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Autore: finnicksahero    03/08/2014    3 recensioni
Dal testo:
'Come potevi, tu sole, splendere quando la mia unica luce si era spenta? Come potevi continuare a scaldare questo mondo, quando non scaldavi l'unica persona che valeva la pena scaldare non poteva mai più essere scaldata? Come potevi, rincuorare tutte quelle persone, quando io non potevo essere rincuorata?(...)'
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annabeth Chase, Jason Grace, Percy Jackson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                                A hero. A friend.

 

 

-Percy, perché sei così disordinato?- chiesi, la mia voce era dolce e incerta. Quel giorno il sole splendeva, anche se faceva ancora freddo. La neve si era sciolta da giorni, l'erba era più verde, gli uccelli più allegri e il vento più profumato. Eppure non sentivo niente. Non provavo niente. Mi inginocchiai, e sentii i jeans bagnarsi, per via dell'erba che non era asciutta come dava a vedere. -Tutte le volte che vengo a trovarti, devo sempre mettere in ordine. Sempre- dissi, la voce era sempre più incerta, sentivo già le labbra tremarmi. Non osavo alzare lo sguardo dal terreno, ricoperto di foglie marce e morte. Non volevo vedere l'evidenza. Con la coda dell'occhio riuscivo a scorgere dei fiori. Tulipani. Mi accigliai. Odiava i tulipani.

Con coraggio levai lo sguardo e lo posai sulla fredda e grigia pietra. Mi si seccò la gola. Le lacrime iniziarono a uscire come la pioggia sul mio viso. Prima qualche goccia, poi un torrente. Mi bagnavano le labbra, le guance, fino al mento, ma non trovavo la forza di farle smettere. Non riuscivo nemmeno ad alzare una mano per asciugarle. Le lasciai libera, scivolavano giù silenziose ma micidiali.

'Percy Jackson. Caduto con onore. Un'eroe. Un amico.'

Lessi e rilessi più volte questa frase. La sua vita. Tutta la sua vita, rinchiusa in due semplici parole. Eroe e amico. Lui era molto di più. Percy era gentile, coraggioso, simpatico, bellissimo. E ultimo, ma non meno importante, era l'amore della mia vita.

Alzai una mano e l'appoggiai sulla lapide, chiudendo gli occhi. Mi sembrava di vederlo. Nel parco, seduto a terra, con i jeans e il giubetto di pelle, che sorrideva, gli occhi verdi che brillavano, stava semi sdraiato su una coperta. Mi aveva fatto una sorpresa! Un pic-nic nel parco! Lui sapeva che adoravo stare li, a guardare le foglie, il cielo e a sentire il profumo degli alberi.

Riuscii a percepire la sua mano contro la mia guancia, le labbra sulle mie, i suoi capelli fra le mie dita, il suo corpo caldo contro il mio... un singhiozzo mi riportò alla realtà, facendomi aprire gli occhi.

Era tutto finto. Lui non c'era più. Non mi avrebbe mai più baciato, non avrei mai risentito la sua risata argentina, ne toccato nuovamente i suoi capelli. Il corpo non sarebbe mai più stato caldo contro il mio. Mai più.

Bagnai ancora di più le foglie, e i singhiozzi mi scuotevano le spalle, cercai di trattenere i rumori più forti per me. Ma era impossibile. Mi presi il viso fra le mani e gridai -Percy, ti amo- sussurrai, ma a voce troppo alta, poi gridai, di frustrazione, lanciai via delle foglie e alzai lo sguardo al cielo.

Come potevi, tu sole, splendere quando la mia unica luce si era spenta? Come potevi continuare a scaldare questo mondo, quando non scaldavi l'unica persona che valeva la pena scaldare non poteva mai più essere scaldata? Come potevi, rincuorare tutte quelle persone, quando io non potevo essere rincuorata? Mi buttai a terra. Sdraiata in quell'erba appiccicaticcia e bagnata, con il viso, bagnato e arrossato seppellito in quello schifo di poltiglia.

Mi sollevai, per pulirmi la faccia, il giubetto di pelle era mio, ma la felpa sotto era di Percy, cercai di non sporcarla, pulii il terreno, e anche la lapide.

-Ecco vedi? Ora sei bello, ordinato e pulito- dissi, tolsi i tulipani, ormai secchi e appassiti e ci misi delle violette, erano il nostro fiore -Chi ti ha portato i tulipani? Lo sanno tutti che preferisci le violette- mormorai, la voce ancora troppo tremante, la tappai, con la mano bagnata e chiusi gli occhi, stringendoli.

Abbracciai la lapide e chiusi gli occhi, sentivo il suo cuore battere al lato opposto al mio. Riuscivo a percepirlo, come se stessi abbracciando lui, sentii una mano sulla spalla. E mi voltai, Jason era in piedi con delle violette in mano, lo guardai dal basso, come una bambina spaventata. I suoi occhi erano velati di lacrime. Non mi salutò. Guardò la lapide e rise tristemente -Lui è più di questo coso di pietra. Lui è nel mare- disse, calciò delle foglie e mi guardò.

Io piansi in silenzio. Odiavo piangere ma in quel momento, non riuscivo a smettere, si inginocchiò accanto a me, con una mano sulla mia spalla, guardammo entrambi il pezzo di roccia -Lui non è li- dissi, sussurrando, la voce roca, Jason accanto a me annui -Lui non sarà mai nel suo regno- disse lui, dando voce ai miei pensieri, mi voltai e ci abbracciammo, lui mi diede delle pacche sulla schiena e io battei i pugni sulla sua. Entrambi singhiozzavamo -Annabeth mi dispiace- sussurrò, scossi la testa e gridai -Mi manca così tanto- lui mi fece 'Shh' vicino alle orecchie e io strinsi gli occhi -Dei anche a me- ci staccammo e lui posò le violette sul terreno.

E rimanemmo li, abbracciati, fissando la lapide di Percy. Con le lacrime che scivolavano nel terreno.

Con gli uccellini che cantavano.

Con il sole che splendeva.

Con il rumore del traffico che si muoveva frettoloso per la città.

Noi rimanemmo li.

Sul terreno bagnato. Con il cielo azzurro.

Con una lapide. E due violette.

  
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