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Autore: Caramell_    04/08/2014    6 recensioni
Derek è un abitudinario. Lo è sempre stato [...] ma, dopotutto, a pensarci bene e col senno di poi, la mattina in cui la sua ruotine viene distrutta e la sua vita cambiata, comincia come una delle peggiori mai vissute.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Di routine, guance rosse e caffè rovesciati'
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Sono venuto qui stasera perché quando ti rendi conto
che vuoi passare il resto della tua vita con una persona,
allora vuoi che il resto della tua vita inizi il prima possibile.
Harry Burns (Harry ti presento Sally)

 
 
 
 
 
 

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Derek è un abitudinario. Lo è sempre stato. E la sua routine segue e ha sempre seguito uno schema perfettamente collaudato da anni e anni di preparazione anticipata e forse dovrebbe cominciare a vergognarsene o, almeno, ad inserirla nella lista delle cose strane, ma le abitudini sono dure a morire, soprattutto quelle cattive – e, a sentire Peter, Derek deve averne parecchie – e, negli ultimi due anni, ha trascorso la mattinata nello stesso, identico modo.
Ha sempre la sveglia puntata sulle sette meno un quarto e i vestiti puliti appoggiati alla sedia di legno vicina al letto, ché, quando deve seguire una delle sue lezioni mattutine delle dieci, recupera quelle ore di luce per portarsi avanti con lo studio o, nel migliore dei casi, infila la sua tuta consunta sui gomiti ed esce a fare quei suoi soliti trenta minuti di corsa per quasi l’intero isolato. Poi torna a casa e s’infila sotto la doccia, avverte i muscoli bruciare e distendersi e la stanchezza dello sforzo scivolargli dalle spalle, si cambia e solo allora afferra la giacca e s’avvia verso lo Starbucks dietro l’angolo. Ordina il caffè più forte che hanno – ristretto – e quasi lo strappa dalle mani del ragazzino tutto lentiggini dietro al bancone. Paga e raggiunge l’Università che, per sua fortuna, non è nemmeno a venti minuti da dove abita. Entra e va dritto dritto in biblioteca, perché si, Derek crede d’aver sviluppato, nei suoi anni di studio, un amore segreto ed incondizionato per tutte le biblioteche del mondo. Adora entrare ed avvertire, distintamente, quel profumo inconfondibile di libri e carta vecchia arrivargli alle narici e mischiarsi con l’amaro gusto del suo caffè mattutino, sedersi ad uno dei tavoli di legno che affollano la stanza e consultare pagine e pagine di storie e antologie dimenticate, bere il caffè ancora caldo e prendere appunti per la prossima lezione o, semplicemente, inforcare gli occhiali che si porta sempre dietro e rilassarsi così, carta ruvida tra le mani e trattati e frasi sconnesse in testa.
E poi l’Università ha la biblioteca più grande che Derek abbia mai visto e, diciamoci la verità, questa è una cosa che ha influito parecchio al tempo della sua scelta.
Alla fine trascorre le due ore rimanenti là dentro, isolato dal resto del mondo, con fogli e foglietti sparsi dappertutto , fino a che, dando un’occhiata al telefono, non si rende conto ch’è ora di seguire le lezioni del giorno. Allora raccoglie gli appunti che ha preso e lascia i libri che ha consultato lì dove li ha poggiati, un po’ come fossero un segnaposto,  afferra il suo caffè ormai finito, s’allontana dalla biblioteca e si prepara, psicologicamente, ad una delle sue solite noiose lezioni delle dieci. Che non si pensi male, però eh; Derek è molto attento, di solito, quando l’argomento delle lezioni lo interessa, ma, ad onor del vero, in quei mesi ha imparato sulla propria pelle quanto possano essere noiose le ore di Astronomia delle dieci mattutine e, di conseguenza, di che forza di volontà bisogna essere dotati per evitare d’addormentarsi con la penna in mano. Gl’era successo un paio di volte, quando era una matricola e, come se non bastasse, l’insegnate l’aveva beccato e strigliato per bene e Derek aveva passato il peggiore quarto d’ora della sua vita e così, dopotutto, aveva giurato, anche per la pace delle proprie coronarie, che non sarebbe mai più successa una cosa simile.
Terminate le lezioni torna in biblioteca e trova tutto come l’ ha lasciato, i libri sul tavolo e fogli bianchi accartocciati intorno. Riprende a leggere e comincia a studiare gli schemi che ha preso in classe. Rimane lì fino alle cinque, poi rimette i libri al loro posto e se ne va di nuovo e passa l’intera serata con la schiena per terra e le mani sporche di olio per motori.
Torna a casa quando ormai sono già passate le dieci, con tutti i muscoli doloranti e i gomiti completamente neri e incrostati e a quel punto si spoglia e si fa una doccia e rimane lì sotto fino a che le sue braccia non ritornano ad un colorito quantomeno umano, il che, secondo i suoi calcoli, succede più o meno in venti minuti di sapone liquido e detersivo per i piatti.
Dopo il bagno dà un occhiata all’orologio e finalmente poggia il sedere sul letto. Di solito s’addormenta subito, appena la testa tocca il cuscino. Sono dieci anni che non sogna nulla.
 
 

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A pensarci bene, col senno di poi, la mattina in cui la sua ruotine viene distrutta e la sua vita cambiata, comincia come una delle peggiori mai vissute. Derek è ancora sdraiato a letto, quando la sveglia suona e gli riempie la testa di suoni striduli e trilli. Allunga una mano al di là delle coperte e avverte il gelo mordergli la pelle del braccio e le dita intorpidite toccare il freddo del metallo.
Geme, contrariato, e trova il coraggio di alzarsi solo dopo quelle che gli sembrano ore, mentre si stropiccia gli occhi e si scosta i capelli dal viso e si rende conto che la stanchezza della sera prima ancora non l’ ha abbandonato e che quella si prospetta essere la giornata più orribile della sua vita. Alla fine vince la fatica e Derek si ritrova costretto a rinunciare alla sua corsetta mattutina, perché ha il sospetto, parecchio fondato anche, che, se solo ci provasse, le sue gambe si ribellerebbero e lui si ritroverebbe svenuto con la faccia spiaccicata sul marciapiede – non una bella immagine, decisamente.
Quindi afferra un paio di jeans e la sua famosa giacca di pelle ed entra nello Starbucks con l’umore più nero possibile. Il ragazzo con le lentiggini è sempre dietro il bancone, solo che quel giorno sembra essere più annoiato del solito, e solo quando Derek s’avvicina e apre bocca, sembra riprendersi e ricordarsi di sorridere ai clienti. Gli porge il suo ristretto e Derek lascia un dollaro in più di mancia ed esce dal locale più veloce che può.
Arriva all’università mezz’ora dopo e la trova affollata come non l’ha mai vista, con centinaia di studenti davanti alla porta principale ok, molto probabilmente deve essere perso qualcosa, un convegno o una riunione speciale, perché, lì intorno, ci sono troppe facce nuove e adulti in giacca e cravatta. Non che gl’interessi, in verità, non gli sono mai piaciute le riunioni in Aula Magna, ma saperlo gl’avrebbe risparmiato un’altra mezz’ora di ritardo e la fatica che ha impiegato per varcare, tutto intero, la soglia della biblioteca.
Si ritrova a tirare letteralmente un sospiro di sollievo, grato di avere ancora la milza tutta intera e si sta ancora guardando intorno, un piede davanti all’altro, quando succede l’irreparabile.
Ora, Derek non ha mai creduto alla sfortuna, né alla dea bendata; a suo dire non esistono il destino e quelle altre cavolate impossibili da evitare o azioni e episodi irripetibili, ma, a quel punto, crede di dover essere costretto a rivalutare le proprie opinioni, perché, davvero, non è possibile che proprio quel giorno, in biblioteca – dove non accade niente per la stragrande maggioranza del tempo – sia successa una cosa simile a lui. Non che sia così strano e inusuale, dopotutto, però…
Beh, il punto è questo: appena ha provato ad oltrepassare la porta a doppio battente della biblioteca, il caffè in una mano, appunti e scarabocchi nell’altra, qualcosa – o meglio, qualcuno – si è schiantato contro di lui con la stessa velocità d’un razzo nucleare e fogli, libri, quaderni, penne e soprattutto il suo adorato caffè ristretto si sono riversati per terra e su entrambi e, a quel punto, Derek crede d’essere stato attraversato da scariche elettriche e parecchi istinti omicidi, mentre barcolla all’indietro e lascia che gli sfugga un vero e proprio grugnito, perché il ristretto era ancora caldo e fumante e brucia un sacco, a contatto con la pelle.
Alla fine riesce a rimanere saldo sulle sue gambe e, imprecazioni a mezza voce a parte, abbassa il viso per guardare in faccia quello sciagurato distruggi-caffè. Si ritrova davanti un ragazzino sdraiato per terra, la faccia arrossata e milioni di fogli a coprirgli le gambe e, potrebbe metterci la mano sul fuoco, gli occhi più grandi e scuri e liquidi che abbia mai visto. L’osserva tentare di ricomporsi ed arrossire fino alla punta dei capelli, mentre si rimette in piedi e balbetta mozziconi di frasi senza senso e forse il bruciore deve essergli arrivato al cervello e avergli distrutto quei pochi neuroni non ancora storditi, ché Derek comincia a pensare che quel modo imbarazzante e impacciato d’alzarsi e chiedere scusa in realtà sia la cosa più adorabile del mondo e questo è male, molto male.
- Che diavolo… – ringhia, le sopracciglia aggrottate, la maglia coperta di macchie scure – guarda dove vai, matricola!
L’altro schizza in piedi come se l’avesse morso una tarantola e Derek se lo ritrova a nemmeno dieci centimetri dalla faccia che solleva le braccia e fissa, mortificato, la sua maglietta.
-Io ah mi dispiace davvero – lo sente bisbigliare, colpevole – non ti ho proprio visto e mi dispiace il caffè e la tua maglia e…cavolo è la prima volta che mi succede e davvero non volevo farlo ma il punto è che non vedo niente con tutti quei fogli davanti e scusa la colpa è tutta di quella vecchia megera bisbetica e – e niente, a quel punto Derek crede di aver fatto tombola, perché diavolo non ha mai sentito qualcuno vomitare così tante parole insieme senza prendere un respiro di tanto in tanto ed è meglio finirla lì, ché non ha tutto il tempo del mondo e vorrebbe almeno provare a ripassare i propri appunti.
Allora fa quello che fa di solito quando vuole che suo zio levi le tende e non torni per almeno un paio di giorni: porta in alto le sopracciglia e mette su quell’espressione da serial killer che Peter tanto adora e che, a suo dire, farebbe piangere anche un wrestler. Il ragazzo sembra cogliere al volo le sue intenzioni e si zittisce di colpo e con la bocca pare formare una o quasi perfetta e – ah – sussurra alla fine – è uhm è meglio che vada ora – e ricalca l’ultima parola come se quello non fosse un buon momento per fare conversazione – e non lo è, non lo è affatto – come se sperasse di poter riprendere dopo – Derek sa che non ci sarà mai un dopo. Si porta le mani alla maglietta stropicciata e sporca e umida, gli schiocca un’ultima, lunga, densa occhiata e sparisce dalla sua vista così com’è apparso, senza neanche pensare al fatto che puzza di caffè fino alla punta dei capelli e che probabilmente ce l’avrà infilato anche nelle mutande.
Derek scuote la testa un paio di volte e tenta di non sentirsi troppo soddisfatto di sé – ma, per inciso, fallisce miseramente – e si piega sulle ginocchia per raccogliere gli appunti ancora sparsi sul pavimento e un’imprecazione gli sfugge flebile dalle labbra, mentre s’appunta mentalmente di tentare, almeno, di riordinarli in ordine cronologico e di ridare forma e senso a quelle parole ora completamente sbavate. Sospira, poi, quando s’accorge che alcuni – parecchi sono macchiati e stropicciati – di quegli appunti in realtà non sono i suoi e si ritrova a fissare quella calligrafia così arrotondata e infantile e disordinata e a chiedersi, di nuovo, quanti anni abbia quel ragazzino fastidioso.
Si solleva e s’avvia verso il suo solito tavolo. La maglietta non ha subito danni, se non si considerano minuscole chiazze marroni sulla spalla sinistra, risparmiandogli così un’altra, inutile tappa a casa, ma il pavimento non è stato così fortunato e macchie enormi di caffè s’allungano e minacciano le piastrelle, mentre il bicchierone di carta spessa si mostra completamente zuppo e accartocciato.  Sospira ancora e, dopo aver poggiato i fogli sul tavolo, s’allontana alla ricerca di qualcuno – qualche anima pia, per intenderci – che lo aiuti a ripulire quel disastro. Ed è mentre s’avvicina a quella che dovrebbe essere la responsabile per quella settimana che un pensiero strano gli s’infila in mente e forse non è così, eppure la sua mente gli riporta alla mente lentiggini e mani bianche e guance rosse da prima mattina e per un momento crede d’averlo già visto, quel tizio troppo frenetico per i suoi gusti, ma alla fine scuote la testa e si dà dell’idiota e s’impone, l’umore sotto i piedi e la stanchezza triplicata, di risolvere quel casino e di tornare a studiare. Di sicuro non ha tempo da perdere.
 
 
Derek passa l’intera giornata rintanato lì dentro e, solo per quel giorno, decide che non ha la minima voglia di spostare il culo dalla sedia e d’avviarsi verso l’aula della sua prossima lezione e quando si alza, alle cinque meno un quarto – perché leggere gli fa perdere completamente il senso del tempo – sente le gambe scricchiolare e la schiena tutta irrigidita.
Si stiracchia un po’ e, di sfuggita, dà un’occhiata all’orologio che porta la polso. Manca un quarto d’ora e lui deve passare prima da casa, per un cambio di vestiti e poi correre a lavoro il più veloce possibile. Probabilmente arriverà in ritardo, sorprendentemente sarà la sua prima volta.
Raccatta le sue cose e se le infila sotto il braccio. La carta scricchiola e fruscia e, a quel punto, Derek ricorda che molte delle cose che ha in mano in realtà non sono sue e che dovrebbe trovare un mondo per farle riavere al suo legittimo proprietario. Si, beh, il problema è come. In un primo momento pensa di lasciarli lì, sul tavolo, ma poi si rende conto che non è proprio una genialata, ché qualcuno potrebbe prenderli e buttarli o prenderli e basta. Consegnarli alla responsabile sembra un’idea altrettanto pessima – il motivo è sempre il sopracitato – e, alla fine, con grande sconforto – più o meno – Derek decide ch’è meglio se li tiene lui, al sicuro tra i suoi, fino a che, per fortuna o sfortuna non saprebbe dirlo, non incontrerà di nuovo la matricola.
Il punto è che non sono così male, quegli appunti, anzi, sono tanto ricchi e precisi che, mentre li consultava per pura, semplice curiosità, Derek aveva cominciato a pensare che fossero scritti sotto dettato. Certo, sono disordinati, pieni di scarabocchi e sembra che li abbia presi un ragazzino di seconda elementare, ma le informazioni sono raggruppate e collegate tra loro in un modo ridicolmente pulito e comprensibile il che li rende, per un maniaco dell’ordine come lui, una delle cose più appetibili sulla faccia della terra.
Beh, non che ci possa fare qualcosa, almeno non in quel momento e allora s’infila tutto sotto il braccio e s’avvia verso casa, mentre si dice che non c’è niente, dopotutto, di cui preoccuparsi e prega, sospirando, che la lavata di testa che l’aspetta non sia troppo lunga e pesante.
 
 
Quando però il giorno dopo si sveglia in ritardo, comincia davvero a preoccuparsi. È una cosa che non gl’è mai successa e comincia a chiedersi come diavolo abbia fatto a non sentire quell’allarme anti-incendio che è la sua sveglia, mentre dà un’occhiata al display del suo telefono e si rende conto, con sua somma gioia – e qui, anche se non è mai stato in tipo parecchio eloquente o socievole o dedito all’interazione umana, il sarcasmo si spreca signori – che sono già le dieci passate e che, pur volendo, non riuscirebbe a godersi quel suo famoso caffè mattutino nemmeno se avesse un paio d’ali posizionate sotto i talloni, cosa che, lo sanno tutti ormai, abbassa il livello di caffeina nel suo corpo e, automaticamente, fa in modo che sia ancora più intrattabile e irritabile del solito. Il che è male.
Si solleva dal letto e sbuffa una, due, tre volte, afferra un paio di pantaloni puliti, fogli bianchi e post-it gialli e macchiati d’inchiostro, un paio di penne e una molla per tenere insieme tutto. Poi si ricorda degli appunti stranieri e s’allunga sulla propria scrivania, inforca gli occhiali ed esce di casa, infine, con i più loschi istinti omicidi.
 
 
Come previsto, arriva in ritardo a lezione ed è costretto a rimanere fuori per l’intera ora, perché alle mie lezioni non accetto ritardatari e, di sicuro, lei non fa eccezione, signor Hale e, sul serio, Derek non sa proprio per cosa arrabbiarsi, se per quella faccia compiaciuta del professore di turno o per quel dispregiativo nomignolo idiota. Alla fine opta per un minaccioso silenzio tombale e, scocciato, percorre il corridoio e si precipita in biblioteca, ché almeno, si dice, troverà il modo di trascorrere quelle ore forzate d’attesa.
L’unica sua consolazione è che, appena mette piedi in mezzo ai libri, il suo mal di testa pare placarsi e, con lui, la sua voglia di sangue e poi l’odore dei libri, della carta vecchia, di quella fresca di stampa è la cosa più rilassante di questo mondo e sente già i palmi prudere e…oh, questo è strano. C’è una tazza di cartone, sul tavolo dove di solito si siede a leggere. Un’enorme, colorata tazza di cartone e Derek un po’ crede di sentirsi male, perché è sicuro – più che sicuro – che quella sia una meravigliosa, fumante, caldissima tazzona di caffè ristretto e ah, forse dovrebbe darsi una calmata, ché probabilmente sta sbavando e, davvero, non dev’essere una gran bella immagine. Tenta di darsi un contegno, allora, scosta la sedia e fa per sedersi ma, appena poggia il sedere sul legno, nota un pezzo di carta intrecciato proprio sotto quella specie di delizia in formato tascabile e ok, Derek è sempre stato una persona parecchio riservata, ma c’è un biglietto, sotto un’enorme tazza di caffè, al suo posto e, cielo, nemmeno lui è fatto di pietra. Così, solleva il bicchiere con una mano e lo trova caldissimo e quasi ustionante, mentre con l’altra sfila il foglio da sopra il tavolo e se lo porta vicino al naso. È ripiegato in due, arricciato ai bordi, umido al centro e sporco d’inchiostro e te ne dovevo uno c’è scritto e Stiles un po’ più sotto, con quella calligrafia tonda e disordinata e infantile che ormai ha imparato a conoscere e a quel punto Derek storce un po’ il naso e posa lo sguardo sulla tazza che ha in mano, poi torna sul biglietto e ancora alla tazza e probabilmente in quel momento deve avere la faccia più allucinata di sempre mentre si rende conto che si, tutto quello è davvero per lui e che – e, davvero, qui la cosa ha dell’incredibile – il caffè e il biglietto vengono dalla matricola – Stiles, adesso, sempre che sia il suo nome – che l’ ha preso in pieno nemmeno due giorni fa e, oddio, probabilmente si metterebbe a ridere se non fosse così incazzato col mondo – Peter – o emotivamente costipato – sempre Peter. Beh, fatto sta che un risolino gli scappa comunque e, forse, è proprio in quel momento, mentre si porta il caffè alle labbra e dà una lunga, generosa, rovente sorsata e quasi riesce a sentire il suo cervello urlare e piangere dalla gioia, che la sua giornata prende una piega decisamente più piacevole.
Comunque, Derek finisce il suo caffè e rilascia un sospiro lungo, liberatorio ed appagato e si, crede già di sentirsi meglio, ché la caffeina comincia a fare effetto e probabilmente non avrà un aspetto da zombie per l’intera giornata. Poi guarda il bicchierone e il foglietto che c’ha trovato sotto e un dovere fastidioso comincia a martellargli le tempie e pensa a Stiles e a quel suo modo d’agire e, alla fine, prova a sentirsi un poco meglio e gli lascia dieci dollari nel foglio sotto la tazza vuota.
 
 
A essere sinceri, Derek credeva che non l’avrebbe più rivisto o, almeno, che non sarebbe capitato così in fretta anche se, a conti fatti, quando succede – di nuovo – è passata più d’una settimana – otto giorni, per la precisione – diavolo, nei quali ha tentato, disperatamente, di smettere di pensarci giorno e notte. Una settimana intensa di studio e lavoro e litri e litri di caffè e Derek ad un certo punto ha anche pensato che avrebbe potuto sentirsi male da un momento all’altro, ché il suo stomaco era ad un passo dal collasso e non pareva per niente collaborativo.
Appoggia la penna sul tavolo e s’aggiusta gli occhiali sul naso, mentre dà un’altra occhiata al proprio lavoro e sospira soddisfatto. È circondato da pezzi di carta, alcuni sottolineati in rosso, tenuti insieme da un paio di libri belli pesanti, altri completamente puliti e liberi sul legno del tavolo. Gli appunti di Stiles sono vicino a lui, assicurati in una cartella blu coperta di penne e forse è da considerarsi parecchio strano, ma tutto quel disordine, quell’accozzaglia di materiale di lavoro, un po’ lo fa sentire appagato e quasi felice, dopotutto, d’essere tornato all’università.
Sono le tre passate e in biblioteca c’è un silenzio di tomba e Derek s’afferra la base della nuca e decide che può impegnarsi decentemente per un’altra ora buona, prima che il suo cervello decida che per quel giorno è più che sufficiente.
Ed è appena rimette la testa sui libri che la sente. Una voce tremante, imbarazzata e un po’ troppo familiare, rumore di metallo e plastica a contatto e un – posso sedermi? – sussurrato gli raggiunge le orecchie e gli fa alzare lo sguardo e la sua espressione dev’essersi un po’ addolcita – e potrebbe metterci la mano sul fuoco – ché si ritrova davanti il cosetto più adorabile che abbia mai visto, un paio di guance rossissime, occhioni scurissimi e occhiali appannati e, se lo vedesse in quel momento, probabilmente Peter direbbe che s’è rammollito, ma Derek non riesce a pensare a nient’altro che a quella pelle color pomodoro maturo e, per paura che possa andare in autocombustione lì ed ora, fa un piccolo cenno del capo e sposta la sedia un po’ più in là. Il cosetto – la matricola, Stiles – rilassa le spalle e gli si siede accanto e Derek lo vede aprire uno dei suoi libri e affondarsi la faccia dentro come se, da un momento all’altro, qualcuno – Derek presumibilmente – potesse tirargli una sberla o prenderlo a calci nel sedere e ok, non l’ammetterà mai, nemmeno sotto tortura, ma potrebbe trovare quel suo lato infantile parecchio divertente – potrebbe però, sia chiaro.
Arriccia le labbra e allunga una mano e afferra quella cartella blu che, da una settimana a questa parte si porta sembra dietro, allenta l’elastico e si porta quegli appunti miracolosi davanti agli occhi e – mi hai portato il caffè – dice e, con la coda dell’occhio, lo vede sussultare e quasi cadere dalla sedia e ok, non è che potrebbe, lo trova già divertente.
Stiles diventa rosso fino alla punta dei capelli, s’allontana il libro dal naso e gli schiocca una lunga occhiata imbarazzata, poi annuisce – e tu mi hai lasciato dieci dollari – risponde – che, da qualsiasi lato la si veda, sono davvero troppi per un caffè.
Derek lo vede sorridere e borbottare qualcosa sottovoce, mentre il silenzio si dilata e prende a circondarli e vorrebbe trattenersi, lo vorrebbe davvero, ma un minuscolo sorriso gli spunta sulle labbra e gl’addolcisce i lineamenti e non è troppo sicuro che gli dispiaccia, tutta quella situazione.
Solleva una mano e sente la carta scricchiolargli tra le dita – ho i tuoi appunti – l’informa e segue lo sguardo di Stiles e il movimento d’una mano pallidissima che s’allunga verso di lui e – vuoi ridarmeli? – si sente chiedere e Derek gli pianta gli occhi in faccia e segue la linea bianca del suo collo scoperto e scopre che Stiles ha un neo proprio lì, sulla parte più morbida e si chiede come dev’essere percorrere quel pezzo di pelle lattea con le dita o con la lingua e le parole gli escono dalle labbra senza nemmeno rendersene conto, prima che possa anche solo pentirsene e rimangiarsele.
- Se mi offri un caffè – propone e, cielo, si riscopre terribilmente orgoglioso di quelle due guance rosse.
- Domani? – domanda Stiles e Derek pianta gli occhi in due pozzi profondi e inclina la testa e annuisce e – domani – conferma e, dopo quello, comincia a credere che vederlo ridere sia la cosa più bella del mondo.
 
 
 
 















Note: Ho scoperto che le giornate peggiori della mia vita stimolano la mia scrittura. Non credo di doverne essere così entusiasta.
Comunque, questa è solo la prima delle cinque One-shot che sto scrivendo e non ho idea di come farò a seguirle tutte insieme. Probabilmente mi si fonderà il cervello. Detto questo, mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate, se i personaggi sono abbastanza credibili, se l'intera storia lo è. Io e il fluff non andiamo molto d'accordo e spero di poter ricevere qualche opinione o consiglio - sono sempre bene accetti.

  
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