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Autore: Mrs Carstairs    02/08/2014    0 recensioni
“ehi. Non sto ridendo di te. Non rido della tua paura, capito? Rido… di tenerezza. È che, vedi, tu rischi di cadere da un edificio di 20 metri tutti i giorni, correndo sui tetti con me, e lì la paura di morire dovrebbe essere viva dentro di te. Una paura tremenda di sbagliare un solo salto e… invece la cosa buffa è che tu… su un tetto, tu non hai paura di niente. Non c’è distanza che tu tema di saltare, non un comignolo che ti veda soltanto camminare sul bordo di un parapetto. Tu corri, non pensi, salti.”
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo un po’, Persie aveva riaperto il libro al segno del giorno prima, ma stava ferma a pagina 280 da almeno mezz’ora. Seppure i libri erano per lei la più grande fonte di distrazione in qualunque momento, ora le parole dell’autore non riuscivano a trascinarla nel suo mondo, a darle l’impressione di essere scaraventata in un universo parallelo nel quale avesse sempre vissuto... di certo non con quel rumore in testa e tantomeno con le lacrime che le bruciavano in fondo agli occhi, offuscandole la vista. Ogni volta che leggeva una frase e arrivava al punto, doveva costringersi a tornare indietro, senza aver afferrato il significato di una sola parola del periodo. Dopo qualche minuto, aveva appoggiato la testa alla parete, guardando dalla finestra. Il libro ancora aperto sulle gambe, una mano a sorreggere la rilegatura, l’altra a fermare le pagine mosse dal vento che entrava dai vetri spalancati.
Stufa di litigare con la carta e il vento, chiuse il libro di scatto, alzandosi per riporlo sulla mensola della libreria. Mentre s’avvicinava allo scaffale in mogano, notò che qualcosa non era al solito posto in camera sua, o che -addirittura- non fosse mai appartenuto né a lei, né alla sua stanza. Guardando la scrivania a lato, infilò il libro al posto giusto, lasciando che il dorso sporgesse un po’, a promemoria. Sul tavolo liscio, era posata una cartelletta trasparente, che rimandava i riflessi argentei dell’abatjour accesa. Quasi accarezzandola, scostò l’elastico della chiusura con un movimento delicato delle dita e ci guardò dentro. Un biglietto, ripiegato mille volte, torreggiava una decina di pagine di spartiti, con le familiari note in nero che danzavano sui pentagrammi. Prese il foglietto a due dita, cominciando ad aprirlo. Quando l’ebbe stirato per bene, in modo che non si piegasse da solo mentre leggeva, fece scorrere gli occhi sulle righe del foglio di quaderno.
< Non so cosa vorrai fare della musica che ti ho lasciato, ma… non ho dimenticato quello che mi hai detto oggi.
A domani, suppongo. J.C.
P.S. ok, si. Forse la fiducia è una cosa assurda da chiedere a te... J.>>
 
Gli angoli della bocca di Persie si alzarono leggermente, dipingendole sul viso un sorriso sbilenco, mentre le dita si muovevano meccanicamente a ripiegare il foglietto. Poi prese la cartelletta tra le mani e sgusciò nella stanza accanto.
Il pianoforte a mezza coda di Helen occupava gran parte dello scenario, accompagnato dalla poltrona di velluto verde inglese poggiata accanto alla finestra. Helen ci si sedeva spesso per ascoltare la nipote suonare, infatti il velluto della seduta cominciava ad incresparsi e consumarsi. Per il resto, la stanza era vuota, con pile di spartiti sul pavimento ordinati per difficoltà e compositore. Attraversando la stanza, Persephone raggiunse il pianoforte, girando la rotellina della vecchia lampada a olio di sua nonna. Sedette, ponendo gli spartiti di fronte a sé, sollevando il copri tastiera.  “dico sul serio… se non lo vuoi, allora vattene! Esci da quella dannata finestra e tornatene a saltare sui tetti!” La voce di Persephone echeggiava ancora nelle orecchie di Michele. Il tono duro, deciso, ma chiaramente incrinato. Per quanto avesse finto di rimanere fredda e distaccata, per quanto la sua recita fosse stata convincente, Michele sapeva di aver mandato in pezzi il centro di Persie con uno dei suoi movimenti bruschi. Ma cosa? Cosa avrebbe potuto non volere? Con quella strana sensazione addosso, come di vuoto, non poteva ritornare a fissarsi in quegli occhi fulvi, nemmeno nel ricordo… non ci sarebbe riuscito. La delusione e la sofferenza che ci aveva visto erano dure da sostenere con il proprio sguardo, specialmente sapendo di essere lui stesso la causa di quel dolore. Michele non aveva pensato a questo. Non aveva pensato alla distanza e al distacco che sarebbero cresciuti tra loro, al possibile dolore -quasi fisico- che le avrebbe inferto con il suo atteggiamento. Sapeva solo che le avrebbe fatto più male stare con lui, uno che non aveva nulla da offrirle, che avrebbe potuto spezzarle il cuore con il suo dannato umorismo e il suo comportamento incoerente… ma forse aveva solo paura, quella dannata paura di non essere abbastanza, di vedersi come il distruttore di tutto ciò che amava, quella stessa paura che gli faceva tenere tutto dentro, la paura che aveva raccomandato a Persie di controllare. Uscito dalla camera di Persie, si era messo a correre sulle scivolose tegole dei tetti delle case vicine, cercando di allontanarsi da lì il più possibile. Il punto era, però, che, dopo un po’, si ritrovava di nuovo in equilibrio sul camino della casa stretta della ragazza, cercando di evitare di passarle proprio sotto il naso quando ripartiva verso la città. L’aveva vista cercare di affogare nelle pagine di uno dei suoi libri preferiti, per poi appoggiare la testa alla parete che le faceva da schienale e chiudere gli occhi. Era rimasto lì a fissare il suo viso, rilassato e teso allo stesso tempo, come dormisse in un sonno agitato, mentre una lacrima scendeva silenziosa solcandole lo zigomo. All’improvviso, Michele desiderò tendere la mano verso di lei, attraverso la finestra, sfiorarle la parte alta della guancia con il pollice e stringerla di nuovo, con la forza e l’impeto di quando l’aveva baciata. Poi si era alzata di scatto, chiudendo bruscamente il libro –lei, che li trattava quasi fossero di porcellana- ed era sparita nel corridoio dopo uno stop alla scrivania. Con in mano una cartelletta trasparente, Persie aveva afferrato la maniglia della porta per immettersi nel corridoio. Appena aveva passato il manichino, però, si era fermata. Sulle spalle dell’uomo di ferro era rimasta la giacca di Michele, ancora lucida di pioggia. “dannazione, la giacca…-l’aveva sentita dire- spero solo che non arrivi a casa zuppo…” c’era un’incredibile dolcezza nel tono della voce di Persephone, anche se i suoi occhi tradivano il dolore di poco prima. Nonostante tutto pensava ancora a lui, al fatto che non prendesse freddo. E lì, da dietro la sua finestra avrebbe voluto dirle che no, non avrebbe preso freddo, che aveva smesso di piovere e la luna splendeva alta nel cielo. Sapeva dove sarebbe andata, dopo tutto ciò che era successo. Semplicemente nel posto che aveva significato sempre per lei il sogno. Appena la porta si richiuse alle sue spalle, Michele scivolò nella stanza di soppiatto, dirigendosi verso il manichino. Sfilò la giacca dalle spalle del gentiluomo di ferro e se l’abbottonò svelto “almeno saprà che non ho preso freddo..” aveva detto e d’improvviso la porta si era aperta. Con grande sorpresa, Michele si ritrovò a fissare lo sguardo negli occhi di Helen, sorridente nella sua solita eleganza sobria. L’aveva vista poche volte, mentre usciva per una passeggiatina al fresco, o quando se ne stava seduta a ricamare nella sala della musica all’ultimo piano. L’aveva sempre trovata una donna affascinante e, pensò per l’ennesima volta, che da giovane doveva essere stata proprio bella… come sua nipote… ma la voce un po’ roca della vecchia signora lo riportò alla realtà. “giovanotto...-cominciò sussurrando- che ci fai qui?” “signora, vi prego di scusarmi- Michele ricordava, dai racconti di Persie, che Helen gradiva che ci si rivolgesse alla sua persona con il ‘voi’, come lei riteneva ci si dovesse rivolgere ad una persona più vecchia- avevo solo dimenticato la giacca..” “tu devi essere Michele…” disse con un sorrisetto compiaciuto stampato sulla bocca. “già, piacere di conoscervi.. voi dovete essere Helen, la nonna di Persephone…” disse allungando una mano verso la donna dai capelli d’argento. “piacere mio, giovanotto, deduco che mia nipote debba averti parlato molto di me…-anch’ella porse la mano al ragazzo e la strinse-ma, d’altronde, anche lei mi ha parlato a lungo di te…” La stretta dell’anziana signora, per quanto la mano sembrasse debole nella sottigliezza delle dita da pianista, era bella forte. “ma davvero? E, se posso permettermi… da cosa mi avete riconosciuto, signora?” le mani ancora strette. Helen sembrò fissarsi per un tempo molto più lungo della realtà negli occhi del ragazzo, il quale sostenne lo sguardo per quel tempo interminabile. Poi la donna slacciò la mano dalla sua, inclinando un po’ la testa di lato, sorridendo compiaciuta. “beh… è molto facile risponderti, giovanotto. Chi, oltre a te, potrebbe ritrovarsi alla giusta altezza per entrare dalla finestra di una mansarda ad una così tarda ora?-vedendo che il ragazzo chinava la testa in segno di sconfitta e rispetto per la sua vittoria, Helen rise sommessamente, mentre gli occhi di Michele tornavano su di lei, orlati d’oro intenso- e poi… il tuo coraggio è la dote che porti in tutta la sua grandezza, lo vedo. Sostenere lo sguardo di una vecchia signora come me è una prova difficile da superare… eppure… ed il tuo portamento, regale e disinvolto, ma teso come una corda di violino, rivela il fuoco che ti scorre nelle vene, giovanotto… il fuoco che solo dal coraggio divampa.” “mia cara signora… avete un talento spaventosamente incredibile per la dialettica e la poetica…” “oh, non mi lusingare… se sei qui non è certo per me. Se ho capito bene… tu sai dov’è Persie, in questo momento, altrimenti non saresti mai entrato…” Michele abbassò lo sguardo, facendosi scuro in volto. “si, signora… lo so… e mi piacerebbe molto ascoltarla cantare mentre suona…” “allora va… la strada credo che tu la conosca… e… di certo vorrai che ti lasci ai tuoi pensieri” “ai miei pensieri, dice?” “si. Li ho visti passarti negli occhi prima…” vedendo l’espressione incredula e stupita del ragazzo, Helen sorrise dolcemente. “sai, giovanotto… quando si vive per tanti anni… certe cose le si vedono e basta… le senti sotto i polpastrelli delle dita, tutto qui… ed io, modestie a parte, non sbaglio mai” dopo un altro sorriso, stavolta più serio, Helen uscì dalla stanza, come non ci fosse mai entrata, lasciando Michele… ai suoi pensieri.
   
 
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