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Autore: Padme92    05/08/2014    3 recensioni
Addio a Lothlorien.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"A laita te! Laita te!"

Il fiume stretto e scoglioso luccicava, le fronde sussurravano un inquietante “Namarié da cui volevo cercare di nascondermi. Gli alberi gialli. Le foglie dorate rigate di risplendente luce accecante mi mormoravano fischi d'addio strusciando per la brezza appena accennata lungo il torrente. Non volevo sentire quella parola, non volevo più udire addii tanto da sfamarmi e poi rimettere gocce di sangue. Avrei voluto urlare sgraziatamente di tacere a quelle foglie veraci eppur così silenziose nella calma del crepuscolo. Non potevo accettare di lasciare quel luogo: il dove delle melodie più dolci, il quando del tempo più ristoratore, dove gli attimi non trascorrevano, ma ti scivolavano dritti ognuno nel centro del petto fino agli abissi del cuore. I recessi del mio cuore, colmi ancora di tristezza e sventure, necessitavano ancora di quella consolatrice aria purificata da ogni affanno. I labirinti della mia mente che piano piano parevano sciogliersi come neve al sole, sembravano ora premere di più contro il mio cranio, lasciandomi inerte e sgomento, senza capire appieno. Quello che stavo perdendo e quello che andavo cercando. Lasciare la pace per rifugiarsi in luoghi oscuri o fare gli incontri sbagliati, indugiare sul sentiero del bosco più buio, dove si respirava aria malata: quelli erano i luoghi verso il quale ero diretto, e al momento mi sfuggiva il perché tanta era l'agonia di lasciare il luogo benedetto dalle fulgide stelle serali. La luce delle stelle, tanto preziosa da luccicare follemente sopra le teste di tutti, e illuminare fievolmente notti troppo oscure prive di fuochi da tempo andati spegnendosi. La luce immacolata della stella della sera ora riluceva lontana eppure così ad un passo dal mio cuore, troppo macchiato per raccoglierne anche solo un raggio senza avvertire un peso enorme che mi soffocava dandomi fitte al petto di un amorevole dolore. Soffocavo di luce, respiravo aria limpida e pura, mi nutrivo dei frutti della foresta magica senza dare nulla in cambio. L'addio era la mia pena per l'abbandono di quel luogo meraviglioso che il solo cercare di racchiudere in solo pensiero mi portava a barcollare. Non volli voltarmi troppo quella sera, tramontato il sole, astro morente, a rivedere le bionde chiome che a lungo mi avevano protetto da un mondo velenoso. Chissà se mai più avrei rivisto gli argentei flutti e le luccicanti lucciole che percorrevano i dintorni dei laghetti e dei ruscelli, e che riuscivo quasi a scorgere da un promontorio poco lontano dal mio nido di miele. La speranza di ritrovarlo la trattenevo a fatica, come se sapessi fin dal principio che quel luogo non era quello adatto a uno come me: un vile uomo che non dovrebbe lasciarsi infatuare da tali visioni. Riaffrontare il mondo reale sarebbe stato un duro macigno da mandare giù, ritrovare le cose a lungo lasciate da parte sarebbe stato piacevole solo la metà di quanto mi davano i finissimi rametti che calpestavo nell'ora lontana foresta. Troppo lontana. Così lontana che con lei parevano sparire persino i miei sogni di felicità. Così lontana che non mi sentivo più parte del mondo, ma come un estraneo che girovaga con una meta imprecisa tra le aspre colline che si ergevano davanti a me. Ora che me ne ero andato. Ora che ero solo con me stesso, ogni parte di me, tra le quali pareva affievolirsi sempre più ad ogni passo quella gioiosa anima che mi aveva regalato giorni sereni, e che pareva ora quasi un'illusione, che forse mi avrebbe infine perseguitato solo in sogno.

Namariè..

   
 
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