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Autore: menestrella 07    10/09/2008    3 recensioni
«Si sa che le promesse fatte a se stessi valgono di più di quelle fatte agli altri, anche quando questi ‘altri’ sono le persone a cui teniamo di più.»
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Okay, lo confesso. Questo è solo un esperimento. Un capitolo isolato di una fic che devo ancora scrivere. Una prova.

Ecco perché la storia inizia in medias res, dando per scontato eventi che sono accaduti solo nella mia stessa.

Perché l’ho pubblicata? Per avere un vostro parere, certa che riuscirete in ogni caso a seguire la vicenda. Questa è la mia unica giustificazione: la vicenda a cui si ispira la mia fic è talmente famosa da permettermi di catapultarvi così bruscamente all’interno degli eventi.

La vicenda è quella di Robin Hood. Con qualche differenza rispetto alla sua messa in scena nella serie della BBC (di qui la mia scelta di OOC).

 

 

Solo qualche nota di introduzione, prima di lasciarvi alla storia. Robin è tornato dalla Terra santa dopo sette anni di guerra ed è diventato un fuorilegge insieme alla banda che si nasconde nella foresta di Sherwood. Fin qui tutto normale. Ecco le novità: Lady Marian non è la figlia di un ex sceriffo, ma è la cugina di re Riccardo. All’inizio della mia versione viene rapita dalla banda di Robin, che la scambia per una semplice nobildonna in viaggio verso la corte; per questa ragione si trova ora prigioniera nel loro accampamento. Altra novità: tra lei e Robin non c’è stato solo un vago sentimento, ma un vero fidanzamento, che lei considera ancora valido e che per tutto il tempo che li ha tenuti separati ha sempre onorato. Lui ha portato con sé in Inghilterra una bellissima principessa saracena; nessuno sa che tipo di rapporto esista veramente tra i due. Quando i suoi rapiscono Marian e la portano all’accampamento lui finge di non riconoscerla e nega di essere il giovane aristocratico che lei sostiene. Spezzandole il cuore.

Va bene, mi fermo. Altrimenti finisco con lo scrivere qui in diretta la parte mancante, che ho cercato di riassumervi.

Che altro dire? Se vi va di tentare questa lettura un po’ anomala, vi ringrazio in anticipo!

M.

 

 

 

 

La chiave

 

 

 

«Avete chiesto di me?» domandò Marian con fare ironico, affacciandosi alla porta della capanna.

Robin la osservò con attenzione, fermandosi a considerare quanto fosse cambiata nel corso degli anni: aveva lasciato una fanciulla fragile ed insicura per ritrovare una donna determinata, che sapeva sostenere le sue ragioni e non provava timore nel difenderle davanti ad un uomo.

«Devo restare qui fuori a lungo?» si spazientì la fanciulla, più per lo sguardo indagatore a cui era stata sottoposta che per l’attesa.

Robin andò ad accoglierla alla porta e, fattala entrare, la richiuse dietro di lei, bloccandola con due giri di chiave.

La ragazza sembrò spaventarsi.

«Che cosa significa?»

Robin accennò un sorriso, mentre legava la chiave ad un cordino e se la metteva al collo.

«Significa che passeremo un po’ di tempo insieme» rispose tranquillamente.

Marian sembrò voler aggiungere qualcosa, ma poi ci ripensò, limitandosi a fissarlo con occhi furenti.

«Se pensate che io me ne resterò qui senza fare nulla...» iniziò dura.

«Prego, accomodati» la interruppe Robin indicandole una piccola poltrona alla sua destra.

Marian incrociò le braccia sul petto e diede una rapida occhiata all’ambiente entro il quale era prigioniera.

«Be’, certo ora che siamo soli e che nessuno ci può sentire, ti sei finalmente deciso a darmi del tu!» commentò sarcastica. «Credo che saresti quasi disposto ad ammettere che mi conosci e che tutto ciò che vado dicendo da tre settimane a questa parte è vero».

Robin lasciò cadere la provocazione e le si avvicinò porgendole un bicchiere di vino.

«E a che cosa dovrei brindare?» si arrabbiò, rovesciando il vino sul pavimento di legno. «Al fatto di dover rimanere rinchiusa qui con il peggior bandito d’Inghilterra non so bene per quanto tempo e senza conoscere i motivi di questa prigionia?»

Robin riprese il bicchiere dalle mani della ragazza, prima che potesse lasciarlo cadere e magari ferirsi. Poi, messolo al sicuro, la invitò nuovamente a sedersi.

«Non accetto nulla da te!» proclamò lei.

«Ti sto solo consigliando di metterti comoda. Sarà una notte molto lunga»

«Lunghissima, se dovrò passarla qui dentro!» ribatté lei, ma senza muovere un passo.

Robin aprì il piccolo armadio adagiato in un angolo della casupola, tirando fuori una coperta di lana che appoggiò con noncuranza alla poltrona vicino alla quale stava, ancora immobile, Marian.

«Farà freddo quando avrò spento la lampada» spiegò lui, indicando la coperta.

Marian si avvicinò a lui di qualche passo, ma poi si fermò. Sembrò lottare con se stessa, prima di riprendere a camminare. Dopo qualche istante lo aveva raggiunto.

«Perché?» chiese piano, poggiandogli una mano sul braccio e ritraendola subito.

«Sono stato a Nottingham, oggi» annunciò Robin, attendendo una reazione; ma poiché la ragazza non sembrava voler intervenire decise di continuare.

«Ho visto i preparativi».

Marian distolse lo sguardo ma rimase in silenzio, scatenando in lui un accesso di rabbia così violento da non riuscire a controllarsi, tanto che si trovò a gridare, quasi senza riflettere: «Per l’amor del cielo, Marian! Hai davvero intenzione di sposare quel sanguinario?!»

La fanciulla chiuse involontariamente gli occhi di fronte a tanta foga e si scostò rapidamente da lui, avvicinandosi alla piccola finestra alle sue spalle.

Ma quell’argomento era troppo importante perchè Robin potesse lasciarlo cadere in quel modo.

«Vuoi spiegarmi cosa ti passa per la testa?» insisté.

«Non vedo perchè dovrei rendere conto a te delle mie faccende private!» rispose lei, con la voce che le tremava.

Robin la afferrò per le spalle, costringendola a guardarlo, ma quando se la trovò di fronte riuscì solo a mormorare il suo nome.

«Non ... fare ... così!» intimò la fanciulla, liberandosi dalla sua stretta. «Sono stata promessa a Sir Guy più di un anno fa! Ed ora non posso tirarmi indietro!»

«Il titolo di Sir non si addice a quell’assassino!» esclamò Robin, con un tono ed una luce negli occhi che per la prima volta ricordarono a Marian il ragazzo che aveva conosciuto un tempo.

«E’ questo che vuoi diventare,» continuò lui, «la moglie di un omicida?»

«Parli proprio tu» lo interruppe Marian, «che in sette anni della tua gloriosa guerra chissà quante persone hai ucciso con la tua spada!»

Che si fosse spinta troppo in là la fanciulla lo capì non appena si sentì spingere contro il muro.

«Che cosa hai detto?!» sibilò Robin a due centimetri dal suo volto.

«Che c’è? Pensi di uccidere anche me, ora?» rispose lei, chiedendosi da dove venissero quelle parole.

Lui la fissò stravolto, prima di allontanarsi. Si sedette sul suo letto, nascondendo il volto tra le mani. Rimase così per qualche momento, facendo pentire amaramente Marian delle sue aspre accuse. In fondo al suo cuore la fanciulla sapeva che non potevano essere vere, ma sapeva anche che avrebbero ferito Robin. E lei voleva vederlo soffrire: voleva vedere nei suoi occhi almeno la minima parte di quel dolore che era stato costantemente dipinto nei suoi da quando lo aveva rivisto, poche settimane prima.

Finalmente il ragazzo sollevò la testa e tornò a guardarla con un’espressione di così evidente smarrimento che Marian si sentì stringere il cuore.

«Primo: io non potrei mai» disse, lasciandosi sfuggire un sospiro «mai farti del male. Secondo: io sono stato un soldato e ho eseguito degli ordini. Ho ucciso altri soldati, è vero. Ma mai degli innocenti. Sir Guy» continuò duro «uccide per il piacere di uccidere; trae gioia dalla visione del sangue da lui versato. Io non sono così; non lo sono mai stato. Non ho mai ceduto all’ira, non ho mai abusato del mio potere o della mia forza».

Le parole di Robin erano sincere e Marian lo sapeva. In un certo senso aveva sentito la necessità di sentirgliele pronunciare, perché per un momento aveva temuto che la guerra avesse cambiato l’animo del ragazzo che tanti anni prima aveva amato; dubitando del suo cuore aveva dubitato anche della sua onestà. Almeno su questo aspetto era stata rassicurata: Robin non era diventato un bruto, anche se aveva smesso di amarla.

Robin vide che la fanciulla si era pentita di avergli rivolto degli insulti così infamanti. Vide le sue guance imporporarsi nonostante il freddo della notte invernale e i suoi occhi fissare il pavimento; la vide mordersi le labbra nel tentativo di non piangere.

Le andò vicino, stringendole piano la mano. «Tu lo sai che non potrei mai farti del male, vero?» chiese ancora, sollevandole il mento con le mani. Ciò che vide furono due occhi velati di lacrime, ma che esprimevano quella fiducia su cui Robin aveva da sempre avuto bisogno di contare.

«Non volevo...» sussurrò Marian tornando a fissare il pavimento.

Il ragazzo la fece sedere sulla poltroncina, ove Marian si fece condurre senza più opporre resistenza. Si accomodò a sua volta sul bracciolo e approfittò della posizione per accarezzarla rapidamente, fingendo di sistemarle i capelli. Capì subito di aver commesso un errore perchè la fanciulla fu scossa da un brivido e con voce quasi ferma lo pregò di allontanarsi. Saggia decisione, di sicuro, perchè Robin aveva sempre trovato molto difficile starle vicino, ma lo era ancora di più doverla tenere lontano.

Lentamente riprese il suo posto sul letto finché, schiarendosi la gola, riprese a darle istruzioni per la notte.

«Se hai bisogno di un po’ di luce non esitare a chiamarmi; penserò io ad accendere la lampada. Per qualsiasi cosa io sono qui».

«E’ proprio questo il punto» disse Marian, tornando finalmente a guardarlo. «Perchè siamo qui? Perchè io sono qui?»

«Lo devi alla tua abilità» spiegò Robin con un sorriso. «Se ti avessi rinchiusa da qualche altra parte sono quasi sicuro che saresti riuscita a liberarti e, testarda come sei, saresti andata diretta a Nottingham a compiere il più grande errore della tua vita. Vedi» esclamò ridendo il ragazzo «in fin dei conti ti ho salvata!».

Marian non diede peso a quest’ultima affermazione.

«E perchè sei così sicuro che non proverò a scappare anche da qui?»

«In realtà penso che tenterai; ma come puoi vedere ho preso tutte le misure necessarie ad impedire la tua fuga» spiegò, stringendo tra le mani la chiave che si era appeso al collo.

«In fin dei conti» iniziò Marian cauta, «si tratta solo di sottrarti la chiave».

«Ma tu sei una fanciulla timorata di Dio» continuò Robin, prendendola in giro «e so per certo che non oseresti mai avvicinarti tanto ad un uomo».

«Dimentichi che probabilmente domani a quest’ora sarò una donna sposata».

Quest’ultima frase colpì Robin dritto allo stomaco, con la violenza di un pugno.

«No, che non lo sarai!» esclamò dopo averla fissata per qualche istante a disagio. «Quant’è vero che non prenderai mai questa chiave!».

«Non mi sfidare, Robert» lo avvertì la fanciulla. «Non posso certo vantare l’esperienza della tua saracena» disse, mentre le sue guance si coloravano, «ma fino alla chiave credo di riuscire ad arrivare».

Robin la squadrò indispettito.

«Non ti permetto di parlare così di Jasmine!»

«Oh, perdonami se ho offeso la tua amante!»

«Tu non sai niente di questa storia!» ribatté adirato. «Non parlare di cose che non conosci!»

«Ne so abbastanza invece! Forse non conosco i dettagli, ma i miei occhi ci vedono bene! Ho visto come ti guarda» esclamò la fanciulla, rivolgendo il suo sguardo imbarazzato alla finestra. «E ho visto come ha guardato me, questa sera, quando i tuoi uomini mi hanno condotta qui! Posso immaginare in quali angosce trascorrerà questa notte».

«Smettila!» si arrabbiò Robin.

«Dovresti andare a spiegarle che le sue preoccupazioni sono prive di fondamento» insisté Marian, cercando di non badare alla stretta allo stomaco che le sue stesse parole le avevano procurato, una stretta assai simile a quella del rimpianto.

«Forse è il caso che tu ti metta a dormire» la interruppe Robin, senza guardarla. «La stanchezza ti fa sragionare».

«Vorrei solo risparmiare alla tua amata delle inutili sofferenze!»

«Ora basta, Marian!» sbottò il ragazzo, alzando la voce. «Sembri gelosa di lei» aggiunse piano.

«Io sono gelosa di lei!»

Marian era scattata in piedi di fronte a quell’affermazione che Robin si era lasciato sfuggire.

«Io ti ho aspettato per sette anni, pregando perchè tu potessi tornare a casa sano e salvo!»

«E così è stato» replicò Robin asciutto.

«Ma io pregavo perchè tu tornassi da me

Le parole di Marian rimasero come sospese tra loro, finché il ragazzo spense la lampada augurandole la buonanotte con un confuso borbottio.

 

˜

 

La notte trascorreva davvero lentamente, proprio come Marian si era aspettata. Il sonno sembrava non voler arrivare, costringendola a rimuginare su quanto era accaduto durante la serata e sulle parole che lei e Robin si erano scambiati. Sentirlo di nuovo pronunciare il suo nome l’aveva turbata: da quando era giunta al campo dei fuorilegge e aveva visto in che cosa si era trasformato quello che un tempo era stato il suo fidanzato, si era imposta di dimenticare ciò che c’era stato tra loro. La gioia provata nel ritrovarlo vivo aveva subito lasciato il posto alla delusione di vederlo legato ad un’altra: in quegli anni in cui erano stati separati l’aveva più volte immaginato disperso in territori lontani, ferito o persino morto; ma mai, neppure nelle sue peggiori fantasie, aveva ipotizzato che si fosse dimenticato di lei. Era stata la dolorosa consapevolezza della verità a spingerla ad evitarlo, in quei giorni che avevano passato insieme nella foresta. Si era quasi convinta di avere la situazione sotto controllo; di aver superato lo shock che le aveva provocato il ritrovarlo ed il tornare a perderlo, questa volta in maniera definitiva. La solitudine, in cui si era rintanata negli ultimi tempi, la riflessione con cui aveva tormentato la sua mente, le avevano dato la risposta che cercava ma tutto era stato di nuovo messo in discussione dagli avvenimenti di quella sera: proprio quando si era finalmente decisa a rinunciare a lui, lo aveva visto preoccuparsi per lei, temere che potesse sposare un uomo che lui disprezzava. Era arrivato a rinchiuderla in quella capanna pur di impedirle di raggiungere Nottingham in tempo per la cerimonia. Ma la cosa peggiore era che quella sera le aveva parlato come soleva fare quando erano ragazzini, quando si intendevano alla perfezione e pensavano che mai nulla avrebbe potuto separarli. Per la prima volta da quando si erano rincontrati, Marian aveva davvero rivisto il suo fidanzato. E ora, a dirla tutta, non riusciva a smettere di guardarlo. Giaceva disteso sul suo letto di paglia, coperto malamente da una coperta di lana decisamente più leggera di quella che aveva offerto a lei. Le voltava le spalle, cosicché le era impossibile stabilire se fosse realmente addormentato o se stesse solo fingendo, attendendo silenziosamente il sorgere del sole. Era la sua perfetta immobilità ad insospettirla, ma forse era solo affaticato.

Stanca di tutte quelle supposizioni decise di andare a controllare. Cercando di non far scricchiolare le assi del pavimento si avvicinò a lui a piccoli passi; fermatasi ad ascoltare il suo respiro lo trovò assolutamente regolare: dunque in fin dei conti almeno lui quella notte sarebbe riuscito a riposare.

E poi la vide. La chiave. Ne poteva scorgere la sagoma al di sotto della camicia con cui Robin provava a ripararsi dal freddo della notte. Le sarebbe bastato allungare una mano e avrebbe potuto uscire di lì; avrebbe potuto voltare pagina , ricominciare la sua vita, come si era ripromessa di fare. E si sa che le promesse fatte a se stessi valgono di più di quelle fatte agli altri, anche quando questi ‘altri’ sono le persone a cui teniamo di più. Le tornò alla mente, mentre studiava il modo di recuperare la chiave, una notte di luna piena di tanti anni prima, quando un Robert senza la barba le aveva confessato il suo amore e le aveva chiesto di sposarlo. Ricordò di come avesse accolto le sue parole serie con una risata, anche se erano tutto ciò che stava aspettando da mesi. Ripensò allo stupore di lui nel sentirla prendere tempo. Che cosa dovevano aspettare? Le aveva chiesto. Di diventare più adulti, aveva risposto lei. Forse Marian non ricambiava i suoi sentimenti? No, non era quello. Solo non si sentiva pronta per un passo così importante: erano poco più che bambini e avevano tanto tempo davanti a loro. Ma poi tempo non ce n’era stato. Le crociate, la guerra, si erano portate via tanta parte della loro giovinezza e di quell’amore che Marian si era sforzata di tenere in vita da sola, anche quando tutti coloro che le stavano attorno la giudicavano un’ingenua. Ora sapeva che loro avevano ragione e lei torto. Che per far durare il sentimento sono necessarie due persone e che tre sono decisamente troppe. Guardò il volto di Robin e immaginò per un istante cosa sarebbe potuto essere di loro se lei avesse accettato di sposarlo subito, in quella notte di luna piena. Forse lui non sarebbe mai partito. Forse non l’avrebbe scordata tanto facilmente. O forse sì: forse neppure un voto pronunciato davanti a Dio avrebbe potuto impedirgli di tradirla. Per quanto assurdo potesse sembrare, quest’ultima ipotesi le procurò un grande sollievo: non si può giocare con il passato immaginando che una risposta, un gesto bastino a cambiare il presente. Nessuno può sapere che cosa sarebbe accaduto se... e nessuno dovrebbe chiederselo, concluse Marian.

Tornò a guardare la chiave e si disse che le sarebbero bastati un po’ di coraggio e una mano ferma per recuperarla. Sulla sua mano se la sentiva di poter contare. Gettò un rapido sguardo al volto di Robin: non si lamentava, ma il suo sonno non sembrava tranquillo. I muscoli del collo erano contratti e le labbra tremavano di tanto in tanto. Quanto doveva aver sofferto lontano da casa! Una donna come lei, abituata alla bella vita di palazzo, non sarebbe mai riuscita neanche ad immaginarlo. Si rimproverò di nuovo e con maggior decisione per le ingiurie che gli aveva scagliato contro poco prima e si vergognò nel constatare come la gelosia la potesse rendere così ingiusta.

Allungò una mano ma la vide tremare non appena le sue dita sfiorarono il tessuto ruvido della camicia di Robin. Fece un respiro profondo e riprovò, ma dovette presto arrendersi di fronte alla sua debolezza: se lui si fosse svegliato improvvisamente come avrebbe reagito di fronte al suo tentativo di fuga? L’avrebbe punita? Marian scosse la testa, ritraendo definitivamente la mano: non era solo questo. Ciò che più la spaventava era... perché doveva essere così stupida?! Pensò, arrabbiandosi con se stessa. Come poteva pensare di sposare un uomo che praticamente non conosceva, quando le era impossibile anche solo toccarne uno che portava dentro al suo cuore da quando era bambina? Sapeva che con Sir Guy sarebbe stato più semplice, perché di lui non le era mai importato un granché. Robert invece aveva rappresentato tutto il suo mondo per così tanto tempo.

Si avvicinò alla finestra per respirare un po’ dell’aria fresca della notte, ma quella risultò talmente gelida da mozzarle il respiro. Scostandosi rapidamente ebbe modo di notare che la capanna di Jasmine era ancora illuminata; neppure lei dunque riusciva a dormire. Probabilmente stava pensando a quale pericolo poteva correre il suo Robin costretto a trascorrere una notte intera tra le braccia di un’altra. Certo la verità era molto diversa dall’immaginazione e Jasmine se ne sarebbe rallegrata se solo avesse potuto saperlo. Marian fu sopraffatta dalla rabbia; pensare a ciò che la sua rivale sarebbe stata in grado di fare, se posta nella sua stessa situazione, le diede il coraggio necessario per prendere l’iniziativa. Rifletté con lucidità per qualche secondo su ciò di cui aveva bisogno per portare a termine il suo piano con successo e considerò in particolare la necessità di assicurarsi che Robin fosse veramente addormentato. Il sonno di un guerriero braccato, si sa, è sempre troppo leggero, mentre quello di un innamorato è difficile da disturbare, sopratutto quando costui lo condivide con la persona amata. Esaminò la faccenda con maggiore attenzione e poi decise di tentare: se avesse avuto fortuna avrebbe potuto liberarsi e conoscere i veri sentimenti di Robert con una sola mossa.

Si avvicinò pertanto allo specchio e si sciolse i capelli, ravvivandoli all’altezza delle spalle dove formavano dei morbidi boccoli; allentò il laccio che tratteneva la sua vestaglia da notte, aumentando la scollatura, ma una rapida occhiata allo specchio la fece arrossire e dubitare della sua forza. Chiuse gli occhi e respirò di nuovo, stringendo i pugni. Scostò i capelli e tornò a stringere il laccio, finché le spalle furono nuovamente coperte.

Si diresse verso il piccolo armadio e aprì rumorosamente le due ante facendo cadere sul pavimento le poche cose che esso conteneva: una paio di pentole di rame rimbalzarono sulle assi di legno.

«Che c’è, Marian?» chiese subito Robin con voce squillante.

«Ho freddo» mormorò lei «Cercavo qualcosa per coprirmi».

«Prendi la mia coperta!»

Il ragazzo gliela porse subito, ma Marian rifiutò.

«Non posso accettare. Ti congeleresti» disse.

«Ho dormito in condizioni peggiori».

Accidenti! Pensò la fanciulla. La stupida cavalleria di Robert rischiava di mandare a monte tutti i suoi piani.

«Comunque non risolverebbe il problema; è troppo leggera».

Gettò un’occhiata casuale al letto del ragazzo e cercando di nascondere il suo viso dai raggi della luna che filtravano dalla finestra lo guardò dritto negli occhi. «Potremmo...»

«No!»

Robin aveva capito dove voleva arrivare e sembrava irremovibile.

«Vuoi forse che muoia assiderata?» si arrabbiò lei, tirandosi sempre più in ombra. «Tu sarai anche abituato ai disagi, ma io sono una signora! E lo sai che ho sempre odiato il freddo!».

«Marian ... io non posso, capisci?»

Robin si passò sconsolato una mano sul volto. «Non posso» ripeté.

«Non ti darò fastidio!» assicurò Marian, che aveva deciso di giocare pesante. «Ti lascerò dormire!»

«Come pensi che potrei dormire?!»

Robin misurava a grandi passi la ristretta superficie della capanna, mentre la fanciulla lo osservava quasi divertita.

«No» disse ancora.

«Non vedo di cosa ti preoccupi. Non hai nulla da temere da me e, come mi hai ben dimostrato da quando sono giunta qui, neppure io ho nulla da temere da te».

Robin si lasciò sfuggire una risata isterica.

«Non sono bella neppure la metà di Jasmine» disse infine Marian, a voce sempre più bassa. «Te ne sarai accorto anche tu. Dunque non ho nulla da temere».

Robert la guardò per la prima volta e la costrinse ad avvicinarsi alla luce.

«Hai gli occhi lucidi» mormorò.

«E’ per via del freddo».

Dopo un po’ il ragazzo riprese a parlare; la sua espressione rimaneva dubbiosa, ma la sua voce sembrava sicura.

«Sono quasi certo che sia un errore madornale, ma non posso lasciare che ti congeli».

I due si fissarono per un lungo istante, poi Marian annuì lentamente.

«Senti, so che non lo farai, ma non provare a sfiorarmi. Io domani mi sposo».

«E invece no» assicurò Robin, finalmente risoluto. Si scostò per farle posto vicino a lui. Marian lo raggiunse cercando di mantenere saldi i suoi passi, lottando con tutte le sue forze per non tremare.

«Hai freddo davvero!» esclamò d’un tratto Robin, mentre lei sistemava sul letto anche la sua coperta pesante.

«Scusa, che idea ti eri fatto?» sbottò Marian.

Per un qualche motivo quest’ultima affermazione, che avrebbe potuto far precipitare la situazione, finì invece col risolverla: i due ragazzi si fissarono per un istante e poi scoppiarono insieme in una calorosa risata, che allentò almeno per un momento tutta la tensione che si era creata quella sera.

«Guarda che io mi fido» disse ancora Marian quando, infilandosi sotto le coperte, si sentì mancare il coraggio.

«E fai male» ammise lui, con un tono ancora mezzo divertito, portandole un braccio attorno alle spalle con una naturalezza che li sorprese entrambi.

«Attento, Robin Hood»

Robert sorrise nel sentirsi chiamare con il suo nuovo nome, che fino a quel momento Marian aveva accuratamente evitato di pronunciare.

«Milady»

Il ragazzo le poggiò un rapido bacio sulla fronte, augurandole la buona notte e per un attimo tutto tornò come prima della guerra.

«Robert!» esclamò la fanciulla, avvertendo una insolita sensazione di pericolo. «Forse abbiamo sba...» ma lui la strinse a sé, costringendola a tacere. Quando si arrischiò a guardarlo negli occhi vide che il suo sguardo era tornato a splendere e cosa peggiore, non sembrava particolarmente propenso ad udire le sue proteste.

«Forse abbiamo esagerato» provò ancora, cercando di allontanarsi un po’ da lui.

«Che c’é? Ora senti caldo?» scherzò lui, riportandola al suo posto.

«Così mi soffochi!»

Marian si divincolò dalla sua presa, spingendo con entrambe le braccia contro il suo petto, fino a quando lo sentì mugugnare di dolore.

«Non pensavo di essere così forte» disse, fermandosi subito.

«E’ una vecchia ferita» spiegò Robin con un sorriso.

«Una ferita di guerra, vero?»

Il ragazzo annuì, sotto gli occhi seri della damigella.

«Posso...» iniziò quella titubante, «posso vederla?»

Robert la fissò con uno sguardo che per un attimo le fece accelerare i battiti del cuore.

«Non fraintendere» spiegò subito. «E’ solo che per anni mi sono chiesta che genere di pericoli tu abbia dovuto affrontare; che cosa ti abbia tenuto tanto lontano da casa tua...»

Il ragazzo si mise a sedere e si tolse lentamente la camicia rivelando un torace segnato da numerose cicatrici. Gli occhi di Marian si riempirono immediatamente di lacrime, che neppure provò a trattenere, sapendo in partenza che sarebbe stato inutile.

«Dio!» esclamò infatti commossa e insieme arrabbiata .«Quanto hai sofferto!»

Robert la abbracciò e le sussurrò qualche parola all’orecchio per farla calmare. Le disse che ora era tutto finito e che in fin dei conti doveva ringraziare Dio perchè era ancora vivo.

Fu quando sentì la propria guancia premere contro qualcosa di freddo e metallico che Marian ricordò il suo obiettivo. Ora la chiave era lì davanti a lei, più vicina che mai, eppure per un istante l’aveva praticamente dimenticata.

Le braccia di Robert la circondarono, facendola stendere insieme a lui sul pagliericcio che fungeva da materasso.

«Ora è meglio se dormiamo» disse lui a malincuore.

La fanciulla si limitò a fare un cenno con il capo perchè di parlare proprio non se la sentiva.

Pochi minuti più tardi sentì la testa di Robert poggiarsi sulla sua spalla con tutto il suo peso. Si era addormentato. Marian si voltò verso di lui e gli sfilò la chiave senza troppe difficoltà. La tenne stretta tra le mani a lungo prima di decidersi ad alzarsi. Rivolse un ultimo sguardo al volto sereno del suo amato prima di partire, sicura com’era di dirgli addio per sempre. Fu tentata di posargli un bacio sulla guancia, ma si trattenne temendo di svegliarlo. Gli sistemò invece la coperta, che aveva scostato scendendo dal letto.

Si domandò un’ultima volta se fosse sicura di quanto stava facendo e per l’ultima volta si rispose di sì. Quello che era accaduto quella sera non cambiava le cose: forse Robert provava ancora qualcosa per lei, ma rimaneva un fuorilegge, un uomo senza futuro. Era ricercato in tutta Inghilterra e dopo sette lunghissimi anni di angosce, Marian sapeva di non poter sostenere altre preoccupazioni: sapeva di non poterlo guardare ogni giorno temendo che quella fosse l’ultima volta che lo vedeva. Non voleva più soffrire, proprio perchè aveva già sofferto troppo.

Si diresse alla porta senza più voltarsi verso di lui, mordendosi il labbro per non permettere alle lacrime di scendere. Infilò la chiave nella toppa ma non riuscì a farla girare. Provò di nuovo ma ottenne solo un lugubre scricchiolio. Sentì il pavimento cedere lievemente sotto i suoi piedi e non le rimase che abbassare la testa, mentre qualcuno le afferrava un braccio.

«Che cosa volevi fare?»

La voce di Robin schioccò con la rapidità di una frusta.

Marian rivolse un ultimo sguardo sconsolato alla porta e lasciò cadere la chiave sul pavimento.

«Questa non serve a nulla, vero?» domandò, conoscendo in anticipo la risposta.

«Non è questo il punto!»

Robin era furioso: i suoi occhi dardeggiavano, cercando insistentemente quelli della ragazza, che però continuava a ritrarli.

«Non ci posso credere!» esclamò infine Marian. «Mi hai ingannata!»

«Io non ci posso credere!» gridò Robin. «Tu mi hai ingannato!»

I due giovani si fissarono per un lungo istante, fino a quando Marian non chinò il capo, cercando di far sbollire la rabbia e la delusione per il misero fallimento del suo tentativo di fuga.

«Io pensavo...» iniziò Robin, ma poi si fermò scuotendo la testa. «Tutto quello che volevi era la chiave!»

I suoi occhi la fissavano increduli, facendole avvertire in maniera acuta il proprio senso di colpa.

«Mi hai fatto credere che...» riprese lui, ma fu nuovamente costretto a fermarsi. «Già, che cosa volevi farmi credere?»

«Io non lo so che cosa tu avessi bisogno di credere» iniziò cauta Marian.

«Sei stata bugiarda e disonesta! Io non ti riconosco più!»

Calò tra di loro un silenzio scomodo, difficile da superare con le parole che, a quanto pareva, continuavano a peggiorare la situazione.

«Tu hai volutamente giocato con i miei sentimenti!» la rimproverò un ultima volta il ragazzo.

«Quali sentimenti, Robert?» chiese Marian, dopo un istante di riflessione, facendo trasalire il ragazzo. «Quelli che ti ostini a negare con tutte le tue forze da quando ci siamo ritrovati?»

«Erano finte anche le tue lacrime?» insisté Robin.

«Le mie lacrime erano vere!» esplose la fanciulla «Come tutte quelle che ho versato negli ultimi sette anni!»

«Tu mi hai ingannato!» ribatté cocciuto.

«Sì, ti ho ingannato!» esclamò alla fine la ragazza esasperata. «Ti ho volutamente ingannato, perchè tutto ciò che desideravo era andarmene di qui! Ma almeno» continuò, impedendogli di rispondere «io non ti ho ferito!»

Robert la squadrò accigliato.

«Ma certo! Dimenticavo che tu sei l’unica a possedere un cuore!»

«Forse no, ma sono sicuramente l’unica che lo sa ascoltare! Io non mi nascondo dietro una infedele d’oltremare!»

«Ti ho già detto che non voglio sentirti parlare in questo modo!»

«Se ti dà tanto fastidio la verità, perché non mi lasci andare? Perchè non ti liberi di me?»

Robert la fissò per un lungo istante, ma poi decise di non risponderle. Avrebbe dovuto rivelare troppo: spiegarle le ragioni del suo comportamento sarebbe stata la mossa più facile e gli avrebbe sicuramente procurato il perdono della fanciulla. Marian lo avrebbe rimproverato per essere stato uno stupido e con tutta probabilità avrebbe ribadito il legame che li aveva tenuti uniti anche quando la vita li aveva allontanati e avrebbe deciso di rimanere con lui. Vedendola ora brillare illuminata dai raggi argentei della luna, Robert capì che quello era tutto ciò che desiderava; ma un istante dopo biasimò la sua debolezza, ripetendosi quel proposito che era divenuto una regola da quando era tornato in Inghilterra: pensare al bene della donna che amava più della sua vita.

«Se tu ci tenessi un poco a me...» riprese Marian, senza sapere che era appena riuscita a leggere nei suoi pensieri.

«Farei esattamente ciò che sto facendo ora!»

Robin parlò senza pensare, lasciando uscire una frase che lo avrebbe perseguitato per tutte le settimane seguenti.

«Che vuoi dire?» chiese infatti la fanciulla.

«Niente!»

Marian si sforzò di mantenere la calma, dal momento che credeva di essere vicina ad ottenere la confessione che aspettava da tanto tempo.

«Sei preoccupato per quanto potrebbe capitarmi, se decidessi di rimanere al tuo fianco?»

Robin taceva ostinato, fuggendo lo sguardo acceso di Marian che gli si era fatta vicina.

«Ho sofferto tanto quando ti sapevo lontano da me, esposto a così tanti pericoli» disse lei, senza permettergli di interromperla «e ho sofferto ancora di più quando ho visto ciò che eri diventato al tuo ritorno; quando ho capito come avevi intenzione di impiegare l’esperienza che avevi accumulato durante sette anni di guerra. Per questo volevo fuggire. Solo per questo ho rubato la chiave. Pensavo che fosse meglio per me starti lontana... ma sbagliavo».

Nell’udire quelle ultime parole, Robin fu quasi costretto ad alzare gli occhi e ciò che vide non gli piacque per niente: la scelta finale sarebbe toccata a lui, ma il giovane dubitava di possedere la forza necessaria per prendere la decisione giusta.

«Marian, ti supplico...»

«Solo ora capisco quanto mi stessi sbagliando!» esclamò la fanciulla, senza badare alle sue proteste. Era bastata quella mezza ammissione da parte del ragazzo per farle completamente abbandonare ogni precauzione. Tutti i suoi piani di fuga furono cancellati in un baleno, lasciando il posto a più rischiosi ma dolci progetti per il futuro.

«Io pensavo di doverti lasciare, perché altrimenti avrei sofferto di nuovo, ma solo ora capisco che soffrirei comunque, se mi separassi da te!»

La fanciulla sorrise, stringendogli le mani.

«Se i tuoi sentimenti sono quelli di un tempo...»

«Marian!»

«...proprio come hai dimostrato stasera, allora il mio posto è accanto a te. E non c’è nulla che possa farmi paura».

«Ma non capisci?» si arrabbiò il ragazzo, riuscendo finalmente a farla tacere.

«I nostri sentimenti possono essere simili a quelli di allora» iniziò, trascurando l’occhiataccia che Marian gli gettò dopo avergli sentito pronunciare quel ridicolo aggettivo «ma siamo noi ad essere cambiati!»

La damigella lo fissò senza capire.

«Marian, tu sei diventata una splendida donna di corte, abituata agli agi che si confanno ad una dama del tuo rango e della tua educazione. Riusciresti davvero ad accontentarti della vita che ti potrei offrire io nei boschi?»

«Non dirmi che è questo il vero problema!» lo rimproverò acre la fanciulla, rimanendo in attesa della verità.

«Infatti».

Lo sguardo di Robin si fece duro, quando riprese a spiegarle le ragioni che lo obbligavano a respingerla.

«Tu non condividi la mia causa. Non posso vivere con una persona convinta che io metta a repentaglio la mia vita senza motivo. Non posso amare chi non riconosce l’importanza di ciò che io e i miei uomini stiamo facendo per l’Inghilterra».

«Mi stai dicendo che dovrei ritenerti un eroe per potermi assicurare il tuo affetto?» chiese Marian incredula.

«Dovresti almeno sforzarti di non considerarmi un bandito!»

«E’ la mia benedizione quello che cerchi?» si arrabbiò la fanciulla. «Non mi importa chi sei o che cosa rappresenti! Io voglio un marito, non un paladino!»

«Non mi aspetto che tu capisca» riprese Robin agitato. «Tu sei nobile; e sei una donna».

«E tu sei uno stupido!»

Gli occhi di Marian si posarono su di lui colmi di indignazione.

«Anche tu sei nobile, o ti bastano un arco e qualche foglia verde per dimenticare chi sei?»

«Io sono Robin Hood!»

«Tu sei Sir Robert di Loxley!»

«Quell’uomo non esiste più, devi mettertelo in testa!»

«Come posso farlo proprio ora che ho finalmente rivisto il ragazzo di cui mi sono innamorata?».

«L’uomo di cui ti sei innamorata non c’è più» ribadì Robin.

«E’ qui di fronte a me, invece!»

Robert chiuse gli occhi e si affacciò alla finestra, sperando che la brezza fredda della notte potesse rinfrescargli le idee. Quella conversazione avrebbe potuto durare in eterno, senza che nessuno dei due retrocedesse mai dalle proprie posizioni. Marian rivendicava i diritti di una donna innamorata, risvegliando in lui sentimenti teneri che credeva di aver dimenticato durante quei lunghi anni di atrocità ed orrori. Ma non poteva cedere alle lusinghe di una vita dolce, da trascorrere con lei, sapendo in quali sofferenze viveva la sua gente. Troppe persone avevano bisogno di lui e Robin avrebbe accolto il loro grido di aiuto, anche se questo significava rinunciare a Marian.

«Sta succedendo quello che è accaduto sette anni fa» disse piano la fanciulla, quasi parlando a se stessa. «Mi stai per dire che il tuo senso del dovere ti spinge a lasciarmi»

Robert abbassò lo sguardo, per non essere costretto a rivelarle che, ancora una volta, aveva ragione.

«Scegli la gloria, di nuovo!» esclamò lei amaramente.

«Quale gloria?» ripeté il giovane, impallidendo. Possibile che Marian avesse frainteso sino a quel punto le sue intenzioni? «Quale gloria?» chiese di nuovo.

«Ed io che ero gelosa di quella poveretta!» replicò Marian, pensando a Jasmine. «Non c’è posto per alcuna donna nella tua vita, perchè essa è tutta occupata dal tuo egoistico bisogno di autocelebrazione».

«Pensi davvero che io voglia solo mettermi in mostra?»

«Non so cosa tu voglia fare ora, ma questo era certamente alla sommità dei tuoi desideri sette anni fa!»

Robert fu ad un passo dal confessarle che il motivo per cui aveva accettato di seguire il re nella crociata era solo quello di rendersi degno di lei, ma si trattenne.

«Se questo è ciò che pensi, allora qualunque mio sentimento nei tuoi confronti andrebbe sprecato».

Marian assunse una espressione addolorata di fronte a quell’ultimo commento, ma presto la mortificazione lasciò il posto alla collera.

«Tu non te la meriti una come me»

Robert trasalì, nell’udire la più cupa delle sue paure prendere forma nelle parole della fanciulla.

I due giovani si fissarono per alcuni istanti, muti nella difesa della propria verità, rifiutando di scendere a patti con l’altro.

Finalmente Robin tornò a coricarsi, lasciando Marian a rimuginare sulla gravità delle offese che si erano nuovamente scambiati.

 

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Spero vi sia piaciuta! Se vi va, lasciatemi un commentino per farmi sapere che ne pensate! :)
Intanto, un grazie in anticipo a tutti coloro che leggerarnno!

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