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Autore: 1rebeccam    04/08/2014    12 recensioni
ULTIMO CAPITOLO scrisse all’inizio del foglio di word a lettere maiuscole, mosse il mouse e puntò il cursore sull’icona ‘centra’.
La scritta troneggiò al centro superiore del foglio virtuale.
Si sistemò per bene sulla poltrona di pelle e, sospirando, cominciò la fine del suo racconto.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 44
 

I monitor erano fissi sulle cartine topografiche delle diverse zone della città. I tecnici continuavano a osservarli, digitando sulla tastiera i dati che il segnale rimbalzava da una parte all’altra del globo terrestre, cercando di creare un monitoraggio completo. Il cavallo di Troia che era stato installato da Tori, per permettere di mappare in maniera reale la traccia lasciata dall’ultimo caricamento video, lavorava freneticamente. Finalmente un bip ritmato raggiunse le loro orecchie e uno dei monitor mostrò dei piccoli cerchi concentrici che pulsavano attorno ad un punto preciso sulla cartina.
Tori si alzò di colpo dalla sua postazione, seguita dai colleghi. Digitò qualcosa freneticamente, i suoi occhi attenti passavano dalla tastiera allo schermo. Il puntino venne circondato da linee colorare ben definite, le linee presero forma, le forme si colorarono in modo diverso, indicando colline, parchi, zone pianeggianti, fino a che i cerchi concentrici smisero di pulsare, il bip si spense e davanti ai suoi occhi s’ingrandì una schermata con la zona precisa e ben definita da cui era partito il segnale internet.
Era eccitante, per chi restava ore ed ore seduto davanti ad uno schermo a cercare, spulciare e aspettare, vedere finalmente i frutti del proprio lavoro, ma in quel momento Tori avrebbe urlato di gioia.
Ci avevano messo ore, ma avevano l’indirizzo dell’uomo che aveva sfidato il distretto. Questo era il pensiero di ogni detective, agente o tecnico che lavorava al dodicesimo. Chi si considerava parte di quel piccolo mondo era di conseguenza collega del detective Beckett e amico di Castle: tutti erano stati sfidati da Scott Dunn.
Aveva digitato l’interno del capitano.
-Abbiamo l’indirizzo!-
Aveva esclamato solo due parole e la Gates era balzata fuori dal suo ufficio, verso la sala conferenze, ripetendo le stesse identiche parole a Kate e ad Esposito e correndo contemporaneamente verso l’ascensore.
Mentre percorrevano i quatto piani verso il piano terra, aveva contattato la sala radio, dando ordine che due pattuglie si tenessero pronte ad entrare in azione, non prima però di avere ricevuto un suo ordine.
Volevano arrivare sul posto senza rumore.
Era possibile che Dunn fosse rientrato. Se così era dovevano prenderlo di sorpresa.
Tori diede loro l’indirizzo e le indicazioni necessarie per potere arrivare il più in fretta possibile.
Il nascondiglio si trovava in  una zona periferica, a venti minuti dal centro. Poche abitazioni e qualche capannone usato come garage. Di certo Dunn aveva cercato bene, le poche case abitate si trovavano distanziate tra loro, perciò la privacy era assicurata. Intorno tutto era circondato da siepi alte e per nulla curate, che nascondevano le costruzioni alla strada. Alle spalle, invece, si estendeva un terreno collinare con vegetazione fitta come una boscaglia.
La casa in questione era piccola. Controllando il perimetro avevano individuato solo la porta d’entrata ed una finestra, posta sul retro, non c’erano altre vie di fuga.
Il pomeriggio volgeva all’imbrunire, intorno c’era silenzio, come se la zona fosse completamente disabitata. Dalla finestra non si vedeva molto, la serranda era abbassata e dalle fessure era impossibile capire se ci fosse qualcuno all’interno. Esposito armeggiò con la serratura, cercando di non fare rumore, la porta si aprì con un click.
Si ritrovarono all’interno, nella penombra. La casa era effettivamente piccola, cucina e soggiorno in un unico ambiente, con un divano che Dunn usava sicuramente come letto. Una penisola che fungeva da piano per cucina e due sedie.
Si guardarono intorno attentamente. Di Dunn nessuna traccia.
A ridosso della parete c’era una piccola scrivania, occupata soltanto da una stampante. Niente computer. Di fronte al divano un mobile basso con uno sportello, che faceva da base ad una mensola con un videoregistratore, accoglieva un piccolo televisore, la cui lucetta lampeggiante arancione avvertiva che lo schermo era in stand by.
Era il covo adatto per uno come Dunn. Non lontano dalla città, ma fuori mano, un posto che gli consentiva di muoversi a piedi indisturbato e prendere un mezzo di trasporto qualsiasi per arrivare a destinazione.
Senza accendere la luce si guardarono intorno, muovendosi con cautela, con le pistole in pugno, ma risultò evidente da subito che Dunn non era in casa.
 
Gli occhi di Kate si muovono calmi, su ogni centimetro. Osserva le pareti spoglie, la tovaglietta macchiata di caffè sopra il tavolo, i pensili vuoti, nessun piatto o roba sporca nel lavello, solo qualche scatoletta vuota di carne e fagioli. Schiaccia qualcosa con il piede sinistro e si accorge dei cocci di vetro a terra e delle righine più scure che partono da metà parete fino al pavimento, dove una piccola chiazza bagnata si è allargata di poco. Deve aver scaraventato con forza un bicchiere pieno di acqua, contro il muro.
Corruccia la fronte continuando ad osservare con attenzione, mentre i colleghi rovistano tra i mobili e il retro. Si china davanti alla piccola TV, rendendosi conto dello schermo in stand by e che anche il video registratore è ancora acceso, perché il timer  che conteggia l’avanzamento del disco, è bloccato e lampeggia al minuto 09.03
-Ecco come ha saputo di Abraham!-
Esclama dopo aver attivato lo schermo, fermo su un’immagine ben precisa che appare sgranata per lo zoom e che mostra la  sagoma di un uomo abbassato dietro dei cumuli di macerie.
-E’ il notiziario che è andato in onda subito dopo l’esplosione.-
Continua, guardando i colleghi che le si sono messi intorno.
-Deve averlo registrato per rivedere di continuo la sua opera.-
Marca ironicamente l’ultima parola, mandando il video dall’inizio, mentre la Gates scuote la testa.
-Quest’uomo è pericoloso. La sua presunzione va oltre ogni limite.-
Kate sembra non ascoltarla, continua a guardare le fiamme alte nel cielo del video, con la fronte corrucciata e gli occhi attenti. Individua il fotogramma che ha attirato l’attenzione di Dunn e blocca la schermata come ha fatto lui.
-Deve averlo visto e rivisto decine di volte, si è goduto il suo capolavoro senza far caso a nient’altro oltre le fiamme… e all’improvviso ha notato questo.-
Poggia il dito sulla sagoma di Abraham. Si alza guardandosi ancora intorno.
-E’ balzato giù dal divano, ha guardato attentamente l’immagine, ingrandendola con lo zoom. Quando si è reso conto che quello poteva essere Abraham, si è arrabbiato.-
Sposta lo sguardo sul bicchiere rotto, infranto sulla parete.
-Ed è uscito di corsa.-
Ryan rientra dal suo giro d’ispezione.
-Di corsa si, ma non ha lasciato molto. Ho guardato dappertutto, lo tossina non è nascosta qui. Si è portato dietro il computer e in giro non c’è traccia della roba che usa per cambiarsi la faccia.-
-Ha lasciato questi però.-
Dice il capitano, aprendo il cassetto della scrivania.
Sposta con cura i diversi fogli all’interno e mostra ai colleghi la copertina di plastica trasparente che contiene il ritaglio di giornale che parla del ferimento di Beckett e la sua foto in divisa.
Si guardano in silenzio e la Gates analizza altri fogli.
-Questi deve averli scritti il Professore, spiegano il decorso del veleno iniettato al signor Castle, nelle diverse fasi.-
Li passa a Kate che stringe le labbra.
-Si è fatto spiegare tutto nei minimi particolari, per essere pronto quando Castle arriverà alla fine.-
Corruccia la fronte, leggendo l’ultima parte.
-Ora siamo nella terza fase. Febbre alta, difficoltà a muoversi e a respirare, possibilità di vita dalle 20 alle 30 ore…-
Deglutisce prendendo tra le mani un altro foglio che non è stato pinzettato con gli altri, in cui il Professore mette in evidenza che il decorso può essere più veloce o più lento a seconda della forza fisica del soggetto in esame.
-Sembra che Dunn non voglia prendere in considerazione il fatto che il veleno possa agire più in fretta o più lentamente di quello che si aspetta.-
I colleghi la guardano con espressione interrogativa e lei risponde, senza alzare gli occhi dallo scritto.
-Ha in mente una trama che deve svolgersi in un determinato tempo. Vuole trovarsi in ospedale quando sarà sicuro che è arrivata la fine. Vuole essere lì quando sarà tardi per salvarlo.-
-Sarebbe un po’ stupido da parte sua, non credi? Così scaltro, intelligente, preciso e poi… sa benissimo che l’ospedale è presidiato.-
Le risponde la Gates, ma lei scuote la testa poggiando i fogli sulla scrivania.
-Non gli importa. Io ti vedrò morire… queste tabelle sono abbastanza precise, tranne che per l’elemento imprevisto, che lui non contempla. E’ disposto a finire ancora in cella o a farsi ammazzare, ma solo quando sarà tardi per salvare la vita allo scrittore  e vedrà finalmente Nikki sconfitta!-
La rughetta sulla fronte è marcata, gli occhi attenti e le labbra strette.
-Abraham lo ha distolto dalla sua trama, ma lui sta cercando di mettere le cose di nuovo come desidera, per questo è andato via di fretta.-
-Beckett!-
Si voltano tutti verso Esposito, chino sotto la scrivania.
-Ha dimenticato anche questo.-
Si alza, mostrando il manoscritto e la copertina non ancora sistemata.
-Deve essere caduto dalla scrivani mentre usciva di corsa.-
Kate lo prende tra le mani e guarda la copertina. Il titolo le fa scuotere la testa.
Sfoglia velocemente i pochi fogli che compongono il nono capitolo e si sofferma all’ultima pagina.
 
-…quando il movimento lento e affannato del torace si fermò di colpo, i suoi occhi si spalancarono.
L’ultimo respiro dello scrittore era stato come una pugnalata nel petto e lei aveva smesso di respirare con lui.
E’ difficile spiegare la sensazione che provoca la vittoria. Sentire l’animo leggero mentre il suo era appesantito dalla colpa e dal dolore. Quel dolore che conosceva bene, che non avrebbe più voluto provare, ma che il male in persona, le aveva iniettato di nuovo, cogliendola impreparata…-
 
Stringe il foglio nella mano e digrigna la mascella.
-Il male in persona… Sapete cosa significa questo? Parla della morte di Castle, voleva farci trovare questo capitolo sul suo cadavere. Non ha avuto tempo di rilegarlo, era tranquillo, le cose stavano andando come voleva, si stava godendo la sua vittoria, ma Abraham ha stravolto tutto. Ora avrà fretta di tornare a casa, deve rilegare il capitolo e sistemare l’epilogo, rileggere le tabelle, controllare tutto per essere pronto.-
-Bene!-
Esclama Esposito.
-Chiamo i colleghi per l’appostamento, chiudiamo tutto e aspettiamo. Lo prenderemo appena rientra.-
-Nemmeno per sogno!-
Risponde Kate sollevando lo sguardo su di lui che la guarda smarrito.
-E’ l’unico modo di prenderlo Beckett, l’hai detto tu che adesso avrà fretta di tornare a casa.-
-E quando lo avremo arrestato Espo? Credi davvero che abbia il veleno ancora attaccato al collo? Credi davvero che non abbia messo in conto che Nikki possa arrivare a lui? Vuole lo scrittore morto e non si fermerà solo perché Nikki riuscirà a prenderlo. Se ha nascosto il veleno, non ci rivelerà mai il nascondiglio, non lo farebbe nemmeno sotto tortura.-
-D’accordo, sarà anche così, ma Esposito ha ragione. E’ l’unica cosa da fare.-
Ribadisce il capitano, che però si ferma quando Beckett scuote la testa energicamente.
-Niente affatto signore. Fino ad ora abbiamo sbagliato. Abbiamo indagato come lui ha voluto, facendo il suo gioco. Avrà messo in conto che potessimo trovarlo e si aspetta esattamente che lo prendiamo di sorpresa.-
Annuisce come a rendere incisiva la sua idea e stringe le labbra.
-Deve sapere che abbiamo scovato il suo nascondiglio. Deve accorgersene da lontano. Deve sapere che non può tornare a casa a finire il suo lavoro. Deve sapere che ha perso questo…-
Solleva la mano con il manoscritto e gli occhi le brillano.
-Avrà la copia sul portatile, lo può stampare di nuovo, ma ormai è bruciato. Non può più usare questo capitolo per la sua trama, Nikki lo ha già letto…-
La Gates annuisce, cominciando a seguire il suo ragionamento.
-Si arrabbierà, sarà furioso.-
Ryan ed Esposito si guardano sbalorditi e Kate sistema i fogli all’interno della copertina.
-D’accordo Beckett, facciamo come dici tu. Un’auto pattuglia con i lampeggianti accesi che riflettono nel buio e due agenti in divisa davanti alla porta, possono bastare?-
Chiede la Gates e Kate annuisce storcendo le labbra.
-Faccia interrogare i pochi vicini, mettiamo a soqquadro tutto il circondario. Che gli agenti si mettano in bella vista.-
Stringe il manoscritto ed esce sul portico, guardandosi intorno. Il pomeriggio volge al termine e le prime ombre della sera cominciano ad allungarsi su un tramonto che non è esploso per niente con i suoi colori forti. Sospira rendendosi conto del tempo che continua a scorrere imperterrito.
-Faccia setacciare comunque la boscaglia capitano, non si sa mai.
Prende le chiavi della macchina dalla tasca del giaccone e apre lo sportello.
-Aspetta un momento Beckett, che hai intenzione di fare?-
Solleva lo sguardo sul suo capitano e stringe le labbra.
I suoi occhi brillano di nuovo ed è una cosa che non sfugge né ai colleghi, né alla Gates.
-Quello che avrei dovuto fare fin dall’inizio. Giocare…-
 
 
Il quadrato di cielo che riusciva a vedere dalla finestra, si arrendeva pian piano alle ombre della sera. Edith era sicuramente andata a casa dai suoi bambini, ma era stata proprio lei, prima di andare via, ad attaccargli gli elettrodi al torace per avere un monitoraggio completo dei battiti e delle pulsazioni. Un’altra infermiera era entrata una mezz’ora dopo per prendersi cura di lui, misurare temperatura e pressione e prelevargli ancora del sangue. Aveva anche acceso una piccola luce laterale al suo letto, una lampada a luce calda che teneva l’ambiente poco illuminato, senza infastidirlo. Era una ragazza molto carina, ma non aveva lo stesso sorriso dolce e materno di Edith. Era uscita in silenzio così come era entrata e lui non le aveva chiesto il nome. Non ne aveva avuto la forza.
Martha ed Alexis si davano il cambio per rinfrescarlo e farlo bere e, di tanto in tanto, anche Jim faceva capolino dalla porta, per assicurarsi che non avessero bisogno di qualcosa, per non parlare del dottor Travis che ormai era praticamente parte della stanza, usciva di rado e solo per controllare le analisi e le medicine che potevano servire a rallentare l’azione della tossina.
Non era questo comunque, che gli dava il senso del trascorrere del tempo. Era proprio il suo corpo che gli parlava. I dolori aumentavano, non riusciva più a muoversi, a sistemarsi nel letto per trovare una posizione comoda, a sollevare la mano libera dall’ago, anche solo per accarezzare il viso di Alexis. La testa pulsava di continuo, tanto che in certi momenti non riusciva a seguire le parole di sua figlia, che continuava a parlargli per tenerlo sveglio, visto che da qualche ora sonnecchiava di continuo e Ben si era raccomandato di farlo restare vigile il più possibile. Sua madre invece, era stranamente silenziosa. Dopo averlo lasciato qualche minuto per il pranzo, quando aveva approfittato per telefonare a Kate, non si era più mossa dalla stanza. In silenzio.
Sospirò tornando a guardare fuori dalla finestra, cercando di ricordare quando sua madre era rimasta in silenzio per più di due minuti, senza riuscire a trovare un momento del genere nei cassetti dei suoi ricordi.
Stropicciò gli occhi non riuscendo a mettere a fuoco la finestra. Il cielo appariva sfocato e le orecchie percepivano in maniera ovattata il bip improvvisamente veloce del monitor a cui era collegato.
Si voltò verso la porta, sua figlia stava parlando con Jim, ma lui non riusciva a capire le parole, mentre Martha continuava a strizzare il panno che gli avrebbe passato sul viso di lì a poco.
La vista gli si annebbiò ancora di più, sentì il respiro farsi pesante, nello stesso istante in cui l’audio del monitor emise un suono alquanto irritante e non potè fare a meno di chiudere gli occhi.
Sentì Alexis chiamare il dottor Travis, la voce di Martha pronunciare il suo nome e le sue mani che gli reggevano il viso, ma non riuscì comunque ad aprire gli occhi. Avrebbe voluto farlo, anche solo per rassicurare sua madre, la cui voce era incrinata dalla preoccupazione, ma proprio non ci riuscì…
 
Riaprire gli occhi è stata un’impresa, ma dopo averli strizzati un paio di volte, riesce a mettere a fuoco lo spazio davanti a lui.  Il monitor si è decisamente tranquillizzato, adesso emette dei flebili suoni ritmici. Abbassa gli occhi come a volersi guardare addosso, percepisce qualcosa che gli blocca la bocca e non realizza subito che è la mascherina per l’ossigeno. Sott’occhio vede il dottor Travis che armeggia con un paio di flaconcini ed una siringa su un vassoio sopra il tavolino a ridosso della finestra, dalla quale adesso non riesce a scorgere nulla, la spalliera del letto è stata abbassata del tutto per consentirgli di stare completamente disteso. Il medico si volta quando lo sente sospirare e lui si sofferma a fissare la barba incolta e le occhiaie marcate intorno ai suoi occhi per la perdita di sonno. Deglutisce pensando come anche questo determini il passare del tempo.
Scuote leggermente la testa e il dottor Travis si avvicina per toglierli la mascherina, che ripone sul suo perno di appoggio.
-Co… cos’è s… uccesso?-
Chiede con un fil di voce, tremando.
-P… perché c’è tanto f… freddo?-
Ben si china su di lui cercando di tranquillizzarlo, senza riuscire a non mostrare i lineamenti tesi.
-La temperatura è salita ancora e di colpo. Hai perso un po’ di sangue dal naso, fortunatamente non ci sono altre emorragie in corso, ma la pressione al cervello era troppo forte, così ho dovuto fare in modo che la temperatura scendesse presto. Sei circondato da ghiaccio secco.-
Lui chiude gli occhi un momento cercando di respirare a fondo.
-Lo sapevo che… l’ibernazione era… era una buona idea!-
Balbetta tossendo leggermente facendo sorridere il medico, che prende la siringa e comincia ad armeggiare con il tubicino della flebo.
-Quella… non fa più eff… etto.-
Parla con affanno, sollevando lo sguardo sul flaconcino appeso sopra la sua testa, mentre Ben fa scorrere il nuovo farmaco direttamente nel tubicino.
-Infatti ci metto dentro qualcosa che la farà funzionare ancora un po’.-
Rick annuisce, respirando a fondo ancora una volta.
-Bene, perché ho… promesso a Kate… che l’avrei aspettata. Devo… resistere, o non… non me lo perdonerà mai.-
Ben si china su di lui, sistemandogli la fascia impermeabile del ghiaccio secco dietro la nuca.
-Sei grande e grosso Rick, hai davvero paura di Beckett?-
Gli strizza l’occhio sorridendo e lui annuisce serio.
-Non c’è niente da ridere dottore. Quella donna dorme la pistola!-
-Giusto!-
Risponde Ben corrucciando la fronte, come se stesse riflettendo su quell’affermazione drammatica.
-E poi non voglio darla vinta a Dunn…-
-Questo è ancora più giusto!-
Esclama il medico, voltandogli le spalle per posare la siringa sul vassoio in metallo, ritrovandosi a digrignare la mascella con rabbia, immaginando, per la prima volta da quando si occupa di Rick, di avere quello psicopatico tra le mani per trafiggerlo con centinaia di aghi avvelenati. Chiude gli occhi sospirando ai suoi pensieri insani, non ricorda di aver mai provato qualcosa di simile.
-Vado a tranquillizzare la tua famiglia, torno subito.-
Prende il vassoio in mano e, senza guardarlo, fa per dirigersi alla porta, ma la voce flebile del suo paziente lo ferma.
-Ben!-
Rick gli fa segno di avvicinarsi e gli sorride con gli occhi lucidi.
-Sai dottore, sei l’unica nota positiva in questa situazione surreale.-
Ben corruccia la fronte e Rick annuisce.
-Ho guadagnato un amico… mi piace!-
Ben Travis gli mette la mano sul braccio e sorride a sua volta, mentre dentro lo stomaco sente le budella contorcersi.
-Piace anche a me!-
 

 
Le fiamme cominciarono ad allungarsi verso l’esterno dell’auto, aveva lasciato i finestrini aperti, in modo che non esplodesse troppo in fretta.
Era rimasto a guardare. I suoi occhi brillarono come le fiamme che cominciavano a lambire anche l’esterno, provocando delle strane bolle sulla vernice rossa, scrostandola. Dava l’idea di pelle umana che si lacerava lentamente, mentre il fuoco la divorava.
Sospirò tristemente, pensando che un corpo vivo e vigile su quei sedili avrebbe urlato a squarcia gola, fino a che le fiamme non lo avessero vinto.
Il cielo era all’imbrunire anche se il pomeriggio non era ancora terminato. Il grigiore della giornata aveva fatto calare le ombre del tramonto più in fretta e le fiamme cominciarono a stagliarsi alte verso il cielo, illuminandolo.
Nikki avrebbe trovato l’auto, ma non tracce dell’omino storpio al suo interno.
Sorrise beffardo, con gli occhi fissi alle fiamme…
Era stato costretto a cambiare i suoi piani, aveva dovuto perdere tempo e adesso doveva assolutamente tornare a casa, rilegare il capitolo e prepararsi per le ore successive.
Lo scrittore ne aveva ancora poche da vivere e lui doveva essere pronto.
Abraham non era più un problema per lui, ma poteva ancora rallentare lei… aveva dovuto perdere del tempo prezioso, ma era riuscito a riportare l’ordine e l’equilibrio nella sua trama.
Le fiamme raggiunsero il serbatoio della benzina e lo scoppio che ne seguì lo fece ridere di gusto.
Presto sarebbero arrivati i pompieri e la polizia… anche lei sarebbe arrivata.
Si mise lo zaino sulle spalle, abbassò il berretto di lana sulla fronte e, con le mani in tasca e la testa bassa, guardò per l’ultima volta la macchina rossa che aveva perso completamente la sua pelle e che adesso stava urlando di dolore.
I cantieri erano deserti. Lasciò il molo camminando lentamente e si diresse in una delle viuzze che lo avrebbero portato su una delle strade principali.
Era ora di tornare a casa e di mettere in scena l’ultimo capitolo…


Angolo di Rebecca:

Il nascondiglio lo abbiamo trovato, ma come volevasi dimostrare, Dunn non c'era
(era impegnato ad ammazzare Abraham)
Kate ha di nuovo gli occhi sbrilluccicosi, che avrà voluto dire con il fatto che vuole giocare?!
Intanto Riccardone nostro sta sempre peggio, stavolta se l'è vista bruttina.
Di Dunn continuo a non parlare che è meglio, sennò Elena continua a pensare a come ucciderlo :p


Messaggio per la mia sopravvivenza: ABRAHAM VIVE (sono costretta a dirlo, ma non prendetemi sul serio!)

 
  
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