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Autore: PurpleBlast    05/08/2014    4 recensioni
Il senso di tutto morì con lei. Il prestigio del passato, ormai lontano ed una vita vuota e priva di senso alcuno, nel presente. Un giorno identico all'altro. Il ricordo di ciò che davvero aveva un valore e la possibilità incredibile di poterlo sfiorare nuovamente. Nel presente. Utopia e realtà si fondono, e, forse, l'impossibile potrebbe tramutarsi in possibile, se una divinità desiderasse sfiorare le tele del destino...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Garuda Aiacos
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Allontanarsi dal mondo, 
restare sconosciuti e non avere rimpianti: 
a questo può arrivare solo l'uomo superiore.
Confucio, Dialoghi





° La stanza era illuminata da un grande camino in marmo nero. Il rumore di sottofondo, uno scoppiettio ritmico che giungeva dalle fiamme al suo interno. L’ultimo canto dei rami che in esso si stavano lentamente consumando.
Il Grifone, vestito con una vestaglia in seta grigio scuro, stava seduto, dando le spalle al fuoco. Le punte delle dita congiunte di fronte al volto ed i gomiti poggiati  sulle gambe. La pelle così chiara da parere porcellana purissima. Le labbra sottili ma sensuali, socchiuse, l’una sull’altra, con un angolo di esse che, sadico, tendeva a rialzarsi. I lunghi capelli argentei cadevano morbidi lungo la sua schiena mentre lo sguardo color miele, caldo quanto penetrante, fissava lo specter che gli stava innanzi.
- La pazienza del Sommo non sarà perpetua, Aiacos: è il momento che te ne renda conto. -
Disse con voce roca e scandita. 
Quell’altro, sprofondato su una sedia imbottita e con le braccia sostenute dal tavolo in ebano scuro, si riempì per l’ennesima volta il bicchiere, servendosi dalla bottiglia a sua disposizione, postagli proprio davanti. Minos riservava per i suoi ospiti speciali dell’ottimo whisky invecchiato, dall’aroma dolce e speziato. 
Il giudice della Garuda bevve in un sorso il liquido e poggiò con forza il bicchiere, stringendolo nella mano.
- Non comprendo. Perdonami, Minos, ma continuo a non capire. – 
Il nordico alzò il volto verso il soffitto, chiudendo le palpebre ed inspirando. 
- Invece hai compreso perfettamente ciò che intendo – puntualizzò – riguardo la donna che definisci “la tua ala”. -
La stretta sul bicchiere divenne eccessiva: questo venne frantumato nel pugno nervoso di Aiacos.
L’incurvatura della bocca del Grifone si sollevò di qualche millimetro. Scrutava il suo volto inquieto e la tensione feroce della mandibola. 
- E, precisamente, cosa contrasta con il benestare del Sommo? Il fatto che abbia portato il Behemoth nel mio palazzo? E’ chiaro a tutti ormai che lei sia al di sopra della feccia che mi circonda! Un manipolo di incapaci, buoni solo ad essere usati e poi spazzati via, sino al loro abominevole e purtroppo repentino reincarnarsi! E abbiamo il coraggio di definirlo “esercito”? Ma per piacere! – si alzò di scatto, spingendo in dietro la sedia. Poi percepì la testa vorticargli e dovette trovare prontamente una presa sicura sull’angolo del tavolo. 
Minos disgiunse le mani, portandole sui braccioli della poltrona, continuando a scrutare attento il collega.
- Sei troppo infervorato, Aiacos. Calmati: io non sono contro di te e sinceramente non ho obiezioni rispetto i tuoi divertimenti notturni. Per quel che mi riguarda, m’importa soltanto della tua efficienza. E per questa, finora, posso solo ammettere di essere sempre compiaciuto delle tue azioni. – Sorrise, mostrando una fila di denti bianchi e luminosi, mentre lo sguardo ebbe un lampo di follia - Sai bene che apprezzo il sangue che sai spargere al tuo passaggio. -
Aiacos lo fissò, annuendo. Ma la sua mente era già annebbiata e vagava oltre. 
L’idea di far vacillare la fiducia che Hades  riponeva in lui, non lo scosse più di tanto. Quello che invece non poteva sopportare era l’attenzione di troppe persone su di lei. O meglio, su di “loro”.
- … l’importante perciò è che tu non diventi debole a causa di una donna. -
Quell’ultima frase pronunciata da Minos gli giunse come uno schiaffo.  Fu un affronto senza pari, una carenza di rispetto che lo mandò su tutte le furie. La stella del cielo intrepido prese a bruciare di una rabbia fuori dal controllo e la sua voce divenne un ruggito basso e misurato a fatica tra i denti:
- Io sono un Gigante degli inferi, sono il Giudice Aiacos della Garuda e non un qualsiasi omuncolo privo di rispetto e grandezza. Nulla ha il potere di distogliermi dagli obiettivi che mi prefiggo. Nessuno è importante, oltre me stesso. E sono nauseato dall’accusa che mi hai appena rivolto! -
Il Grifone si limitò ad osservarlo, sospirando. Non diede peso al suo cosmo e nemmeno alla sua rabbia: aveva svolto il compito che si era prefissato, ossia comunicare alla Garuda le riserve che il regno degli inferi avrebbe potuto avere nei suoi confronti. Quindi si alzò, con nonchalance. Raggiunse il tavolo, sfiorando con le lunghe dita chiare un bicchiere intonso. Vi verso qualche goccia di whisky e lo portò alle labbra,
- Bene. Era ciò che desideravo udire. – innalzò poi il bicchiere e concluse – salute a te, Aiacos della Garuda, mio fratello infernale. Brindo alla tua durezza d’animo, al tuo ego spropositato, che sempre ho apprezzato ed alla tua irrefrenabile libido . Che tu possa sempre trionfare sul tuo prossimo! - continuava a fissarlo, mentre con classe bevve dal cristallo.
Più tardi Aiacos tornò in Antenora, furioso con se stesso ed anche con lei. 
La ignorò per settimane, trattandola alla stregua degli inetti che lo circondavano. 
Nulla aveva significato la notte antecedente, l’ennesima, passata nel suo letto in compagnia di Violate. Le ore trascorse con il proprio corpo bollente avvinghiato a quello di lei, così profumato e morbido, nonostante le cicatrici. Il desiderio crescente di toccare la sua pelle, ogni centimetro e il dolce suono degli ansimi per il piacere reciproco, donato e goduto. Gli abbracci quasi dolorosi, durante gli orgasmi, quel congiungersi che pareva unirli completamente. I pochi e preziosi secondi in cui davvero diveniva nudo e trasparente, stringendola a sé con la forza di un sentimento che non aveva  ancora la capacità di comprendere. 
Ma che provava. 
E lei?
Lo assecondò, ignara di quell’incontro con il Grifone. Lo lasciò fare, senza mostrare rancore e senza odiarlo. Continuando ad obbedirgli, fedele come sempre era stata, senza porre domanda alcuna. 
Questo lo mandava in bestia.
Questo la rendeva, ai suoi occhi, unica e sola. °


Si svegliò con la luce del sole che penetrava tra le fessure della persiana. 
E con un senso di buia pesantezza nell’anima. 
Gli capitava spesso di sognare del suo passato. Ricordava bene quell’episodio, ogni singola emozione.
Si mise seduto nel letto, portando le mani sul volto e stropicciandosi gli occhi. Ah, se avesse potuto tornare indietro, con il senno di poi! Che imbecille, che idiota! Cosa aveva sacrificato per il proprio ego? 
Irrilevante se la Garuda avesse influito su di lui, pensava. Ma sapeva bene che non era così. 
L’uccello mitologico lo guidava e lo possedeva. Era complicato dissociare l’uomo dall’animale, poiché erano un tutt’uno, in quel tempo.
Uscì dal letto.
La stanza in cui si trovava era piccola ma confortevole. 
Viveva in quella casa da più di un mese, ormai. I due anziani gli avevano proposto di lavorare con loro per un po’ e lui aveva accettato. Non vi era nulla da perdere, anzi. In quei giorni, in cui seguì una vita regolare, ritrovò la forma fisica di un tempo. I muscoli tonici e guizzanti erano tornati ad ornare il suo corpo. 
Si osservava, riflesso nel vetro della finestra. Doveva imparare a conoscere il nuovo se stesso. 
Le scelte fatte in passato, ora non sarebbero state le stesse. Lo sapeva bene. Continuava a non porsi aspettative future ed il suo umore non aveva subito miglioramenti. 
Tuttavia il fatto di avere delle regole giornaliere, lo teneva occupato. Il suo senso di colpa lo perseguitava con meno frequenza, tranne durante la notte. Le visioni oniriche erano ribelli e parevano divertirsi nel mostrargli quello che era stato e ciò che aveva vissuto. E tutto sommato non detestava queste intromissioni improvvise. Se poteva sognare lei, anche soltanto la sua voce, uno sguardo o l’ odore di un momento, persino la frustrazione che ne seguiva era poi ben accetta.
Si vestì con abiti semplici. I due anziani avevano un armadio colmo di vestiti maschili, più o meno, della sua taglia. Gli raccontarono di avere un figlio che era mancato, molti anni addietro. Perciò sembravano apprezzare la sua presenza in casa. 
Scese per iniziare il lavoro. Era necessario recarsi al molo per acquistare il pesce dai pescatori e quindi tornare a prendere Samuel per trasportarlo infine al mercato.
Come avveniva ogni giorno, Hanna lo attendeva con la tavola imbandita per la colazione. Pane fresco appena sfornato, burro e marmellata. Lamponi e mirtilli. Caffè nero e latte caldo. Yogurt fatto in casa e miele di acacia. 
Sorrise di fronte a quello spettacolo. 
- Buona giornata, Suikyo. – lo accolse l’anziana. 
- Buongiorno a te, Hanna. Non devi disturbarti così tanto per me… - disse, indicando le vivande. Lei scosse il capo,
- Ah no: sei giovane e necessiti di nutrimento. Poi il lavoro che svolgi è impeccabile – sorrise. Il suo volto era luminoso e calmo. Probabilmente Hanna, in giovane età, era stata una fanciulla dotata di una bellezza genuina, - e poi mi fa piacere. Insomma: i giovani non dovrebbero mai trovare da dire agli anziani – concluse con una risata accomodante.
Suikyo si sedette, iniziando ad assaggiare ogni cosa, mentre la donna gli faceva compagnia sorseggiando del caffè.  
- Mi stai viziando, io ti ho avvisata… non ero più abituato a certe attenzioni- disse ancora lui, quasi sovrappensiero, mentre con golosità addentava una fetta di pane cosparsa di burro e zucchero. 
- Da dove vieni, Suikyo? Non ne hai mai parlato… - chiese d’un tratto la donna, scrutandolo con il verde limpido delle sue iridi.  
Quella domanda lo bloccò. 
Non avrebbe potuto raccontare la verità. Non ne aveva alcuna intenzione. 
Il suo passato si era concluso con la capitolazione del giudice  Aiacos della Garuda. Il Bennu era diventato il nuovo gigante degli inferi al suo posto. Fatto, tra l’altro, che non lo toccò minimamente. 
In realtà era convinto che quel giorno, dopo aver liberato nell’etere le scure ciocche setose di Violate, l’Ade avrebbe mandato un sicario per eliminarlo. La fine era ben accetta: succede così quando non vi sono più desideri. La morte sarebbe stata un’ottima soluzione. 
Ma non era andata come aveva immaginato. E lui in realtà aveva rimandato giorno dopo giorno l’auto esecuzione di quell’atto che avrebbe spento ogni tormento. 
Ma l’istinto di sopravvivenza, detestabile prerogativa umana, glielo aveva impedito.
Prese fiato e scelse le parole giuste, voltandosi verso la donna:
- Sono nato in Nepal. Ho vissuto per lungo tempo in luoghi lontani da qui, dove non oso neanche più contare gli errori commessi. Ho toccato il fondo. E al momento sto cercando di comprendere se sia possibile risalire. -
Fu sincero, tutto sommato. Non entrò nello specifico ovviamente, ma ogni frase la sentì vibrare, in quanto vera. Se quelle rivelazioni non chiare avessero destato sospetto in Hanna, allora avrebbe affrontato una nuova partenza. Prima o poi se ne sarebbe andato da quel luogo… no? In realtà non si era posto il problema. Il fatto di riposare per più di una notte nello stesso letto, comodo per giunta, lo aveva già rammollito? O semplicemente, aveva trovato una pausa, un’oasi nel suo tormento quotidiano. 
Fissò la donna, scrutandone la reazione. Lui era uno sconosciuto, e chi si vorrebbe tenere in casa uno messo così male? Uno che non ha neanche il coraggio di raccontare il proprio passato?
- Si può sempre risalire. Più ammaccati, certo. Ma è possibile. – rispose poi lei, interrompendo i pensieri machiavellici dell’ex giudice.
Lui restò interdetto di fronte a quelle parole. Aveva accettato la sua spiegazione? Non voleva davvero sapere altro? 
A quanto pareva, no. 
Comprensione. 
Ecco una parola interessante. Un’altra caratteristica dell’essere umano. 
Hanna era davvero un buon essere umano da trovarsi davanti, per tentare una risalita senza speranza, pensò mentre un sorriso sghembo fece capolino sul suo volto. 
Terminò di bere la tazza di caffè. 
- Allora ho ancora a disposizione qualche speranza. – concluse lui, alzandosi. 
Salutò la donna ed uscì veloce per raggiungere il molo. Lei lo osservò allontanarsi dalla finestra. Portò la mano sul vetro ed annuì. 
In quell’istante Samuel irruppe nella cucina, seduto su una sedia a rotelle che qualche giorno prima Suikyo aveva messo insieme per lui al meglio.
- La speranza non va mai abbandonata. Dal giorno in cui mancò nostro figlio non avrei mai più creduto di alzarmi a preparare la colazione a qualcuno che non fossi tu. E invece… -
Il vecchio restò serio, raggiungendo il tavolo e posandoci sopra gli avambracci.
- Non affezionarti troppo, vecchia mia. Non resterà qui in eterno. Ha l’animo irrequieto e prima o poi se ne andrà. – pronunciò quella frase a malincuore. Anche lui si era abituato velocemente alla presenza di quel giovane taciturno, ma attivo nella pratica di qualsiasi cosa. 
La moglie tornò al tavolo, porgendo al marito una tazza pulita ed avvicinandogli la brocca di latte.
- Nulla è eterno, vecchio mio. Nemmeno noi. Ma intanto mi godo ogni momento possibile. Senza aspettative, non temere. – con un dolce sorriso posò la mano su quella di Samuel, il quale la strinse nella propria. 
- Si, però non farmelo fare tardi al molo ogni mattina: lo sai che se arriva tra gli ultimi il pesce migliore ce lo siamo perso! – si lamentò poi lui, serio ma con un mezzo ghigno sul volto rugoso,
- Oh, il solito noioso! – rispose lei esasperata ma divertita, mentre si avvicendava nelle faccende casalinghe di ogni giorno.


Era veloce. 
Quella caratteristica non l’aveva perduta, nel divenire umano. Certo: non aveva più il cosmo della Garuda che gli permetteva spostamenti fulminei… ma se la cavava piuttosto bene. Inoltre con la ritrovata forma fisica, era quasi piacevole compiere qualche sforzo. 
Correva trainando il carretto sul quale avrebbe depositato le casse di pesce che avrebbero successivamente venduto.
Da giudice infernale a pescivendolo.
Questo pensiero era talmente assurdo che ogni volta non poteva resistere dal disegnare sulla propria espressione un mezzo ghigno silenzioso. 
“Un discreto balzo di carriera, direi!”, commentava tra sé e sé, “Minos e Rhadamantis morirebbero d’invidia…”… ma loro, a differenza sua, erano già morti, testualmente. 
Passò nel frattempo di fianco ad un gruppo di giovani donne intente a passeggiare nella direzione opposta la quale stava percorrendo. Tenevano della frutta in alcune ceste ed al suo passaggio lo scrutarono con sguardi interessati e risolini sommessi.
Le guardò, cercando tra esse elementi famigliari. 
Ma non trovò nulla di ciò che cercava.
- Hei, ragazzo del pesce! – giunse una voce dal gruppetto – vieni a trovarci alla locanda, una sera di queste! -
E poi ancora risate trattenute.
Le guardò, rallentando, dopo averle superate. 
Scrutandole velocemente i suoi occhi erano alla ricerca di dettagli chiari… lunghi e setosi capelli neri, forse… un paio di iridi violacee… un fisico sodo e slanciato… 
Ma non ebbe soddisfazione in quella ricerca. La beltà delle fanciulle era evidente. “Carne giovane”, avrebbe commentato sotto l’influsso della stella che un tempo lo governava. 
L’uomo che era sarebbe tornato indietro immediatamente, ad infilarsi in quel gruppo. Ad infilarsi letteralmente in ognuna di esse, anche. 
Il sesso.
Non aveva più preso in considerazione i piaceri che un tempo erano tanto fondamentali. 
Si riscosse, tornando a guardare le giovani donne, che ancora lo salutavano mostrando sorrisi ingenui e ammiccanti.
Forse non era più “normale”? Sarebbe stato il caso di lasciarsi un po’ andare... Di liberare un po’ di energia, sciogliere un po’ il controllo. Lasciare perdere ogni cosa, pensieri, ricordi, rimpianti… E piantarsi completamente nel presente. 
Riprese a muoversi, senza porsi ulteriori problemi. 
Suikyo non era Aiacos. Lo era stato ed in sé esistevano ancora tracce di quel Lui. Ma non lo era più.
Peccato che sia i suoi ricordi che i suoi sogni non fossero d’accordo con questa umile tesi.
Una volta procurato e caricato il pesce, tornò a recuperare il vecchio Samuel. 
- Sei in ritardo! Lo sai che in questo modo perdiamo il posto migliore all’ombra! E senz’ombra il pesce puzza! –
Hanna alzò gli occhi al cielo, sollevata che il marito finalmente lasciasse l’abitazione e si concentrasse sui propri affari. Sorrise a Suikyo e lo salutò augurandogli “buona giornata”. 
Anche lei, in quanto ad ironia, sembrava non perdere un colpo.

Giunti in paese fu il ragazzo ad occuparsi di allestire il banco. Aiutò l’anziano a scendere e lo accomodò su una sedia fissa in marmo. Veloce completò l’esposizione, senza sprecare tempo e fiato. 
Quando ebbe terminato, passò una mano sulla fronte madida di sudore.
- Ben fatto. -
Si voltò incredulo. Il complimento giungeva proprio dal vecchio burbero, che gli stava passando uno straccio umido, per lasciare che si sciacquasse le mani. Lui lo prese e si ripulì.
- Vieni qui a sederti: quella perditempo di mia moglie ti manda questo. – nel dire quelle parole gli porse un sacchetto di iuta color senape. Da esso trapelava un magnifico aroma penetrante…
- Focaccia! – esultò il giovane, come se si sentisse un bambino viziato dagli adulti che si prendevano cura di lui. 
Perché era quello che stava accadendo: quei due vecchi stavano lenendo le sue invisibili ferite.
Quando questo pensiero fece capolino nella sua mente, prese la pietanza tra le mani e la spezzò in due parti. Ne porse poi una all’uomo che stava accanto a lui.
Samuel lo guardò titubante per qualche momento. Dopodiché accettò l’offerta. 
A guardarli da lontano, parevano una coppia perfetta. Un padre ed un figlio sereni ed uniti dal faticare quotidiano.
La giornata trascorse calma, uguale alle altre. Quando fu l’ora di ritirare, Samuel chiese a Suikyo di recarsi qualche banco più avanti per acquistare del formaggio di capra. Ordine che il giovane eseguì senza perdere tempo. 
Ma nel tornare, dopo l’acquisto, vide una scena che di lì a poco avrebbe scatenato il peggio che ancora risiedeva in lui.
Un gruppo di uomini, tutti abbigliati con una sorta di uniforme nera e rossa, stava unito di fronte al banco del pesce. Non poteva scorgere Samuel, in quanto questi lo circondavano. 
Si apprestò ad aumentare il passo, in quanto ebbe la sensazione che stesse accadendo qualcosa di negativo. 
Ma ancora era lontano, quando vide l’anziano signore venire scaraventato a terra, in mezzo a quegli sconosciuti. Subito scattò per raggiungerlo.
- Dannato e sporco vecchio! Voglio dei gamberi freschi! Il mio signore li desidera e io non tollero scuse! – urlò il più grosso di quelli, di una corporatura spropositata. Aveva baffi e barba scuri che si congiungevano. La chioma, ricciuta, era domata in una treccia che terminava sottile tra le scapole di questo. Si apprestava a sferrare un calcio nello stomaco del vecchio, quando qualcosa glielo impedì.
Una presa d’acciaio, bollente sul suo polpaccio, lo aveva immobilizzato. E due iridi dorate immobili nelle sue, nere. 
Suikyo era fermo tra lui e il pescivendolo. Un ginocchio poggiato a terra, lo fissava con uno sguardo penetrante. 
Gli uomini in uniforme si misero sulla difensiva. Fu subito chiaro a tutti che i movimenti scattanti del nuovo arrivato non appartenevano ad uno sprovveduto.
- Come osi… - ringhiò l’uomo che ancora era tenuto immobile dall’ex giudice.
- Siete giunti tardi. La colpa è vostra. Non siete nella posizione di avanza pretese ridicole… - iniziò a parlare Suikyo. La sua presa divenne più stretta, - pertanto, ritengo siano necessarie le vostre scuse nei confronti di quest’uomo. - 
Fu in quel momento che l’oro dei suoi occhi s’intrise di cremisi tutto intorno alla pupilla: un sottile anello scarlatto tra l’oro e l’abisso del nero. Nel proprio animo percepì qualcosa di antico, un’onda di energia crescente e viscerale. 
Dovette inspirare e tentare di placare quel caos dentro di sé.
Staccò la presa dal nuovo arrivato e si preoccupò di prendere e sollevare l’anziano tra le sue braccia, per accomodarlo sulla sedia su chi si trovava poco prima.
Samuel lo fissò con serietà.
- Ehi, non credere di poter intervenire in questo modo in fatti che non ti riguardano e poi uscirne indenne come nulla fosse! – riprese l’uomo con la piccola treccia. 
- Anche io lavoro qui. – rispose con calma lui. Allora alle sue spalle quell’altro iniziò a ridere di gusto. Lui e poi tutto il gruppo. 
- Un pescivendolo che vuole fare il duro! Ragazzi: questa è la scenetta più divertente a cui mi sia mai capitato di assistere! Sentite che puzza tremenda, lui e il suo vecchio! -
Lo stava chiaramente istigando. Ma Suikyo non aveva intenzione alcuna di rispondere a quelle provocazioni. E accorgendosi di questo, il gruppetto di uomini passò alla mossa successiva.
- Gentaglia: non meritate di lavorare! – concluse l’unico interlocutore, mentre con una  gamba colpiva un angolo del banchetto, facendo cadere a terra tutta la mercanzia. 
Samuel gridò di rabbia e per la propria incapacità di reazione. 
E Suikyo… 
Fu veloce come un fulmine e leggero come una brezza, nel voltarsi. Colpì l’uomo corpulento, nell’addome e quando questi si piegò in avanti per il dolore, lo atterrò con un secondo tocco secco dietro al collo. Gli altri gli saltarono contemporaneamente addosso. 
Lo scarlatto per un millesimo di secondo inghiottì completamente il caldo oro.
- Ridicoli… - sussurrò, mentre sotto i suoi colpi, crollavano uno dopo l’altro a terra attorno a lui, andando a fare compagnia al primo. Un calcio, un pugno, una gomitata ben assestata ma prima vi sforzo alcuno. 
La calma nel suo animo si ristabilì. 
Nonostante la Garuda non fosse più congiunta al suo essere, la sua capacità fisica non era perduta. Era un Guerriero, uno di quelli che avrebbero potuto contrattaccare da solo un intero esercito. 
E non temeva nulla. Proprio perché non aveva nulla da perdere.
Osservò calmo la moltitudine di corpi atterrati ed ammaccati ai suoi piedi.
Si chinò, calmo. Afferrò per il colletto il capo di quel gruppo di incapaci e lo strattonò appena, fissandolo serio,
- Mi pare che ci siano ancora delle scuse da porgere. - 
Quello, madido di rabbia ma paralizzato dal dolore, digrignò i denti. E poi scorse il volto paralizzato dell’anziano pescivendolo. 
- Sc… scusate… - macinò con la bocca. 
Suikyo lo liberò dalla presa. E con calma si avvicinò subito al banchetto, iniziando a sistemarlo nel migliore dei modi possibili, non curandosi del gruppo di uomini che aveva appena atterrato, senza la benchè minima fatica.
- Che diamine sta accadendo? -
Un nuovo interlocutore si aggiunse al gruppo, alle loro spalle. 
Suikyo si voltò appena per osservare l’ultimo arrivato. 
Scorse una carrozza chiusa, dorata, guidata da un cocchiere vestito come un manichino di fronzoli e ornamenti luccicanti.
Dalla finestra del mezzo, un uomo sui quarant’anni osservava con disprezzo il cumulo di uomini ancora  a terra. Aveva capelli color miele, ben pettinati all’indietro. Un pizzetto curato e grandi occhi celesti. La carnagione era scura e liscia. 
- Signore, nulla di grave… - boffonchiò l’uomo riccioluto mentre si rialzava. Quello lo osservò con indifferenza, 
- Ho bisogno di pesce e voi fate simili figure ridicole? E come siete stati atterrati, illuminatemi? A suon di pinne sulla faccia? - , parlava nervoso e con sdegno verso i suoi uomini, - alzati in piedi, Orazio. E fai fare lo stesso agli altri incapaci. Subito! -
Mentre sputava ordini, fissava però il giovane calmo di fronte a lui.
- Sei stato tu? Come accidenti hai fatto? E soprattutto, con quale pretesto? -
- Hanno minacciato il mio capo, rovinando la merce. – rispose noncurante dell’atteggiamento dell’uomo elegante, - gli inetti vanno tenuti a bada. – concluse. E chi meglio del “vecchi lui” avrebbe potuto pronunciare una simile frase?
Il biondo socchiuse le palpebre, per mettere a fuoco quella nuova figura. 
- Inetti. Esatto, purtroppo questo è quanto. Tu invece… vieni a trovarmi al mio palazzo, pescivendolo. Potresti tornarmi utile. -
Certo, come no: l’ultima cosa che aveva per la testa era “il tornare utile a qualcun altro”. Basta comandi. Basta padroni. Basta obbedienza.
Si voltò per incrociare lo sguardo dell’uomo e rispondergli con chiarezza che il suo invito avrebbe potuto infilarselo in quel posto, quando qualcosa lo bloccò.
Il tempo improvvisamente parve fermarsi e così anche il suo cuore. Gli mancò il respiro ed anche la favella. Perché nella carrozza, di fianco all’uomo che gli stava parlando, intravide qualcuno.
Una donna.
E il profilo, il colore dei capelli, delle labbra… Perse ogni certezza in quell’attimo esatto. Stava impazzendo? La follia lo aveva alla fine raggiunto? 
La voce gli salì gutturale dal punto più profondo del suo essere, leggera e fin timorosa,
- Violate! – pronunciò con un tono disarmante. 
Nella penombra aveva intravisto una figura che aveva appena messo in discussione ogni possibilità di rinsavita. 
Quella non lo degnò di uno sguardo. Aveva le palpebre socchiuse ed un lieve sorriso sulla bocca. Pareva sussurrare qualcosa, ma non a lui e nemmeno al biondo.
Quest’ultimo lo fissò con serietà, strattonando appena la tenda, come se avesse desiderato all’istante nascondere quella compagnia all’uomo che gli stava di fronte. 
- Mia moglie non è spettacolo per poveracci come te. – ringhiò quello, come ti permetti?
Lo avrebbe afferrato per il mento. Glielo avrebbe staccato e poi avrebbe trascinato fuori l’intero corpo di quell’uomo, gettandolo a terra. Perché aveva bisogno di guardare, ancora. 
Ma una presa al suo polso lo riportò alla realtà. 
Si voltò e vide l’anziano chinato in avanti.
- Calmati, ora. – gli disse lentamente. 
Cercò di regolarizzare il respiro ed annuì, poco convinto. 
Stava per tornare a guardare la carrozza, quando un colpo sordo e ben assestato lo raggiunse alla testa.
Crollò a terra senza alcuna possibilità di reazione.




#2#
Ciao a tutti!
Eccoci qui alle prese con un pescivendolo piuttosto irrequieto…  eh?
Credo di aver trovato il giusto equilibrio tra passato e presente: mi piace l’idea di rivangare ciò che “sarebbe potuto accadere davvero” e giocare con un presente in apparenza tranquillo e meditabondo. E andare anche oltre…
L’umanità di Suikyo non è completamente pura: il suo passato è ancora presente in lui e persino il suo antico cosmo pare non volerlo abbandonare totalmente. Sono solo strascichi del suo antico io o qualcosa di più? 
Giacobbo darebbe la colpa agli ufo o alle piramidi. O a entrambi, probabilmente.
Noi invece continueremo presto!

Un fresco abbraccio a chi sta seguendo questa fic! ;-)

   
 
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