opposti ma così simili, due facce della stessa medaglia.
Se ciò che provava era reale, se era contraccambiato, non ci sarebbe stato nulla da fare, Persefone sarebbe sempre tornata da lui. Così come il giorno rincorre la notte per ritrovarla tra il crepuscolo e l’alba.
 
 
-La Kore deve tornare, così decreta Zeus. Altrimenti sulla terra calerà l’eterno gelo, e gli uomini cadranno come mosche. Questa è la maledizione di Demetra.- Ermes rimase per qualche istante a fissare il cavaliere nero, per dargli il tempo di assimilare quelle parole. Conosceva il temperamento di Ades, sapeva bene che quando era ossessionato da qualcosa, questa diveniva la sua unica fissazione.
Ades si guardò intorno, a disagio. In effetti,in quegli ultimi giorni il traghettatore si era dato molto daffare, continuavano ad arrivare anime, per quanto possibile, gli Inferi si stavano popolando fin troppo.
-Persefone!- chiamò, ignorando il messaggero. La fanciulla apparve, i capelli radiosi, la pelle diafana, pareva muoversi quasi danzando nelle vesti trasparenti. Ermes rimase inebetito a fissarla, guadagnandosi uno sguardo mortale dal Re degli Inferi. –Mi hai chiamata, mio signore?- chiese lei con voce melodiosa.
A Ades si strinse il cuore in una presa quasi mortale. Non avrebbe più sentito il suono della sua voce, né rivisto quegli occhi che lo incendiavano dentro. La figura di Persefone l’avrebbe di nuovo lasciato, effimera come una farfalla. Sarebbe volata lontano da lui.
-Hai sentito, non è vero, mia diletta.- Persefone annuì.
-Sapevo che mia madre mi avrebbe cercato. Non poteva durare di più.- sussurrò con la voce rotta.
Sarebbe tornata ad essere una Kore. Nulla più che una fanciulla dipendente dagli altri. Era davvero ciò che desiderava?
Le parve che Ades le avesse letto nella mente. –Se è ciò che tu davvero vuoi, allora io ti lascerò andare.- le disse. – Ma sei ormai in grado di decidere da sola il tuo destino.-
Persefone lo fissò un lungo istante. –Dimmi una cosa.- sussurrò, -Perché mi hai portata qui? Desideravi un poco di compagnia? Senso di solitudine? – Ermes scoppiò a ridere, spettatore divertito di quel discorso.
-Il signore degli Inferi? Solitudine??- e giù un’altra risata.
Invece Ades le si avvicinò, spostandole una ciocca ambrata dal viso con tocco delicato, devoto.
-Perché, Ades, voglio solo sapere questo.- un brivido di piacere gli corse lungo la spina dorsale nel sentir pronunciare il proprio nome da quelle labbra di bambola. –Se te lo dicessi, Persefone, mi lasceresti comunque?- sussurrò, e i suoi occhi magnetici parvero con la loro intensità catturare la poca luce dell’oltretomba. Rimasero a studiarsi un istante, persi l’uno nello sguardo dell’altro.
-Io ti desideravo.- confessò. –Sei sbocciata come un fiore, ossessionando i miei pensieri con le tue forme, con la tua risata, col tuo profumo. Io desideravo averti mia, per l’eternità. La sposa di Ades. Colei che avrebbe regnato al mio fianco, illuminando il mio cammino. Prima di te, era solo buio. Torbido nulla, senza speranze. E se tu te ne andrai, nessuna luna illuminerà le mie notti. Nessuna alba avrà più un senso.-
-Voglio restare qui.- la sentì dire, come in un sogno.
-Non è possibile!- intervenne il messaggero alato, presenza pressante tra di loro. Ades lo fulminò con uno sguardo d’odio puro, prima di scomparire in una nube di fumo grigio.
La fanciulla rimase un momento spaesata.
-Non farci caso!- le disse Ermes, noncurante. –Ades è fatto così. Odia essere contraddetto.-
Ma il Re degli Inferi ricomparve poco dopo, un sorrisetto enigmatico stampato in faccia.
-Bene, noi andiamo.- continuò il messaggero alato. –Non c’è modo di fare altrimenti.-
-Molto bene- acconsentì lui. –Ma prima.. un bacio d’addio.-
Prese tra le braccia la sua Persefone, attirandola contro di sé. E per un istante luce e buio si sovrapposero, in un eclissi del cuore. Il gusto proibito della lingua del Principe oscuro nella bocca di lei, il nettare di vita delle  labbra succose della figlia della Primavera scorreva in lui.
Giorno e notte uniti, dentro un’alba chiaroscura.
Gli ultimi istanti di vita della Kore, per rinascere come la sposa di Ades.
Ma il bacio dell’oscurità portava dei semi. Ades glieli spinse contro la lingua, sapeva bene cos’erano.
Collegò in fretta, la sua sparizione, la sua ricomparsa improvvisa. Scegliendo lui, Persefone aveva scelto per la vita. Era andato a prendere dei semi di melograno, per infilarli sotto la lingua. E chiunque mangiasse del frutto cresciuto negli Inferi, apparteneva agli Inferi per l’eternità. Sei semi, sei mesi.
Quando i due si staccarono, il respiro corto, una domanda premeva sulle labbra di Persefone.
-Perché solo sei?- Il suo Re oscuro le carezzò la guancia. –Perché anche tua madre ha bisogno di te. Sei mesi alla luce, sei mesi nell’oscurità. Sei mesi con lei, sei mesi con me. Non sono così insensibile da non comprendere la disperazione di una madre, nonostante tutto.-
E la sua Regina gli sorrise, raggiante. –Allora a presto, Marito.-
In quanto al messaggero degli dei, aveva purtroppo capito il senso delle frasi in ritardo, e ormai il misfatto era stato compiuto. Prese per mano la ragazza, pronto per ripartire, il viso sbiancato dal terrore di un possibile rimprovero da Zeus, o peggio, da Demetra.
-Ho un messaggio per Demetra, messaggero degli dei.- lo apostrofò Ades, compiaciuto.
-Ditegli che la sua Kore ormai è cresciuta.-  e detto questo, sorrise.
Di un sorriso talmente luminoso da rischiarare l’oltretomba.
 
 
  
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