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Autore: Moonage Daydreamer    03/08/2014    0 recensioni
[Questa storia partecipa al concorso "Le dodici fatiche di Ercole ... sort of!" indetto da Daenerys Laufeyson sul Forum di EFP]
La ricerca dei Doni, la visione di una nuova Età dell’Oro, il Bene Superiore; sono queste le cose che Albus Silente e Gellert Grindelwad condividono, sulle quali danno inizio ad un’amicizia profonda, che tuttavia ben presto assume l’aspetto di un’ossessione.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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Qualche breve nota prima di iniziare: per prima cosa, i personaggi di cui racconto non mi appartengono e la storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Questa breve long è divisa in tre capitoli, nei quali ho cercato di ripercorrere i momenti fondamentali della relazione Albus-Gellert; non c'è un riferimento esplicito al fatto che i due fossero stati amanti, perché mi sembrava che non fosse così fondamentale ai fini del racconto (anche se per me è sottointeso!). Come vi accorgerete, tutti e tre i capitoli si basano sull'alternanza di due narratori: uno esterno che racconta al passato e uno interno, dal punto di vista di Gellert, che invece parla al presente seguendo il libero corso dei pensieri in una sorta di flusso di coscienza (ma con la punteggiatura!); è la prima volta che faccio una cosa del genere e spero che non risulti eccessivamente complicato e pensante.
Infine, ci tengo a precisare che l'OOC, se c'è (e spero che non ci sia) non era voluto.
Detto questo, vi auguro buona lettura, sperando che il racconto vi piaccia!


 


Parte Prima

 
Buio e silenzio.  Riesco a percepire solo questo, ma mi fermo a controllare un’altra volta. Voglio essere solo. Per questo ho aspettato che scendesse la notte. Avere intorno quegli inetti mi dà fastidio; sono stupidi, rumorosi e mi irritano. E quando io sono irritato c’è sempre qualcuno che si fa male. La luce tremolante di una candela si proietta sugli scaffali della biblioteca, senza riuscire a spezzare l’oscurità. Ne è come inghiottita. Prendo il libricino dalla pila ammucchiata sulla scrivania e lo apro lentamente; voglio leggerlo ancora una volta, nel caso mi fosse sfuggito qualcosa. Ogni dettaglio può essere fondamentale.
«C’erano una volta tre fratelli... »
   E’ così che comincia la storia. Ormai la so a memoria. E’ solo una fiaba, dicono gli sciocchi. In tutte le fiabe c’è un fondo di verità, e in questa c’è una verità che mi piace. Artefatti così potenti da rendere una persona il padrone della Morte... è un’idea maledettamente eccitante. Cosa potrebbero conseguire se fossero riuniti nelle mani giuste, nelle
mie mani? Perché è il mio destino, lo so. Sono nato per elevarmi dalla mediocrità che mi circonda. Sono più abile di chiunque altro, in questa scuola.
   Alcuni mormorano che presto ci sarà una guerra, perché maghi e babbani non possono convivere. Idioti. Se in un branco di leoni c’è qualcosa che va storto, non lo si stermina, si stabilisce una nuova gerarchia. I Doni mi permetteranno di farlo, i Doni mi apriranno le porte del mondo così che io possa prendere il posto che mi spetta nell’universo. Un posto in cui la mia forza non venga sprecata. Un posto al vertice. Devo soltanto trovarli.

Ho un nome e un luogo. Tutto il resto non conta più. Sono poche informazioni, ma sufficienti; posso cominciare la vera ricerca, finalmente, e smettere di sprecare il mio tempo ad ammuffire in biblioteca. Sono un passo più vicino ai Doni. Non mi ci vorrà molto per trovarli. Mi sono destinati. L’esaltazione mi scorre delle vene ad una velocità allucinante. Mi spinge a fare molte cose stupide, ultimamente. Ma che importanza ha? Nessuno verrà a lamentarsi: posso fiutare la loro paura. E’ divertente vedere come tutti cerchino di cambiare strada non appena mi vedono o come mi passino accanto senza osare alzare lo sguardo. Ed è solo un assaggio di quello che otterrò con i Doni. Ma c’è ancora una cosa che voglio fare prima di andarmene.
   Sono uscito di notte talmente tanto spesso che ho imparato gli orari del custode, perciò non mi è difficile evitarlo. Sono di fronte ad un muro. L’ho scelto con cura: ogni santo giorno, tutti - studenti e professori - devono passarci davanti. Muovo lentamente la bacchetta e dei segni neri si tracciano sulla parete. Il giorno dopo ogni persona presente nella scuola è lì davanti ad ammirare la mia opera: un triangolo con inscritto un cerchio bisecato da una linea. È perfetto. Non mi aspetto che qualcuno capisca il suo vero significato, ma d’ora in poi ognuno di loro lo assocerà a me. E’ il testimone della mia futura gloria. Non importa quanto ci proveranno, non riusciranno a cancellarlo. Rimarrà lì per sempre, immutabile ed eterno, così come lo sarò io, una volta che avrò trovato i Doni.
   Il giorno immediatamente successivo il corpo docenti al completo viene a comunicarmi che sono stato espulso. Sono terrorizzati dalla mia possibile reazione, ma io scoppio a ridere e li ringrazio di cuore; non si immaginano nemmeno il favore che mi hanno fatto. So esattamente cosa farò adesso. Ho un nome e un luogo.

Ignotus Peverell, Godric’s Hollow.


 
***

   Il salotto di Bathilda Bath era invaso dalla luce del pomeriggio. La donna faceva la spola da una stanza all’altra, cinguettando parole amichevoli a suo nipote e al suo ospite. Finalmente i due ragazzi si erano incontrati e in quel momento stavano prendendo un tè assieme. In realtà non facevano altro che studiarsi a vicenda, scambiandosi ogni tanto qualche manciata di parole.

   La ricerca si è rivelata più lunga del previsto. O forse sono io che sto esitando: ogni giorno mi dico che quello successivo sarà quello decisivo, ma non concludo mai niente. E’ come se qualcosa mi mancasse, anche se non riesco a capire di cosa si tratti. Ciò mi dà sui nervi. Non riesco a fare a meno di aspettare, ancora e ancora. E non si può certo dire che la compagnia sia stimolante: zia Bathilda sa essere davvero insopportabile, quando ci si mette, soprattutto se comincia a insistere su qualcosa.“Gellert, dovresti uscire!”,“ Gellert, dovresti smettere di studiare così tanto!”,“Gellert, dovresti incontrare il nostro vicino!”. L’istinto mi ha detto di accettare, alla fine. E l’istinto di un predatore non sbaglia mai.

   Albus Silente aveva sempre ritenuto che non servissero grandi discorsi per inquadrare una persona e ne stava avendo la prova mentre osservava il mago seduto davanti a sé senza nemmeno preoccuparsi di sembrare scortese.Forse era il riflesso del sole sui riccioli biondi, ma il ragazzo sembrava circondato da un’aura dorata, che non faceva che aumentare la strana sensazione che egli fosse una creatura fatata giunta da un luogo etereo e splendente.
   Gellert Grindelwald, dal canto suo, ricambiava lo sguardo attento che l’altro gli rivolgeva, cercando di capire se il cipiglio severo e gli occhi assorti fossero indice di un carattere meditabondo o di qualcosa di più.

   Mi hai intrigato fin da subito, lo devo riconoscere. Nonostante il viso tirato e l’aria malaticcia, c’è una luce nei tuoi occhi che mi fa pensare che tu non faccia parte della desolazione che regna a Godric’s Hollow. Ma mi dai l’impressione che tu stia cercando di soffocarla, quella luce. Non è solo ambizione, o curiosità. Genialità, direi.
   L’aria è carica di una sensazione strana, anche tu lo senti, come se fosse piena di piccoli fasci di elettricità che dal primo momento collegano le nostre sinapsi.


- Per quale motivo ti hanno espulso da Durmstrang? - chiese Albus dopo un attimo di riflessione; poi, temendo di essere stato indelicato, si affrettò ad aggiungere:- Se posso chiedertelo. -

   Cos’è che ha detto zia Bathilda? Ah, sì: “Quelli di Durmstrang sono eccessivamente severi: espellono gli studenti che ad Hogwarts non frutterebbero nemmeno un’ora di punizione.”
Ora, perdona la mia curiosità, ma vorrei proprio sapere come si trattano dalle vostre parti quelli che
per errore danno fuoco al letto di un compagno, o accidentalmente torturano un professore un po’ troppo beffardo.
Ma sei troppo intelligente per voler sentire queste storie. Tu vuoi la verità, non è vero?


   Gellert si piegò in avanti, verso il suo interlocutore, e lo guardò dritto negli occhi.
- Avevano paura di me. - disse, con un tono basso e roco, quindi piegò le labbra in un sorriso innocente.
- E ne avevano motivo?- fece Silente, sempre più interessato.
L’altro tornò a sedersi composto e scrollò le spalle:- Ero molto più potente di loro. -

  Se sei scioccato, non lo dai a vedere. Ma tutto sommato non penso che tu lo sia. Forse credi che io sia solo un pazzo megalomane e vanaglorioso. Eppure ho come la sensazione che tu...capisca quello che voglio dire.

   Bathilda fece il suo rumoroso ingresso nel salotto, portando un pericolante vassoio di pasticcini.
- Grazie, zia. - disse Gellert mellifluo, sebbene fosse più che evidentemente seccato dall’interruzione.
- Di niente, caro. - trillò lei tutta contenta. - Sono felice che vi siate finalmente trovati. Sapevo che sareste andati d’accordo. Guardatevi: sembrate già stare meglio, tutti e due. Albus, caro, un giorno di questi devi portare Gellert a fare un giro dei dintorni. Gli fa male starsene sempre chiuso in camera a studiare! -
- Lo farò sicuramente, signora Bath. - la rassicurò Albus accondiscendente.
La strega disse ancora qualcosa sul fatto che il giovano Silente fosse proprio un bravo ragazzo, poi se ne andò di nuovo quasi piroettando.
- Cosa studi? - chiese ancora Albus una volta che furono soli.
Gellert sorseggiò un po’ di te, pensieroso. Continuava a fissare il ragazzo, con gli occhi appena socchiusi.
- Un po’ di tutto. - rispose infine. - Trasfigurazione, antiche leggende, vecchi alberi genealogici. -
Aveva esitato prima di rispondere. Albus se ne era accorto, ma fece finta di niente.
- E’ un buon modo per fare passare il tempo. - osservò.
- Lo è davvero. - disse Gellert. - Ma ora è il tuo turno: cosa ci fa una mente brillante come la tua in un posto come Godric’s Hollow? Non si può certo dire che sia il luogo più stimolante del mondo. -
- Ma nonostante questo tu ci sei venuto; e di tua volontà, per giunta. - replicò l’altro.
- Ho i miei motivi. - spiegò Gellert con un tono volutamente misterioso.
Tra i due scese il silenzio, anche se nessuno fu in grado di staccare gli occhi dall’altro. Albus, però, si era fatto inquieto: non riusciva a trovare una posizione in cui stare fermo e ciò lo faceva somigliare ad un giovane puledro scalpitante.

Sei curioso, lo sento. So che vorresti che io andassi avanti, che ti spiegassi tutto. Non oggi, Albus, oggi non è il momento giusto. Ma c’è qualcosa in te che mi impedisce di lasciarti così insoddisfatto. Te ne andrai via con una promessa, che è molto di più di quanto tutti gli altri abbiano ottenuto da me in una vita intera. Ti giuro che un giorno te ne parlerò, ti renderò partecipe della mia gloriosa visione.

   Quella sera, dopo cena, Albus si era ritirato nella propria stanza per leggere il libro che il suo amico Elphias Doge gli aveva prestato prima di partire per l’Europa, ma poco dopo le dieci sentì un rumore alla propria finestra. Alzando lo sguardo dalle pagine, si accorse di un grande gufo reale appollaiato sul davanzale. Si alzò subito e andò ad aprire; il rapace spostò gli occhi gialli su di lui mentre il ragazzo toglieva il messaggio che l’uccello aveva legato alla zampa, ma non lasciò che Albus lo accarezzasse. Come fu libero dal biglietto, il gufo aprì le ali e si librò in volo, per poi planare elegantemente sul davanzale di una delle finestre della casa accanto.
Albus lo seguì con lo sguardo, poi lesse il pezzo di carta.
“Mi hai promesso un giro turistico e ho tutte le intenzioni di riscuotere. Domani pomeriggio?” Proprio in quel momento una figura si profilò in contro luce alla finestra di casa Bath.
Albus lo riconobbe subito.
Gellert accarezzò distrattamente il gufo, prima che questo entrasse nella stanza, poi fece un rapido cenno del capo all’altro ragazzo e scomparve di nuovo.
Anche se aveva potuto a malapena scorgerlo, Albus era pronto a giurare che il tedesco aveva fatto un sorrisetto.

Mi guardo intorno, anche se in realtà non vedo niente. La mia mente è in fibrillazione e si rifiuta di focalizzarsi su ciò che la circonda. Una strana sensazione si impossessa di me; non di onnipotenza, come mi succedeva spesso a Durmstrang, bensì di benessere e completezza.Ho fatto bene a seguire il mio istinto, perché aveva ragione: mi mancava qualcosa, qualcosa che penso di aver finalmente trovato.


 
  
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