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Autore: Vuby    03/08/2014    3 recensioni
Elici ha quattordici anni ed è una schiava...finché non decide di fuggire. Partirà così per una fuga apparentemente infinita, con la compagnia da cui meno si aspettava d'essere accompagnata.
Elici racconta la sua storia come un fantasy che affronta le tematiche del viaggio e della lotta tra bene e male, dell'amicizia e del tradimento.
Dalla brano:
"Mi volto e davanti a me compare una zolla di muschio celeste, fluttua in aria come uno spirito ed emana una luce rassicurante e inquietante contemporaneamente. Come in trance mi avvicino, senza staccare gli occhi dalla pianta magica che mi acceca col suo bagliore e provo ad afferrarla, ma proprio quando le mie dita sfiorano la superficie morbida, sento qualcosa conficcarmisi in mezzo alle scapole, portando con sé la sensazione che qualcuno stia tentando di strapparmi la pelle con le mani; poi sento un liquido caldo e appiccicoso bagnare il corsetto e capisco che è finita. Probabilmente non vedrò mai più Peter o Glea. Morirò qui. Il mio ultimo pensiero corre a mio padre, poi svengo."
Spero di avervi incuriosito e che la storia vi piaccia! Ciau!
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I.
L'inizio del sogno...

 

Il buio avvolge tutto come una coperta vellutata mi sembra di rimanere ferma a guardare quella coltre nera per un'eternità, quando una luce lontana illumina il posto in cui mi trovo: una grotta. Davanti a me c'è una donna con un sacco in testa e i gomiti legati dietro la schiena da una corda spessa, che tuttavia sembra logorata, anche se non so da cosa. Due uomini di stazza notevole le si avvicinano e le prendono una spalla a testa. È minuta e dal sacco spuntano lunghi capelli rosso-castano, come il pelo di uno scoiattolino, che le arrivano al ginocchio. I due la trascinano verso la luce e fuori dalla grotta; io li seguo meccanicamente, anche se non ne so il perché. Sbuchiamo in una piazza circolare, intorno a noi è radunata l'intera città, o almeno così sembra. La polvere che si solleva da terra mi va negli occhi e me li fa lacrimare, sbatto le palpebre freneticamente cercando di scacciare i granelli, finché non mi accorgo che in realtà non c'è niente: tutto intorno a me è inconsistente. Mi guardo intorno: c'è un palo di legno a cui i due hanno legato la donna, di fianco a lei c'è un uomo con una pergamena in mano: non è particolarmente alto, ma è un bell'uomo, i suoi occhi verdi a primo impatto possono sembrare benevoli, ma guardandoli attentamente rivelano una fredda determinazione accompagnata da una cattiveria celata bene agli occhi inesperti del popolo. L'uomo abbassa lo sguardo e legge «Eleny Dorsact, condannata a morte per tradimento, per avere generato prole al di fuori del sacro matrimonio, per avere compiuto tradimento e per aver protetto il segreto per due anni. Oggi io, tuo marito legittimo e sindaco della città di Calessey, ti condanno a morte per i tuoi deplorevoli crimini» Tolgono il sacco dalla testa della donna e finalmente la vedo in faccia. E' bella: ha labbra rosee e carnose, un piccolo naso affilato e dritto, a parte una leggera gobbetta, gli occhi, color nocciola sono grandi e rotondi come quelli di una bambina, ma la decisione nel suo sguardo fa intuire che è stata temprata dal dolore di numerose perdite. Le mettono un laccio al collo e io mi rendo conto di averla già vista. «Appesa!» grida il sindaco e il boia abbassa la leva. E capisco: è mia madre.
Mi sveglio urlando, la fronte madida di sudore. Mi guardo attorno, la Baracca è sempre uguale: con gli oggetti vecchi e arrugginiti ammassati tutti intorno alla mia branda di foglie di palma. Non si era svegliato nessuno, fortunatamente. Il mio nome è Elici e sono un bastarda, o almeno così mi definisce la gente, la quale disapprova le relazioni al di fuori del matrimonio, ma a me piace considerarmi il frutto del vero amore, perché solo il vero amore può spingere una nobildonna, quale mia madre, a tradire il marito con uno schiavo di corte senza nulla. Ho quattordici anni, anche se tutti dicono che ne dimostro dodici per il fisico scheletrico e gli occhi a palla color nocciola. E, come se non bastasse, sono bassa; ma d'altronde qua gli schiavi vengono trattati così. Sono la schiava personale del Marchese Malfest, che probabilmente mi considera un trofeo poiché è lui che ha giustiziato i miei genitori e adesso pretende che io pensi che lui sia superiore a me. Non mi lamento, cioè, è solo uno stolto, superbo e ottuso, ma il suo popolo lo adora, chissà cosa farebbero se scoprissero la sua vera natura. Mi alzo dalla branda e, coi piedi scalzi che rabbrividiscono al contatto col pavimento gelato, cammino piano fino al "bagno"...insomma il bagno degli schiavi è stato arredato quel tanto che bastasse a poterlo definir tale: c'è un buco che dovrebbe servire a fare i bisogni personali, ma nessuno l'ha mai usato perché ci nascondiamo le provviste rubate che ci forniscono alcuni nobili di casta sociale e di cuore, come Nam, un ragazzo più grande di me di un anno; in più nel bagno ci sono tre bacinelle che vengono rifornite ogni mattina di acqua, rigorosamente piena di sapone per paura che possiamo berla...e le chiamano "lavandino-doccia"; per finire ci sono vari stracci sporchi e consunti a terra che dovrebbero fungere da asciugamani. Mi dirigo verso un lavandino-doccia comincio a lavarmi a pezzi, quando finisco mi vesto direttamente. Le donne sono tenute a indossare abiti marrone sgualciti con la gonna che quasi striscia a terra e grembiuli grigi, in più tutti gli schiavi sono tenuti a indossare almeno un accessorio rosso, per indicare la nostra posizione...come se non si capisse a un primo sguardo! Qui, nella città di Calessey, le persone sono particolarmente avverse nei nostri confronti: non vado mai al mercato, perché devo passare la giornata a trotterellare intorno a Malfest, però una volta fui costretta ad andarci al posto di una schiava che era morta, come, non si sa perché qua muoiono spesso gli schiavi, o meglio, scompaiono; comunque, quando uscii da palazzo notai che tutti i cittadini erano vestiti elegantemente e le abitazioni erano molto ben messe, nell'aria c'era odore di mele fresche e il vento mi scompigliava i capelli, mentre mi dirigevo al mercato col mio cesto notai come mi guardavano tutti: ostili. Cominciarono a gridarmi contro insulti e poi arrivarono anche oggetti volanti, chissà perché le due guardie che mi scortavano, però, non notarono nulla.

Mi dirigo verso la sala grande, dove si mangia: sbrigo una veloce colazione a base di latte di capra e...latte di capra e mi incammino per raggiungere le stanze di Malfest. Busso quando arrivo, ma nessuno risponde, il che non promette bene.

Così mi reco nel cortile interno: a terra c'è una ragazza con un nastro per capelli rosso, giace a terra scompostamente, esanime e sanguinante da varie parti; intorno si è formato un capannello di gente curiosa dagli sguardi inferociti. Un uomo robusto e con un bastone insanguinato in mano se ne va e io scorgo Malfest davanti alla schiava, si gira:non è particolarmente alto, ma è un bell'uomo, i suoi occhi verdi a primo impatto possono sembrare benevoli, ma guardandoli attentamente rivelano una fredda determinazione accompagnata da una cattiveria celata bene agli occhi inesperti del popolo.




 

Note dell'autrice: okay fin'ora è noiosa però era solo un'introduzione,
vi prego arrivate fino in fondo e recensiiiiiiteee!!!!! Comunque Elici si
legge "Elìsi" con la S sibilata; Nam=Nam, Malfest=Màlfest. ;3

   
 
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