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Autore: Audrey_e_Marilyn    05/08/2014    4 recensioni
Gli uomini sognano, ma i sogni non hanno alcun valore quaggiù e ciò che prima era un luminoso raggio di speranza, adesso è una lunga notte d'agonia. Questo è il principio della fine, è stato concesso tempo a sufficienza, ma nei meandri della terra ancora giace in attesa l'eredità degli angeli, un'eredità macchiata di sangue e bruciata dal fuoco.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Archeon

La spada di fuoco
 

Atto Primo: Prologo


Tutto era luce e buio, un forte boato squarciò i cieli e fece tremare la terra.  Dai cumoli di fumo grigio intravide due grandi occhi vermigli, rossi come il sangue e desiderosi di uccidere, quanto di distruggere. Strinse l’elsa della sua spada e l’impugnò fiero, dalle nebbie scure uscì un imponente drago nero come la pece, portava profonde cicatrici lungo il corpo e le sue grandi ali erano lacerate. Sapeva di avergliele procurate e sapeva che quella battaglia si sarebbe conclusa in quel momento. Il drago lanciò una poderosa fiammata dalle sue nari che riuscì a schivare senza problemi, la belva mostrò gli aguzzi denti intrisi di sangue e saliva. Il drago tentò di azzannarlo, schivò velocemente e fendette la lingua del rettile, questa cadde ai suoi piedi e si dimenava come se mai fosse stata tagliata. La bestia tentò ancora di addentarlo, per schivare il colpo fece un salto talmente alto che quasi sembrò spiccare il volo, atterrò sulla schiena del drago e si aggrappò ad una delle sue enormi squame nere e risalì la sua schiena evitando gli spuntoni, fino ad arrivare alla sua testa. Il drago si voltò di scatto e lo fissò intensamente tanto che riuscì a riflettersi nelle sue pupille malvagie; sputò un soffio di fuoco dalla sua bocca e finì sulla sua spada. Il nero fuoco viscoso venne assorbito dalla argentea lama che venne lambita da una flebile fiamma azzurra, la impugnò e con forza la conficcò nel suo occhio e il sangue che ne sgorgò era nero e freddo come il ghiaccio. Estrasse la spada e provò a conficcarla anche nell’altro occhio, ma la belva scosse freneticamente la testa e gli fece perdere l’equilibrio. Cadde ai piedi dei grandi cancelli, alzò lo sguardo e vide il mostro dimenarsi dal dolore, ondate di fumo nero e denso ricoprirono i cieli, potenti fiammate si disperdevano alla cieca in quel immenso cumulo, una però lo colpì con insistenza. Si parò mettendo avanti a se la spada, ma si bruciò le spalle e la schiena. La sua spada assorbì tutto il fuoco e brillò di una fulgida luce azzurra, una fiamma diversa dalle altre, più forte, più vera, più resistente…  Il drago piombò su di lui con le fauci spalancate, prive di lingua, con un solo colpo conficcò la spada nelle sue fauci e il fuoco che lambiva la lama si diffuse in tutti i cieli, fendendo le nubi nere con raggi di luce. La coda dell’enorme bestia picchio sul suo braccio, perse la presa sulla sua spada che cadde nell’oblio della terra conficcandosi con forza in una roccia. Il mostro nero emise rantoli di dolore, si rannicchiò su se stesso e scomparve così com’era apparso.
 
I cieli si rasserenarono, le trombe cantarono la vittoria con suoni celesti, una luce rosea colorò i paradisi e illuminò ancora la terra con la fresca alba.  Mentre il sole guarì le sue ferite, guardò la sua spada, conficcata nella roccia e sapeva che non sarebbe potuto scendere a riprendere, il veto lo proibiva. I cancelli alle sue spalle si aprirono con un lento cigolio, sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e un breve vociare dietro di lui.
 «Come faremo senza la spada? Il tempo si avvicina Gabriel.»
«Non disperiamo, vi è una soluzione per ogni dilemma.» I suoi occhi erano chiari e glaciali, ma la sua voce era calda e rassicurante. Le sue fattezze erano femminee, ma allo stesso tempo mascoline, lineamenti di un essere asessuato; dalla sua schiena si levarono poderose ali argentee che lo inglobavano dolci.
  «Fratelli io credo di avere la soluzione…» si pronunciò quello che fra i quattro sembrava il più giovane, aveva anche lui un enorme paio d’ali, bianche però. Candide piume bianche, come quelle di una colomba o di un cigno.
  L’ultimo, quello che pareva il più vecchio, intuì i voleri del più giovane: «Uriel, sei certo che sia giusto coinvolgerli? Sono impotenti e quando giungerà il momento non sappiamo se saranno pronti.»
«Lo saranno, perché saremo noi a sceglierli» sorrise il giovane. Staccò con delicatezza una piuma dalle sue ali e proferì: «fratelli, gli uomini non sono tutti nobili è vero, ma noi siamo in grado di riconoscerli  e sappiamo tutti e quattro che solo loro saranno in grado di recuperare la spada di Mikael.»
 «Credo che sia l’unico modo…» disse il guerriero staccandosi una piuma. «Quando verrà il momento noi saremo con loro, pronti a guidarli.» Lasciò volare la sua piuma lungo la volta celeste, era una grande piuma dorata che fluttuava senza peso nell’aria.

Gli altri lo presero da esempio e lasciarono che le loro penne si librassero in cielo, d’un tratto queste si calarono a capofitto nel mondo ad una velocità fulminea, oltre passarono fiumi, monti, laghi, secoli… d’un tratto la piuma dorata si scagliò a capofitto nella schiena di un giovane, questo non se ne rese conto e continuò a pulire le cucine di un immenso castello. Passarono i mesi e quel giovane andò nel luogo ove la spada era caduta, tanto tempo prima, bella e lucente come se fosse stata appena forgiata, i rampicanti che lambivano l’elsa e nascondevano la lama. Il giovine andò titubante verso la spada, ricevendo forti critiche dai coloro che ci avevano provato prima di lui o da quelli che ancora dovevano provarci, ma non ne avevano il coraggio. Sguainò la spada con facilità dalla roccia, una grande luce dorata squarciò le nubi grigie e illumino il ragazzo, grandi urla di gioia riempirono quelle desolate praterie e un grande gruppo di uomini lo sollevò da terra esultando. Attraverso i suoi occhi passarono anni e in letto di morte, dopo un grande regno, il re esalò il suo ultimo respiro e la piuma tornò a volteggiare nei cieli senza metà.

Per molti secoli vagò tra un uomo e l’altro, ma uno fra tutti era importante. Era un grande campo della Lorena, in Francia, e una giovane pulzella prendeva l’acqua dal pozzo. La piuma entrò nel suo petto, ma anche lei non si rese conto di nulla, finché delle strane voci non attirarono la sua attenzione. Le fu chiaro quale dovesse essere il suo destino, la ragazza tagliò i suoi lunghi capelli biondi, si vestì da  soldato ed entrò nella fanteria francese armata con una spada lucente e affilata a tal punto da tagliare profondamente al suo solo tocco. I suoi occhi videro la sanguinosa battaglia d’Orléans e il volto del Delfino che calorosamente l’accolse nella sua dimora, vide la sua cattura e la sua prigionia, una lunga e straziante prigionia fatta di domande e accuse, ma nonostante la galera, nonostante lo strazio e il dolore, mantenne fede a se stessa e al suo voto. Le voci non l’abbandonarono mai, le sentiva vicine, le sentiva in se stessa e le vedeva come se fossero difronte  lei davvero. E poi venne la condanna. La calda aria di Rouen a maggio, la luna piena brillava nel cielo come se la stesse guardando e le pire pronte per essere accese la attendevano con estrema impazienza. Venne legata e li vide accendere il fuoco sotto di lei, sentì l’odore del fumo salire fino alle sue nari e riempirle i polmoni, tossì con irruenza e quando le fiamme iniziarono a lambirle i piedi scorse lontano un fabbro che tentò di rompere la sua spada per riforaggiarne una nuova, ma invano. Il metallo non fondeva, assorbiva il calore e lo rilasciava, la spada era divisa. Sentì le gambe bruciare e il suo grido di dolore si innalzò fino ai cieli e alle cerchie più alte. I suoi occhi si spensero, circondati da fiamme calde, ma quando anche il più piccolo tizzone si spense di lei rimase ancora il suo cuore. Vivo, pulsante e insanguinato. Presero le ceneri della giovane e li lanciarono nella Senna e nelle profondità, nel letto del fiume, ancora oggi il suo cuore batte.
 
Clelia si alzò di scatto, il suo cuore batteva con forza e il sudore scendeva freddo lungo le sue tempie. Si guardò intorno. Era nella sua camera. Sentì un peso sul ventre, guardò in basso ed ebbe un sussulto, ma riprese subito fiato. Un paio di occhi dorati la guardavano in attesa, impazienti e curiosi.
 «Aramis… sei soltanto tu» accarezzò il suo gatto con gentilezza e questo le fece le fusa, mettendole in mano un topo di campagna. «Oh questo… questo è per me? Che bravo cacciatore, perché non te lo mangi?» lo posò per terra, sperando che al gatto venisse fame.
Si alzò dal letto e scese in cucina a bere un bicchier d’acqua, il gatto scese con lei e cominciò a farle le fusa, lo ignorò. Era ossessionata da quel sogno, così reale e nitido, come se davvero fosse accaduta una cosa simile. Lei era la prima a credere a stramberie vare, ci conviveva tutti i giorni, da anni, ma quello era surreale. Guardò fuori dalla finestra e contemplò le campagne senesi, la pioggia che cadeva veloce e frenetica e bagnava il terreno. Se quel sogno aveva davvero a che fare con la realtà, se davvero aveva un significato nascosto allora solo uno avrebbe potuto risponderle. 
   
 
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